VII CONFERENZA NAZIONALE DELL’AVVOCATURA:


Gli accadimenti e le riflessioni di un collega
Le foto e l’applaudito intervento del Presidente Avv. Logrieco


di Donato De Tullio


Doveva essere il grido di dolore dell’avvocatura italiana: invece è stato il grido della battaglia.


Il 25 e 26 Novembre 2011 a Roma si è tenuta la VII Conferenza Nazionale dell’Avvocatura Italiana, organizzata dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura, per discutere della “Riforma della Giustizia civile e penale: il ruolo essenziale dell’Avvocatura”.


Presenti i massimi vertici degli organismi della nostra categoria più rappresentativi a livello nazionale (OUA, CNF, Cassa Forense, AIGA, ecc.); oltre 160 i Presidenti degli Ordini, oltre 800 i consiglieri degli Ordini, oltre 2000 gli Avvocati tutti, giunti da ogni parte d’Italia, in rappresentanza delle varie associazioni, delle tante (troppe) sigle che frammentano la nostra realtà forense.


Ma anche Avvocati soltanto, rappresentativi di sé stessi, di quella profonda preoccupazione per le tante (troppe) riforme che giorno dopo giorno, con maggiore o minore pubblicità, un legislatore ottuso e schizofrenico o, peggio, dolosamente preordinato, ci va propinando; Avvocati latori di quel dolore appunto, misto a rabbia e sconforto, per una professione sistematicamente svilita, progressivamente svuotata di competenze e prerogative, economicamente colpita e abbattuta.


Ci sono eventi in relazione ai quali, qualche tempo dopo nella vita, diventa motivo d’orgoglio poter dire “io c’ero”; Roma 26.11.2011 è destinato a diventare uno di quelli.


Fin dal primo intervento si è capito che non sarebbe stata una conferenza “normale”; fin da subito si è capito che il programma inizialmente previsto sarebbe stato stravolto, travolto dagli eventi, dagli interventi, dalle notizie che ad horas giungevano dal Parlamento piuttosto che dal Ministero della Giustizia e finanche da fonti giornalistiche, ultim’ora che si rincorrevano freneticamente e che riferivano di imminente abolizione degli Ordini, di integrale liberalizzazione della professione, di abolizione dell’esame di abilitazione, di accorpamento della Cassa Forense all’Inps, di abolizione della difesa tecnica per i giudizi di primo grado, di abolizione dei casi di incompatibilità della professione e altre aberrazioni del genere.


Persino il messaggio fatto pervenire dal Capo dello Stato, il Presidente Giorgio Napolitano – nonostante le servili e compiacenti agenzie di stampa abbiano fatto credere il contrario – ha lasciato perplessi e ha fatto discutere: «nell’attuale fase di difficoltà per il consolidamento degli equilibri della finanza pubblica e per il conseguimento di un elevato ritmo di crescita economica» – ha scritto Napolitano – «la modernizzazione del sistema giustizia costituisce obiettivo indifferibile imposto sia dall’esigenza di assicurare al cittadino procedure giudiziarie di ragionevole durata sia dalle gravi conseguenze che le odierne inefficienze comportano per la competitività del Paese»; per questo occorrono riforme di ampia portata «che razionalizzino l’organizzazione giudiziaria, snelliscano i processi, assicurino la certezza del diritto e corrispondano alle esigenze collettive di sicurezza»;  proprio per individuare e realizzare i «necessari interventi normativi e organizzativi, secondo criteri ispirati solo all’interesse generale, il contributo dell’avvocatura – osserva il Presidente della Repubblica – è certamente essenziale in ragione del fondamentale ruolo di tutela dei diritti dei cittadini che ad essa affida la Costituzione»; ruolo che «impone anche la pronta definizione di un organico e condiviso progetto di riforma dell’ordinamento forense».


Già; il contributo dell’Avvocatura è dunque essenziale e di indubbio rilievo costituzionale; ma fino a che punto questo ruolo primario può essere compresso e sacrificato sull’altare degli equilibri della finanza pubblica e del ritmo di crescita economica ?


