Vorrei poter descrivere cos’è un vuoto, un’assenza, la mancanza.
Quella sensazione indefinita che non occupa ogni istante della vita, ma l’accompagna silente, costante, discreta e che poi è sempre lì, puntuale, accanto, dentro.
Vivi, ti impegni, sorridi; a volte sbuffi, imprechi, demordi e il pensiero è tutto preso dagli affanni quotidiani, da progetti, dubbi, sogni, amarezze e vieni distratto a tal punto che la vita scorre via veloce, quasi a tua insaputa.
Ma poi ti fermi, sì, arriva il momento in cui la mente si libera dalle ragnatele di quel riflesso condizionato che è vivere e si apre, anzi, si chiude in conclave con i tuoi pensieri.
E lì scopri quanto lui ti manca.
Non è proprio un buco, come la fame, o un bisogno, come il sonno.
Assomiglia di più alla malinconia, quella che ti assale e trafigge quando da profondità sconosciute emergono ricordi d’infanzia e di giochi ingenui, didascalie di scene di famiglia e di pomeriggi assolati, lunghi di studio annoiato.
A volte, assomiglia ad un graffio che piaga una guancia, quando da una scatola di latta vengon fuori foto di vecchie polaroid, pose affettate o spontanee, col suo grande sorriso al centro e ogni foto è appunto un graffio e brucia e fa male.
Nei casi più gravi assomiglia ad un’amarezza infinita, perché sai che lui avrebbe trovato le parole giuste per contrastare i momenti di sconforto, la tristezza di giorni lividi e i lacci mortali della depressione.
Le parole giuste.
Solo che non riesci a sentirle, per quanti sforzi disumani tu faccia, non riesci nemmeno a immaginarle.
O magari lui sarebbe stato soltanto lì a sentirti, semplicemente ad ascoltare i tuoi sfoghi, contro il mondo, il destino, gli altri, te stesso.
E ti avrebbe abbracciato magari.
Solo che quell’abbraccio non riesci a sentirlo, per quanti maledetti sforzi tu faccia non c’è proprio nulla attorno a te, solo aria viziata di pensieri foschi e intrisa di autocommiserazione e rimpianto.
Qualcuno una volta ha detto che l’amore si ricava solo nell’assenza, per differenza.
Questa differenza diventa ogni anno sempre grande e continuerò a misurarla, malinconico, triste e crucciato fino a quando avrò ancora un filo di voce e di inchiostro per dire: quanto ci manchi.
d.