RIDUZIONE DELL’IMPOSTA COMUNALE SUGLI IMMOBILI
di Gennaro Di Gennaro
Sommario:
L’imposta comunale sugli immobili, ben nota con l’acronimo di I.C.I., disciplinata dal D. Lgs. n. 504/92, costituisce il tributo comunale “ più importante sia per l’entità del gettito, sia per gli ampi poteri attribuiti ai Comuni nell’accertamento e nella riscossione “ [1].
Con l’introduzione dell’imposta comunale sugli immobili si è assistito al “ … riordino della fiscalità immobiliare, realizzato attraverso la contestuale esclusione dall’Ilor dei redditi immobiliari e la soppressione dell’Invim …” [2].
Il tributo de quo, che dal 1° Gennaio 2014 sarà sostituito dall’Imposta Municipale Unica [3](I.M.U.), colpisce i terreni agricoli [4], le aree fabbricabili [5] e ogni altro immobile, fatte salve le prescritte esenzioni normative [6].
Trattasi di una prestazione imposta dovuta, per espressa previsione legislativa [7], dai proprietari nonché dai titolari di diritti reali di godimento.
Per i beni immobili in locazione finanziaria, l’imposta è dovuta dall’utilizzatore (o locatario); nel caso di concessione di beni pubblici, invece, soggetto passivo del rapporto tributario è il solo concessionario.
Il Legislatore ha stabilito i criteri pratico-matematici attraverso i quali determinare la base imponibile sulla quale applicare le aliquote stabilite, a norma dell’art. 6 del D. Lgs. n. 504/92, dal Consiglio comunale di ciascun Ente impositore [8]“… con deliberazione da adottare entro il 31 Ottobre di ogni anno, con effetto per l’anno successivo “.
Giova puntualizzare, anche al fine di rimuovere il campo da ogni dubbio, che titolare dello ius impositionis, in ordine al tributo in parola, è solo ed esclusivamente il Comune nel cui àmbito territoriale il bene immobile è ubicato.
Il Comune, in quanto attivamente legittimato ad esigere le prestazioni tributarie, è altresì investito del potere di esercitare ogni opportuna attività accertativa volta a recuperare materia imponibile sottratta a tassazione.
E’ stato autorevolmente osservato che “ I comuni accertano e riscuotono il tributo, ma, per l’accertamento, si avvalgono – tra l’altro – dei dati catastali, che sono gestiti dall’Agenzia del territorio “ [9].
L’adozione dell’atto impositivo potrà avvenire solo a seguito di una fase istruttoria nel corso della quale l’organo deputato all’accertamento sarà tenuto a valutare sia gli elementi a favore dell’Ente creditore, che quelli favorevoli al contribuente.
Solo quando detta fase, “.. fase necessaria di ogni procedimento ( viene definita il “ cuore “ o il baricentro del procedimento )” [10], si sarà conclusa con la completa e corretta valutazione di tutti gli elementi acquisiti, l’organo amministrativo sarà in grado di accertare l’avvenuta violazione, o meno, delle disposizioni tributarie.
Secondo autorevole dottrina [11]“ L’istruttoria è la fase del procedimento funzionalmente volta all’accertamento dei fatti e dei presupposti del provvedimento ed alla acquisizione e valutazione degli interessi implicati dall’esercizio del potere “.
Non sempre, però, il bene (immobile) è nelle condizioni di essere utilizzato o abitato.
Una simile circostanza, che non sia frutto di una mera valutazione soggettiva del contribuente, ma che, invece, trovi riscontro in una situazione oggettivamente sussumibile in un paradigma normativo, precluderebbe al contribuente di poter conseguire i vantaggi connessi alla titolarità reale ( diritto di proprietà o altro diritto reale di godimento) del bene economico.
De facto, il contribuente sarebbe costretto a sostenere solo oneri tributari ed extratributari senza poter trarre dall’immobile alcun effettivo ed “ampio” godimento, diretto o indiretto ( attraverso, per esempio, la cessione in locazione del bene).
L’odierno scritto, dunque, punta ad analizzare se, e secondo quali modalità, sia possibile invocare, in materia di Imposta comunale sugli immobili, un trattamento impositivo “più mite” rispetto a quello ordinariamente praticato dall’Ente creditore ( id est dal Comune ).
