Contro i clienti ai quali non passa mai per la mente di…… retribuire l’avvocato per la propria attività” ovvero il rispetto dei ruoli.
di Bartolomeo Morgese

Considerato che a me piace iniziare sempre con una premessa, anche per evitare che si possa travisare un concetto, dico subito che non voglio certo fare il desperate legal (l’avvocato disperato) che parla sempre e continuamente delle cose negative della nostra professione, tantomeno vuole denunciare fatti e situazioni: si tratta solo di fotografare momenti che accadono nel quotidiano e che dovrebbero far riflettere su come e perché è cambiata la nostra professione (perché è cambiata!?). Si è vero, non sono avvocato da molto tempo, ma basta ascoltare le storie dei nostri dominus ed anche di altri, per accorgerci di questo. Accidenti che premessa!!!

Tempo addietro avevo scritto di un decalogo riportato su una rivista dell’Ordine degli Avvocati di Bologna a firma dell’avv. DelVecchio, e una delle cose per le quali l’avvocato doveva lottare tutta la vita è il convincere il cliente che, appunto, non può avere sempre ragione (peraltro secondo un vecchio proverbio cinese, la presunzione di avere sempre ragione……è dei fessi). Mi posi una domanda: dal 1992 ad ora è cambiato qualcosa? Mi pongo oggi un’altra domanda: l’avv. Del Vecchio ha per caso  dimenticato (volutamente o no) un altro piccolo particolare? Ritengo di si.
L’art. 11, aggiornato ai giorni d’oggi potrebbe anche essere “Contro i clienti per ….. retribuito il giusto per la propria attività professionale esplicata nell’interesse dei primi”: essere pagato, insomma. Anzi l’avvocato deve lottare per questo. E non è una cosa da poco.
E qui si inserisce il descrivere un fatto realmente accaduto ad un nostro Collega tempo addietro, nel periodo delle lire, appena divenuto avvocato.
Location: studio legale del proprio dominus; orario: quello tipico di ricevimento clienti ovvero il pomeriggio barese. Suona il campanello e si apre. Si presenta una cliente, signora alquanto anziana, ma molto molto vispa, pure troppo, che espone il suo problema all’avvocato il quale, notata l’apparente facilità, delega al collega giovane. Sicché quest’ultimo parla con la cliente, rinvia ad altro giorno (anche per mettersi a studiare) e, comunque come è d’uopo, parte con la tipica e qualche volta efficace “lettera” che, attenzione, dà i suoi frutti. Infatti poco dopo, chiamata la cliente il futuro meschino e tapino (perché non sa ancora cosa gli aspetta) avvocato, tranquillizza la “vispa” e dichiara tutto soddisfatto, “tutto bene, il sig…….ha chiamato è ha detto che……” (per la privacy). Momento topico : “bene, giovanotto” attenzione, perché già da queste parole il collega avrebbe dovuto capire cosa gli attendeva, “quanto ti devo dare?” in quel preciso momento succede di tutto di più nella mente del giovane e pensa “se chiedo troppo non ci viene più, ma se chiedo poco è svilente per il lavoro che ho fatto e per me che mi sono laureato, ho fatto pratica…..ecc….” insomma gli passa tutta la vita davanti ed allora esordisce con un “faccia Lei”. È finita.!!! La cliente da 20.000 £ (dico € 10) e lui “grazie” e lei “e il resto?” Resto?! Quale resto, perché resto, quando si è parlato di…resto? E sempre per il principio “se no non viene più” il giovane da £ 5000 (praticamente € 2,50) di resto e così finisce questa storia, ma ne inizia un'altra molto peggiore. La vita professionale.
Perché è da queste cose che si dovrebbe imparare a capire il cliente e a stare attenti.
Dirò di più. Con la difesa d’ufficio e con il gratuito patrocinio, le cose sono peggiorate in un modo, ma in un modo che dire fuori del comune è riduttivo. Premesso che la difesa d’ufficio meriterebbe un articolo a parte stante i suoi numerosi profili (alcuni nascosti), per quanto riguarda la retribuzione giusta dell’avvocato, si passa da frasi del tipo “ma chi ti ha mai nominato?”, o per il più acculturati “ti ha messo la Procura, fatti pagare dalla Procura”, a momenti di sconforto allorquando annunci il tuo incarico (cosa che è indicato nell’atto notificato anche alla parte che, quindi, sa), non si fa sentire nessuno e dico nessuno,  poi ti presenti all’udienza e trovi……cliente e collega (si fa per dire). E la domanda è sempre quella: chi ti paga?
Con il gratuito patrocinio è un po’ diverso; nel senso che il cliente viene e dice “Buonasera” (quando va bene,)  direttamente “Avvocà (e basta)” e prosegue “io devo fare il gratuito patrocinio afforza; se puoi bene, se no vado da un altro”. Niente atto notificato, niente questione da risolvere: niente, solo questo. Quantomeno hai perso solo 5 minuti del tuo prezioso ( è una battuta) tempo.
Spesso mi sono chiesto: perché non prevedere la retribuzione a tempo? Cioè perché gli psicologi vengono pagati a ora o mezz’ora e l’avvocato a….babbo morto? Insomma, sarà la contingente crisi (e che vol dì), saranno altre circostanze, sarà, come disse una mia cliente uscendo che “simm assè” (siamo assai) e quindi c’è una concorrenza spietata e alcune volte disonesta, so soltanto che la nostra professione non è più quella di una volta. Quando rimani a sentire come erano rispettati gli avvocati di un tempo, e il rispetto lo si vedeva anche dal “colore dei soldi” che venivano portati con un elastico e in anticipo, capisci che anche in quel modo di fare c’era la fiducia e il rispetto totale riposta nel professionista. Mi chiedo chi non contravviene più al suo ruolo: il cliente o l’avvocato?

Bartolomeo Morgese.