IL CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI TRANI


 



esaminata l’istanza di ………………………………. tesa ad ottenere l’iscrizione all’Albo speciale degli Avvocati stabiliti dell’Ordine di Trani, in applicazione della sentenza della Cassazione a Sezioni Unite 22.12.2011 n. 28340;



esaminata la documentazione a corredo della domanda prodotta da …………………….. e ascoltato il richiedente ………………….;



 


PREMESSO CHE



Il fenomeno degli Avvocati stabiliti trova la sua origine nella direttiva europea n. 98/5/CE del 16.2.1998 che ha inteso facilitare l’esercizio permanente della professione in uno stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale.


 



La direttiva europea, richiamando l’art. 7 del Trattato, precisa che l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle persone e dei servizi fra gli stati membri costituisce uno degli obiettivi della Comunità, con la conseguenza che va concessa ai professionisti comunitari la facoltà di esercitare la professione in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito le loro qualifiche professionali.


 



Lo Stato Italiano ha recepito la Direttiva 98/5/CE con il Decreto Legislativo n. 96 del 2.2.2001 che, all’art. 6, ha stabilito i requisiti per l’iscrizione all’Albo Speciale. In particolare al comma 3 dell’art. 6 è previsto che la domanda sia corredata da un certificato di cittadinanza; certificato di residenza o dichiarazione sostitutiva ovvero dichiarazione dell’istante con indicazione del domicilio professionale; l’attestato di iscrizione alla organizzazione professionale dello Stato membro di origine, rilasciato in data antecedente a tre mesi dalla data di presentazione. Altresì il comma 1 dell’art. 6 stabilisce che per l’esercizio permanente in Italia della professione di avvocato, i cittadini degli Stati membri in possesso di uno dei titoli di cui all’art. 2, sono tenuti ad iscriversi ad una sezione speciale dell’albo tenuto dall’Ordine degli Avvocati avente sede nella circoscrizione del Tribunale in cui hanno fissato stabilmente la loro residenza o il loro domicilio professionale, nel rispetto della normativa relativa agli obblighi previdenziali. Infine il comma 5 del predetto articolo impone che i documenti devono essere accompagnati da una traduzione autenticata.


 



La direttiva europea 98/5/CE e il Decreto Legislativo n. 96 del 2.2.2001 non sono stati modificati dalla successiva direttiva 05/36/CE, attuata in Italia con il Decreto Legislativo n. 206 del 9.11.2007, che ha sostanzialmente confermato le previgenti modalità per il riconoscimento del titolo di Avvocato Stabilito, disciplinando un autonomo meccanismo che consente di ottenere l’immediato riconoscimento del titolo, previo superamento di apposita prova attitudinale.


A tal fine il suddetto decreto legislativo 206/2007 ribadisce che “per l’esercizio della professione i beneficiari del riconoscimento delle qualifiche professionali devono possedere le conoscenze linguistiche necessarie” (art. 2) e che “il riconoscimento professionale è subordinato alla dimostrazione dell’esercizio effettivo dell’attività in questione in un altro Stato membro ai sensi degli articoli 28, 29 e 30” (art. 27).


 



La Corte di Cassazione a sezioni Unite nella sentenza 22.12.2011 n. 28340, invocata dall’istante a sostegno della richiesta, ha statuito che:


“In base alla normativa comunitaria concernente il reciproco riconoscimento dei titoli abilitanti all’esercizio di una professione, il soggetto munito di un titolo equivalente a quello di avvocato conseguito in un Paese membro dell’Unione europea (nella specie, la Spagna), qualora voglia esercitare la professione in Italia, dispone di due possibilità: chiedere al Ministero della giustizia l’immediato riconoscimento del titolo, ai sensi del d.lgs. 9 novembre 2007 n. 206, nel qual caso egli è tenuto al superamento di apposita prova attitudinale; oppure, avvalendosi del meccanismo di stabilimento e integrazione di cui al d.lgs. 2 febbraio 2001 n. 96, chiedere l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo degli avvocati del foro nel quale intendere eleggere domicilio professionale in Italia, nel qual caso egli, dopo un triennio di effettiva attività svolta d’intesa con un legale iscritto nell’albo italiano, avrà diritto ad essere iscritto nell’albo ordinario con il titolo di avvocato, senza necessità di sostenere alcuna prova attitudinale”.


