Improcedibilità del ricorso per Cassazione e l'omesso deposito della relata di notifica della sentenza impugnata.
Le novità dettate dalla Sentenza della Suprema Corte n. 10648 del 2 maggio 2017
di Ugo Operamolla
Lo scorso 2 maggio le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno pronunciato una significativa sentenza, che rappresenta una tappa importante del percorso di interpretazione "antiformalistica" delle norme nella prospettiva di assicurare la effettività della tutela giurisdizionale alle parti private (Cass. Civ. S.U. 2.5.2017 n.10648).
L'occasione è stata data da un ricorso riguardante per un primo aspetto l'applicazione dell'art. 369 II comma n.r. cod.proc.civ., nella parte in cui sanziona con la improcedibilità l'omesso deposito da parte del ricorrente della "copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta" e per un secondo aspetto la discordanza fra il nome del difensore che aveva agito in giudizio ed il nome del difensore indicato nella procura speciale riportata a margine dell'atto introduttivo (ricorso per decreto ingiuntivo).
Le Sezioni Unite hanno risolto l'esistente contrasto giurisprudenziale tra un'interpretazione più rigidamente letterale delle norme ed un'interpretazione più aderente ad esigenze processuali concrete con una decisione che merita di essere segnalata per le importanti considerazioni di metodo e di direzione interpretativa.
La Seconda Sezione della Corte di Cassazione aveva rimesso gli atti del ricorso al primo presidente per l'esame in sezioni unite di due questioni:
"l'improcedibilità del ricorso relativo a sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia prodotto la relata di notifica, relata tuttavia prodotta dal controricorrente: Su questo tema ha sollecitato rimeditazione dell'orientamento affermato nel 2009; – la validità o meno della procura che indica il nome di un difensore nel mandato a margine di un atto, ma nella epigrafe contiene il nome di un altro difensore, il quale ha autenticato il mandato e firmato l'atto. In proposito ha segnalato un contrasto tra pronunce delle sezioni semplici".
Esaminando la prima questione la Corte a sezioni unite motiva:
"Mette conto riflettere sulla possibilità di ritenere soddisfatta la condizione, costituita dalla produzione della relata di notifica della sentenza impugnata, anche quando il documento risulti depositato dal controricorrente o sia ritualmente presente (cfr., per un caso simile, Cass. 9801/96 id. rep.1997, voce cit., nn. 134,165) nel fascicolo di ufficio trasmesso dal giudice a quo.
A far propendere il collegio verso l'orientamento più liberale, sollecitato dall'ordinanza di rimessione, è l'intrecciarsi di più aspetti, portatori di altrettanti valori interni al sistema: l'ordinato svolgersi del giudizio di legittimità, con la possibilità di avviare sollecitamente le verifiche di rito; il controllo sulla tempestività dell'impugnazione e sul conseguente formarsi del giudicato; il diritto della parte resistente di far constare i vizi del ricorso; la necessaria proporzionalità tra la sanzione irrimediabile dell'improcedibilità (art. 387 c.p.c.) e la violazione processuale commessa; la strumentalità che le forme processuali hanno in funzione dell'attuazione della giurisdizione mediante decisioni di merito; la giustizia della decisione (sez. un. 10531/13id. rep. 2013 voce Procedimento civile, n.173; 26242/14, id., 2015, I, 862; 12310/15, ibid., 3174) quale scopo dell'equo processo.
Il collegio reputa che non sia possibile applicare la sanzione dell'improcedibilità allorquando il documento mancante sia nella disponibilità del giudice per opera della controparte o perché la documentazione sia stata acquisita mediante l'istanza di trasmissione del fascicolo d'ufficio.
In tal caso le ragioni della tempestiva conoscenza, che avevano sorretto la lettura rigorista, cedono alla verifica di ragionevolezza delle regole del procedimento e di proporzionalità della sanzione, che è costituita dal divieto di accesso al giudice".
In sostanza i Giudici di legittimità hanno considerato la regola del processo civile italiano, contenuta nell'art. 369, II comma, cod.proc.civ., nella prospettiva dei diritti fondamentali protetti dalla Costituzione e dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani: il "giusto processo" conclamato dal riformato testo dell'art. 111 Cost. e "l'attuazione della giurisdizione mediante decisioni di merito" affermato dall'art. 6 CEDU con particolare riguardo all'accesso al giudice. In questo quadro ha esaminato il fenomeno processuale della improcedibilità come un atteggiarsi concreto della negazione della decisione del giudice e l'ha considerato una sanzione che deve proporzionarsi alle effettive esigenze del corretto procedimento giudiziario.