2. I PRESUPPOSTI DI FATTO E DI DIRITTO FONDANTI LA RIDUZIONE DEL TRIBUTO
Il Decreto Legislativo n. 504/92 prescrive che il contribuente, proprietario o titolare di diritti reali minori, che possieda un immobile inagibile o inabitabile, può invocare la riduzione dell’ imposta comunale, eseguendo, così, una prestazione tributaria pari al 50% di quella che sarebbe stata dovuta in situazioni di normalità.
In particolare, ai sensi dell’art. 8 del predetto atto normativo, “ L’imposta è ridotta del 50 per cento per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell’anno durante il quale sussistono dette condizioni. L’inagibilità o inabitabilità è accertata dall’ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, che allega idonea documentazione alla dichiarazione. In alternativa il contribuente ha facoltà di presentare dichiarazione sostitutiva ai sensi della legge 4 gennaio 1968, n. 15, rispetto a quanto previsto dal periodo precedente..” .
In primis, occorre precisare che l’immobile deve essere inabitabile o inagibile e, di fatto, non utilizzato dal contribuente.
Trattasi di una condizione indispensabile, dalla quale non si può minimamente prescindere, ai fini della riduzione dell’anzidetta imposta.
L’art. 59 del D. Lgs. n. 446/97 consente ai Comuni di stabilire, con regolamento ad hoc adottato a norma dell’art. 52 dell’anzidetto corpus normativo, le condizioni ( id est i presupposti) fondanti l’inabitabilità o l’inagibilità.
Dette caratteristiche dovranno oggettivamente interessare l’immobile, per il quale la riduzione è richiesta, sin dal momento in cui si invoca “ l’agevolato trattamento tributario” e dovranno necessariamente persistere sino a quando la prestazione patrimoniale sarà effettivamente eseguita “ in misura ridotta”.
L’inabitabilità sussiste, a parere di chi scrive, nelle seguenti ipotesi ( aventi natura meramente esemplificativa):
– Irreversibile pericolo di crollo;
– Impianto elettrico non a norma, fonte di pericolo concreto per chiunque intenda utilizzare l’immobile;
– Pavimento completamente, o quasi, divelto;
– Servizi igienico-sanitari obsoleti, completamente da rifare e privi di allacciamento alla rete fognaria;
– Altezza dei soffitti inferiore a quella minima prescritta.
L’inagibilità, invece, potrebbe ben essere desunta anche dalle seguenti circostanze:
– Cedimento differenziale, serio ed evidente, del terreno;
– Crepe sui muri e sui pavimenti, dovuti anche al citato cedimento;
– Concreto pericolo di crollo a seguito di eventi naturali.
Qualora sussista anche una delle predette condizioni il contribuente potrebbe, a parere di chi scrive, invocare la riduzione di cui al citato art. 8, primo comma, del D. Lgs. n. 504/92.
Le cause suindicate, la cui elencazione non può che considerarsi meramente esemplificativa, precludono al contribuente di godere del bene e di trarne, dalla materiale e concreta disponibilità [12], vantaggi patrimoniali e non.
Si condivide, in tale sede, quanto è stato acutamente [13] osservato in ordine alla riduzione del tributo I.C.I. che il contribuente potrebbe invocare per gli immobili ubicati in zone montane dichiarate franose.
L’alto rischio di frane, situazione di pericolo concreto, costituisce a parere di chi scrive, purchè documentalmente provato da atti tecnici e valutativi, valida ragione per usufruire della riduzione della prestazione tributaria, stante l’oggettiva inidoneità del bene immobile ad essere utilizzato.
Rileva precisare, in ogni caso, che l’Ente impositore non concede ex officio la riduzione anzidetta.
E’ il contribuente, in quanto portatore di un interesse legittimo, concreto e attuale, il soggetto attivamente legittimato a proporre, all’Ufficio tributi del Comune nel cui àmbito territoriale è ubicato il bene, una domanda ad hoc.
L’istanza di parte è preordinata a conseguire un (favorevole) provvedimento amministrativo che riconosca, in capo al soggetto istante, il diritto soggettivo di versare solo la metà del tributo liquidato.
Non è da escludersi, inoltre, che il contribuente, anche dopo aver rimosso le cause della inagibilità o della inabitabilità, possa usufruire della “totale” esenzione dal pagamento dell’I.C.I., prescritta dall’art. 7, lett. g), del D. Lgs. n. 504/92.
