Unione delle Camere penali

Prime osservazioni della giunta Ucpi in tema di trattamento dei dati personali
effettuato per lo svolgimento delle investigazioni difensive

Documento approvato il 4 gennaio 2006

Riscontro alla richiesta di “prime considerazioni e ipotesi di lavoro”
da parte della Autorità Garante dei dati personali

Premessa e accenno alle disposizioni del D.Lgs 196/2003
connesse con le investigazioni difensive

Con nota trasmessa il 15 dicembre 2006, l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha richiesto (tra l’altro) all’Unione delle Camere Penali Italiane di esprimere “prime considerazioni e ipotesi di lavoro” in relazione alla elaborazione, prevista dagli articoli 12 e 135 D.Lgs 196/03, del “Codice di deontologia e buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuato per lo svolgimento delle investigazioni difensive o per far valere un diritto in sede giudiziaria” (articolo 135 D.Lgs cit.). Va precisato che la nota in questione richiama una riunione tenutasi il 19 luglio scorso cui non hanno partecipato esponenti dell’UCPI. Con lettera inoltrata via e-mail in data 20 dicembre 2006, il Segretario dell’UCPI ha richiesto –all’indirizzo indicato nella nota- di ricevere l’eventuale verbale di tale riunione; con la stessa mail è stato comunque inoltrato al Garante, per conoscenza, il testo delle “Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive”, approvato il 14 luglio 2001 dal Consiglio delle Camere Penali Italiane. Il Garante, ad oggi, non ha fornito alcuna risposta alla richiesta di cui sopra. Tanto premesso, la ristrettezza dei tempi (le osservazioni richieste vanno inoltrate entro il 10 gennaio 2007) e la non conoscenza di eventuali determinazioni od orientamenti assunti il 19 luglio scorso, consentono per ora di svolgere soltanto alcune prime considerazioni di carattere generale e di fornire alcune indicazioni in merito alle specifiche richieste avanzate dal Garante e contenute in una “griglia” di argomenti contenuta nella tabella allegata alla richiesta di parere. ima della elaborazione delle osservazioni richieste sembra opportuno ricordare che il D.Lgs 196/03 (Codice in materia di protezione dei dati personali), oltre a contemplare l’introduzione di un codice deontologico in materia di indagini difensive, si occupa di queste ultime e del trattamento dei dati ad esse relativi in diversi articoli.E’utile fornire una traccia della disciplina legislativa nella parte in cui interferisce con le indagini difensive e con gli obblighi del difensore che esplica tali indagini, facendo rinvio, per il resto, alla lettura delle disposizioni di legge:

