Il processo telematico: in particolare, il problema degli atti introduttivi e dei files in formato non nativo digitale.


                                                                                                                     di Gaetano Labianca


In data 24 dicembre 2012, è stata definitivamente approvata dal Parlamento la legge n. 228/2012 (c.d. Legge di stabilità 2013), pubblicata sulla Gazzetta  Ufficiale  n. 302 (Supplemento  ordinario  n. 212) in data 29 dicembre 2012, con entrata in vigore dal 1° gennaio 2013 (ad eccezione dei commi 98, 99, 100, 426 e 477 che sono entrati in vigore il 29/12/2012).


In particolare, sono state apportate – tramite il comma 19° dell’art. 1 – alcune importanti modifiche al decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 (a sua volta, intitolato “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”, in Gazzetta Ufficiale n. 245 del 19.10.2012, poi convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221): è stato, invero, inserito un nuovo articolo (art. 16 bis), che ha sancito l’obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali, a far data dal 30 giugno 2014, nei procedimenti civili, contenziosi e di volontaria giurisdizione dinanzi al tribunale (per le Corti di Appello, il deposito è stato rinviato al 30.6.2015).


In dettaglio, prevede testualmente la nuova norma che “… salvo quanto previsto dal comma quinto, a decorrere dal 30 giugno 2014, il deposito  degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori  delle  parti precedentemente costituite  ha  luogo  esclusivamente  con  modalità telematiche,  nel  rispetto  della  normativa  anche  regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici…”.


Dunque il legislatore ha previsto la data del 30 giugno 2014 quale spartiacque per l’obbligatorietà del deposito degli atti processuali e dei documenti in modalità telematica per tutti i procedimenti contenziosi ordinari e di volontaria giurisdizione; è stato altresì regolamentato il deposito telematico degli atti processuali per i processi esecutivi, le procedure concorsuali ed il procedimento d’ingiunzione[1]; rispetto al procedimento d’ingiunzione (libro IV, titolo I, capo I, c.p.c.), l’obbligatorietà non permane però per il provvedimento del Giudice, posto che la norma menziona il solo “deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti”.


In altri termini, il legislatore ha lasciato facoltativo il provvedimento con modalità telematica da parte del Giudice, a differenza del procedimento d’ingiunzione, in cui la dematerializzazione è integrale, tenuto conto che comprende non solo il ricorso monitorio, la procura ed i documenti allegati, ma anche i provvedimenti dei giudice[2].


Quindi, per le procedure monitorie, l’eventuale fascicolo cartaceo conterrà solo gli originari unici analogici e/o le copie cartacee di singoli atti e documenti di cui il Giudice abbia ordinato il deposito per ragioni specifiche[3] e/o atti depositati con modalità non telematiche su autorizzazione del Presidente del Tribunale, quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una indifferibile urgenza[4], ovvero le marche relative al pagamento del contributo unificato (ove non si sia proceduto al pagamento per via telematica e fino a quando tale modalità di pagamento non diventerà obbligatoria).


Per questo tipo di procedimenti, pertanto, dovrebbe ritenersi che l’obbligo di un fascicolo cartaceo non esista più, eccezion fatta per le ipotesi anzidette, in cui – come detto – il Difensore non abbia provveduto al pagamento telematico del contributo unificato oppure abbia la necessità, alla stregua di apposito ordine del Giudice, di depositare un documento in forma cartacea, ovvero quando i sistemi informatici non siano funzionanti ed il ricorrente abbia all’uopo ottenuto una specifica autorizzazione (a depositare in forma cartacea) dal Presidente del Tribunale; nella fisiologia del sistema, ed al di fuori delle ipotesi predette, la cancelleria non dovrebbe più avere l’obbligo di formare un fascicolo cartaceo e l’unico fascicolo sarà soltanto quello informatico (c.d. versione informatica del fascicolo d’ufficio, contenente gli atti del processo come documenti informatici, oppure le copie informatiche dei medesimi atti, qualora siano stati depositati su supporto cartaceo ai sensi dell’amministrazione digitale).


A conferma di tale impostazione, la norma di chiusura dell’art. 37, comma due, del DM 44/2011 (Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie della informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’art 4, commi 1 e 2 del decreto legge 29 dicembre 2009 n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n.. 24), ha stabilito appunto che, dalla data di entrata in vigore del regolamento, “cessano di avere efficacia” le disposizioni del D.P.R. 13 febbraio 2001 n. 123 e del decreto del Ministro della Giustizia 17.7.2008.


Il che pone immediatamente, su un piano strettamente giuridico, la questione relativa all’eliminazione del fascicolo cartaceo da parte della cancelleria.


Preliminarmente, non pare superfluo rammentare che, ai sensi dell’art. 36 delle disp. att. c.p.c, il cancelliere deve formare un fascicolo per ogni affare del proprio ufficio (anche quando la formazione di esso non è espressamente prevista dalla legge) ed ogni fascicolo riceve la numerazione del ruolo generale sotto la quale è iscritto l’affare; sulla copertina vengono inoltre indicati l’ufficio, la sezione alla quale appartiene, il giudice incaricato dell’affare ed il giudice stesso, le parti, i rispettivi difensori muniti di procura e l’oggetto; i singoli atti vengono inseriti nel fascicolo in ordine cronologico e muniti di un numero progressivo corrispondente a quello risultante dall’indice.


Orbene, con il primo intervento normativo in materia di processo informatico (D.P.R. n. 123/2001, intitolato “Regolamento recante disciplina sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo, e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti”), per la verità rimasto a lungo inattuato, il legislatore non previde affatto l’eliminazione del fascicolo cartaceo, anzi disponendo espressamente, al comma terzo dell’art. 12, che “la formazione del fascicolo informatico non elimina l’obbligo di formazione del fascicolo d’ufficio su supporto cartaceo[5].


Il che stava a significare la necessità, per la cancelleria, di prevedere, oltre al fascicolo cartaceo, un fascicolo informatico, che, a sua volta, riceveva la stessa numerazione del fascicolo cartaceo ed era formato secondo quanto stabilito dall’articolo 36 delle norme di attuazione del codice di procedura civile, con indice degli atti contenente altresì l’indicazione dei documenti conservati solo nel fascicolo cartaceo e redatto in forma tale da consentire la diretta consultazione  degli atti e dei documenti informatici (cfr. art. 13 D.P.R. 123/2001).


Allo stato, invece, tale disposizione non parrebbe più in vigore; come detto, l’art. 37 co. 2 del D.M. 44/2011 (contenente le nuove regole tecniche per la disciplina del PCT) ha stabilito che, a decorrere dal trentesimo giorno a quello successivo dalla sua pubblicazione, cessano di avere efficacia nel processo civile le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2001 n. 123 e del decreto del Ministro della giustizia 17 luglio 2008.


Ma come può un decreto ministeriale, oltretutto entrato in vigore un anno dopo la data prevista dall’art. 4 d.l. 28.12.2009, n. 193 per la sua approvazione (28 aprile 2010), abrogare – sia pur implicitamente – una fonte normativa di rango superiore?