Ha infatti concluso che "non avrebbe senso, alla luce delle normative della carte europee, rifiutare l'accesso al giudice dell'impugnazione perché l'atto da valutare è presente nel fascicolo di ufficio – grazie a un'istanza della parte – ma non può essere esaminato per il ritardo nel produrre la copia.
Si tratterrebbe di un inutile formalismo, contrastante con le esigenze di efficienza e semplificazione, le quali impongono di privilegiare interpretazioni coerenti con la finalità di rendere giustizia".
"L'improcedibilità, infatti, a differenza di quanto previsto in altre situazioni procedurali, trova la sua ragione nel presidiare, con efficacia sanzionatoria, un comportamento omissivo che ostacola la sequenza di avvio di un determinato processo. E' stato insegnato anche che essa è compatibile con il diritto di accesso al giudice se configurata nelle fasi di impugnazione, risolvendosi altrimenti in una non ragionevole compressione del diritto di difesa (cfr., per un'applicazione di quest'ultimo principio, sez. un. 1238/05, id, 2005, I, 2401)"3.
Esaminando il secondo aspetto della vicenda processuale la Corte a sezioni unite ha qualificato errore materiale la discordanza fra il nome del difensore nominato nella procura alla lite ed il difensore che effettivamente agisce in giudizio, affermando che tale discordanza, quando rilevabile con evidenza, non vizia l'attività processuale in concreto esplicita.
A giudizio di chi scrive di tratta di una decisione importante, ascrivibile in egual misura al Giudice che l'ha pronunciata ed agli Avvocati che l'hanno convincentemente sostenuta.
Infatti è opportuno ricordare che dietro ogni sentenza di legittimità sta il lavoro attento degli avvocati difensori che hanno proposto il thema decidendum, l'hanno trasfuso in proposizioni giuridiche, l'hanno sostenuto con argomentazioni convincenti ed hanno sollecitato la sensibilità dei giudici a decidere nella decisione delineata.
Questa paziente opera intellettuale dell'avvocato difensore è ancora più decisiva quando è premiata, talvolta dopo anni di sforzi sostanzialmente omogenei di più difensori in successive vicende processuali, dal mutamento di indirizzo interpretativo delle norme vigenti per adeguare la loro applicazione alle mutate esigenze sociali ovvero alla evoluzione delle esigenze sociali, apprezzate o recepite in contesti più ampi dei limitati orizzonti nazionali.
Questa recente decisione si pone del solco di "quell'orientamento antiformalistico che ha portato le sezioni unite a ribadire che il principio affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.189 del 13 giugno 2000 (id. 2000, I, 2764), secondo cui le ipotesi d'inammissibilità dei rimedi giurisdizionali debbano essere limitate ai casi indispensabili, svolge un vero e proprio effetto d'irraggiamento dell'intero sistema, comportando una rigorosa interpretazione conforme a Costituzione, se necessario adeguatrice, della disciplina normativa degli atti processuali e, in particolare, dei requisiti degli atti con cui si introduce il giudizio".
Si tratta quindi di una sentenza che fa giustizia (è il caso di scriverlo) di certi atteggiamenti formalistici, e rigorosamente formalistici, assunti dal Giudice di legittimità nell'applicazione delle norme processuali, tali da pervenire a pronunce di improcedibilità delle impugnazioni, trascurando totalmente gli interessi delle parti sostanziali, le quali risentono nel regolamento dei loro rapporti di diritto privato anche degli involontari errori dei loro difensori e cioè facendo finta di ignorare che la sanzione processuale lede, talvolta irrimediabilmente, situazioni giuridiche certamente meritevoli di tutela giurisdizionale.
Tuttavia gli avvocati non si cullino su questi allori poiché la medesima sentenza lancia un chiaro messaggio ai difensori.
"La mancata produzione, nei termini, della sentenza impugnata o la mancata prova (mediante la relata di notifica) della tempestività del ricorso per cassazione costituiscono negligenze difensive che, per quanto frequenti, in linea di principio non sono giustificabili.
Si tratta di adempimenti agevoli, normativamente prescritti da sempre, di intuitiva utilità per attivare il compito del giudice in modo non trasandato e conseguente con il fine di pervenire sollecitamente alla formazione del giudicato".
Se esultiamo per i risultati ottenuti, non dimentichiamo il dovere di diligenza sancito dal nostro Codice Deontologico.
Ugo OPeramolla
Scarica la sentenza n. 10648/2017 delle SS.UU. della Cassazione