Inaugurazione dell’Anno Giudiziario, 26 gennaio 2008
Corte d’Appello di Bari
Intervento dell’Avv. Antonio Giorgino
Vice Presidente dell’Organismo Unitario
dell’Avvocatura Italiana


Signor Presidente, Autorità, Sigg.ri Magistrati, cari Colleghi.


Nei limiti temporali di un intervento, fedele all’esigenza di sintesi, è per me motivo di grande orgoglio, nella mia qualità di rappresentante dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana, poter svolgere alcune riflessioni e considerazioni nel tentativo di dare un modesto contributo di idee e di proposte, partendo da una premessa epistemologica: cioè la relazionalità tra Giustizia e Società; da una ferma convinzione diffusa e generalizzata che i mali della società si riflettono sull’amministrazione della giustizia e che le disfunzioni della giustizia, specie quando quest’ultima non è percepita come valore, accelerano le prospettive di desocializzazione in una realtà intrisa di contraddizioni e visibile fonte di frastuoni specie in quest’ultimi giorni ed aimè in queste ultime ore.
La giustizia, secondo il filosofo americano John Rawls, nella sua accezione più ampia, è la prima virtù delle istituzioni sociali così come la verità lo è dei sistemi di pensiero.
Rivendico di appartenere a quella categoria di avvocati che operano giorno dopo giorno, in maniera propositiva e non protestataria e disfattista, avendo peraltro in prima persona contribuito alla elaborazione del nuovo codice di autoregolamentazione dell’astensione degli avvocati dalle udienze, approvato dall’Autorità garante, limitandone le ipotesi a situazioni veramente eccezionali per il rispetto che si deve alla società ed ai cittadini che ne fanno parte; così come nel ruolo, a nome del quale vi parlo, ogni sforzo viene da me compiuto per ritrovare nell’ambito della classe forense, frammentata nella sua rappresentanza molto spesso per egoismi personali o per autoreferenzialità, quella unità che è l’unica grande forza dell’Avvocatura.
E’ giunto il momento in cui politica, magistratura, avvocatura nella sua interezza, personale giudiziario, tutti insieme, nella più ampia dialettica delle operazioni (che è poi il sale e la ricchezza della democrazia) si battano per una reale inversione di rotta. Un cambiamento rilevante sotto il profilo culturale ed empirico, con programmi, scelte, risultati concreti, capaci di incidere veramente e di consegnare all’opinione pubblica del nostro paese un forte segnale di discontinuità rispetto al passato, un segnale rilevante sotto il profilo diacronico.
E’ l’unica strada che possiamo e dobbiamo percorrere se non vogliamo cedere alla tentazione della resa.
Gli operatori della giustizia percepiscono solo l’assenza di un governo del settore da parte della politica, tra il velleitarismo delle parole e il nulla dell’azione concreta, tenuti insieme dall’alibi di manovre finanziarie sempre austere, e addirittura avare di risorse, nel nostro settore più che in altri.
L’avvocatura italiana, in particolare, ormai da tempo ha messo in evidenza l’assenza di un progetto organico di riassetto del settore giustizia, nell’ambito de quale si sono invece via via succeduti interventi parziali, spesso dettati da logiche emergenziali, una produzione legislativa frenetica e al tempo stesso inconcludente che, anziché risolvere i problemi ha contribuito al loro progressivo aggravamento, determinando in aggiunta un sensibile squilibrio del sistema, che non appare più armonico e rigidamente ancorato ai principi sanciti dalla Carta Costituzionale.
Questa, ancorché amara, è sicuramente la verità, praticamente da sempre e sempre di più, e abbiamo avuto modo di dichiararlo in mille occasioni, ma non è però il messaggio che l’avvocatura, e l’OUA in particolare, vuole esprimere oggi.
Questo nuovo spirito, sotto la spinta propulsiva e propositiva degli Avvocati italiani, per effetto della loro caparbietà e decisione nel non volersi arrendere al “nulla” e sprofondare definitivamente nell’inefficienza e nella rassegnazione, è emerso nel corso dei lavori della II Conferenza Nazionale della Giustizia che si è tenuta in ottobre a Roma, organizzata dall’OUA..
