La compatibilità dell’esercizio della professione forense con l’attività di amministratore di condominio. 


La questione nasce dalla presunta incompatibilità tra diverse disposizioni di pari rango. Da un lato, vengono in rilievo le previsioni contenute negli artt. 2, commi 1, 5, 6 e 18, lett. a), della Legge 31 dicembre 2012, n. 247, recante “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense” (entrata in vigore il 2 febbraio 2013) che fissano il quadro istituzionale che caratterizza la professione e così si esprimono:


art. 2, “Disciplina della professione di avvocato”: «1. L’avvocato è un libero professionista che, in libertà, autonomia e indipendenza, svolge le attività di cui ai commi 5 e 6. […] ; 5. Sono attività esclusive dell’avvocato, fatti salvi i casi espressamente previsti dalla legge, l’assistenza, la rappresentanza e la difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali. 6. Fuori dei casi in cui ricorrono competenze espressamente individuate relative a specifici settori del diritto e che sono previste dalla legge per gli esercenti altre professioni regolamentate, l’attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all’attività giurisdizionale, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, è di competenza degli avvocati. È comunque consentita l’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato ovvero la stipulazione di contratti di prestazione di opera continuativa e coordinata, aventi ad oggetto la consulenza e l’assistenza legale stragiudiziale, nell’esclusivo interesse del datore di lavoro o del soggetto in favore del quale l’opera viene prestata. Se il destinatario delle predette attività è costituito in forma di società, tali attività possono essere altresì svolte in favore dell’eventuale società controllante, controllata o collegata, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile. Se il destinatario è un’associazione o un ente esponenziale nelle diverse articolazioni, purché portatore di un interesse di rilievo sociale e riferibile ad un gruppo non occasionale, tali attività possono essere svolte esclusivamente nell’ambito delle rispettive competenze istituzionali e limitatamente all’interesse dei propri associati ed iscritti.»;


– art. 18, “Incompatibilità”: « La professione di avocato è incompatibile: a) con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale, e con l’esercizio dell’attività di notaio. È consentita  l’iscrizione  nell’albo  dei dottori commercialisti e degli  esperti  contabili,  nell’elenco  dei pubblicisti e nel registro dei revisori  contabili  o  nell’albo  dei consulenti del lavoro; b) con l’esercizio di qualsiasi attività di impresa  commerciale svolta in nome proprio o in nome o per conto altrui. È fatta  salva la possibilità di assumere incarichi di gestione e  vigilanza  nelle procedure concorsuali o  in  altre  procedure  relative  a  crisi  di impresa; c) con la qualità di socio  illimitatamente  responsabile  o  di amministratore  di  società  di  persone,  aventi  quale   finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale, in  qualunque  forma costituite,  nonché  con  la  qualità di  amministratore  unico  o consigliere  delegato  di  società di  capitali,  anche  in   forma cooperativa, nonché con la qualità di presidente  di  consiglio  di amministrazione    con    poteri individuali di gestione. L’incompatibilità non sussiste se l’oggetto  della  attività  della società e’  limitato  esclusivamente  all’amministrazione  di  beni, personali o familiari, nonché per gli enti e consorzi pubblici e per le società a capitale interamente pubblico; d) con qualsiasi attività di lavoro  subordinato  anche  se  con orario di lavoro limitato».