Non può sottacersi che il regolamento n. 44/2011 è, invero, ministeriale, adottato cioè ai sensi del co. 3 dell’art. 17 della l. 23.8.1988, n. 400[6]; nel contrasto con il decreto n. 123/2001, governativo ed emesso in forza del co. 2 del medesimo art. 17, dovrebbe applicarsi la norma, contenuta nello stesso co. 3 del citato art. 17 della l. n. 400/1988, alla stregua della quale i regolamenti ministeriali “non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo”.[7]


Peraltro, essendo un decreto ministeriale, esso dovrebbe costituire un atto amministrativo formalmente non normativo, avente ambito esclusivamente esecutivo–applicativo, ovvero contenente disposizioni interpretative in senso stretto della legge cui si riferisce (cioè disposizioni meramente complementari rispetto ad esse), ma non valenza di sostanziale abrogazione di norme vigenti; e pertanto, appare singolare la circostanza che, avendo il D.M. 44/2011 la funzione di dettare le regole tecniche operative, così come previsto dall’art. 4 del D.L. 193/2011[8] e, prima ancora dall’art. 3, comma terzo, dello stesso DPR 123/2001, sia arrivato a stabilire che, per effetto della sua entrata in vigore, “cessano di avere efficacia le disposizioni di cui al DPR 123/2001”.


Pare evidente lo stravolgimento del modello di cui all’art. 17, co. 2 della legge 400/1988, nella misura in cui il legislatore ha dimostrato di non sapere affatto in quale ambito la normativa regolamentare si è andata ad inserire, andando a sostituire previgenti disposizioni regolamentari di rango superiore.


Sarebbe altresì il caso di chiedersi se una siffatta disposizione possa ritenersi conforme all’osservanza dei limiti costituzionali, non essendo sufficiente il richiamo al comma terzo dell’art. 17 della legge 400/88, ossia il richiamo, nel preambolo, alla disposizione legislativa abilitante, specialmente per il fatto che si avrebbe lo strano caso di un decreto ministeriale, per di più adottato da un solo Ministro (e non anche dal Ministro dell’Innovazione, come avrebbe dovuto essere), avente la funzione di abrogare una delle sue fonti, ossia un regolamento governativo, avente la funzione di disciplinare le norme regolatrici della materia del processo informatico.


A voler sottilizzare, dunque, occorrerebbe chiedersi se un rinvio contenuto in una norma di legge (art. 4 co. 2 della legge 24/2010) possa consentire ad un regolamento ministeriale (avente per di più la funzione di individuare le sole regole tecniche del processo telematico), di abrogare una fonte di rango superiore (D.P.R.), emanata dal Governo in una materia non coperta da riserva di legge (c.d. regolamento governativo “indipendente”).


Tralasciando tale questione, può affermarsi, più semplicemente, che il Legislatore aveva l’intento di sostituire le vecchie regole tecniche, individuate dal D.P.R. 123/2001, lasciandole in vigore sino all’adozione ed emanazione del D.M. 44/2011, che, a sua volta, in esecuzione del disposto legislativo di cui all’art. 4, co. 1, della legge 24/2010, le ha abrogate e sostituite con le proprie; solo così si spiega ed ha un senso l’ultimo inciso dell’art. 4, co.1 della legge predetta, nella parte in cui dispone che”… . Le vigenti regole tecniche del processo civile telematico continuano ad applicarsi fino all’adozione dei decreti di cui ai commi 1 e 2.”


Ma, pur volendo concedere che l’art. 37 del D.M. 44/2011 non abbia ecceduto il rinvio di cui all’art. 4, resta il vero problema della natura di tali regole tecniche: mero atto regolamentare o vero e proprio atto a contenuto normativo, con valore sostanziale di legge?


In altri termini, si può davvero sostenere che, tramite il rinvio c.d. recettizio di cui all’art. 4 del D.L. 193/2009, tali disposizioni regolamentari abbiano assunto vero e proprio valore normativo?


In generale, dalle decisioni della Corte costituzionale (v. Corte Cost. 61/1963)[9], sembra emergere che il potere di delegificare, ovvero di attribuire forza normativa al regolamento, non possa essere attribuito al singolo Ministro, ma esclusivamente al Governo, nella sua collegialità: la delegificazione a favore dell’esecutivo può essere realizzata esclusivamente mediante regolamento governativo.


E difatti, un atto ministeriale non può essere dotato di valore di legge (sia pure derivato), in quanto formalmente inidoneo ad assumerlo; ed una legge che attribuisce  – come nel concreto – ad un decreto ministeriale il compito di disciplinare un certo oggetto non può mai essere riconosciuta come legge di delegificazione ai sensi dell’art. 76 cost. (che parla di delegazione al Governo e non al singolo Ministro), risultando inidonea ad operare quel trasferimento di valore legislativo che tipicamente si realizza a favore del decreto delegato.[10]


Tale questione non è certamente né oziosa né irrilevante ove sol si considerino le conseguenze dirompenti, su un piano processuale, della violazione delle regole tecniche di cui al D.m 44/2011 (poi modificate ed integrate dal D.M. 209/2012 ed, ancora, dal D.M. 48/2013), posto  che accade frequentemente, nella pratica, che vengano violate le regole tecniche in materia di redazione degli atti processuali (da depositare telematicamente) da parte dei Difensori.


Ad avviso di alcuni interpreti, infatti, la violazione di tali regole tecniche non darebbe luogo a mera irregolarità, ma ad una vera e propria violazione di legge, tale da determinare la nullità insanabile dell’atto processuale informatico o non conforme alle stesse.


Sul punto, giova rammentare che, in base agli artt. 11 e 13 delle citate regole tecniche, l’atto del processo in forma di documento informatico è privo di elementi attivi ed è redatto nei formati  previsti dalle specifiche tecniche di cui all’articolo 34; le informazioni strutturate sono in  formato  XML,  secondo  le  specifiche  tecniche stabilite ai sensi  dell’articolo  34,  pubblicate  sul  portale  dei servizi telematici; i documenti informatici  allegati  all’atto  del  processo, poi, sono privi di elementi attivi ed hanno i formati previsti dalle  specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34.


Ora, quid iuris nel caso di deposito di un atto in formato c.d. non nativo digitale? Si tratta di mera irregolarità ovvero di vera e propria nullità insanabile per effetto della violazione di legge?


All’interrogativo, non corrisponde una uniformità di vedute da parte della giurisprudenza di merito chiamata a pronunciarsi sulla materia.


Secondo alcune prime decisioni (v. Trib. Livorno 25.7.2014), allorquando il deposito telematico avvenga tramite un file che non è un atto nativo digitale, ottenuto cioè mediante la trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti, ma è un file ottenuto mediante la scansione di immagini (avendo, evidentemente, il legale redatto l’atto, stampato lo stesso, fatto sottoscrivere, con sottoscrizione autografa, la procura a margine dalla ricorrente, autenticato la stessa, sempre con sottoscrizione autografa, sottoscritto con firma autografa il medesimo, e poi scannerizzato l’atto e sottoscritto il file digitale così ottenuto con firma digitale), tale modalità di redazione dell’atto digitale non soddisferebbe la normativa vigente (v. art. 12, comma 1, del Provvedimento 16 aprile 2014 del Responsabile per i Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della giustizia, c.d. D.G.S.I.A., pubblicato nella gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana n. 99 del 30.4.2014, contenente le Specifiche tecniche previste dall’articolo 34, comma 1 del decreto del Ministro della giustizia in data 21 febbraio 2011 n. 44, recante regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione, nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’articolo 4, commi 1 e 2 del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010, n. 24).[11]


Alla luce del quadro normativo sopra richiamato, il deposito telematico effettuato senza rispettare le regole di dettaglio, emanate nel provvedimento sopra richiamato del 16.4.2014, a sua volta emesso in attuazione dell’art. 34 del D.M. 44/2011 (il rispetto delle quali è imposto dalle norme primarie di cui all’art. 4 del menzionato decreto legge e dall’art 16 della l. 179/2012), comporterebbe la violazione dell’art 121 c.p.c., alla stregua del quale: “Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo”.