 


In tale decisione la Corte di Cassazione ha statuito che qualora l’istante richieda, come nella specie, l’iscrizione all’Albo speciale degli avvocati comunitari stabiliti ai sensi dell’art. 3, comma 2, direttiva 98/5/Ce e dell’art. 6, comma 2, D. Lgs. 96/2001, tale iscrizione è subordinata alla sola condizione della documentazione dell’iscrizione presso la corrispondente Autorità di altro Stato membro.


 



Tuttavia, successivamente a tale decisione, il CNF nella seduta del 29.9.2012, pur evidenziando che “L’iscrizione, come hanno avuto modo di precisare di recente sia le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Sez. un. 22.12.2011 n. 28340,) sia questo Collegio (Consiglio nazionale forense 26 gennaio 2012 n. 50), costituisce un atto vincolato, subordinato alla ricorrenza dei presupposti stabiliti dalla Direttiva europea e dalla normativa italiana ed individuati principalmente nella cittadinanza comunitaria, e nell’iscrizione all’organizzazione professionale dello stato di origine” (punto 12), ha però disposto la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, per verificare se tale iscrizione, “vincolata” alla ricorrenza delle condizioni previste dalle normative comunitarie, possa essere invece negata allorquando si appurasse che il richiedente si sia avvalso abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario (punto 16), ponendo in essere artatamente in altro Stato membro le condizioni per ottenere il riconoscimento del diritto di stabilimento nel paese sostanzialmente di origine.


 



Da ultimo, in data 30.1.2013, lo stesso CNF quale giudice speciale dell’impugnazione dei provvedimenti di diniego, ha rimesso all’attenzione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea i seguenti quesiti di interpretazione pregiudiziale, in presenza di fumus di abuso del diritto di libertà di stabilimento:



  1. Se l’art. 3 della direttiva 98/5/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, alla luce del principio generale del divieto di abuso del diritto e dell’art. 4, paragrafo 2, TUE relativo al rispetto delle identità nazionali, debba essere interpretato nel senso di obbligare le autorità amministrative nazionali ad iscrivere nell’elenco degli avvocati stabiliti cittadini italiani che abbiano realizzato contegni abusivi del diritto dell’Unione, ed osti ad una prassi nazionale che consenta a tali autorità di respingere le domande di iscrizione all’albo degli avvocati stabiliti qualora sussistano circostanze oggettive tali da ritenere realizzata la fattispecie dell’abuso del diritto dell’Unione, fermi restando, da un lato, il rispetto del principio di proporzionalità e non discriminazione e, dall’altro, il diritto dell’interessato di agire in giudizio per far valere eventuali violazioni del diritto di stabilimento, e dunque la verifica giurisdizionale dell’attività dell’amministrazione;

  2. In caso di risposta negativa al quesito sub 1)-, se per l’art. 3 della Direttiva 98/5/CE, così interpretato, debba ritenersi invalido alla luce dell’art. 4, paragrafo 2, TUE nella misura in cui consente l’elusione della disciplina di uno Stato membro che subordina l’accesso alla professione forense al superamento di un esame di Stato, laddove la previsione di siffatto esame è disposta dalla Costituzione di detto Stato e fa parte dei principi fondamentali a tutela degli utenti delle attività professionali e della corretta amministrazione della giustizia.