Conferenza che ha preso le mosse dalla constatazione della drammatica situazione dell’amministrazione della Giustizia nel Paese e nella chiara consapevolezza, che pervade l’avvocatura, che la lentezza dei processi, l’ineffettività della pena, in breve una situazione di illegalità diffusa, di mancanza di tutele, non nuoce soltanto al livello di democrazia e di civiltà della nostra società moderna, ma rappresenta un potentissimo freno alla crescita dell’economia ed allo sviluppo dei rapporti interni e internazionali.
Un evento che ci ha permesso di vedere affermarsi una serie di linee di tendenza, comuni tra molti rappresentanti di tutte le categorie di operatori del diritto, dalle quali è potuta nascere una speranza: quella che non bisogna accettare passivamente di avere il peggiore sistema di giustizia dell’Europa civile fino a quando il settore non avrà i soldi pubblici per raddoppiare giudici e strutture.
L’Avvocato non è e non si sente un lavoratore “socialmente inutile”, anche se spesso – e anche da parte di alcuni settori della politica – parrebbe proprio questa l’immagine che si vorrebbe accreditare all’esterno. L’Avvocato tutela diritti, è a fianco dei cittadini, difende con impegno e dedizione soprattutto i più deboli, contribuisce alla crescita della legalità e all’affermazione dello Stato di diritto in ogni Paese civile. Non può abdicare mai a questa essenziale funzione.
L’impegno profuso negli anni ci dà il diritto ma anche il dovere, di chiedere ai cittadini ed al Paese di riconoscere il nostro ruolo e la nostra funzione, di attribuire il giusto valore alle battaglie che combattiamo in nome di principi dettati nel loro interesse. Non puntiamo all’affermazione di un inesistente partito degli avvocati, non inseguiamo miraggi di visibilità o riconoscimenti fini a se stessi: più semplicemente vogliamo sottolineare che, a volte, l’unica vera ragione delle cose che si fanno è il bisogno di poter tenere alto lo sguardo e di fissare coloro che a noi quotidianamente si rivolgono, riponendo in noi fiducia, affidandoci diritti violati e speranze di giustizia e di ristoro, con la serenità e la consapevolezza di aver operato al meglio delle nostre possibilità per contribuire a restituire all’amministrazione della giustizia quella credibilità e quella autorevolezza che ormai da troppo tempo l’hanno abbandonata.
E allora vogliamo esporre qui, in questa sede solenne, che resta l’unica occasione di contatto, tra gli operatori del mondo giustizia, le autorità civili e militari, e gli esponenti della società civile, una succinta elencazione delle idee lanciate dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura italiana sulle quali ci si è ritrovati, in uno slancio che fa sperare possibile una nuova e diversa consapevolezza e unità tra tutti i soggetti della giurisdizione, tenendo sempre presente che ogni sforzo, singolo e collettivo, è indirizzato alla migliore possibile resa di giustizia a tutti quei cittadini che ad essa si affidano.
L’avvocatura italiana, infatti, ha da tempo maturato la convinzione che occorre gettare uno sguardo disincantato e attento agli esseri che vivono nel mondo reale, che soffrono per quotidiane situazioni di grave ingiustizia, paradossalmente determinate proprio da quell’apparato istituzionale che, invece, dovrebbe approntare validi strumenti operativi di soluzione e non già elargire risposte tardive e fallaci, quantomeno per la inefficacia determinata dai lunghi tempi di attesa.
In primo luogo si è affermata la necessità di ricercare con ogni mezzo la massima trasparenza, la massima qualità e la massima produttività possibili degli Uffici Giudiziari.
Si è così fatta strada la consapevolezza dell’adozione di bilanci sociali degli Uffici Giudiziari, unita ad un serio sistema di rilevazione dei dati che ancora oggi non si rivela adeguato alle esigenze e che consenta non soltanto di valutare spietatamente l’esistente, ma anche di preventivare il reale impatto delle future riforme e, successivamente, a loro reale efficacia.
In generale è stata condivisa la necessità di ripensare globalmente all’intera struttura giudiziaria, dando il via ad una ricognizione che porti a fissare i punti fondamentali attorno ai quali deve ruotare un moderno sistema giustizia, capace di rispondere efficacemente ad una domanda in costate crescita, in una società complessa, che moltiplica i diritti giustiziabili e deve confrontarsi con un numero sempre maggiore di sistemi giuridici, alcuni dei quali assai difformi.