Tale norma, avendo codificato, come principio cardine del sistema processuale, il principio di c.d. “obbligatorietà” delle forme legali (con la conseguenza che  il rispetto della forma imposta influisce sulla capacità dell’atto di produrre gli effetti giuridici) ed avendo, il principio di libertà delle forme, portata residuale (così che, in concreto, troverebbe applicazione solo in casi o per modalità marginali), comporterebbe la conseguenza che un simile atto è vietato dalla legge.


Pur volendo coordinare il principio della libertà delle forme con il principio della conservazione dell’atto processuale (a mente dell’art 156 c.p.c. “non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge e che può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo. La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”) – a parere di questi interpreti (cfr. cit. ordinanza) – occorre dare risposta negativa al quesito se l’atto, così come redatto e depositato, abbia i requisiti formali a indispensabili per raggiungere lo scopo suo proprio.


Ed invero, “…. il rispetto delle regole tecniche (quali ad esempio quella sui formati ammessi dei files degli allegati) ha lo scopo di rendere tali atti immediatamente intelligibili a tutti gli attori del processo (senza imporre la necessità di ricercare programmi di conversione di formati diversi), così come la norma che impone che l’atto del processo sia un .pdf ottenuto mediante la trasformazione di un documento testuale, ha lo scopo di rendere l’atto navigabile ad ogni attore del processo e dunque quello di consentire l’utilizzo degli elementi dell’atto, senza la necessità di ricorrere a programmi di riconoscimento ottico dei caratteri, detti OCR (optical character recognition).


Ma se così è, la redazione dell’atto processuale in formato .pdf, ottenuto mediante scansioni per immagini, non è idoneo a raggiungere lo scopo dell’atto e dunque deve essere dichiarato nullo ai sensi dell’art 156 comma 2° c.p.c.


Nello stesso senso, anche il Tribunale di Roma, con ordinanza del 13.7.2014 (est. Castaldo), secondo cui “i regolamenti, di natura delegata, che pongono le regole tecniche indispensabili per assicurare la funzionalità del processo civile telematico, costituiscono integrazione della normativa a livello primario”.


Ne consegue che, implicando il processo civile telematico l’adesione degli operatori agli standard tecnici stabiliti, a pena della sua stessa praticabilità e ragionevole durata, senza l’unicità dello standard non è neppure concepibile lo svolgimento di un processo in forma telematica (cfr. cit. provvedimento), posto che lo scopo dell’atto processuale è quello di “… inserirsi efficacemente in una sequenza intrinsecamente assoggettata alle regole tecniche che impongono l’adozione di particolari formati in luogo di altri” (v. ord. cit.).


A parere del Tribunale di Roma, dunque, il fatto che il documento informatico non possa essere atto a forma libera (tant’è che l’art. 20 del D.lgs 7 marzo 2005 n. 82, c.d. Codice dell’amministrazione digitale, impone, per la sua formazione, caratteristiche tecniche la cui specificazione viene demandata ad interventi normativi di rango subordinato – con la espressa indicazione dell’adeguamento al processo di standardizzazione tecnologica a livello internazionale e alle normative dell’Unione europea) comporta, quale automatica conseguenza, che un simile atto, non rispondente alle specifiche regole tecniche di cui al D.M 44/2011 ed al Provvedimento 16 aprile 2014 del Responsabile per i Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della giustizia, debba considerarsi privo dei requisiti “genetici” indispensabili per dar valido corso ad un procedimento telematico.


Rimangono tuttavia perplessità su tale orientamento; come si coordina tale principio, per il vero espresso dalla citata giurisprudenza per i decreti ingiuntivi e sempre sulla premessa che le regole tecniche vengano considerate come veri e propri atti a contenuto normativo, dotati di forza di legge in quanto recepiti tramite rinvio recettizio dall’art. 4 D.L. 193/2009, conv. nella legge 24/2010, con i principi cardine dell’ordinamento processuale, in base ai quali le nullità sono tipizzate dalla legge (art. 156, primo comma, c.p.c.), non possono mai essere pronunciate se l’atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato e devono essere rinnovate, quando sia possibile (art. 162 primo comma c.p.c.), ponendo le spese della rinnovazione a carico del responsabile (art. 162, secondo comma c.p.c.)?


Secondo un altro orientamento, (v. ordinanza del Tribunale di Vercelli del 31 luglio 2014, in cui il Tribunale di Vercelli era chiamato a verificare l’ammissibilità di un reclamo depositato telematicamente in un file non nativo digitale), il deposito di un atto attraverso uno strumento non consentito o non previsto integra al più una irregolarità, sanabile per l’evidente raggiungimento dello scopo.


La violazione della regola formale esclude, infatti, che si sia in presenza di una difformità dallo schema tale da far ritenere l’atto inesistente e del tutto improduttivo di effetti giuridici, in specie se, alla fine, pur difforme dallo schema di legge, l’atto abbia raggiunto il suo scopo, ossia sia pervenuto al cancelliere (che ben può compiere tutte le attività necessarie ai fini del controllo della ritualità della documentazione), e sia stato quindi reso visibile alle parti ed al Giudice.


Esso è, al più, valutabile come una mera irregolarità, in quanto non è prevista dalla legge una nullità in correlazione a tale tipo di vizio e l’attestazione da parte del cancelliere del ricevimento degli atti e il loro inserimento nel fascicolo informatico integrano il raggiungimento dello scopo della presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario.


Non appare, in altri termini, ipotizzabile una valutazione di radicale difformità del deposito realizzato attraverso l’invio di un file per scansione di immagini rispetto a quello effettuato mediante pdf senza restrizione per le operazioni di selezione, per cui anche se certamente al di fuori delle previsioni normative, il deposito potrà prendere efficacia solo dalla data del raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c., comma 3), e cioè dell'(eventuale) concreta e documentata ricezione dell’atto da parte del cancelliere ai fini processuali.


Tale conclusione è anche coerente anche con i rilievi svolti da Cass. S.U. n. 4130/1988, che (sia pur in materia di opposizione ad ordinanza- ingiunzione), ha ritenuto inidoneo l’invio a mezzo posta dell’atto, qualora il deposito dello stesso non sia attestato dal cancelliere, che lo rifiuti (nella specie per la mancanza dei versamenti prescritti).