La citata disposizione prescrive che sono esenti dall’imposta “ i fabbricati che, dichiarati inagibili o inabitabili, sono stati recuperati al fine di essere destinati alle attività assistenziali di cui alla L. 5 febbraio 1992, n. 104, limitatamente al periodo in cui sono adibiti direttamente allo svolgimento delle attività predette; “.
L’ipotesi normativa appena descritta consente al contribuente di praticare la possibilità di trasformare la riduzione del tributo in completa esenzione.
3. L’ITER PROCEDIMENTALE (AMMINISTRATIVO) AI FINI DELLA RIDUZIONE DELLA PRESTAZIONE TRIBUTARIA
Il contribuente che intenda versare un’imposta ridotta, è tenuto a proporre un’apposita istanza [14] indirizzata al Funzionario responsabile dell’Ufficio tributi.
La proposizione della domanda de qua comporta l’instaurazione di un procedimento amministrativo [15] nel corso del quale l’Ufficio dovrà valutare la fondatezza, in punto di fatto e di diritto, delle ragioni addotte dall’istante e poste a sostegno della domanda di riduzione.
Il responsabile del procedimento sarà giuridicamente tenuto a vigilare sul corretto esercizio dell’attività amministrativa, onde evitare che la stessa si riveli causativa di ingiusto pregiudizio per il contribuente.
Secondo autorevole Dottrina [16] “ Il responsabile del procedimento risponde ad esigenze di funzionalità e trasparenza dell’azione amministrativa, ma ha rilievo organizzativo, in quanto modifica, arricchendolo, il ruolo della persona o dell’ufficio individuato come responsabile in relazione a ciascun procedimento “.
E’ opportuno che il contribuente, anche in ossequio all’art. 10, comma primo, della Legge 212/2000 ( Statuto dei diritti del contribuente), alleghi tutta la documentazione reputata utile a dimostrare l’effettivo stato di inabitabilità e/o inagibilità dell’immobile.
L’allegazione di rilievi fotografici [17], a titolo d’esempio, rappresentativi dello stato dei luoghi, potrebbe contribuire a provare la fondatezza della domanda presentata dal contribuente.
Ai sensi dell’art. 8, primo comma, del Decreto Legislativo n. 504/92, l’ Ufficio tecnico comunale potrebbe disporre, nel corso del procedimento anzidetto, una perizia tecnica [18] al fine di stabilire l’esistenza, o meno, dei fatti denunciati dal contribuente.
Se per certi versi la perizia de qua potrebbe rimuovere qualsiasi dubbio, per altri, invece, il ricorso agli accertamenti tecnici potrebbe rappresentare, per il contribuente, fonte di inutili e rilevanti spese.
Infatti, tutti gli oneri occorrenti per l’accertamento dello stato dei luoghi sono [19] ad esclusivo carico del contribuente – istante.
Ne consegue che la scelta dell’Amministrazione, di disporre la perizia tecnica, sarebbe irragionevole [20]: 1)ove dagli atti del procedimento emerga, in maniera incontrovertibile, l’esatta corrispondenza tra le argomentazioni formulate dal contribuente e la realtà di fatto; 2) ove il risparmio d’imposta che il contribuente potrebbe conseguire si riveli alquanto irrisorio rispetto alla spesa da sostenere per la perizia tecnica [21].
Non è da escludersi che anche le ragioni de quibus siano state tra quelle per le quali l’Amministrazione Finanziaria [22] ha precisato che la “ dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa dal contribuente ai sensi della legge 4 gennaio 1968 n. 15, agli effetti della riduzione alla metà dell’I.C.I., in ordine allo stato di inagibilità o inabitabilità del fabbricato, ha una portata esaustiva. Essa, quindi, sostituisce anche la perizia dell’U.T.E.. Ovviamente il comune può attivarsi per verificare se la dichiarazione è mendace, con i conseguenti riflessi sul piano penale“.
E’ stato, pertanto, autorevolmente osservato che “ In alternativa, il proprietario dell’immobile può presentare una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ai sensi della L. 4 Gennaio 1968, n. 15, in cui attesta, sotto la propria responsabilità anche penale, la sussistenza delle condizioni per usufruire dei benefici della legge “ [23].