Insomma, può il Diritto soggiacere dinanzi all’economia, anzi a quella parte deteriore di essa che è costituita dalla politica economica ?


Su tali dubbi e su molti altri spinosi temi d’attualità (riforma dell’ordinamento forense, abolizione dell’obbligo del ricorso preventivo all’istituto della mediaconciliazione, reintroduzione dei minimi tariffari, rapporti con la magistratura, revisione della geografia giudiziaria, abolizione delle sedi distaccate dei tribunali, ingresso dei capitali privati negli studi legali, riforma del giudice laico, processo telematico, carenze d’organico del personale amministrativo, assetto delle fonti normative, deduzione fiscale delle spese legali, certezza del diritto) che qui per esigenze di sintesi ho ridotto ad una mera citazione esemplificativa ma su cui molti di noi durante la conferenza hanno investito e speso parole di logica e passione – dicevo su tali questioni si sono concentrati interventi e attenzioni, in un dibattito critico, vivace, partecipato, appassionato.


E su tutti, l’intervento dell’avv. Maurizio De Tilla, Presidente dell’OUA, che – in un’emblematica sintesi del pensiero collettivo – ha in maniera viscerale perfettamente incarnato lo spirito combattivo che in questi momenti straordinariamente difficili e precari per l’Avvocatura, tutti gli Avvocati sono chiamati a condividere: per non arrendersi, per non consegnare questa nostra professione alle logiche dei poteri forti, per non abdicare a quel principio costituzionale (ahinoi, bistrattato nella migliore delle ipotesi, dimenticato nella peggiore) che ci riconosce quel ruolo di presidio della difesa dei cittadini.


Un intervento applauditissimo dalla platea – invero gremita e mai così partecipe – trascinante a tratti, sagace, ferocemente ironico, senza ipocrisia, impavido, apertamente critico con i politici, con i precedenti governi ma anche con quello attuale, quello cosiddetto tecnico che in nome del risanamento economico finirà per spazzar via ogni peculiarità della nostra professione; critiche che non sono state risparmiate nemmeno ai poteri forti economici, Confindustria in testa.


Ha raccontato delle falsità che il monopolio capitalista sostenuto dalla stampa ci va raccontando quotidianamente e cioè che la crisi economica si risolve con la liberalizzazione delle professioni; ci ha ribadito quanto sia vergognoso essere arrivati al punto di dover pagare per avere la motivazione di una sentenza;  ci ha ricordato quanta libertà sia stata compressa con l’introduzione dell’istituto della mediaconciliazione obbligatoria; e ci ha ammonito sulla diffusione di quel fenomeno che vede il capitale, l’industria alla conquista degli studi. La chiosa, per quanto brillante e ironica, è desolatamente vera e drammatica: ci vorrebbe una legge che sancisse che le leggi devono essere conformi alla Costituzione !


Infine ha lanciato il guanto di sfida e ha dichiarato che l’Avvocatura è ormai pronta per creare un vero e proprio partito politico e scendere in campo per la difesa dei diritti della professione e, per essa, dei cittadini.


Perché, alla fine, di questo si tratta: ogni Avvocato non difende sè stesso, ma i clienti del proprio studio; troppo spesso l’abbiamo sentito dire, ma non ci sono utenti della giustizia: ci sono solo Cittadini, cittadini che hanno il diritto di difendersi e di farlo con la giusta rappresentanza e la migliore competenza.


Quella dell’Avvocato è una professione speciale, intellettuale, di rilievo costituzionale e ogni attacco ad essa è un attacco diretto ai cittadini; per questo deve essere inviolabile; anche perché l’Avvocatura non è un servizio: è una funzione.


E che si finisca una volta per tutte con la dequalificazione intellettuale della nostra professione.


Insomma Maurizio De Tilla ha parlato da uomo avvocato ad avvocati donne e uomini, interloquendo di temi giuridici e politici, ma attingendo al cuore.