Dall’altro lato, assume rilievo la recentissima Legge 14 gennaio 2013, n. 4, recante “Disposizioni in materia di professioni non organizzate”, il cui art. 1, “Oggetto e definizioni”, così si esprime: «1. La presente legge, in attuazione  dell’art.  117,  terzo  comma, della Costituzione e nel rispetto dei principi dell’Unione europea in materia di concorrenza e di libertà di circolazione,  disciplina  le professioni non organizzate in ordini o collegi. 2. Ai fini della presente legge, per «professione non organizzata in ordini o collegi», di seguito denominata «professione», si intende l’attività economica, anche organizzata, volta alla  prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata  abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o  comunque  con  il concorso di questo, con  esclusione  delle  attività  riservate  per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi  dell’art.  2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e  delle  attività  e dei  mestieri  artigianali,  commerciali  e  di  pubblico   esercizio disciplinati da specifiche normative. 3. Chiunque svolga  una  delle professioni di cui al comma 2 contraddistingue la propria attività, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, con l’espresso riferimento, quanto alla disciplina   applicabile, agli estremi della presente legge. L’inadempimento rientra tra le  pratiche  commerciali  scorrette  tra professionisti e consumatori, di cui al titolo III della parte II del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6  settembre  2005, n. 206, ed è sanzionato ai sensi del medesimo codice. 4. L’esercizio della professione è libero e fondato sull’autonomia, sulle competenze e sull’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica, nel rispetto dei principi di buona  fede, dell’affidamento del pubblico e della clientela,  della  correttezza, dell’ampliamento e della specializzazione dell’offerta dei servizi, della responsabilità del professionista. 5. La professione è esercitata  in  forma  individuale,  in  forma associata,  societaria,  cooperativa  o  nella   forma   del   lavoro dipendente».


La questione è, poi, divenuta particolarmente complessa per effetto della Legge 11 dicembre 2012, n. 220, contenente “Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici”, i cui artt. 9, 10, 11, 25 hanno modificato gli artt. 1129 e 1130 c.c., introdotto l’art. 1130 bis, c.c. nonché gli artt. 71 bis, 71 ter e 71 quater disp. att. c.c., disposizioni tutte che hanno inciso profondamente sulla qualificazione giuridica della figura dell’amministratore di condominio. In particolare, il nuovo art. 71 bis disp. att. c.c. ha introdotto per l’amministratore di condominio una stringente serie di “requisiti” necessari per poter assumere l’incarico (il godimento dei diritti civili; l’assenza di condanna per delitti contro la P.A., contro il patrimonio ed ogni altro delitto non colposo con pena non inferiore a cinque anni; l’assenza di sottoposizione a misure di prevenzione; la piena capacità d’agire personale, la mancanza di annotazione del nome nell’elenco dei protesti cambiari; il diploma di scuola secondaria superiore di secondo grado; la frequenza ad un corso di formazione iniziale e poi di periodico aggiornamento); la stessa disposizione ha confermato la possibilità di nominare amministratore di condominio una società, di qualunque tipo, precisando che i ricordati requisiti debbono essere riferiti ad una specifica “persona” inserita nell’organizzazione societaria (socio illimitatamente responsabile, amministratore, dipendente incaricato, ecc.). La nuova disciplina, attraverso la previsione di specifici requisiti soggettivi per l’amministratore, sembra aver legato lo svolgimento concreto dell’attività di amministrazione condominiale a conoscenze tecniche, contabili e gestionali tali da consentire di inquadrare la figura dell’amministratore in un quadro di notevole professionalità.


2. Di fronte a questo articolato quadro normativo, la questione della compatibilità tra professione forense e attività di amministratore condominiale è stata affrontata dal C.N.F., attraverso alcuni interventi “chiarificatori” che sono tuttavia giunti a conclusioni opposte.