4. IL RIGETTO DELL’ISTANZA E I POSSIBILI RIMEDI PROCESSUALI ED AMMINISTRATIVI
Quid iuris in caso di rigetto della domanda di riduzione dell’imposta comunale sugli immobili ?
Il contribuente-istante è attivamente legittimato a impugnare l’atto amministrativo ( a lui sfavorevole)?
Trattandosi di un procedimento amministrativo instauratosi previa iniziativa del contribuente troverebbe applicazione, a parere di chi scrive, l’art. 10- bis della Legge 241/90.
Ai sensi della predetta disposizione, titolata “ Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza”, “ Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda …”.
Il contribuente, entro i 10 giorni successivi al ricevimento della comunicazione, può presentare memorie e produrre ulteriori documenti volti a impedirne il diniego.
La disposizione in parola consente al privato di partecipare all’iter procedimentale sia per motivi di natura difensiva che per ragioni di carattere collaborativo.
Secondo Autorevolissima [24] dottrina “ Funzione precipua di detto preavviso è quella di implementare il contraddittorio nella fase procedimentale nei casi in cui il procedimento amministrativo iniziato su istanza di parte appaia doversi concludere con un provvedimento sfavorevole nei confronti dell’istante; ciò al fine, da un lato, di raccogliere ulteriori informazioni utili ai fini dell’emanazione dell’atto finale del procedimento e, dall’altro, di anticipare in tale fase le richieste che potrebbero essere addotte in un successivo giudizio, comportando dunque una potenziale diminuzione del contenzioso tra P.A. e privati “.
Le medesime ragioni ( di difesa e di collaborazione) consentono al contribuente, a parere di chi scrive, di esercitare il diritto d’accesso, secondo quanto prescritto dagli artt. 22 e segg. della Legge n. 241/90, ricondotto da Autorevole dottrina [25] nell’àmbito del diritto all’informazione.
Ciò nonostante, l’Ufficio potrebbe addivenire a conclusioni impedienti l’applicazione dell’art. 8 del D. Lgs. n. 504/92, per ritenuto difetto delle prospettate circostanze di inagibilità o inabitabilità.
Pertanto, in ossequio ai principi del buon andamento della Pubblica Amministrazione, di cui all’art. 97 della Costituzione, nonché della collaborazione e della buona fede [26] prescritti dallo Statuto dei diritti del Contribuente, l’Ufficio è tenuto, in sede di rigetto dell’istanza di riduzione, a motivare [27] adeguatamente e correttamente il provvedimento emesso.
La motivazione, anche in ossequio all’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dovrà permettere al contribuente di comprendere e ricostruire il percorso logico giuridico formulato dall’organo amministrativo, onde valutarne la correttezza o l’erroneità.
Qualora il contribuente, titolare di una qualificata posizione giuridico-soggettiva, intenda opporsi al provvedimento di diniego, dovrà proporre ricorso tributario [28], o, in alternativa, ricorrere all’autotutela tributaria [29].
Poiché l’invocazione dell’autotutela tributaria non comporta la sospensione del termine perentorio entro il quale adire il Giudice tributario, il contribuente ben potrebbe ricorrere in giudizio qualora, essendo ormai prossimo il decorso del termine (perentorio) finale, l’ufficio non si sia ancora pronunciato sull’istanza di riesame.
Fermo restando che, qualora l’Ente provveda a rimuovere l’atto in autotutela solo dopo l’instaurazione del rapporto processuale, l’Amministrazione non potrà andare esente dalla condanna alla rifusione delle spese processuali [30] che il ricorrente ha dovuto affrontare.
Senza escludere la possibilità concreta di valutare la sussistenza, o meno, delle condizioni fondanti l’esperimento, in sede civile, di un’azione risarcitoria ad hoc sia contro l’Ente creditore che contro il pubblico dipendente che abbia agito con mala fede o colpa grave, oltre a quella eventualmente esperita innanzi al giudice tributario ai sensi del novellato art. 96 c.p.c..
In ordine all’impugnazione del provvedimento di diniego, occorre evidenziare che esso può considerarsi menzionato tra gli atti impugnabili “ tipici” previsti dall’art. 19 del D. Lgs. n. 546/92.
La lettera h) del citato paradigma normativo si riferisce all’impugnabilità del provvedimento di diniego o di revoca “di agevolazioni”.