I – Sotto il profilo della giurisdizione, ferma la natura sua pubblica, il rispetto delle regole del giusto processo e la centralità della difesa, si è affermato tuttavia che il sistema deve essere rafforzato al punto da dare piena risposta alla tutela dei diritti. Perché la giurisdizione non è un fine, ma uno degli strumenti della prospettiva di un paese e la sentenza, e in genere il giudizio, sono solo uno dei canali di soluzione dei conflitti, uno degli indici di qualità di un sistema giustizia è proprio il basso numero delle sentenze in rapporto ai conflitti risolti, quando la certezza del diritto e la rapidità del diritto del sistema processuale, nonché l’effettività delle decisioni inducono dissuasivamente i cittadini a non affrontare gli oneri del processo in concreto e a dare spontanea o contrattuale attuazione ai diritti in gioco.
Ed allora, come gli avvocati italiani hanno da tempo indicato, occorre un ripensamento a tutto tondo della giurisdizione, una ricognizione dei diritti che consenta di attuare distinzioni motivate e serie tra le situazioni che si reputano necessitare di soluzioni all’interno del circuito giurisdizionale classico, e quelle che, invece, ben possono venire affidate a circuiti diversi, da ristrutturare fortemente o addirittura da inventare, nei quali poter attingere dall’esperienza e dal contributo dell’avvocatura e da fondi di provenienza non necessariamente pubblica. Occorre riflettere con maggiore ampiezza di respiro, anche prospettico, sui sistemi alternativi di definizione delle controversie, che dovrebbero risultare alternativi (e quindi oggetto di scelta) rispetto ad un giurisdizione funzionante, e non già inevitabile e pressocchè forzato percorso –per coloro che possono permetterselo in termini sia culturali che economici- per ottenere una giustizia rapida, a qualunque costo. Occorre verificare la praticabilità e l’efficacia, in luogo di conciliazioni extraprocessuali preliminari al giudizio, che hanno mostrato e mostrano la loro sostanziale ritualità ed inutilità, di conciliazioni endoprocessuali, da collocarsi quando il thema decidendum ed il thema probandum siano già stati precisati, ed il loro possibile affidamento a soggetti qualificati diversi dal Giudice (così evitando l’anticipazione di giudizio), con margini di efficacia assai maggiori.


II – Sotto il profilo delle risorse si è affermata la necessità di introdurre accesi caratteri di managerialità nella gestione degli uffici, e di abbandonare per l’assegnazione degli incarichi direttivi i vecchi criteri di anzianità non demeritata, e anche l’idea che il miglior giudicante sia anche il miglior capo dell’ufficio. Si è affermata – e si badi bene sono idee che hanno trovato d’accordo magistrati, dirigenti amministrativi, giudici onorari e avvocati – la necessità di individuare nuove tecniche di gestione organizzata della giurisdizione, con metodi mutuati dal mondo dell’impresa e adattati alla istituzione pubblica, mediante la definizione di progetti di trasformazione e di implementazione, e la loro presentazione, anche in sede comunitaria, per il loro finanziamento e quindi anche per la soluzione del problema risorse come è già successo. E’ però indispensabile che la politica si faccia seriamente carico del problema che purtroppo rappresenta una delle note maggiormente dolenti del pianeta giustizia: in ogni governo si riscontrano in parallelo, da una lato drastiche riduzioni di fondi destinati al settore e, dall’altro, interventi progressivi di ulteriore appesantimento dei costi di accesso alla domanda di giustizia a mezzo degli aumenti del contributo unificato, riproposto ad ogni piè sospinto per finanziare qualunque progetto, ultimo in ordine di tempo quello denominato “ufficio per il processo”.
Si è inoltre chiesto di proclamare due concetti affatto nuovi nel nostro mondo: motivazione e responsabilità, come strumenti per misurare i meriti e premiarli oppure censurare l’inefficienza e sanzionarla.
Un ulteriore corollario è che non tutti, e tantomeno solo il giudice, possono fare tutto, ma vanno selezionati i ruoli e soprattutto i compiti, perché a ciascun soggetto venga attribuito il suo titolo proprio e non, come ad un supplente o ad un sostituto, un compito che sulla carta resta di altri.
E’ questo il senso della necessità della revisione della figura della magistratura onoraria, alla quale vanno ridefiniti criteri di reclutamento, competenza di natura esclusiva, metodi di formazione e qualificazione, dignità di ruolo e adeguatezza del compenso. La Magistratura onoraria è oggi debordante rispetto al dettato costituzionale e deve venire ricondotta in un corretto alveo, trovare riconoscimento all’interno di una giurisdizione esclusiva, con pieno decoro e ruolo non subalterno, con forme di reclutamento rigorose e di qualità, precise incompatibilità, controlli effettivi di produttività e di qualità, e in sostanza garanzie di professionalità, autonomia ed indipendenza.