  1. Chiunque tratta dati personali (e dunque –tra l’altro- raccoglie, conserva o utilizza dati personali, come certamente avviene nel caso del legale che effettui investigazioni difensive) è soggetto alla disciplina del d.lgs 196/2003;
  2. L’articolo 7 stabilisce il diritto dell’interessato (persona cui i dati si riferiscono) di ottenere, fra l’altro, la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, l’origine e le modalità dei dati e le finalità del trattamento nonché la cancellazione dei dati per i quali non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per cui sono stati raccolti.
    Va rilevato, tuttavia, tali diritti dell’interessato non sono esercitabili con riguardo ai dati raccolti nell’ambito delle indagini difensive, “limitatamente al periodo durante il quale potrebbe derivarne un pregiudizio effettivo e concreto per lo svolgimento delle investigazioni stesse o per l’esercizio del diritto in sede giudiziaria” (articolo 8, co. II, lettera e);
  3. L’articolo 11 prevede una disciplina cui ovviamente deve conformarsi anche il difensore in sede d’indagine difensiva, secondo la quale:
    1. I dati personali oggetto di trattamento sono:
      a) trattati in modo lecito e secondo correttezza;
      b) raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, ed utilizzati in altre operazioni del trattamento in termini compatibili con tali scopi;
      c) esatti e, se necessario, aggiornati;
      d) pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalita’ per le quali sono raccolti o successivamente trattati;
      e) conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati.
  4. L’articolo 13 prevede tra l’altro che, in generale, l’interessato (la persona cui i dati si riferiscono) debba essere previamente informato circa i diritti di cui all’articolo 7, della finalità del trattamento e dei soggetti o delle categorie di soggetti cui i dati possono essere comunicati. Tale informativa va data di regola all’atto della registrazione o della prima comunicazione dei dati. Anche in questo caso, tuttavia, a tale informativa non si dà corso quando “i dati sono trattati ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 397, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalita’ e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento” (articolo 13, co. 5, lettera b);
  5. L’articolo 23 (“Disposizioni applicabili ai privati”) prevede che i privati trattino i dati personali solo con l’espresso consenso dell’interessato. Tuttavia, ancora una volta, il successivo articolo 24 prevede, fra l’altro, un’eccezione alla necessità del consenso quando il trattamento dei dati “con esclusione della diffusione, e’ necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 397, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale” (articolo 24, I co. lettera f);
  6. Con riguardo ai dati sensibili (che sono, nell’ambito della categoria dei dati personali, quelli idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale) l’articolo 26 stabilisce la regola generale che possano essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato. Anche in questo caso, tuttavia, vengono individuate alcune eccezioni che intendono essere più stringenti di quelle in precedenza previste, tra le quali (articolo 26, IV co., letterac) rientrano i casi in cui “il trattamento e’ necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 397, o, comunque, per far valere o difendere in sede giudiziaria un diritto, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalita’ e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento. Se i dati sono idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, il diritto deve essere di rango pari a quello dell’interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile”;
  7. L’articolo 27 stabilisce che i privati possano trattare dati giudiziari solo se autorizzati da espressa disposizione di legge o provvedimento del Garante;
  8. Il titolo XI del D.Lgs 196/2003 (“Libere professioni e investigazione privata”), all’articolo 135, prevede appunto che il Garante promuova la “sottoscrizione” di un codice di deontologia e buona condotta per il trattamento di dati personali effettuato nell’ambito delle indagini difensive;
  9. Altre disposizioni (articoli 19, 21, 22, 27, 47, 48, 51, 62) riguardano le investigazioni di autorità pubbliche o si riferiscono in generale al trattamento di dati giudiziari dell’individuo.
    Rispetto al complesso delle disposizioni ci si potrebbe chiedere per quale ragione alcune tra esse (ad esempio quelle sulla pertinenza e non eccedenza dei dati) siano previste solo per l’effettuazione di indagini difensive degli avvocati e non, ad esempio, per quelle della pubblica accusa: ma questo fa parte del tema, non rilevante in questa sede, dell’assetto ordinamentale (e culturale) vigente che si fonda sulla concezione di stampo autoritario della unicità delle carriere di magistrati inquirenti e giudicanti.

Prime osservazioni ed analisi delle “Regole di comportamento per le indagini difensive”
approvate all’Ucpi nella parte concernente aspetti di riservatezza da rispettare