La domanda di riduzione dell’ I.C.I., costituisce, senza dubbio alcuno, un atto finalizzato a conseguire un’agevolazione tributaria ( consistente nella esecuzione di una prestazione pecuniaria ridotta rispetto a quella ordinariamente dovuta).
Laddove il provvedimento espresso di diniego non fosse sussumibile nell’àmbito di quelli menzionati dalla norma anzidetta, esso sarebbe ugualmente impugnabile dato che costituisce ormai ius receptum in Giurisprudenza [31] il principio secondo il quale l’elencazione contenuta nel predetto art. 19 non ha natura tassativa ( id est non costituisce numerus clausus ).
Autorevole dottrina [32], ha osservato che “ Nelle prerogative di difesa del contribuente, alle Commissioni Tributarie è affidato il compito delicatissimo di verificare se l’atto impugnato, a prescindere dal nomen iuris o dall’inserimento del Legislatore nell’ambito dell’art. 19 D. Lgs. 546/1992, sia espressione di una pretesa tributaria ben definita “.
La proposizione del ricorso tributario, avverso un provvedimento di diniego “espresso”, non dovrebbe essere accompagnata dall’istanza di sospensiva, stante l’oggettiva insussistenza del periculum in mora in ordine ad un provvedimento insuscettibile di dar luogo alla procedura esecutiva.
Qualora, invece, l’Amministrazione dovesse tenere, a fronte della citata istanza, un comportamento meramente inerte, il silenzio serbato darebbe luogo, ad avviso di chi scrive, alla fictio iuris prescritta dall’art. 20 della Legge n. 241/90.
Secondo l’anzidetta disposizione “… Nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio dei provvedimenti amministrativi il silenzio dell’Amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda …”.
L’applicabilità dell’art. 20 si rivela più concreta se si considera il percorso argomentativo ed ermeneutico seguito dalla Corte Costituzionale, seppure per questioni differenti, nell’Ordinanza n. 244 del 24/07/2009.
5. LA PRONUNCIA DEL GIUDICE DI LEGITTIMITA’ IN MERITO ALLA RIDUZIONE DEL TRIBUTO A SEGUITO DI EVENTO DISTRUTTIVO DELL’IMMOBILE
La Suprema Corte [33] di Cassazione ha definito una controversia particolarmente interessante in ordine al diritto del contribuente di versare il tributo comunale in misura ridotta, anche quando abbia omesso di presentare la dichiarazione-istanza per denunciare fatti ( notori e rilevanti ai fini della prescritta riduzione) di cui l’Ente impositore era già a conoscenza.
Ciò in considerazione del fatto che determinati eventi, in quanto costituenti fatti notori, non possono non essere conosciuti dall’Amministrazione anche secondo quanto stabilito dai principi [34] contenuti nello Statuto dei diritti del contribuente.
Il fatto trae origine da un avviso di liquidazione I.C.I., notificato al contribuente e relativo ad un immobile per il quale non solo era intervenuta, ad opera del Comune, la revoca della licenza abilitativa all’esercizio dell’attività all’interno dell’ immobile de quo, ma era noto anche all’intera collettività locale ( trattandosi di sala cinematografica) che il bene, di fatto, era rimasto inutilizzato.
Il Comune reputava illegittima la condotta del contribuente che, in difetto di istanza di riduzione, aveva provveduto, in autoliquidazione, a versare solo il 50% dell’imposta comunale dovuta.
L’intervento della Suprema Corte ha permesso di risolvere i dubbi circa l’obbligo della preventiva domanda di riduzione, ogniqualvolta risulti che l’Ente non poteva non conoscere il fatto legittimante la riduzione de qua.
In particolare, il Giudice di Legittimità ha statuito che “ Il contribuente non è tenuto a provare per via documentale all’ente impositore fatti e circostanze altrimenti note e conosciute, giusta il disposto dell’art. 10. L. n. 212/2000 “ , ammettendo, così, la legittimità della denuncia “di inagibilità e/o di inabitabilità” per facta concludentia.
Per la Suprema Corte, avendo il Comune revocato la licenza per l’esercizio dell’attività, il contribuente non era tenuto a provare la sussistenza di fatti che emergevano dai documenti in possesso della stessa Amministrazione e, quindi, “ … documentalmente noti all’ente impositore “.
Ciò, anche in ossequio all’art. 6, comma quattro, della Legge 212/2000, secondo cui “ Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’Amministrazione finanziaria o di altre Amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente “.