III – Sul fronte dei riti, preso atto che la tendenza alla proliferazione dei riti processuali, non ha risposto nei fatti a reali esigenze di semplificazione e di accelerazione dei processi, si sono chiesti da parte di tutti la riduzione dei riti, l’unificazione delle regole, la drastica riduzione delle decisioni in mero rito, la valorizzazione di forme conciliative endoprocessuali, ma non affidate al giudice. Su tutto, si è immaginato di introdurre, in luogo del mito di una oralità irrealizzata e irrealizzabile, se non in alcuni procedimenti speciali, un forte impulso tecnologico con un processo informatizzato finalmente definito tecnicamente e applicato diffusamente, in un quadro di geografia delle circoscrizioni sostenute da numeri esatti e veri, e non frutto di poetica bucolica ed affettiva, e dalla attenta ponderazione di indici e fattori non soltanto aridamente numerici. La revisione delle circoscrizioni deve tenere conto, della necessità di assicurare una giustizia di prossimità, un presidio di legalità sul territorio tenendo conto della struttura socio-ambientale delle singole zone.
Si è preso atto che la giustizia civile, oggetto di ripetuti interventi di chirurgia e microchirurgia processuale che si sono sostituiti al più generale disegno di riforma c.d. Vaccarella, versa in una condizione orma insostenibile, con la tendenza ad un sempre più massiccio impiego della magistratura onoraria –risorsa per contro costituzionalmente di carattere eccezionale e limitato- ed all’affermazione di derive di stampo meramente efficientista, gravemente penalizzanti per il sistema delle garanzie.
Peraltro non a migliore sorte è apparso condotto il processo telematico finora faticosamente avviato solo in alcune sedi sperimentali, nel quale l’avvocatura ripone le massime speranze per una effettiva inversione di tendenza. E qui ritorna prepotente la necessità di unificazione dei riti (oggi irrazionalmente proliferati oltre i 26) il cui numero e le cui differenziazioni male certamente si prestano ad essere gestiti coi ritmi concisi e cadenzati del web
.


IV – Sul fronte delle figure professionali tutti i soggetti della giurisdizione hanno rivendicato qualità, e quindi formazione, il più possibile con ampi tratti di percorso comune, iniziale e permanente, così come la definizione di compiti precisi ed esclusivi, ancora managerialità, motivazione e responsabilità, in un quadro di trasparenza dei dati numerici finanziari e di produzione, per poter effettivamente misurare i risultati, premiare i meriti e sanzionare i demeriti.
Accanto a quanto sopra, non va certo obliata la “tela di Penelope” rappresentata dalla riforma elle professioni, e della professione forense in particolare: ormai da troppi anni l’Avvocatura ha richiesto un intervento di riassetto ordinamentale che potesse favorire il raggiungimento di migliori livelli di competitività nel mantenimento e salvaguardia dei principi cardine della professione, di rango costituzionale. Purtroppo e a tutt’oggi un tale obiettivo è stato totalmente mancato.


