GIUNTA DELL’UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE


Delibera del 24 ottobre 2011


La Giunta dell’Unione delle Camere Penali,


premesso


che il diritto di difesa costituisce uno dei capisaldi dello Stato democratico ed il difensore ne è l’interprete essenziale;
che nell’attuale momento storico, una serie di elementi mirano ad indebolire, e di fatto indeboliscono, la funzione e la figura del difensore.


considerato


che, in particolare, la funzione difensiva subisce pesanti attacchi, con puntualità denunciati dalle Camere Penali locali e dall’Unione delle Camere Penali, con i quali si produce l’effetto d’intimidire e di screditare i difensori, e con loro il diritto di difesa previsto e garantito dalla Costituzione repubblicana tra i diritti fondamentali della persona;
che, a dimostrazione di ciò, prende sempre più piede, con l’avallo della giurisprudenza, la prassi distorta di ritardare l’iscrizione nel registro degli indagati, per poter escutere senza l’assistenza del difensore la persona nei cui confronti si sviluppano indagini e risultano già indizi di reato;
che, comunque, si assiste ad un attentato al segreto professionale, portato mediante la frequente, benché illegale, auscultazione delle comunicazioni tra il difensore ed il proprio assistito, le quali da tempo hanno perso la loro inviolabilità;
che, al riguardo, si passa dalla consuetudine di «fingere» di non capire quando l’intercettato sta parlando con il difensore, all’ascolto consapevole e senza infingimenti, per arrivare alla dichiarata e rivendicata illegittimità, allorquando gli stralci di conversazioni tra assistito e difensore vengono utilizzati dalla polizia giudiziaria per richiedere atti d’indagine al pubblico ministero;
che addirittura si giunge, sempre più spesso, alla trascrizione di tali conversazioni negli atti di polizia giudiziaria, quando non, addirittura, in atti della magistratura;
che tali prassi non vengono censurate né dai p.m. né dai giudici delle indagini preliminari, e men che meno riconosciute e contrastate dagli organi istituzionali o dall’ANM;
che da tempo la situazione viene reiteratamente denunciata anche in sede politica, tanto che in Parlamento giace una proposta di legge di modifica dell’art. 103 c.p.p. ispirata dall’Unione delle Camere Penali, la quale, ove approvata, impedirebbe tali prassi;
che viceversa, la classe politica non mostra alcuna sollecitudine su di un tema fondamentale per il diritto di difesa, che in altre società democratiche avrebbe ricevuto immediata e tempestiva risposta senza strumentalizzazioni politiche di parte;


considerato inoltre


che vi sono stati casi in cui il difensore è stato sollevato dal segreto difensivo, per giunta con abnorme provvedimento del P.M., ed illegittimamente forzato a riferire quanto appreso in costanza di esercizio del mandato difensivo;
che si moltiplicano situazioni in cui gli avvocati vengono incriminati per scelte difensive che il pubblico ministero non ritiene in linea con l’interesse dei loro assistititi;
che, accanto a queste illegalità «strumentali», non sono mancati casi di aggressione gratuita, veri e propri sfregi alla categoria ed al principio d’inviolabilità della toga, come nel caso di un agente di p.g. che ha ascoltato i commenti post-udienza tra avvocato e difeso per riferirli al p.m. il quale, incredibilmente, ha chiesto una sanzione disciplinare per il professionista anziché censurare l’ascolto;
che si è arrivati, per finire, all’irruzione delle forze di polizia nello studio di un avvocato senza il rispetto delle modalità imposte dall’art. 103 c.p.p. per arrestarne il cliente in colloquio, peraltro senza alcuna necessità, posto che tale atto ben poteva essere eseguito senza violare uno studio professionale;


affermato


che questa congerie di fatti (qui elencati per sintesi, ma oramai dimostrativi di un più che preoccupante campionario) non è una mera sequenza di casi, bensì il prodotto dell’avversione – anche schiettamente culturale – verso l’attività difensiva, ritenuta un ostacolo all’azione salvifica dell’apparato giudiziario costituito dagli organi inquirenti e dalle Procure, che si va facendo pericolosamente indistinto, per diventare l’espressione di un volto autoritario della giustizia e solo apparentemente ossequioso dei canoni elementari di civiltà e democrazia;