Dunque, per il Tribunale di Vercelli, le regole tecniche non hanno assolutamente valore di norma primaria e l’unica norma che si occupa del deposito telematico degli atti processuali (l’art. 16 bis del D.L. 179/2012) non prevede espressamente la nullità dell’atto processuale. Nello stesso senso, anche Trib. Udine (v. ordinanza 28.7.2014), che – sia pur nell’ambito di una procedura monitoria – ha invitato parte ricorrente, tramite l’art. 640 c.p.c., a regolarizzare il deposito telematico tramite la rinnovazione di un atto rispondente alle regole tecniche.


Tale orientamento appare – ad avviso di chi scrive – largamente condivisibile, e tanto per una serie di ragioni.


In primo luogo, devesi considerare che l’inammissibilità è una categoria sanzionatoria applicabile, almeno con riguardo ai vizi formali, nelle sole ipotesi tassativamente previste dalla legge (tutte peraltro, attinenti ai giudizi di impugnazione,.cfr. gli artt. 331, 334, 342, 348 bis, 358, 360 bis, 365, 366, 398, 408 c.p.c.); peraltro, né la normativa primaria (art. 16 bis D.L. 179/2012), né la disciplina tecnica del p.c.t. (D.M. 44/2011 e provvedimento DGSIA 18.7.2014), prevedono alcuna conseguenza espressa per l’inosservanza di forme telematiche previste per il deposito degli atti.


Si pensi, ad esempio, all’effetto negativo (per la parte) che avrebbe una sanzione di inammissibilità relativa al deposito di un atto endo-processuale (come, ad esempio, la memoria ex art. 183 sesto comma c.p.c.), perché depositata in formato non rispondente alle regole tecniche, pur essendo la stessa idonea a raggiungere il suo scopo in quanto accettata dal cancelliere in forma telematica e resa visibile alla controparte (non essendo ipotizzabile il rifiuto del deposito da parte della cancelleria, giustificandosi tale potere nelle sole ipotesi-limite ricavabili dall’art. 73, comma 2, disp. att. c.p.c., non rientrante nel caso di specie)[12].


La sanzione di inammissibilità avrebbe l’effetto di inibire al Difensore meno diligente (e quindi alla parte) che abbia effettuato un deposito in formato non rispondente alle regole tecniche, la possibilità di ridepositare la memoria, in quanto la possibilità di rinnovazione sarebbe impedita dall’effetto preclusivo della scadenza del termine perentorio; e tanto, pur avendo la cancelleria accettato il deposito e reso visibile alla controparte la memoria.


Occupandosi, appunto, di ammissibilità di un deposito della memoria in formato non nativo digitale, anche il Tribunale di Trani ha preso posizione sul problema, ritenendo che giammai la nullità di un atto processuale può determinare l’effetto preclusivo di determinare la sanzione di inammissibilità laddove esso abbia comunque raggiunto il suo scopo. 


L’errore di formato, per il vero, non sembra inquadrabile neppure nella nullità per mancato raggiungimento dello scopo (art. 156, comma 2, c.p.c.), se è vero che l’atto depositato (come pdf immagine) può giungere (anzi, “deve”) comunque a destinazione (all’indirizzo Pec dell’ufficio giudiziario presso cui è effettuato il deposito), deve essere accettato dalla cancelleria e reso liberamente visibile dal giudice e dalle controparti nel fascicolo informatico.


L’unico inconveniente generato dal suddetto errore di formato è, in definitiva, l’impossibilità che il giudice estragga (con il copia/incolla) parti dell’atto per trasfonderle nel suo provvedimento: ma tale utilità non può certo assurgere al rango di scopo, cui parametrare la validità dell’atto.


Così stando le cose, sarebbe stato preferibile che il legislatore, per evitare ogni tipo di questione, e scongiurare declaratorie di inammissibilità, avesse qualificato l’errore di formato al più come semplice irregolarità, sanabile mediante ordine di rinnovazione (ai fini del deposito dell’atto in formato regolare) entro un termine perentorio, alla stregua di quanto previsto dagli artt. 182 o 421 c.p.c.; in nessun caso, però, pare ipotizzabile una nullità insanabile dell’atto processuale.


Sgombrato il campo da tale problema, e volendo ritornare adesso all’art. 16 bis del D.L. 179/2012 (“… salvo quanto previsto dal comma quinto, a decorrere dal 30 giugno 2014, il deposito  degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori  delle  parti precedentemente costituite  ha  luogo  esclusivamente  con  modalità telematiche,  nel  rispetto  della  normativa  anche  regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici…”), non poche perplessità ha generato l’inciso “precedentemente costituite” utilizzato dal Legislatore; al di là della scadente tecnica di redazione normativa, nel riferirsi alle “parti precedentemente costituite” nei procedimenti di contenzioso ordinario e di volontaria giurisdizione, il Legislatore ha voluto escludere, dal novero degli atti depositabili telematicamente, gli atti introduttivi? E cosa si intende per atti introduttivi?


Sul punto, si contendono il campo tre diversi orientamenti.


Ad una prima lettura, si potrebbe sostenere che il legislatore abbia voluto estendere il PCT a tutti i procedimenti, nel senso che, dopo il 30.6.2014, l’obbligo di depositare telematicamente gli atti processuali coinvolgerebbe tutte le parti, comprese quelle “precedentemente costituite”, e così il deposito telematico sarebbe obbligatorio sin dalla costituzione in giudizio e, quindi, sin dall’atto introduttivo, con obbligo di presentare alla prima udienza al giudice l’originale dell’atto di citazione notificato in forma cartacea e l’originale della relata di notifica che il cancelliere assevererà come conforme all’atto depositato telematicamente.


Ma, ci si chiede, che senso avrebbe avuto introdurre un inciso del genere, laddove sarebbe stato sufficiente stabilire che, dopo il 30 giugno 2014, il deposito telematico sarebbe stato obbligatorio per tutti i tipi di atti, compresi quelli introduttivi?


Molto più verosimilmente, l’intento del Legislatore era proprio quello di escludere dal novero degli atti depositabili telematicamente gli atti introduttivi, facendo leva sul fatto che, dopo il 30 giugno 2014, il deposito telematico degli atti processuali avrebbe riguardato i soli atti endo-processuali delle parti precedentemente (e quindi già) costituite con modalità cartacea, con il che escludendo, dal novero degli atti depositabili telematicamente, gli atti introduttivi.