§


E’ una nuova filosofia della giustizia per la quale è stata lanciata l’idea di una Costituente, con la partecipazione di tutti i protagonisti, e con la chance che siano gli attori di questa rappresentazione a dare indicazioni concrete e fondate alla politica.
Il mondo della giustizia, novella cenerentola, non deve più subire la disattenzione e gli stenti che le sono abitualmente inflitti.
La povertà di mezzi e di risorse non deve più rappresentare un comodo alibi per non sprigionare le migliori energie e tendere ad emulare le migliori performances.
Nessuno, tra coloro che agiscono ogni giorno puntando al massimo risultato possibile, deve più subire la mortificazione di venire additato, quasi fosse una scheggia impazzita del sistema, le cui evoluzioni attraggono troppo l’attenzione e rendono manifesto l’altrui insufficiente impegno.
Nessuno, tra coloro che disinteressatamente languono nella palude dell’indifferenza, trovando di giorno in giorno nuove motivazioni per non modificare questo “status”, deve più sentirsi al sicuro.
Forze nuove, motivate, spietate nell’analisi e lucide nel perseguire corretti obiettivi di risanamento, si stanno coagulando in ogni settore del pianeta Giustizia.
Chiarezza, trasparenza, responsabilità, debbono rappresentare le direttrici del nuovo percorso che dalla Conferenza di ottobre ha preso le mosse.
Dalle associazioni della magistratura, dei dirigenti, dei giudici onorari sono venuti all’OUA adesioni ed incoraggiamenti .
Il percorso ha già alcune tappe segnate ed è già iniziato con il seminario di Matera sulla riforma del processo civile.
Crediamoci tutti, superiamo le visioni particolari, scrolliamoci di dosso con decisione apatia, indifferenza, rassegnazione: con senso di responsabilità e consapevolezza ciascuno nel proprio ruolo e sistema, riappropriamoci del futuro della giustizia e restituiamole dignità, capacità e qualità.
I cittadini da troppo tempo attendono da noi questo sussulto di orgoglio.
Lo attendono dal sistema e lo attendono, forse ancor di più dall’Avvocatura che, pur non nascondendo il proprio stato di malessere, mantiene alto l’orgoglio di essere voce libera, naturalmente antagonista del potere in favore della difesa del singolo; un’avvocatura che mantiene vivo il desiderio e la volontà di non abbassare la guardia quanto alla tutela degli interessi generali e del diritto di difesa. E nonostante tutto, purtroppo e specie negli ultimi tempi, l’avvocatura si è sentita accusare di voler essere quasi una “casta” visceralmente legata ai propri privilegi. Abbiamo l’orgoglio di rivendicare anche in questa sede, che gli avvocati italiani non rispondono all’immagine che, purtroppo, di loro si è voluta accreditare negli ultimi mesi nel Paese: la libertà, l’autonomia e l’indipendenza dell’avvocato sono valori da preservare, proprio per la migliore e più efficace tutela di quei cittadini che la stessa carta costituzionale affida al ministero del difensore. L’Avvocato è portatore di saperi e di cultura, ed è animato da forte passione civile. Oggi più che mai rivendica il suo diritto di contribuire alla costruzione delle regole della moderna società, riaffermando il proprio ruolo e funzione nella società civile, con l’autorevolezza data dalla professionalità e da un rigorso richiama all’etica. E proprio oggi nel perdurante gravissimo contrasto tra Magistratura e Politica che assume sempre più i contorni di uno scontro tra poteri, tocca proprio all’Avvocatura con il ruolo che le è proprio, e nel solco della più nobile della sua tradizione liberale, offrire il proprio contributo fattivo e concreto affinchè possa venire al più presto ripristinato un rapporto fisiologico e positivo tra la politica e la magistratura, che consenta di superare la crisi, sempre latente, ed oggi vieppiù esplosa peraltro acuita ed intensificata dai recenti noti fatti, col dichiarato obiettivo di tentare di ridurre al minimo le incomprensioni e potenziare invece un dialogo costante e costruttivo, nel rispetto dei ruoli affidati dalla carta costituzionale. Gli avvocati italiani non temono di apparire illusi nell’ostinarsi nell’impegno per la ricerca di soluzioni a problemi ormai cronicizzati, dai quali i più ritengono che non si possa uscire. Si deve puntare alla sostanza, ai contenuti, al recupero della tradizione storica e culturale italiana. Occorre riaffermare i principi di democrazia e di legalità, ricostruire uno spirito civico diffuso, una etica pubblica condivisa, da contrapporre all’attuale decadenza e disillusione.
Su questa analisi realistica e con questo impegno dell’Avvocatura Italiana che in questo momento ho l’onore di rappresentare, la rinascita è alle porte.
Grazie per la vostra attenzione.


Antonio Giorgino