Tanto premesso, si desume dalle disposizioni citate che il legislatore annette un particolare rilievo alle investigazioni difensive e alla figura di coloro che sono autorizzati ad espletarle ai sensi della legge del 2003, tanto da formulare ampie eccezioni alla osservanza delle disposizioni di carattere generale. Alcune prime osservazioni sembrano utili per la formulazione di disposizioni deontologiche e di buona condotta. L’Unione delle Camere Penali Italiane ha approvato (delibera 14 luglio 2001 del Consiglio delle Camere Penali Italiane) alcune “Regole di comportamento per le indagini difensive” e sta provvedendo ad un aggiornamento delle stesse anche sotto il profilo della riservatezza. E’ bene chiarire che la sfera di operatività dell’avvocato in relazione alle investigazioni difensive concerne essenzialmente l’attività in sede giudiziaria in ogni stato e grado del procedimento, ma può esplicarsi in via preventiva e funzionale all’eventuale instaurarsi di un procedimento (articolo 391 nonies Cpp). In realtà, come si desume dall’inciso contenuto nell’articolo 327 bis II co. Cpp (che richiama i procedimenti dell’esecuzione penale e il giudizio di revisione) l’indagine difensiva può svolgersi talvolta anche dopo che un procedimento o un processo si siano conclusi con decisioni definitive o con statuizioni assimilabili alla definitività o anche con provvedimenti precari (si pensi alle sentenze di non luogo a procedere o alle decisioni sugli incidenti di esecuzione, valide in genere rebus sic stantibus, o alla riapertura delle indagini ex articolo 414 Cpp). In effetti non vi è dubbio che nel corso di un’indagine difensiva ai sensi dell’articolo 327 bis Cpp la difesa possa trovarsi nelle condizioni di trattare dati personali che, di regola attengono, in caso di assunzione di dichiarazioni ex articolo 391 bis Cpp:
a) alla persona che rende le dichiarazioni (generalità, indirizzo etc.; “pendenze” giudiziarie se si tratta di persona sottoposta ad indagini o imputata nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato ex articolo 391 bis co. III lettera c e co. V Cpp; dati riferibili a sé stessa che la persona renda noti;
b) a terze persone rispetto alle quali, nel corso delle dichiarazioni, siano rivelati dati personali.
Rispetto a tale ultima ipotesi sembra che non sia neppure possibile esemplificare: certamente un “testimone” può riferire le più varie circostanze utili all’accertamento dei fatti, anche riferite a “dati sensibili”, i più delicati tra i dati personali oggetto di trattamento. Si pensi che potrebbero assumere rilievo, a seconda dei casi concreti e qualora siano importanti per le finalità dell’indagine difensiva, anche elementi che attengono alla vita o alle tendenze sessuali, alla salute, all’appartenenza politica o religiosa etc. di terzi o della stessa persona che rilascia le dichiarazioni. Altri dati personali potrebbero emergere o venire desunti da altre “tipologie” di investigazione difensiva, come quelle previste negli articoli 391 quater e sexies Cpp (richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione; sopralluoghi; accertamenti tecnici etc.). Orbene, il D.Lgs 196/03 –stabilendo le eccezioni che si sono in precedenza sinteticamente ricordate- mostra di considerare più rilevante rispetto ad altre esigenze quella dell’accertamento dei fatti nel processo penale, dove si controverte sempre di diritti di rango superiore (quale, in particolare, quello alla libertà personale). Come si è visto, l’articolo 26 della legge sembra porre una regola che recepisce questo concetto, là dove prevede che “Se i dati sono idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, il diritto deve essere di rango pari a quello dell’interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o liberta’ fondamentale e inviolabile”. Senza in questa sede approfondire tale disposizione, può certamente affermarsi che relativamente alla sfera di operatività professionale dell’avvocato nel procedimento penale (e in particolare nell’effettuazione di investigazioni difensive) si verta sempre in situazioni di rango superiore a quelle, pur rilevanti, che possano emergere dall’attività d’indagine. Nel processo penale –rispetto al quale è comunque inviolabile il diritto di difesa- vengono sempre in considerazione “diritti o libertà fondamentali e inviolabili”. Ne discende una prima considerazione: “il codice deontologico e di buona condotta” previsto dalla legge 196/2003 non potrà che essere un codice “leggero” poiché sembra che la legge già disciplini gli aspetti più rilevanti dell’attività d’investigazione secondo criteri che assicurano prevalenza a tale attività rispetto ad alcuni principii generali in tema di trattamento dei dati personali. E non potrebbe essere altrimenti. Come si vedrà immediatamente, poi, tali principii sono sostanzialmente recepiti nelle regole che l’Unione delle Camere Penali ha adottato. In proposito è utile, ancora preliminarmente, esaminare alcune delle disposizioni contenute nelle “Regole di comportamento nelle indagini difensive” approvate dal Consiglio delle Camere Penali Italiane il 14 luglio 2001 che affrontano alcuni temi che concernono la “riservatezza” lato sensu. Tanto consentirà, fra l’altro, una valutazione interna dell’UCPI in ordine ad eventuali aggiornamenti di tali regole. In particolare è opportuno qui ricordare:
-L’articolo 2 (Legittimazione alle indagini difensive) prevede riservatezza rispetto al contenuto del mandato:
1. Il difensore è legittimato a svolgere investigazioni difensive sin dal momento della nomina senza necessità di specifico mandato ed indipendentemente dal deposito dell’atto di nomina presso l’autorità giudiziaria.
2. Il mandato con sottoscrizione autenticata, necessario per svolgere l’attività investigativa preventiva prevista dall’articolo 391-nonies del codice di procedura penale, indica i fatti ai quali si riferisce in modo sintetico al solo fine della individuazione dell’oggetto di tale attività, con esclusione di ogni riferimento ad ipotesi di reato.
-L’articolo 4 (Direzione delle investigazioni), al terzo comma, contempla il dovere del difensore di rammentare a collaboratori e investigatori il vincolo di segreto circa gli atti processuali conosciuti e l’attività da svolgere.
Il comma V di tale disposizione prevede poi che i risultati delle investigazione siano comunicati esclusivamente alla difesa:
Omissis
3. Nel dare le direttive il difensore rammenta gli obblighi indicati al comma 2, con particolare riguardo a quelli relativi agli avvertimenti alle persone con le quali occorre conferire, agli accessi ai luoghi e alla ispezione delle cose, alla eventuale redazione di verbali, al segreto sugli atti e sul loro contenuto, nonché a quello di riferirgli tempestivamente i risultati dell’attività svolta. Ai fini dell’esercizio dell’incarico il difensore dà ai sostituti e agli ausiliari le informazioni necessarie e può fornire a essi, anche nell’ipotesi di segretazione dell’atto, copie di atti e documenti, in ogni caso con vincolo di segreto”.
Omissis
5. L’incarico agli investigatori privati e ai consulenti tecnici è conferito con atto scritto, nel quale, fermo quanto previsto al comma 3, il difensore indica i loro doveri di:
a) osservare le disposizioni di legge, in particolare quelle sulle investigazioni difensive e sulla tutela dei dati personali;
b) comunicare le notizie e i risultati delle investigazioni e rimetterne l’eventuale documentazione soltanto al difensore che ha conferito l’incarico o al suo sostituto;