Tale è stata la tesi seguita, almeno inizialmente, dalla gran parte degli Uffici Giudiziari, che hanno dichiarato l’inammissibilità degli atti introduttivi depositati telematicamente (v. ad esempio, Trib. Foggia 10 aprile 2014, in base al quale “… il decreto del Ministero della Giustizia, che ha autorizzato il deposito di atti telematici con valore legale da parte di soggetti esterni al Tribunale di Foggia a far data dal 15 gennaio 2014, ha espressamente individuato tra di essi i soli atti endoprocessuali – in linea con la precisione dell’art. 16 bis d.l.179/2012 che menziona atti processuali e documenti dei difensori delle parti precedentemente costituite – tra cui, per certo, non rientra l’atto di citazione o il ricorso introduttivo del giudizio”; v. Trib. Torino 20.10.2014: “… rilevato che, ex art.16 bis L. 17.12.12 n.221, a decorrere dal 30.6.14 nei procedimenti civili dinanzi al tribunale il deposito degli atti processuali con modalità telematiche riguarda solo  le parti precedentemente costituite, non essendo contemplato il deposito telematico degli atti introduttivi del giudizio (cautelare o di merito); considerato che il Decreto Dirigenziale del Ministero della Giustizia in  data 30.4.2013 riguardante il tribunale di Torino, emesso ai sensi dell’ art.35 D.M. 21.2.2011 n.44, prevede l’attivazione del processo civile  telematico (trasmissione dei documenti informatici) solo relativamente  agli atti del giudizio che presuppongono la già avvenuta costituzione delle parti, con esclusione degli atti introduttivi del giudizio civile; rilevato, quindi, che alcuna norma dell’ordinamento processuale  consente il deposito in forma telematica dell’atto introduttivo del  giudizio, con la conseguenza che il relativo ricorso dev’essere dichiarato inammissibile posizione che trova già precedente riscontro nella giurisprudenza di merito (Trib. Foggia, 10.4.2014, in Altalex, 2014); considerato, infatti, che non può trovare applicazione il principio di  libertà delle forme stabilito, ex art.121 c.p.c, soltanto in via residuale ove non sia stato previsto (invece) il rispetto di una determinata forma; rilevato che il principio in questione, in ogni caso, riguarda tanto gli elementi formali in senso stretto (quali la forma scritta), quanto gli elementi che riguardano il contenuto necessario dell’atto cosicchè esso  viene in considerazione, ad es., in relazione all’utilizzo della tipologia di atto (introduzione della causa con ricorso anziché con atto di citazione), ma non si riferisce alla struttura materiale o immateriale (cartacea o telematica)  che contiene l’atto stesso; visto che non si puo’ parlare di raggiungimento dello scopo, ex art.156, 3°c., c.p.c., di fronte ad un vizio genetico dell’atto relativo alla sua stessa costituzione materiale che, comportandone l’inammissibilità, non è, appunto, soggetto a sanatoria per raggiungimento dello scopo (Cass.2009 n.15628); nello stesso senso, anche Trib. Padova 1°.9.2014 e Trib. Pavia 22.7.2014).


Secondo questa prima impostazione, l’art. 16 bis del D.L. 179/2012, nel suo primo comma, si occuperebbe solo di sancire l’obbligo dell’invio con modalità  telematiche degli atti endo-procedimentali, e nulla prevedendo sugli atti  introduttivi di attore e convenuto (o di ricorrente e resistente), esclude gli atti introduttivi dal novero di quelli  per i quali è previsto l’obbligo di deposito telematico (ubi lex voluit dixit; ubi noluit tacuit).


La ratio di tale impostazione e dell’inciso “precedentemente costituite” si è allora fatta discendere, comunemente, nell’argomento per cui, non esistendo ancora l’obbligo di notifica telematica, pur prevista dal novellato art. 149 bis c.p.c., a causa della ancora non completa informatizzazione degli uffici Unep, l’atto di citazione, come pure il ricorso introduttivo (nel rito del lavoro o locatizio), nel processo di cognizione ordinaria scontano comunque la necessità – ove il difensore non proceda in proprio alla notifica telematica – di una notifica dell’atto alla parte personalmente, secondo le modalità tradizionali; viceversa, una volta avvenuta la costituzione della parte tramite Difensore, il processo può proseguire in modalità telematica, posto che, nel corso del processo, tutte le comunicazioni e notificazioni si fanno, a mente dell’art. 170 c.p.c., al procuratore costituito.


Sicchè, una volta stabilito – tramite l’art. 16 del D.L. 179/2012 – l’obbligo delle comunicazioni telematiche da parte della cancelleria, il processo può proseguire tranquillamente mediante deposito telematico.


Se tale impostazione pare certamente corretta, occorre però chiedersi se una tale scelta legislativa impedisca comunque al Difensore di depositare, ovviamente in modo facoltativo, anche un atto c.d. introduttivo in modalità telematica. 


E’ stato, invero, osservato che sancire l’obbligo dell’invio telematico di alcuni atti non significare vietare di utilizzare quel  medesimo strumento formale anche per altri atti, posto che “significa solo statuire che alcuni atti, nei procedimenti iniziati dopo il 30/06/2014, devono essere inviati secondo particolari modalità tecniche, che prima non esistevano” (cfr. Trib. Padova 1°.9.2014).


Poiché nel nostro sistema processuale vige il principio della libertà delle forme, laddove non diversamente stabilito, l’obbligo di utilizzare un certo strumento di trasmissione non può equivalere, nel silenzio della legge, a statuire il divieto di utilizzo di quel medesimo strumento per gli atti introduttivi, laddove, invece, per gli atti endo-procedimentali, a far data dal 30.6.2014 (per i soli procedimenti di nuova iscrizione, mentre per quelli già pendenti l’obbligo è operativo dal 31.12.2014), è addirittura obbligatorio.


Se l’invio telematico è dunque obbligatorio per gli atti endo-procedimentali, ciò comporta, anzitutto, che quella tipologia di strumento di invio è reputato idoneo dal legislatore a raggiungere lo scopo perseguito dalla norma, ovvero “consentire alla parte di depositare l’atto processuale nel rispetto del principio del contraddittorio” (v. cit. Trib. Padova 1.9.2014).


Nel silenzio della legge, un primo elemento di valutazione per decidere se l’invio degli atti introduttivi possa avvenire per via telematica, potrebbe allora essere rappresentato dal decreto ex art. 35 D.M. 44/2011[13], in base al quale, tramite apposito atto autorizzativo adottato dalla D.G.S.I.A. (direzione generale sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia), il Direttore, all’esito del positivo esercizio della sperimentazione avviata presso ciascun Ufficio giudiziario, verificata la funzionalità della dotazione hardware e software di ciascun Tribunale, decreta che l’ufficio giudiziario sia autorizzato a ricevere gli atti (e solo quelli indicati nell’apposito atto autorizzativo) con valore legale.


Ora, quale sarebbe la sorte di alcuni atti, rientranti nel novero di quelli introduttivi (ad esempio, per quanto concerne il tribunale di Trani, la comparsa di risposta, la comparsa di intervento, la comparsa contenente richiesta di chiamata in causa di terzo, la comparsa contenente domanda riconvenzionale), per i quali un determinato Ufficio Giudiziario sia stato – anche prima del 30 giugno 2014 – abilitato, con valore legale, dalla D.G.S.I.A.?


Con tutta evidenza, se a tali atti è stato impresso il valore legale dalla DGSIA all’esito della sperimentazione presso ciascun ufficio giudiziario, non pare dubitabile che tali atti “possano” (e quindi tale possibilità include certamente la facoltatività del deposito) essere depositati in forma telematica, posto che il deposito avviene mediante uno strumento di comunicazione avente valore legale, con conseguente declaratoria di ammissibilità, per essere, questo specifico atto processuale, ricompreso nel decreto di cui all’art. 35 cit.


Ma se questo è condiviso dalla gran parte dei Tribunali, quid iuris se un determinato Ufficio non ha ottenuto l’apposito decreto dirigenziale di attivazione di un determinato atto introduttivo e, ciò nonostante, il Difensore decida ugualmente di depositare telematicamente un atto introduttivo? In questa ipotesi, si deve giungere necessariamente ad una conclusione di inammissibilità dell’atto perché privo di valore legale?