Infatti, il C.N.F. in un primo tempo si era espresso per l’incompatibilità tra gli artt. 2 e 18 L. n. 247/2012, da un lato, e art. 1 L. n. 4/2013, dall’altro, così escludendo che l’attività professionale di amministrazione di condominio potesse essere esercitata da un avvocato iscritto al relativo albo professionale. Infatti, in un primo tempo, nell’ambito delle Frequently Asked Questions (F.A.Q.), ossia nell’ambito delle domande frequentemente poste da avvocati e C.O.A. a chiarimento dei dubbi emergenti in ordine alla Legge di riforma forense (L. n. 247/2012), l’Ufficio Studi del C.N.F. nella F.A.Q. n. 32 alla domanda: “L’esercizio della professione è compatibile con l’attività di amministratore di condominio?” aveva inizialmente risposto negativamente, affermando testualmente: « No, in quanto costituisce altra attività di lavoro autonomo, svolta necessariamente in modo continuativo o professionale. Tale circostanza risulta confermata, altresì, dalla nuova disciplina in materia di professioni regolamentate (L. n. 4/2013) che conferisce dignità e professionalità alle categorie dei professionisti senz’albo.  Sebbene non vengano meno i requisiti di autonomia ed indipendenza, che hanno sinora consentito di considerare compatibile l’attività di amministratore di condominio con l’esercizio della professione, la riforma ha innovato profondamente la disciplina vigente, escludendo che l’avvocato possa esercitare «qualsiasi attività di lavoro autonomo svolta continuamente o professionalmente», con eccezioni indicate in via tassativa – quali attività di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale – ovvero con l’iscrizione nell’albo dei commercialisti ed esperti contabili, nell’elenco dei pubblicisti, nel registro dei revisori contabili o nell’albo dei consulenti del lavoro (art. 18, co. 1 lett. a)».  Da questa presa di posizione iniziale del C.N.F. emerge con chiarezza che l’amministratore di condominio, in quanto esercente una attività di lavoro autonomo a carattere continuativo o professionale, è incompatibile con lo svolgimento della professione di Avvocato. La riprova – a dire del C.N.F. – era proprio, nella nuova disciplina in materia di professioni regolamentate contenuta nella ricordata L. 4/2013, che “conferisce dignità e professionalità alle categorie dei professionisti senz’albo”, con la conseguenza che alla luce della riforma forense (L. 247/2012) il C.N.F. medesimo aveva escluso che l’Avvocato potesse esercitare «qualsiasi attività di lavoro autonomo svolta continuamente o professionalmente», salve le eccezioni indicate in via tassativa nell’art. 18, comma. 1 lett. a) della L. 247/2012.