L’intervento del Supremo Organo Giurisdizionale, ha modificato il precedente orientamento giurisprudenziale di Legittimità [35] secondo cui la riduzione della prestazione tributaria era subordinata solo all’avvenuta presentazione di un’istanza cui avrebbe fatto seguito l’espletamento di un’attività accertativa da parte dell’Amministrazione ( id est dell’ organo deputato).
6. IPOTESI DI SOPRAVVENUTA INABITABILITÀ O INAGIBILITÀ, DOPO IL PAGAMENTO DELL’I.C.I. PER L’INTERO ANNO SOLARE.
Come è noto, il pagamento dell’I.C.I. può avvenire in due soluzioni, entro il 16 Giugno [36] ( pagando il tributo per i primi sei mesi dell’anno) ed entro 16 Dicembre ( versando la somma corrispondente ai restanti mesi), ovvero in un’unica soluzione, versando entro il 16 Giugno l’imposta comunale dovuta per l’intero anno solare.
Sono frequenti, in realtà, i casi in cui i contribuenti, soprattutto per ridurre il numero degli atti adempitivi, preferiscono pagare “ subito e tutto”.
Quid iuris se dopo il 16 Giugno l’immobile per cui è stato già interamente versato il tributo diviene inagibile o inabitabile ?
Il contribuente dovrebbe seguire, a parere di chi scrive, il seguente iter: 1) Presentare la domanda di riduzione, unitamente ai documenti ritenuti utili; 2) Munirsi del provvedimento “autorizzatorio” adottato dall’Ente impositore; 3) Presentare istanza di rimborso [37] relativa all’ I.C.I. versata e non dovuta.
Sempre a parere di chi scrive, il contribuente potrebbe in alternativa al rimborso ( i cui tempi di erogazione non sono sempre brevi), compensare [38] il credito I.C.I. con l’eventuale debito che per il medesimo tributo maturerà l’anno successivo avvalendosi, così, della compensazione cosiddetta “ interna” o “ verticale”.
7. IMMOBILE COSTITUENTE IL FONDO PATRIMONIALE
Qualora l’immobile inabitabile e/o inagibile, per il quale è invocata la riduzione del tributo I.C.I., sia stato conferito in un fondo patrimoniale costituito a norma degli artt. 167 e ss. del Codice civile, l’istanza dovrà essere presentata ( e sottoscritta) da entrambi i coniugi o, in determinati casi, da uno solo.
In ossequio all’art. 3 del D. Lgs. n. 504/92, titolato “ Soggetti passivi”, la domanda sarà sottoscritta da entrambi i coniugi, se risulteranno comproprietari o contitolari del diritto reale limitato, o, invece, dal solo coniuge che risulterà esclusivo proprietario ( o titolare del diritto reale di godimento) del bene immobile per il quale si invoca la predetta riduzione.
Giova rammentare, a riguardo, che ai sensi dell’art. 168 del Codice civile “ La proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione”.
Ne consegue che soggetto passivo del rapporto giuridico d’imposta sarà, anche per il cespite conferito nel fondo anzidetto, il solo coniuge proprietario il quale, peraltro, sarà anche legittimato a invocare la riduzione della prestazione tributaria in parola.
Le argomentazioni fornite dall’Amministrazione Finanziaria [39], unitamente al percorso argomentativo seguito dalla Giurisprudenza [40], conducono a consolidare la tesi secondo cui il conferimento dell’immobile nel fondo patrimoniale, senza alcun trasferimento del diritto di proprietà o costituzione di un diritto reale di godimento, non produce effetti traslativi, creando solo un mero vincolo di destinazione del bene ( destinato alla concreta soddisfazione dei bisogni della famiglia).
La previsione normativa di cui all’art. 8 del D. Lgs. n. 504/92 costituisce, a parere di chi scrive, anche attuazione degli artt. 3 e 53 della Carta Costituzionale.
La disposizione de qua consente al contribuente, parte del rapporto obbligatorio d’imposta, di adempiere l’obbligazione tributaria in “ misura ridotta” in presenza di eventi limitativi ( se non estintivi) del diritto di godere della res.
Quid iuris se il contribuente, al solo fine di conseguire un indebito risparmio d’imposta, propone l’istanza in parola unitamente alla dichiarazione sostitutiva con la consapevolezza che lo stato di fatto denunciato non coincide con la situazione effettiva, reale e concreta?