Ad avviso di chi scrive, al quesito deve darsi una risposta negativa.


In primo luogo, non può sottacersi che vi sono richiami, anche di carattere normativo, alla possibilità di costituzione in via telematica.


Ad esempio, l’art. 83 co. 3 c.p.c., secondo cui “… la procura alle liti può essere rilasciata anche su documento informatico sottoscritto con firma digitale e congiunto all’atto cui si riferisce mediante strumenti informatici e se la procura alle liti è stata conferita su supporto cartaceo il difensore che si costituisce attraverso strumenti telematici ne trasmette copia informatica autenticata con firma digitale”.


Orbene, se è stata normativamente prevista la possibilità di rilasciare procura su documento informatico al difensore che si costituisce attraverso strumenti telematici, appare consequenziale che la possibilità di costituzione telematica sia ammessa, e tanto a prescindere dal fatto che la D.G.S.I.A. abbia impresso (o meglio abbia abilitato l’Ufficio), a quel determinato atto, il valore legale; non appare condivisibile l’argomentazione[14] che, mancando tale atto nell’autorizzazione citata, l’atto inviato telematicamente non trovi una specifica copertura normativa speciale, dovendo essere considerato alla stregua di un atto cartaceo di costituzione inviato a mezzo posta, essendo la mail certificata, così come la raccomandata, due mezzi di comunicazione.


Ed invero, occorre chiedersi, come ha fatto il Tribunale di Milano (v. ord. 7.10.2014), “se la validità di un atto processuale possa essere fatta dipendere da un provvedimento amministrativo”, come risulta il decreto della D.G.S.I.A., oltretutto avente esclusivamente il potere di “accertare l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione, dei documenti informatici nel singolo ufficio”.


Sul punto, non può sottacersi che nessuna norma, né legislativa, né regolamentare, sanziona di nullità un atto introduttivo depositato telematicamente: non potendo essere pronunciata la nullità (per inosservanza di forme) di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge (c.d. principio di “tassatività” delle nullità), allora deve ritenersi che, ove non vietato, sia possibile il deposito telematico di un atto introduttivo; né può argomentarsi sul fatto che l’atto manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo: il Difensore che si costituisce telematicamente, sottoscrive la comparsa con firma digitale, effettua il deposito utilizzando le regole tecniche e le specifiche previste dalla normativa regolamentare del P.C.T., supera le barriere dei controlli della cancelleria (la quale certifica il deposito della comparsa di risposta e dei documenti allegati e mette a disposizione del Giudice e delle altre parti processuali l’atto depositato telematicamente e i relativi allegati).


Se l’atto supera la barriera della cancelleria ed è messo a disposizione delle parti e del Giudice, pare evidente che esso abbia raggiunto il suo scopo, in specie per il fatto che la normativa di cui all’art. 16 bis del decreto legge 179 del 2012, pur facendo riferimento ai soli atti endo-processuali, non introduce un divieto tassativo di deposito telematico per gli altri atti[15].


E, del resto, oltre al fatto che non è prevista dalla legge una nullità in correlazione a tale tipo di vizio, l’attestazione da parte del cancelliere del ricevimento degli atti (tale è anche il senso della Circolare del Ministero del 27.6.2014, che, tra l’altro, ha espressamente previsto che “…. nei Tribunali già abilitati a ricevere tali atti processuali ex art. 35 D.M. 44/2011 continuerà a costituire facoltà e non obbligo delle parti quello di inviare anche gli atti introduttivi mediante deposito telematico; laddove tale facoltà non sussista e le parti procedano al deposito telematico di un atto introduttivo o di costituzione in giudizio in assenza della relativa abilitazione, la valutazione circa la legittimità di tali depositi, involgendo profili prettamente processuali, sarà di esclusiva competenza del Giudice; di conseguenza non spetta al cancelliere la possibilità di rifiutare il deposito degli atti introduttivi (e/o di costituzione in giudizio inviate dalle parti, anche presso quello sedi che non abbiano avuto l’abilitazione ex art. 35 D.M. 44/2011”), nonché il loro inserimento nel fascicolo processuale, integrano indubitabilmente il raggiungimento dello scopo della presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario.


Come evidenziato, tra l’altro, più volte dalla Suprema Corte (v. Cass. 5160/2009, in una fattispecie concernente il deposito irrituale di un atto processuale destinato alla cancelleria e spedito a mezzo posta; cfr., anche, negli stessi termini, Cass. 21667/2012, 3209/2012, 30240/2011, 23239/2011, 12663/2010), “scopo essenziale del deposito di un atto giudiziario, è la presa di contatto fra la parte e l’ufficio giudiziario dinanzi al quale pende la trattazione della controversia”.


Se il deposito telematico di un atto introduttivo o di costituzione in giudizio ha dunque superato i controlli della cancelleria, non v’è dubbio che sia stato dato corso al procedimento, con conseguente sanatoria della irregolarità, ai sensi dell’art. 156 terzo comma, c.p.c.


In definitiva, deve darsi risposta positiva alla facoltà per il Difensore di depositare telematicamente anche un atto introduttivo o di costituzione in giudizio pur se il singolo Ufficio giudiziario non sia stato abilitato dalla D.G.S.I.A. al valore legale di un atto introduttivo.


Ed invero, se la scelta legislativa di graduare e di modulare diversamente l’obbligatorietà del P.C.T. (e dunque, della totale dematerializzazione del processo), ha la sua ratio nella necessità di consentire ad un sistema complesso di adattarsi alle molteplici conseguenze del PCT, deve convenirsi con coloro che ritengono che tale ratio sia compatibile, anche nella fase introduttiva, con la coesistenza di un doppio regime di accesso al processo con modalità telematiche (facoltativo/obbligatorio), posto che “ammettere la facoltatività di ciò che non è imposto equivale a consentire alle realtà più virtuose di raggiungere l’obiettivo dell’integrale informatizzazione del processo prima del termine stabilito, senza alcuna compromissione dei diritti di difesa e dei principi fondamentali del processo” (v. Trib. Brescia, ord. 7.10.2014).


Come si vede, l’entrata in vigore del PCT ha comportato diverse problematiche relative al concreto ed effettivo esercizio della giurisdizione, ed i due argomenti esaminati (files non conformi alle regole tecniche per il processo telematico e deposito telematico di atti non ricompresi nell’art. 16 bis del decreto legge 179/2012) lasciano trasparire come non solo l’adozione delle Regole tecniche e delle specifiche tecniche abbia inciso in spazi riservati alla legislazione primaria, con il rischio di una possibile disapplicazione della normativa, ma soprattutto come sia ineludibile l’esigenza di un “forte presidio di coordinamento normativo ed organizzativo da parte del Ministero della Giustizia”, oltre che linee guida nell’utilizzo in modo conforme alla legge dell’intero sistema, che non lasci agli uffici la possibilità di ricorrere a diverse soluzioni interpretative)[16], al fine di superare le obiettive incertezze e difficoltà interpretative della normativa vigente.                                                                       


                                                                       Gaetano Labianca, Giudice del Tribunale di Trani


(Diritti riservati. E’ vietata la riproduzione)





[1] “… Nei processi esecutivi di cui al libro III del codice di procedura civile la disposizione di cui al comma 1 si applica successivamente al deposito dell’atto con cui inizia l’esecuzione. Nelle procedure concorsuali la disposizione di cui al comma 1 si applica esclusivamente al deposito degli atti e dei documenti da parte del curatore, del commissario giudiziale, del liquidatore, del commissario liquidatore e del commissario straordinario. A decorrere dal 30 giugno 2014, per il procedimento davanti al tribunale di cui al libro IV, titolo I, capo I del codice di procedura civile, escluso il giudizio di opposizione, il deposito dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Il presidente del tribunale può autorizzare il deposito di cui al periodo precedente con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una indifferibile urgenza. Resta ferma l’applicazione della disposizione di cui al comma 1 al giudizio di opposizione al decreto d’ingiunzione”.