-L’articolo 6 (Dovere di segretezza, limiti di utilizzazione,conservazione della documentazione) ribadisce l’obbligo del segreto professionale dell’avvocato sulle investigazioni difensive finché non ne faccia uso nel procedimento, contempla una limitazione all’utilizzo della documentazione (pertinenza anche temporale con le necessità difensive) e l’obbligo del difensore di conservare riservatamente la documentazione fin quando necessaria all’esercizio della difesa:
1. Il difensore ha il dovere di mantenere il segreto professionale sugli atti delle investigazioni difensive e sul loro contenuto, finché non ne faccia uso nel procedimento, salva la rivelazione per giusta causa nell’interesse del proprio assistito.
2. In ogni caso, il difensore utilizza la documentazione degli atti delle investigazioni difensive e i relativi contenuti nei soli limiti e nei tempi in cui siano necessari all’esercizio della difesa.
3. Il difensore cura di conservare scrupolosamente e riservatamente la documentazione, anche informale, delle investigazioni difensive per tutto il tempo in cui egli ritiene che possa essere necessaria o utile per l’esercizio della difesa.

-L’articolo 8 (Ricerca e individuazione di fonti) prevede che il difensore informi gli interpellati per l’attività d’indagine della propria qualità con facoltà di mantenere riservato il nome del proprio assistito:
1. Il difensore, il sostituto e gli ausiliari incaricati procedono senza formalità alla individuazione delle persone che possono riferire circostanze utili alle investigazioni difensive. In ogni caso, nello svolgimento dell’attività di individuazione di tali persone, informano sempre le persone interpellate della propria qualità, senza necessità di rivelare il nome dell’assistito.
2. Nello stesso modo si procede alla individuazione delle altre fonti di prova e, in genere, delle altre fonti di notizie utili alle indagini.

