Appunti di viaggio – Roma 23-2-2012
di Donato De Tullio

Qualche mese fa da questo stesso sito, da questa stessa finestra sul nostro mondo forense, avevo provato a raccontare le vicende, la cronaca, gli esiti, le sensazioni e le emozioni della VII Conferenza Nazionale dell’Avvocatura Italiana, tenutasi a Roma il 25 e 26 Novembre 2011, per discutere della riforma della giustizia civile e penale e del ruolo essenziale dell’Avvocatura.


Oggi con i miei appunti di viaggio proverò a raccontare la giornata dello scorso 23 Febbraio, trascorsa ancora a Roma per portare la testimonianza della manifestazione nazionale tenutasi al Cinema Adriano, da dove è ripartita la protesta degli avvocati italiani, culmine e sintesi delle due giornate di astensione dalle udienze, proclamata dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura contro le liberalizzazioni selvagge e la rottamazione della giustizia.


Tre mesi fa il Governo cosiddetto tecnico si era insediato da poco, ma già si respirava aria di forte preoccupazione, di timore per le sorti della professione forense e le premesse negative c’erano già, tutte. E il segnale che gli avvocati lì riuniti avevano dato, era stato forte, chiaro, determinato: ci siamo, siamo uniti e non abbiamo intenzione di arretrare di un millimetro dalle nostre posizioni a difesa della libertà e dell’indipendenza della nostra professione e quindi a tutela del principio costituzionale che ci riconosce quel ruolo di presidio della difesa dei cittadini.


Tre giorni fa invece l’atmosfera è stata ben diversa. E per descriverla è sufficiente una sola parola: rabbia.


Rabbia per i danni provocati dalla decretazione selvaggia di un governo non legittimato dal popolo che a colpi di commi – tanto pregni di malizia macroeconomica quanto di insipienza giuridica – ha colpito e quasi affondato la nave su cui viaggia l’Avvocatura italiana, novella “Concordia”.


Rabbia per i poteri forti dell’industria e del capitale che hanno deciso che l’avvocato migliore è quello subordinato, dipendente e possibilmente muto.


Rabbia perché gli stessi vertici nazionali, politici e istituzionali, dell’Avvocatura non solo non sono riusciti ad ottenere un solo incontro con il Presidente della Repubblica o con il Premier ma nemmeno sono riusciti a veicolare il malcontento generale e le oggettive difficoltà che affliggono il nostro mondo forense.


Rabbia perché se il riscontro statistico del reddito medio nazionale degli avvocati attesta che è di Euro 35.000,00, vuol dire che a fronte del reddito dichiarato di un Ministro – quello della Giustizia nella fattispecie, avvocato Severino – di Euro 7.000.000,00, ci sono duecento (!) avvocati a reddito zero.


Rabbia perché è finito il tempo della mediazione (in tutti i sensi) e della diplomazia: è il momento della rivoluzione.


E non è enfasi retorica, ma la traduzione di un reale e potente malessere, collettivamente diffuso e drammaticamente avvertito dagli avvocati che affollavano la platea e persino l’esterno del Cinema Adriano, gremito – come suol dirsi in gergo sportivo – in ogni ordine di posti, circa duemila avvocati giunti da ogni parte d’Italia, isole comprese.


Malcontento, dolore e rabbia che hanno portato a momenti di vera e propria tensione, a scontri verbali accesi, a violente contumelie, a coraggiose reprimende contro i nostri vertici, ad accorati richiami alla resistenza, a decisi inviti alla lotta e alla protesta, anche immediata, intransigente, senza quartiere.


Una manifestazione sul punto di sfuggire di mano agli organizzatori.


Cosa è successo poi ?


Beh, è successo che gli avvocati hanno fatto ciò che sanno far meglio: parlare, ragionare con la propria testa, esporre tesi con intelligenza e convinzione, mettere passione e cuore per sostenere e argomentare le ragioni, difendere con ardore i diritti dei cittadini; fare gli avvocati insomma; anzi, mi correggo, di più: essere avvocati.


Magari alcuni interventi saranno andati oltre il limite dell’eleganza retorica; magari alcuni avranno violato un certo bon ton accademico, altri ancora avranno peccato per eccessi di foga e livore, altri infine avranno esagerato con proposte di lotta ben al di là del limite della legalità.


E allora ? Vivaddio. È così che funziona la democrazia, la rappresentatività, la partecipazione.


E per questo che, tralasciando gli eccessi di foga, perdonando le licenze linguistiche, superando le divisioni di veduta e di posizione – anche notevoli in certi casi (si pensi che in altra parte di Roma erano riuniti altri avvocati sotto l’egida dell’Unione delle Camere penali) – proprio per effetto di quella straordinaria spinta unificatrice assoluta che è il comune sentimento di rabbia e pericolo, d’incanto tutti gli avvocati convenuti a Roma hanno, al termine dei lavori, ritrovato coesione e unità d’intenti e hanno tracciato le linee guida delle ulteriori iniziative.


Infatti l’assemblea ha deciso di radicalizzare la protesta: otto giornate di astensione dalle udienze civili, penali, amministrative, contabili e tributarie e dalle altre attività giudiziarie, dal 15 marzo al 23 marzo 2012, manifestazione nazionale a Roma giorno 15 marzo davanti al Ministero della Giustizia, blocco totale delle attività giudiziarie con sciopero bianco e autosospensione dalle funzioni di avvocato, dal gratuito patrocinio e dalla difesa d’ufficio; partecipazione alla manifestazione unitaria di tutti i professionisti al Professional Day, in programma a Roma il giorno 1.3.2012, con eventi collegati in varie località d’Italia (e un collegamento in videoconferenza è previsto anche dal nostro Ordine di Trani).


Insomma, proprio nel momento in cui il nemico sembrava aver inflitto un duro e decisivo colpo, l’avvocatura ha serrato le fila e si è nuovamente compattata.


Non sappiamo se e quanto potremo resistere e se la nostra protesta avrà la capacità e la forza di spezzare quella sorta di vera e propria dittatura di governo cui oggi siamo vigliaccamente sottoposti (perché è proprio negando ogni confronto, consultazione e concertazione che si esplica il potere totalitario).


Tuttavia abbiamo il dovere morale di provarci, per i cittadini che nel nostro piccolo quotidiano difendiamo, per i nostri colleghi, per le nostre famiglie, e – consentitemi questo stucchevole epilogo – per noi avvocati; ad vocatus non allude all’oggetto della prestazione, ma ad una chiamata: ad vocatus, chiamato in aiuto.


Ecco in cosa risiede dunque la nobilità dell’Avvocatura: prestare aiuto nella difficoltà, nel pericolo, nel diritto negato.


Ora è il momento di aiutare noi stessi.


Avv. Donato De Tullio