[2] cfr. comma quarto art. 16 bis legge 221/2012 “… a decorrere dal 30 giugno 2014, per il procedimento davanti al Tribunale di cui al libro IV, titolo I, capo I, del codice di procedura civile, escluso il giudizio di opposizione, il deposito dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione, la ricezione dei documenti informatici…”).


[3] cfr. comma nono art. 16 bis: “il giudice può ordinare il deposito di copia cartacea di singoli atti e documenti per ragioni specifiche”


[4] cfr. comma quarto, secondo capoverso, art. 16 bis: Il presidente del tribunale può autorizzare il deposito di cui al periodo precedente con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una indifferibile urgenza. Resta ferma l’applicazione della disposizione di cui al comma 1 al giudizio di opposizione al decreto d’ingiunzione.


[5] Art. 12 D.P.R. n. 123/2001: “La cancelleria procede alla formazione informatica del fascicolo d’ufficio,   contenente   gli   atti   del  processo  come  documenti informatici  ovvero  le  copie  informatiche dei medesimi atti quando siano stati depositati su supporto cartaceo. Nel fascicolo informatico sono inseriti, secondo le modalita’ di cui  al comma 1, anche i documenti probatori offerti in comunicazione o  prodotti  dalle  parti  o  comunque  acquisiti  al processo. Per i documenti   probatori  prodotti  o  comunque  acquisiti  su  supporto cartaceo l’inserimento nel fascicolo informatico delle relative copie informatiche è effettuato dalla cancelleria, sempre che l’operazione non sia eccessivamente onerosa. La formazione del fascicolo informatico non elimina l’obbligo di formazione del fascicolo d’ufficio su supporto cartaceo.”


[6] L’art. 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988 stabilisce invero che i regolamenti ministeriali (o interministeriali) sono adottati con decreto del singolo Ministro (o con decreto interministeriale). Per essi – come per i regolamenti governativi – è richiesto il parere del Consiglio di Stato e la registrazione della Corte dei conti. Prima della loro emanazione devono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri, all’evidente scopo di consentire a quest’ultimo di esercitare i poteri connessi alla funzione di mantenimento dell’unità di indirizzo politico e amministrativo (art. 95 Cost.). Anche tali atti devono recare la denominazione “regolamento” e sono pubblicati nella Gazzetta ufficiale.


[7] Ed infatti, nell’ultima risoluzione sullo stato di attuazione del PCT, del 12.6.2014, il CSM ha preso espressa posizione sul tema della tenuta del fascicolo cartaceo, osservando che: a) che nel regime attuale non è concepibile l’integrale superamento del fascicolo cartaceo atteso che, non solo non è prevista l’obbligatorietà per gli atti introduttivi (fatta eccezione che per il procedimento monitorio), le comparse di costituzione e i provvedimenti del giudice, ma è anche possibile che quest’ultimo ordini il deposito cartaceo di atti e documenti ai sensi dell’art. 16 bis sopra citato; b) che in ragione di quanto appena detto, seppure parte degli interpreti ritenga che la norma dell’art.12 del D.P.R. 13 febbraio 2001 n.123, la quale impone l’obbligo di tenuta del fascicolo cartaceo, sia stata abrogata dall’entrata in vigore delle regole tecniche previste dall’art. 4 del D.L. 29 dicembre 2009 n.193, è certo che allo stato non sussiste alcuno specifico divieto di conservazione del fascicolo d’ufficio in forma cartacea (ed anzi in molti uffici si riproduce sistematicamente nel fascicolo cartaceo l’atto nativo digitale per favorirne la immediata conoscibilità); c) che, pertanto, permane la possibilità di poter esaminare in forma cartacea gli atti ed i documenti pervenuti telematicamente a prescindere dall’utilizzo di strumenti informatici ed anche nell’ipotesi in cui i sistemi a presidio del P.C.T. siano inattivi o inefficienti; d) che, peraltro, fatte salve le diverse interpretazioni della normativa vigente che ritengono obbligatorio il deposito della copia cartacea degli atti, la necessità di garantire (quantomeno ove richiesta) la possibilità di disporre di una copia cartacea completa del fascicolo d’ufficio (ovvero degli atti o dei documenti che il giudice espressamente richieda di poter esaminare su carta) non appare assolutamente collidere con l’efficienza del sistema, atteso che non ne pregiudica il deposito telematico e favorisce il superamento di quelle resistenze legittimamente fondate sul rischio di perdita di qualità nel lavoro dei giudici e di inefficienze dovute al necessario utilizzo delle infrastrutture telematiche; e) che in quest’ottica appare ragionevole pensare non solo alla digitalizzazione di quanto acquisito cartaceamente (come imposto dalle attuali regole tecniche) ma anche alla riproduzione cartacea di ciò che è stato prodotto telematicamente.


[8] Cfr. art. 4 D.L. 193/2009, poi conv., con modificazioni, nella legge 24/2010, intitolato  Misure urgenti per la digitalizzazione della giustizia:Con uno o più decreti del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, sentito il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione e il Garante per la protezione dei dati personali, adottati, ai sensi dell’articolo 17 comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono individuate le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni. Le vigenti regole tecniche del processo civile telematico continuano ad applicarsi fino all’adozione dei decreti di cui ai commi 1 e 2.”


[9] Cfr. motivazione Corte Cost sentenza 61/1963: “ Ciò posto, è da escludere che al decreto emanato dal Ministro, in esplicazione del suo compito, come innanzi si è accennato, possa comunque attribuirsi quella “forza di legge”, cui si riferisce l’art. 134 della Costituzione, quando indica gli atti sottoposti all’esame di questa Corte nei giudizi di legittimità costituzionale. A tale conclusione si perviene per considerazioni che attengono tanto alla forma dell’atto che al suo contenuto. Quanto alla forma, sia che si faccia riferimento all’art. 76 che all’art. 77 della Costituzione – articoli che sono tutti e due richiamati nell’ordinanza di rinvio del Tribunale di Lecce – è da notare che tanto i decreti-legge che i decreti legislativi delegati sono adottati non da un singolo Ministro – sia pure di concerto con altro Ministro – ma dal Governo (articoli citati), previa deliberazione collegiale del Consiglio dei Ministri (art. 95), e quindi dal Governo nella sua concreta accezione di organo unitario; e sono emanati, quali decreti aventi valore di legge, non dal singolo Ministro competente per materia, ma dal Presidente della Repubblica (art. 87). Inoltre i decreti-legge, in particolare, debbono essere convertiti in legge, secondo le forme e i termini stabiliti dall’art. 77. Quanto al suo contenuto, è da escludere che il decreto impugnato abbia in sè quel contenuto innovativo del preesistente ordinamento legislativo che è caratteristico della legge o dell’atto avente, comunque, forza di legge. Il legislatore, infatti, come innanzi si è accennato, prevede esso, nella legge del 1949, la serie di ipotesi, astratte e generali, organicamente collegate, che danno luogo alla concessione del sussidio straordinario di disoccupazione, ponendo così in essere una compiuta ed esauriente disciplina della materia: al Ministro, in sostanza, resta solo affidata la materiale attuazione del precetto legislativo, che si estrinseca nella scelta delle località e delle categorie di lavoratori cui applicare il beneficio previsto dalla legge.”