– L’articolo 11 (Rapporti tra difensore e assistito nell’ambito delle investigazioni difensive) prevede riservatezza nello scambio di informazioni tra avvocato, ausiliari (tra cui gli eventuali investigatori privati) e assistito nell’esercizio della difesa:
1. E’ fatto divieto ai soggetti della difesa di applicare le disposizioni degli articoli 391-bis e 391-ter del codice di procedura penale nei confronti della persona assistita.
2. Il difensore e il sostituto, anche, se del caso, con la presenza degli ausiliari, scambiano liberamente e riservatamente con il proprio assistito, nelle forme e nei tempi opportuni, le informazioni necessarie ad assicurare un coordinato esercizio della difesa tecnica e dell’autodifesa su tutti i temi ritenuti utili. Inoltre, lo consigliano e lo assistono in relazione agli atti, orali o scritti, nonché alle scelte che egli compie personalmente nel procedimento.

– Nell’articolo 13 (Documentazione) viene disposta la riservatezza dell’atto di indagine dichiarativo anche nei confronti della persona che ha reso le informazioni e del suo difensore:
1. Le informazioni assunte dal difensore, secondo le previsioni degli articoli 391bis comma 2 e 391ter comma 3 del codice di procedura penale, sono documentate in forma integrale. Quando è disposta la riproduzione almeno fonografica possono essere documentate in forma riassuntiva.
2. Nel verbale, redatto con le modalità previste al comma 1, sono specificamente indicati i mezzi impiegati. Esso è sottoscritto da tutte le persone presenti ed è conservato dal difensore ai sensi del comma 6 dell’articolo 3.
3. Il difensore non è tenuto a rilasciare copia del verbale alla persona che ha reso informazioni né al suo difensore.

Principii e situazioni meritevoli di attenzione in materia di trattamento di dati personali

Esaurita questa lunga premessa può concludersi che gli aspetti più rilevanti di carattere deontologico nella investigazione difensiva sono chiaramente desumibili dalla legge e sostanzialmente esplicitati nelle “Regole” redatte dall’Unione delle Camere Penali Italiane.
Dal coordinamento delle disposizioni possono tuttavia individuarsi alcuni principii che il difensore dovrebbe osservare in tema di privacy e che potrebbero essere trasposti in un eventuale codice deontologico (e che le stesse Camere Penali potrebbero inserire nelle loro “Regole” ad integrazione di quelle esistenti ):

