Quando il presente è passato.
di Ugo Operamolla

I recenti avvenimenti legati alla soppressione si alcune sedi giudiziarie e delle sezioni distaccate dei tribunali, che hanno coinvolto anche gli avvocati del nostro circondario, mi hanno indotto a rivisitare vecchi riferimenti culturali.
Ho trovato in un volume un passo che riproduco integralmente


“Tutti sanno che il nostra processo civile è uno dei più arretrati di Europa. causa non ultima del discredito in cui da noi è caduta la giustizia : eppure quando mai gli ordini forensi di tutta Italia, che più di ogni altra classe dovrebbe essere in grado di comprendere i difetti veri del meccanismo processuale, hanno intrapreso una azione energica, concorde, seria, per ottenere la riforma? Quando hai hanno dimostrato di preoccuparsi a fondo, oltrechè dell’interesse di classe e degli aumenti delle tariffe, di restaurar la giustizia non tanto a profitto di ventimila legali, quanto a profitto di quaranta milioni di Italiani? L’avvocatura si attacca alle sue vecchie formule – il fenomeno è antico – come il tarlo del ramo secco, nutrendosi dei difetti della legislazione. E se le riforme, prima o poi, si fanno tuttavia, ciò avviene non per impulso degli avvocati che stanno in Parlamento. ma per la costanza di studiosi isolati che riescono finalmente, attraverso le lavate ostilità dei pratici, a far trionfare le loro idee: onde nel pubblico si consolida l’opinione che sian gli avvocati a far coscientemente le leggi cattive perchè ne sorgano in maggior numero le liti.
Quant’io dico è anche più evidente per la riforma dell’ordinamento giudiziario. Studiosi spassionati sono d’accordi nel dire che l’amministrazione della giustizia italiana non potrà essere degnamente riordinata, finché non si affronterà con coraggio il problema delle circoscrizioni giudiziarie, in modo da sopprimere tutti quegli organi che oggi, per mancanza di lavoro, sono a carico del Paese, e da migliorare con le notevoli economie che da ciò si potrebbe conseguire le condizioni dei giudici oggi così miseramente compensati. Ma, anche per la riforma giudiziaria, si ripete ciò che accade da un pezzo in qua per la riforma amministrativa. Tutti imprecano contro la peste burocratica, contro gli uffici superflui, contro i troppi impiegati oziosi; ma quando si tratta di sopprimere un ufficio. di mandare a spasso dieci commendatori, di licenziare cento scribacchini avventizi, ecco che i grossi fanno dall’alto la resistenza passiva, i piccoli dal basso votano un violento ordine del giorno minacciando uno sciopero generale di tutta la classe, e subito la stampa comunica che la minacciata soppressione era una fandonia, e l’ufficio inutile resta, per il bene inseparabile dell’Italia e della burocrazia. Qualcosa di simile succede quando qualche esaltato parla di ridurre il numero degli organi giudiziari: poichè ancor oggi son vere le malinconiche parole di chi disse molti decenni fa, che in Italia. se sì sopprime una Pretura, c’è da far nascere la rivoluzione. Guardate ciò che accade per certi tribunali circondariali che, dato il numero minimo di cause che annualmente decidono, si potrebbero sopprimere con grande vantaggio del Paese; non appena un ministro coraggioso si propone sul serio di sopprimerlo, ecco che quei cinque o dieci o venti tra avvocati e procuratori che vivono stentatamente intorno a quel tribunale anemico si adunano solennemente, protestano contro chi vuol sopprimere quel tal tribunale « che ha sì nobili tradizioni. ecc. ». « con gravissimo danno dell’industriosa popolazione, ecc. », e con sacro sdegno telegrafano al deputato avvocato; il quale subito nei corridoi della Camera se la intende con tutti gli altri deputati avvocati che hanno ricevuto altrettanti telegrammi dagli avvocati esercenti presso altrettanti tribunali circondariali, anemici sì, ma tutti superbi di quelle tali « nobili tradizioni, ecc. », onde la proposta del ministro coraggioso naufraga prima di essere portata in discussione e gli interessi di quelle « industriose popolazioni (intendi : « avvocati») sono salvaguardati a maggior gloria e fortuna della nostra cara Italia, e a conferma di quel salutare principio di fisiologia giudiziaria, secondo il quale, poichè l’organo crea la funzione e non viceversa, i tribunali sono istituiti non per render giustizia ai clienti, ma per dar lavoro ai professionisti legali! Così, finchè si tratta di votare degli ordini del giorno, deploranti le vergognose condizioni economiche che l’Italia fa ai suoi giudici, gli ordini forensi sono più che pronti a dimostrare a parole la loro solidarietà colla magistratura: ma il giorno in cui si tratta di ricavare da un coraggioso riordinamento delle circoscrizioni giudiziarie i fondi per alleviare il disagio dei magistrati, allora gli avvocati si dimostran disposti a far morire di fame tutti i giudici purché restino in piedi tutti gli organi giudiziari! “


Salvo gli inevitabili adattamenti, sembra scritto oggi; invece è contenuto nel saggio “Troppi avvocati” che Pietro Calamandrei pubblicò nel 1921 nei Quaderni della voce (la rivista di Prezzolini).
La riflessione che ne consegue è amara: un secolo è passato inutilmente per la comunità cittadina e gli avvocati italiani, gli stereotipi seriali sono rimasti immutati,; la resistenza ai cambiamenti è rimasta di uguale spessore.


Avv. Ugo Operamolla