La dottrina, in Italia, ha coniato l’istituto dell’abuso del diritto per sanzionare le ipotesi in cui un diritto viene, in concreto, esercitato in contrasto con la buona fede o con lo scopo in vista del quale è stato riconosciuto dall’ordinamento, in modo tale che il comportamento del titolare sia solo “apparentemente” conforme al contenuto del diritto medesimo (cfr., Natoli, Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 1958, p. 18 ss.), infatti «[…] nell’esercizio concreto del diritto, può accadere che facoltà e poteri vengano utilizzati dal soggetto per perseguire un interesse diverso da quello in vista del quale gli sono attribuiti: è questa la patologia cui conviene riservare […] la qualifica di abuso del diritto» (così, testualmente, Restivo, Contributo ad una teoria dell’abuso del diritto, Milano, 2007, p. 81).


 



L’istituto ha trovato esplicito riconoscimento giurisprudenziale in Cass. 18 settembre 2009, n. 20106 per la quale «L’abuso del diritto […] lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l’utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. È ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell’atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenza di tale, eventuale abuso, l’ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva […]».


 



La figura dell’abuso del diritto ha trovato riscontro anche nelle decisioni della Corte di Giustizia quale strumento di controllo dell’esercizio dei diritti soggettivi attribuiti da norme comunitarie.


La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in più occasioni, ha ritenuto che il diritto comunitario non impedisce ai giudici nazionali di applicare una disposizione di diritto interno che permetta loro di valutare se un diritto, riconosciuto da una norma comunitaria, venga esercitato abusivamente (cfr., Corte di Giustizia CE 12 maggio 1998, C-367/96 che ha ritenuto abusiva la condotta di un azionista che agisce a danno della società, al fine di ottenere vantaggi illeciti e palesemente estranei alle norme comunitarie; Corte di Giustizia CE 23 marzo 2000, C-373/97 che ha ritenuto abusiva la condotta degli azionisti, astrattamente riconducibile all’atto di esercizio di un diritto, che in concreto arrechi pregiudizio ad altrui interessi “manifestamente sproporzionato rispetto all’interesse perseguito dal titolare della situazione giuridica soggettiva”; Corte di Giustizia CE 21 febbraio 2006, C-255/02 e Corte di Giustizia CE 21 febbraio 2006 C-223/03 che hanno qualificato come espressione di un abuso della disciplina comunitaria in materia fiscale la stipula di un contratto col solo fine di realizzare un vantaggio fiscale; Corte di Giustizia 14 dicembre 2000, C-110/99 ha fatto ricorso all’abuso del diritto in maniera diretta per impedire aggiramenti delle norme di diritto comunitario e frodi realizzate attraverso la loro invocazione).


 



A differenza del nostro ordinamento interno che non conosce una espressa disposizione che sanziona l’abuso di un diritto (e viene costruito fondamentalmente sulla base del principio di buona fede nell’esecuzione di un contratto: art. 1375 cod. civ.), il sintagma “abuso del diritto” ha ricevuto espresso riconoscimento nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, firmata a Nizza il 7 dicembre 2000, che all’art. 54, rubricato appunto “Divieto dell’abuso del diritto”, dispone che “Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata nel senso di comportare il diritto di esercitare una attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Carta o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla presente Carta”. La disposizione conferma la necessità -e l’obbligo- di evitare un’applicazione impropria – cioè abusiva – dei diritti e delle libertà comunitarie tra le quali è ricompresa la libertà di stabilimento dei professionisti. Come è altresì noto, in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (del 1° dicembre 2009), la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ha acquisito lo stesso valore giuridico dei trattati. Tutto ciò conferma che il diritto giurisprudenziale interno, le fonti e la giurisprudenza comunitarie conoscono il principio per il quale a nessuno può essere consentito di piegare il concreto esercizio di un diritto, di una libertà, di una facoltà, in genere di una qualsiasi prerogativa, riconosciuti tanto dal diritto interno quanto dal diritto comunitario, per trarre vantaggi differenti o illeciti rispetto alle previsioni normative. In particolare, la costante giurisprudenza comunitaria tende a contrastare l’esercizio abusivo e fraudolento del diritto comunitario e ritiene che esso non precluda ai giudici nazionali di applicare una disposizione del diritto nazionale al fine di verificare se l’esercizio di un diritto riconosciuto da una norma comunitaria sia abusivo.