  1. Disciplinare gli avvertimenti in materia di riservatezza da dare alla persona che rende dichiarazioni (oltre, ovviamente, quelli previsti dal codice di procedura penale, ad esempio nell’articolo 391 bis co. III Cpp)
    Vero è che alcuni avvertimenti potrebbero essere omessi secondo una lettura del non chiarissimo articolo 7 D.Lgs 196/03, ma si ritiene che taluni avvisi siano comunque opportuni, e tra questi:
    – La comunicazione all’interessato circa le finalità dell’atto di investigazione (in genere nota, peraltro, a chi si presenta od è invitato a rendere dichiarazioni; discorso diverso per altre tipologie di investigazioni, come sopralluoghi, richieste di documenti etc.) e cioè di raccogliere elementi utili alla difesa del proprio assistito (articolo 327 bis, I co. Cpp). Tale avviso, in verità, è già previsto dal codice di procedura penale (articolo 391 bis, co. III lettera a Cpp), ma sembra rappresentare una garanzia di correttezza. Dovrà però consentirsi al legale in sede d’indagine di rivelare soltanto gli elementi essenziali, senza comunicare quelli che potrebbero compromettere l’indagine o la riservatezza del proprio assistito;
    – La comunicazione circa la detenzione dei dati personali del richiedente e il chiarimento che il consenso dell’interessato non è necessario al loro utilizzo (D.Lgs 196/03, articolo 24), ma che tale utilizzo sarà conforme alla legge 196/2003 e per il periodo strettamente necessario al perseguimento degli scopi previsti. Chiarire tuttavia (vedi oltre, sub 2) che tale periodo potrebbe essere anche di durata indefinita pur dopo la conclusione del procedimento giudiziario penale;
    – L’avvertimento circa la necessità di mantenere riservatezza –salve le eccezioni previste dalla legge- sul contenuto dell’atto
    Inoltre dovrebbe:
    – Ribadirsi che nessuna comunicazione (anche se richiesta ex articoli 7 e 8 D.Lgs 196/03) debba essere data dal difensore che ha effettuato le indagini agli interessati (nel senso di cui all’articolo 4, co. I, lettera i) del D.Lgs 196/03) i cui dati personali risultino eventualmente dalle dichiarazioni di persona che abbia “testimoniato” ai sensi dell’articolo 391 bis Cpp Tale disposizione dovrebbe operare (articolo 8, co. II lettera e D.Lgs 196/2003) “limitatamente al periodo durante il quale potrebbe derivarne un pregiudizio effettivo e concreto per lo svolgimento delle investigazioni difensive o per l’esercizio del diritto in sede giudiziaria”. Tuttavia si legga in proposito il successivo punto 2, poiché gli argomenti sono in parte simili: non è facile valutare fino a quando l’atto di indagine difensiva sia utile e dunque quando cessi “il pregiudizio per lo svolgimento delle investigazioni difensive”;
  2. Prevedere un chiarimento circa la conservazione degli atti che documentano le investigazioni difensive. La legge prevede che ciò avvenga fino a che sia necessario per il procedimento o per l’esercizio del diritto di difesa. Tuttavia tali necessità non sono facilmente valutabili. Infatti l’atto di investigazione (che peraltro non è necessariamente prodotto in sede giudiziaria, poiché il difensore può decidere se utilizzarlo o meno: articolo 327 bis Cpp) potrebbe acquisire rilevanza in un momento futuro indeterminato ed eventuale, ad esempio in caso di riapertura delle indagini (articolo 414 c.p.p), di revisione del processo (articolo 629 Cpp: l’atto di indagine non utilizzato, unitamente ad altri sopravvenuti potrebbe ad esempio rendersi utile per richiederla) o in altre situazioni. D’altra parte, la Corte di Cassazione ha previsto recentemente la natura di atto pubblico del verbale di indagine difensiva: potrebbe autorizzarsi la sua distruzione o la “cancellazione” dei dati personali ivi contenuti prevista dall’articolo 7 D.Lgs 196/03 ? In tale contesto deve ritenersi che a carico del difensore sussista in realtà un obbligo di detenzione indefinita delle indagini difensive mantenendo riservatezza sulle stesse (in particolare ove non siano state utilizzate processualmente ex articolo 327 bis, I co. Cpp) con conseguente dovere di congrua conservazione;
  3. Prevedere (come disposto dal D.Lgs 196/2003) che il difensore cerchi di assicurare la pertinenza dei dati all’indagine e la proporzionalità dei dati assunti rispetto allo scopo da perseguire (ad esempio evitando domande non utili alla difesa), ma soltanto “nei limiti del possibile”: se è infatti vero che il legale dovrà porre domande pertinenti alla difesa (concetto peraltro molto variabile e dunque non disciplinabile analiticamente) non può escludersi che le risposte del “testimone” possano contenere dati personali superflui o non pertinenti. Ciò va però coordinato con l’obbligo di una verbalizzazione integrale a pena di sanzioni penali recentemente affermato dalle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione, ed anzi con la possibilità (ed opportunità) di registrare su supporto audio le dichiarazioni della persona assunta a indagine difensiva: circostanza che non consente al difensore di selezionare le risposte ottenute;
  4. Un problema particolare sembra porsi in materia di revoca del mandato o di conclusione del procedimento penale. Secondo le norme deontologiche forensi il difensore, a richiesta del cliente, è tenuto a consegnare a costui l’incartamento processuale nel quale potrebbero essere contenuti atti di investigazione difensiva anche non utilizzati processualmente (ai sensi dell’articolo 327 bis, I co. Cpp). Sembra opportuno prevedersi –in caso di revoca o dismissione del mandato difensivo- un dovere di consegna solo al nuovo difensore e, in caso di chiusura del procedimento, un obbligo di continuare a mantenere presso di sé i verbali non divulgati, salvo metterli nuovamente a disposizione dell’assistito o del suo nuovo legale in caso di necessità processuale sopravvenuta.