A parte i profili di carattere penale, che ben potrebbero connotare la condotta del soggetto istante, la suddetta ipotesi darebbe luogo, a parere di chi scrive, ad un vero e proprio abuso del diritto.
Giova, a riguardo, citare l’insegnamento della Suprema Corte di Cassazione [41], Sezioni Unite, secondo cui in materia tributaria il divieto di abuso del diritto consiste in un principio generale antielusivo che “ … preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta …”.
La condotta del contribuente si fonderebbe, in ordine al profilo soggettivo, sul dolo specifico: l’agire con coscienza e volontà al solo fine di conseguire un indebito vantaggio fiscale, abusando, così, del paradigma normativo falsamente invocato per il caso di specie.
Dott. Gennaro Di Gennaro
Note
- Nell’ambito del Federalismo fiscale municipale, l’Imposta Municipale Unica sostituirà dal 1° Gennaio 2014 l’IRPEF sui Redditi fondiari e l’Imposta Comunale sugli immobili (I.C.I.); più approfonditamente, G. TROVATI, IL FISCO FEDERALISTA AVVIA UNA PARTITA DA 80 MILIARDI L’ANNO, IL SOLE 24 ORE del 07/03/2011, pag. 5.
- Ai sensi dell’art. 7, lettera h), del D. Lgs. n. 504/92, sono esenti dal tributo in parola “ I terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell’art. 15 della L. 27 Dicembre 1977, n. 984 “. Il Ministero delle Finanze, con circolare n. 9 del 14/06/1993, ha individuato i Comuni nel cui ambito territoriale sono ubicati i terreni agricoli per i quali non è dovuta l’Imposta comunale sugli immobili.
- Il Legislatore, superando i dubbi interpretativi determinati dall’art. 2, lett. b), del D. Lgs. n. 504/1992, è intervenuto con una norma di interpretazione autentica. Con la disposizione de qua il Legislatore, in merito alle aree di cui alle lettere C, D e F del Decreto ministeriale n. 1444/1968, ha disposto che la natura edificatoria sussiste a prescindere dall’adozione di un piano attuativo.
- In ordine alla competenza per materia, circa la determinazione dell’aliquota i.c.i, giova menzionare la sentenza n. 314, del 25/01/2008, adottata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bari. Con la predetta decisione, l’onorevole collegio ha statuito che “ E’ illegittima la delibera della Giunta comunale per la determinazione dell’aliquota I.C.I. per l’anno 2001, in quanto emessa in violazione della Legge n. 662/96, art. 3, c. 53, che ne attribuisce, invece, la competenza al Consiglio comunale “.
- A parere di chi scrive, il contribuente potrebbe, nella medesima istanza di riduzione, manifestare espressamente una volontà contraria alla disposizione della perizia tecnica. Opponendosi alla perizia de qua, il contribuente subordinerebbe, così, l’accoglimento dell’istanza di riduzione alla valutazione di atti e documenti diversi dalla citata perizia e non costituenti, per l’istante medesimo, fonti di significative spese.
- La Commissione Tributaria Provinciale di Bari, con sentenza n. 29 del 17/03/2009, ha statuito il principio secondo cui “ Il contribuente, che, dopo aver presentato istanza di riesame in autotutela, stante il silenzio dell’Amministrazione, ha introdotto un giudizio in cui è stata dichiarata cessata la materia del contendere per intervenuto, nel frattempo, annullamento in autotutela dell’atto opposto, ha diritto al rimborso delle spese di giudizio quale forma di ristoro dell’ingiustificato pregiudizio cagionatogli dall’inerzia dell’Amministrazione ad evadere le sue giuste richieste”.
- La Corte di Cassazione, SS.UU., con sentenza n. 10672/2009, ha statuito che “ … costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale l’elencazione contenuta nell’art. 19, D. Lgs. n. 546/1992, non rappresenta ulteriormente un numerus clausus in quanto deve ritenersi impugnabile avanti alla giurisdizione tributaria ogni atto, indipendentemente dalla forma o denominazione, che rechi una pretesa nei confronti del destinatario deducendo la sussistenza di un rapporto giuridico d’imposta suscettibile, pertanto, di far insorgere nel destinatario l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. spiegando le proprie difese davanti al giudice naturale “.