3. Sennonché, lo stesso C.N.F. con Parere della Commissione consultiva, reso nella Seduta del 20 febbraio 2013 (relatore Prof. Avv. Ubaldo Perfetti) ha mutato il proprio orientamento. Con il nuovo parere – sollecitato da un quesito sollevato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli circa l’interpretazione dell’art. 18 della L. 247/2012 di riforma dell’ordinamento professionale forense con riferimento all’esercizio dell’attività di amministratore di condominio (così come disciplinato dalla recente L. 220/2012 di riforma del condominio) da parte dell’Avvocato – ha escluso che detta disposizione impedisca all’Avvocato di esercitare l’attività di amministratore di condominio. Il C.N.F. nel parere de quo muove dalla circostanza che il nuovo art. 18 della L. 247/2012 individua quattro macro aree di incompatibilità con la professione di Avvocato e che « […] il condominio è un ente di gestione privo di personalità giuridica  distinta da quello dei singoli condomini i quali sono rappresentati dall’amministratore e non costituiscono un’entità diversa da quest’ultimo […]». In questo solco, il C.N.F. ha poi affermato che « […] quello dell’amministratore configura un ufficio di diritto privato, assimilabile al mandato con  rappresentanza, con la conseguente applicabilità delle disposizioni sul mandato […]». La qualificazione dell’amministratore di condominio quale mandatario – prosegue il C.N.F. – è confermata proprio dall’art. 9 della L. 220/2012 di modifica della disciplina del condominio che «modificando l’art. 1229 c.c., attribuisce all’assemblea la facoltà di subordinare la nomina dell’amministratore alla presentazione di una polizza di assicurazione per la responsabilità civile “(…) per gli atti compiuti nell’esercizio del mandato”». Dalla qualificazione della figura dell’amministratore di condominio quale mandatario con rappresentanza di persone fisiche, il C.N.F. deduce che questi non agisce in proprio e non svolge attività commerciale; ne consegue che l’Avvocato che esercita contestualmente attività di amministrazione di condominio non ricade nella previsione di incompatibilità tra attività forense ed esercizio di qualsiasi attività di impresa commerciale, in nome proprio od altrui (art. 18, lett. b), L. 247 2012. L’irriducibilità del condominio allo schema societario e/o dell’impresa, esclude per l’Avvocato esercente l’amministrazione condominiale la ricorrenza del divieto previsto per l’Avvocato (art. 18, lett. c), L. 247/2012) di assumere la qualità di socio illimitatamente responsabile, o di amministratore, di società di persone, aventi quali finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite. Inoltre, l’amministratore non è neppure qualificabile come lavoratore subordinato, stante la qualificazione del condominio quale ente di gestione privo di personalità giuridica distinta da quella dei condomini, i quali infatti conservano il potere di agire in difesa dei diritti esclusivi e comuni, con la conseguenza ulteriore che per l’Avvocato-amministratore non sorge neppure l’incompatibilità di cui all’art. 18, lett. d), L. 247/2012. In ogni caso – prosegue il C.N.F. – la ricostruzione dell’esercente la funzione dell’amministratore di condominio come esercizio di un “mandato con rappresentanza” conferito da persone fisiche, in nome e per conto dei quali egli agisce è di per sé idonea ad escludere anche l’incompatibilità della professione forense con l’esercizio di qualsiasi attività di lavoro autonomo svolta “continuativamente o professionalmente”, prevista dall’art. 18, lett. a), L. 247/2012. Ciò perché « […] l’esecuzione di mandati, consistenti nel compimento di attività giuridica per conto ed (eventualmente) in nome altrui è uno dei possibili modi di svolgimento dell’attività professionale forense sicché la circostanza che essa sia svolta con continuità non aggiunge né toglie alla sua legittimità di fondo quale espressione, appunto, di esercizio della professione […]». A sostegno di questa argomentazione, il C.N.F. esclude che la figura dell’amministratore di condominio abbia subìto trasformazioni per effetto della riforma contenuta nella L. 220/2012, posto che la riforma in parola non ha trasformato l’attività di amministrazione di condominio in una vera e propria professione, dal momento che non è istituito né un albo, né uno specifico registro degli amministratori di condominio. Il C.N.F. conclude dicendo che « […] anche quando il riferimento alla svolgimento in forma professionale dovesse intendersi come allusione ad un modo di esercizio di un’attività che richiede competenze, un minimo di qualificazione e rappresentante fonte reddituale, la riconducibilità dell’attività all’area del mandato e di quest’ultimo ad una modalità di esercizio della professione forense, finisce per riferire a quest’ultima il citato requisito». Inoltre, la ritenuta compatibilità tra esercizio della professione forense ed esercizio dell’attività di amministrazione condominiale « […] produrrà riflessi anche sul piano della disciplina fiscale e previdenziale della vicenda dovendo il relativo reddito considerarsi a tutti gli effetti di natura professionale e quindi, tra l’altro, soggetto anche a contribuzione a favore della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza forense».


4. Questo Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trani non ritiene di discostarsi dal parere C.N.F. del 20 febbraio 2013 sebbene non convinca l’affermazione relativa alla portata non innovativa della L. 220/2012  di riforma del condominio sulla figura dell’amministratore. La citata legge di riforma del condominio, infatti, ha ridisegnato i contorni della figura dell’amministratore di condominio prevedendo nei nuovi artt. 71 bis, 71 ter e 71 quater disp. att. c.c. tutta una serie di condizioni che chi intende svolgere l’attività di amministratore di condominio deve necessariamente soddisfare, trasformando radicalmente e “professionalizzando” l’attività in parola, come sottolineano le principali associazioni di amministratori di condominio.