Indicazioni sui temi suggeriti nella nota 15 dicembre 2006 del Garante

Tanto premesso, è ora possibile rispondere ai quesiti formulati circa le indicazioni richieste nell’allegato, secondo l’ordine degli argomenti richiamati nella tabella trasmessa via telefax:
a) Principii e profili che si ritiene opportuno richiamare nel “preambolo”:
– Richiamare il rispetto delle norme deontologiche forensi e di quelle previste nelle “Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive”, approvato il 14 luglio 2001 dal Consiglio delle Camere Penali Italiane;
– Chiarire che nel “rapporto tra il diritto di difesa, diritto alla prova” e –si aggiunge- diritto di libertà della persona sottoposta a procedimento penale e i diritti degli interessati al trattamento dei dati nell’ambito del procedimento penale e delle investigazioni difensive prevalgono i primi, di rango superiore in quanto dichiarati dalla Costituzione inviolabili;
– Non sembra possibile prevedere la inutilizzabilità ex articolo 11 D.Lgs 196/03 dei dati trattati illecitamente, poiché la stessa non è prevista in sede processuale: esiste in definitiva un contrasto tra l’articolo 11 e le norme processuali penali. Potrà soltanto ribadirsi che le violazioni nel trattamento dei dati rappresentano illecito disciplinare
a) Eventuale utilità dell’inserzione di un decalogo di sintesi dei principali adempimenti previsti dalla legge e quelli per cui vi è un esonero
Tale decalogo può essere utile. Lo stesso potrà formularsi richiamando (come si è più sopra fatto) gli obblighi della legge, ma soprattutto ribadendo il principio che, in sede penale, il diritto alla libertà, all’accertamento dei fatti e alla difesa prevale su quello alla riservatezza, purché lo stesso sia esercitato nelle forme previste dalla legge (così, esemplificativamente, la comunicazione del contenuto di un verbale di indagine difensiva nel corso di una udienza deve ritenersi consentita, mentre non lo sarebbe rendere noto alla stampa il medesimo contenuto laddove investa dati personali di terzi)
b) Possibili specificazioni che potrebbero essere apportate dal codice di deontologia e di buona condotta
– Riguardo alla conservazione dovrebbe essere introdotta la specificazione che si è sopra accennata (possibilità e necessità di conservare i dati anche per un tempo indefinito, salva la loro riservatezza);
– Riguardo agli altri esempi indicati nella tabella (condotte da tenere in caso di esercizio dei diritti, articolo 7 D.Lgs 196/03) si ritiene che le stesse –con le relative rilevanti eccezioni nella presente materia- siano già disciplinate dalla legge. Si fa richiamo, comunque, a quanto argomentato in precedenza;
– Riguardo alla “pertinenza e non eccedenza dei dati” l’osservanza della stessa andrebbe richiamata soltanto “nei limiti del possibile” considerate le finalità delle indagini difensive, che non possono essere sacrificate;
c) Precisazioni su “zone d’ombra” specialmente con riguardo all’attività interna a studi professionali
– Sarebbe opportuno precisare che gli obblighi previsti competono a tutti i collaboratori dello studio legale, compresi gli impiegati, e che il titolare del trattamento deve farli osservare;
– Sarebbe opportuno precisare che la conservazione dei documenti contenenti investigazioni difensive deve essere tale da assicurare riservatezza, con maggior rigore per quelle indagini non utilizzate processualmente (ai sensi dell’articolo 327 bis I co. Cpp, che richiama la finalità dell’indagine come diretta a ricercare elementi favorevoli al proprio assistito)
d) Possibili ulteriori semplificazioni, anche operative apportabili nei limiti di quanto previsto dalla legge
– In caso di colloqui investigativi (articolo 391 bis, I co. Cpp) non verbalizzati, oltre agli avvisi di legge dovranno sintetizzarsi anche quelli in materia di riservatezza. Non sembra che siano utili altre indicazioni rispetto ai punti 5, 6, 7 e 8 della tabella