[10] Cfr. marco Ruotolo, in a proposito di regolamenti ministeriali in delegificazione, su osservatorio delle fonti, pag. 13 e ss.


[11] “L’atto del processo in forma di documento informatico, da depositare telematicamente all’ufficio giudiziario, rispetta i seguenti requisiti: a) è in formato PDF; b) è privo di elementi attivi; c) è ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza re- strizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini; d) è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata esterna secondo la struttura riportata ai commi seguenti; e) è corredato da un file in formato XML, che contiene le informazioni strutturate nonché tutte le informazioni della nota di iscrizione a ruolo, e che rispetta gli XSD riportati nell’Allegato 5; esso è denominato DatiAtto.xml ed è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata.”


[12] tant’è che la stessa Circolare del Ministro della Gistizia del 27.6.2014 ha stabilito che il rifiuto della c.d. busta digitale, contenente l’atto depositato via PEC, da parte della cancelleria, si rivela legittimo nelle sole ipotesi di errore c.d. «FATAL», in cui la busta risulta indecifrabile o carente dell’atto processuale; mentre, ogni diversa questione, avendo natura giuridico-processuale, non può che essere necessariamente riservata al sindacato del giudice.


[13] Ai sensi dell’art. 35 comma 1, del DM n. 44/2011 “l’attivazione della trasmissione dei documenti informatici da parte dei soggetti abilitati esterni, è preceduta da un decreto dirigenziale che accerta l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche unitamente alla funzionalità dei ervizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio”


[14] V., ad esempio, Trib. Padova, (v. ord. 1°.9.2014), secondo cui si deve applicare la disciplina generale sulla costituzione  delle parti e rifarci quindi agli artt. 166 e 167 c.p.c. che disciplinano la costituzione dell’attore e del convenuto nel giudizio ordinario di cognizione senza prevedere alcun riferimento al Processo Civile Telematico. Quei due articoli prevedono che l’atto di citazione e la comparsa di costituzione debbano essere “depositati” in cancelleria. Il fatto che le due norme in questione utilizzino il verbo depositare fa ritenere che qualcuno fisicamente si rechi in cancelleria a consegnare al Cancelliere l’atto sul quale apporre il timbro di depositato. Un tanto è anche l’orientamento conforme della Cassazione da ultimo ribadito anche da Cass. Sez. 3 n. 12391 del 21/05/2013 la quale ha statuito che “La disciplina risultante dall’art. 165 cod. proc. civ. (e dagli artt. 72, 73 e 74 disp. att. cod. proc. civ.), nel richiedere alla parte attrice -a mezzo del proprio procuratore o personalmente nei casi consentiti dalla  legge-il deposito in cancelleria della nota di iscrizione a ruolo e del proprio fascicolo, contenente l’originale della citazione, la procura e i documenti offerti in comunicazione, è finalizzata a consentire alla cancelleria il controllo dell’esistenza dei documenti prodotti ed alla parte convenuta di contestarne, eventualmente, sia la genuinità che l’attinenza rispetto alla questione da trattare. Di conseguenza essa – mirando a soddisfare esigenze sia di correttezza che di certezza in ordine all’instaurazione del rapporto processuale -non si pone in contrasto né con gli artt. 24 e 111 Cost., né con il diritto dell’Unione europea, in particolare quello emergente dalle sentenze della Corte di giustizia in tema di libera circolazione delle persone… “ ”.


[15] V. in questi termini, Trib. Bologna, ordinanza 16.7.2014, sez. lavoro: “…A tal fine deve farsi riferimento, in primo luogo, ai principi generali regolanti il processo civile ed anche a quelli contenuti nel Codice dell’Amministrazione Digitale, dovendosi distinguere tra validità dell’atto processuale e validità del deposito, posto che nessuna disposizione menziona l’espressione “valore legale”, tipicamente utilizzata per indicare la possibilità o meno di depositare telematicamente l’atto. In relazione alla validità dell’atto processuale telematico, secondo il principio generale contenuto nell’art. 121 c.p.c. gli atti del processo, per cui la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo. Ciò comporta che, in forza di questo principio, le forme devono essere rispettate solo e nei limiti in cui sono necessarie per conseguire lo scopo obiettivo cui sono destinate ossia per assolvere alla loro funzione di garanzia e obiettività. L’art. 125 c.p.c. indica la forma-contenuto degli atti di parte e ha la funzione di individuare quale sia il contenuto minimo degli atti scritti di parte nel processo. Tutti gli atti suddetti devono essere sottoscritti dalla parte, se sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore. Pertanto, è indubbio che anche l’atto telematico debba rivestire forma scritta, come prevede espressamente l’art. 21, comma 2, del “Codice dell’Amministrazione Digitale” Dlgs. 7.5.2005 n. 82, come modificato dal Dlgs. 30.12.2010 n. 235 -cui il difensore appone la firma digitalmente- richiamato dall’articolo 20, comma 1bis, del CAD, secondo cui “l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, […] fermo restando quanto disposto dall’articolo 21” medesimo. Ne deriva, secondo il giudicante, la piena validità dell’atto processuale informatico, se redatto in conformità alle norme citate, alle Regole Tecniche contenute nel DM 44/2011 ed alle Specifiche Tecniche del PCT . Resta fermo, in ogni caso, il principio generale di cui all’art.156 c.p.c. per il quale l’atto eventualmente invalido, se ha raggiunto lo scopo cui è destinato, come è pacificamente avvenuto nel caso in esame, non può essere dichiarato nullo, mentre qualora lo scopo non fosse stato raggiunto, sarebbe stata disposta la rinnovazione della notifica, con salvezza dell’atto.Quanto alle modalità di deposito, non si ritiene condivisibile la tesi dell’inammissibilità, posto che la suddetta categoria giuridica è prevista dal nostro ordinamento processuale nei casi tassativamente previsti e solo in due ipotesi (opposizione di terzo, e revocazione) per gli atti introduttivi. Giova ricordare, al riguardo, che l’inammissibilità del deposito telematico non è espressamente contemplata dalle Regole Tecniche le quali, in ogni modo, essendo fonte subordinata alla legge, non possono prevalere sul codice di rito ( cfr. Tribunale di Milano, sez. IX sentenza n. 3115 del 19.2.2014)


[16] V. Risoluzione del C.S.M. del 12.6.2014.