Tuttavia la sezione lavoro della Corte di Cassazione in un percorso iniziato con la sentenza 26.3.1999 n. 2910, e sviluppatosi con le decisioni del 18.4.2011 n. 8835, del 29.8.2012 n. 14684, in materia di obblighi previdenziali degli avvocati nei confronti di Cassa Forense, in caso di attività che non rientrano in quelle tipizzate come attività di esercizio della professione forense, nella sentenza 11.3.2013 n. 5975 ha recentemente affermato che: “il concetto di “esercizio della professione” debba essere interpretato non in senso statico e rigoroso, bensì tenendo conto dell’evoluzione subita nel mondo contemporaneo (rispetto agli anni cui risale la normativa di “sistema” dettata per la varie libere professioni) dalle specifiche competenze e dalle cognizioni tecniche libero professionali; evoluzione che ha comportato (come opportunamente sottolineato in dottrina) la progressiva estensione dell’ambito proprio dell’attività professionale, con occupazione, da parte delle professioni, di tutta una serie di spazi inesistenti nel quadro tipico iniziale. Ne consegue che nel concetto in questione deve ritenersi compreso, oltre all’espletamento delle prestazioni tipicamente professionali (ossia delle attività riservate agli iscritti negli appositi albi), anche l’esercizio di attività che, pur non professionalmente tipiche, presentino, tuttavia, un “nesso” con l’attività professionale strettamente intesa, in quanto richiedono le stesse competenze tecniche di cui il professionista ordinariamente si avvale nell’esercizio dell’attività professionale e nel cui svolgimento, quindi, mette a frutto (anche) la specifica cultura che gli deriva dalla formazione tipologicamente propria della sua professione”.


Tale orientamento apre la strada ad un concetto della professione forense più moderno ed europeo, nel quale deve essere indubbiamente riconosciuto all’Avvocato il diritto di svolgere, in concorrenza con altre professionalità, anche attività che rientrino nell’area tipica di altre professioni, anche non regolamentate e/o non costituite in ordini o collegi. Tale orientamento è in linea con la recente normativa sulla mediazione obbligatoria (D.L. 21 giugno 2013, n. 69, conv., con modificazioni, nella Legge 9.8.2013, n. 98), che sancendo che gli  avvocati sono “mediatori di diritto” (art. 16 comma 4 bis  D. Lgs. 28/2010) ha indirettamente stabilito che l’attività di mediatore, pur svolta dall’Avvocato in concorrenza con altri, rientra nell’esercizio dell’attività professionale.


E ciò perché tali attività se “richiedono le stesse competenze tecniche di cui il professionista ordinariamente si avvale nell’esercizio dell’attività professionale”, come è indubitabile per l’amministratore di condominio, devono essere considerate esercizio dell’attività professionale di Avvocato e quindi soggette al contributo previdenziale.


E con ciò si raggiunge la duplice finalità di aprire nuovi spazi all’esercizio della professione, soprattutto per i giovani, e di assoggettare alla Cassa Forense anche i redditi prodotti in tali attività collaterali, che, per le ragioni esposte devono considerarsi esercizio di attività professionale.


L’art. 18 della L. 247/2012 va quindi interpretato in senso rigorosamente restrittivo, alle sole fattispecie tipizzate dalla norma nella quale, per i motivi esposti dal CNF, non rientra l’attività di amministratore di condominio.


Resta fermo però che se l’attività di amministratore di condominio deve considerarsi esercizio dell’attività professionale di Avvocato, questi, svolgendo tale funzione, deve attenersi rigorosamente al codice deontologico forense e, in particolare, al divieto di accaparramento di clientela (art. 19 CDF e art. 37 nuovo CDF) e al dovere di indipendenza (art. 10 CDF e art. 9 nuovo CDF). E quindi l’Avvocato che svolga la funzione di amministratore di condominio, al pari dell’Avvocato che svolga incarichi pubblici (es. curatore fallimentare), non può assumere anche la difesa dell’organismo da lui stesso rappresentato, approfittando e ponendo a proprio vantaggio la  posizione di amministratore del condominio, che va tenuta nettamente distinta da quella di Avvocato del condominio medesimo.  


Per tali ragioni il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trani, in linea con il parere espresso dal CNF il 20 febbraio 2013 (rel. Prof. Ubaldo Perfetti) ritiene che non vi sia incompatibilità tra l’esercizio della professione di Avvocato e l’attività di amministratore di condominio e che la stessa debba essere ritenuta esercizio di attività professionale di avvocato e, come tale, soggetta agli obblighi previdenziali e al rispetto delle norme del codice deontologico forense.


Trani 16 settembre 2014


Il Consigliere Relatore Avv. Sabino Palmieri


Il Consigliere Segretario                                     Il Presidente


 Avv. Carlo Barracchia                                Avv. Francesco Logrieco