evidenziato


che l’attacco al diritto di difesa è favorito anche dalla grave debolezza intrinseca che oggi connota la figura stessa dell’avvocato, dematerializzata dentro un corpo di oltre duecentomila iscritti, abnorme rispetto alle reali esigenze del Paese, il quale produce un eccesso di offerta di servizi legali ed il conseguente abbassamento del livello di professionalità, di deontologia e di indipendenza – anche dal proprio assistito – non più solo limitata alle fasce deboli dell’avvocatura;
che le forze politiche, anche in questo campo, ancora non sono riuscite a dotare il Paese di una legislazione moderna, superando quella attuale che ha quasi ottant’anni ed è ormai totalmente inadeguata a governare il ceto forense in un contesto socioeconomico radicalmente mutato;
che da tempo l’avvocatura ha responsabilmente ed unitariamente proposto al Legislatore un disegno di legge di riforma, volto a modernizzare la professione forense, innalzando a pilastri della riforma il rinnovamento delle strutture ordinistiche, l’accesso alla professione fondato sul merito, l’effettività del controllo disciplinare e la sempre più indispensabile specializzazione;
che, in particolare, sono questi ultimi aspetti a costituire l’unico, serio incentivo all’accesso alla professione dei giovani più meritevoli, cui l’attuale disciplina non offre alcuna reale prospettiva se non quella di un bracciantato professionale asservito al cliente che, come detto, finisce per scardinare anche il principio fondamentale dell’indipendenza del difensore;
che il cammino parlamentare di questa riforma ha incontrato la resistenza da parte dei poteri economicamente forti i quali, pensando di trarre profitto dall’impoverimento culturale e materiale dell’avvocatura, professano una selvaggia e distorta concorrenza senza qualità, non comprendendo che l’alluvione dei numeri contribuisce significativamente allo stato comatoso della giustizia, facendone uno dei più pesanti fattori recessivi allo sviluppo economico;
che il Parlamento ha approvato al Senato un testo di legge che, seppur depotenziando la proposta dell’avvocatura, ne mantiene a livello accettabile l’impostazione di fondo, senza alcuna incompatibilità con le linee guida di riforma degli ordinamenti professionali dettate dalla manovra di agosto;
che l’Unione delle Camere Penali, unitamente alle altre associazioni specialistiche, al Consiglio Nazionale Forense ed a tutte le articolazioni tradizionali dell’avvocatura, ha sollecitato e sollecita l’approvazione definitiva della riforma professionale, senza alcun ulteriore arretramento che finirebbe per neutralizzarne gli effetti, ed intende dedicare a questa battaglia ogni propria energia finché l’obiettivo non sarà conseguito;


rilevato


che il primo presupposto per il pieno esercizio del diritto di difesa è la possibilità di esplicarlo all’interno di un processo Giusto, inteso come luogo in cui vi sia una effettiva parità delle parti processuali;
che l’indebolimento del diritto di difesa trova ragione anche nella scarsa tutela dello stesso da parte della giurisdizione, che legittima le prassi devianti in nome di un malinteso senso di appartenenza di due soggetti indistinti, pm e giudici, contrapposti ad un altro diverso ed estraneo, il difensore;
che nel nostro Paese, ben oltre vent’anni dopo l’introduzione del processo accusatorio, ancora il pubblico ministero ed il giudice sono avvinti in un’unica carriera, che si dispiega sotto il controllo del medesimo organo unico di governo autonomo e disciplinare;
che ciò comporta che il giudice non sia «terzo», e ne conseguono violazioni patenti dell’art. 111 della Costituzione;
che tale «vulnus» potrà essere rimosso solo con l’approvazione di una riforma della giustizia che separi le carriere dei magistrati, che distingua gli organi di governo autonomo rispettando lo statuto di indipendenza del pm dall’esecutivo, che istituisca un organo disciplinare differenziato per la magistratura giudicante e per quella requirente, che sottragga effettivamente alle Procure della Repubblica l’incontrollata scelta dell’azione penale che oggi si registra, restituendo vigore al principio di obbligatorietà dell’azione penale attraverso la verifica dei criteri di priorità;
che la proposta di riforma costituzionale che prendeva in considerazione tali aspetti appare ferma su un binario morto, paralizzata sia dall’inaccettabile veto della magistratura che, come ai tempi delle commissioni bicamerali De Mita e D’Alema, impone i propri diktat su questa materia all’intera classe politica, sia dalla mancanza di determinazione di chi antepone sempre la ricerca di mediazioni sotterranee alla coerente e determinata azione riformatrice, sia infine dalla sudditanza e dalla strumentalità di quelle parti politiche che non comprendono che il tema dell’assetto dei poteri dello Stato non può essere affrontato in nome delle convenienze elettorali o del piccolo cabotaggio politico ovvero lo appaltano al sindacato dei magistrati;


ritenuto


che la situazione sopra descritta desta grande preoccupazione e deve essere adeguatamente contrastata sia mediante una reazione culturale suscitata da una idonea informazione dell’opinione pubblica, sia portando a compimento i progetti normativi che pendono in Parlamento;


preso atto e condivise


le indicazioni pervenute su tutti questi aspetti dal Congresso straordinario recentemente tenuto,


denuncia


la gravità dell’attacco in corso alla funzione difensiva e, quindi, ad uno dei diritti primari della persona sanciti dalla Costituzione repubblicana,


delibera


l’astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria nel settore penale per i giorni 14, 15, 16, 17 e 18 novembre 2011, nel rispetto della normativa di legge in materia e del codice di autoregolamentazione;


invita


le Camere Penali territoriali ad organizzare nei giorni intermedi di astensione assemblee, aperte alla cittadinanza, per rappresentare lo stato del diritto di difesa all’interno del Paese.


indice


due manifestazioni nazionali, per i giorni 14 novembre 2011 a Verona e 17 novembre 2011 a Roma secondo un programma che verrà al più presto reso noto;


dispone


la trasmissione della presente delibera al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della Giustizia, ai Presidenti dei due rami del Parlamento, ai Capigruppo di tutte le forze politiche della Camera e del Senato, alle Autorità Giudiziarie.


Roma, 24 ottobre 2011









Il Segretario


Avv. Franco Oliva


kkkkkaklkdslklksalk


Il Presidente


Avv. Valerio Spigarelli