Non è mancata nemmeno la sfilata dei politici, in rappresentanza dell’intero arco parlamentare, penta-partisan oserei dire: penosa, addirittura paradossale, a tratti imbarazzante, involontariamente comica. Ognuno di essi ad affannarsi a dire di avere ostacolato l’approvazione della legge sulla mediaconciliazione, di avere osteggiato la politica sulla liberalizzazione degli Ordini, di avere favorito e difeso la categoria forense, di aver votato contro questo o quel provvedimento che tanto ci fa arrabbiare; tanto che alla fine, dopo aver zittito i nostri parlamentari in maniera a volte anche dura e persino (quando ci vuole) leggermente antidemocratica, ci si è chiesti: vuoi vedere che siamo stati noi Avvocati ad approvarci le leggi da soli ?


E pensare che tutti i politici intervenuti sono anche avvocati iscritti !


Fuor d’ironia va detto che, quanto meno, tutti, ripeto tutti i principali partiti politici intervenuti per mezzo dei loro rappresentanti (PdL, PD, Lega, IdV, UdC) hanno assicurato pieno sostegno a quelle che saranno le nostre iniziative a difesa della professione. Almeno sarà un modo per verificare in futuro quante di quelle parole sono state pronunciate con lingua biforcuta e quante invece sono state dette con vera intenzione, così da inchiodare ciascuno e ciascun partito politico alla proprie responsabilità.


Anche l’Ordine di Trani non ha fatto mancare di far sentire la propria voce, la propria rabbia ma anche il proprio spirito propositivo, con l’apprezzato intervento del nostro Presidente, avv. Francesco Logrieco.


Il nostro Francesco ha parlato innanzitutto di moralizzazione della professione, che deve partire da ciascuno di noi, dai singoli, con comportamenti virtuosi, per giungere ai vertici e quindi all’opinione pubblica e ai poteri che ci governano; ha disquisito di rappresentanza e rappresentatività, stigmatizzando il proliferare di sigle e associazioni forensi invero rappresentative solo dei propri direttivi, e contemporaneamente richiamando alle proprie responsabilità i vertici che ci rappresentano; perché loro sono i soggetti da noi eletti, è a loro che noi tutti abbiamo affidato il compito di rappresentarci ai massimi livelli e sono dunque loro che in questi momenti drammatici della professione devono assumersi, come suol dirsi, l’onore e l’onere, l’orgoglio  e la responsabilità di prendere tutte le decisioni più opportune nell’interesse della categoria e dei cittadini che attraverso di noi ricorrono alla Giustizia; con l’invito per tutti a confluire sotto queste rappresentanze nazionali. Insomma un vero e proprio richiamo all’unità dell’Avvocatura, perché solo evitando frammentazioni interne e facendo mostra di coesione e forza possiamo affrontare, con qualche speranza di vittoria, la sfida difficilissima ma non proibitiva che ci aspetta.


Ed è proprio sotto questa auspicata e ritrovata unità che la due giorni della VII Conferenza Nazionale dell’Avvocatura Italiana si è conclusa.


Il documento finale, che ognuno di noi ha già letto altrove, è stato approvato all’unanimità ed è stato il risultato (sintesi e frutto) del contributo di tutti (proprio di tutti, credetemi) falchi e colombe, scettici e ottimisti, rassegnati e indignati.


Nessun de profundis della professione dunque; è questa la nostra risposta, è questo il nostro grido della battaglia.


Pensateci: un avvocato è innanzitutto un tecnico del diritto ma con quella speciale capacità di saper trovare la luce nelle singole fattispecie che gli vengono di volta in volta sottoposte dai clienti: intuizione, logica, umanità, intelligenza, talento, genio, chiamatelo come volete, ma questo è il segreto della nostra amata professione. 


E non è merce di scambio, non è trattabile.


Ora non è più tempo di fare gli avvocati: oggi dobbiamo esserlo.


Fino in fondo.


Avv. Donato De Tullio


Immagini dell’intervento del Presidente


  


L’applaudito intervento del Presidente Avv. Francesco Logrieco


 


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