 



Nello stesso senso, infatti, il CNF (ordinanza di rimessione del 29.9.2012 punti 16-17-18) delinea la figura dell’abuso del diritto nella giurisprudenza comunitaria, e il potere degli stati di verificare la sussistenza in concreto delle fattispecie di abuso del diritto, e prevenire, o porre fine, a comportamenti abusivi o fraudolenti dei cittadini comunitari, schermati da uno pseudo esercizio di diritti garantiti dalle fonti comunitarie.


 


Al punto 19 della ridetta ordinanza di rimessione, il CNF richiama la sentenza Emsland Stärke (Sentenza 14 dicembre 2000, causa C-1210/99) in cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha precisato che per accertare l’esistenza di comportamenti abusivi occorre la compresenza di due elementi: da un lato di un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa comunitaria, l’obiettivo perseguito dalla detta normativa non è stato raggiunto e, dall’altro, di un elemento soggettivo che consiste nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa comunitaria mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento.


 



Il COA, nel fare proprie tali importanti argomentazioni del CNF, è perfettamente concorde (ordinanza CNF di rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 29.9.2012 punto 21) nel ritenere che lo scopo della direttiva 98/5/CE è quello “di facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato … in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquisita la qualifica professionale” (art. 1, primo comma), e non già quello di regolare l’accesso alla professione di avvocato in detto stato membro (considerando n. 7), e meno che mai consentire l’elusione delle normative nazionali che disciplinano l’accesso alla professione forense tramite un esame di abilitazione.


 



Per tali ragioni il COA ritiene che, in piena conformità al diritto dell’Unione Europea e nel rispetto del principio di proporzionalità e del divieto di pratiche discriminatorie, permanga in capo al Consiglio dell’Ordine il potere-dovere di verificare, nel caso concreto, l’assenza di anomalie oggettive e soggettive tali da conclamare che l’interessato ha posto in essere una sequenza procedimentale abusiva del diritto dell’Unione e manifestamente elusiva delle regole del diritto interno. Conseguentemente lo stesso diritto dell’unione europea porta ad escludere che, in presenza di tali circostanze, l’accoglimento della domanda di iscrizione nell’Albo speciale degli Avvocati stabiliti debba considerarsi un atto automatico, “vincolato” soltanto all’accertamento dell’iscrizione all’albo degli avvocati di un paese straniero e degli altri requisiti previsti dalla ridetta direttiva 98/5/CE e del D. Lgs. n. 96 del 2.2.2001.


 



TANTO PREMESSO


 



Nell’istanza di ……………………… il Consiglio dell’Ordine di Trani rileva la presenza di un evidente fumus di abuso del diritto, sia per le circostanze oggettive sia per l’elemento soggettivo.


 



                                                                                    …. omissis ….


 



Da tale documentazione, e dalle dichiarazioni rese da ……………………….. a questo COA, si deduce inconfutabilmente che nella specie non si tratta di avvocato spagnolo che chiede il diritto di stabilimento in Italia, bensì di cittadino italiano che, abusando delle direttive comunitarie e dei decreti legislativi nazionali che le hanno recepite, chiede di poter utilizzare il titolo di abogado spagnolo conseguito solo formalmente e apparentemente con l’iscrizione presso l’Albo Avvocati di Madrid, per ottenere l’iscrizione “automatica” all’Albo speciale degli Avvocati stabiliti dell’Ordine di Trani, così di fatto aggirando la normativa nazionale sull’esame di abilitazione.


 



PER TALI RAGIONI



 


Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trani rigetta l’istanza.



 


Trani 19 marzo 2013.



 


Il Consigliere Estensore


Avv. Sabino Palmieri




 


Il Consigliere Segretario                                                  Il Presidente


Avv. Carlo Barracchia                                          Avv. Francesco Logrieco