IN EUROPA LA MEDIACONCILIAZIONE È FACOLTATIVA
E FUNZIONA BENE NEL PROCESSO


1. La mediaconciliazione in Italia è obbligatoria anche per questioni di grande valore. Senza l’assistenza necessaria dell’avvocato. Senza competenza territoriale. Con costi anche sostenuti. Con una proposta del conciliatore devastante. Obbligatoria e onerosa. Senza scampo. Affidata in massima parte a società di capitali che svolgono funzioni di Camere di Conciliazione.
Nel mondo (tranne che in Argentina) la media conciliazione è facoltativa e spesso endoprocessuale (come emerge da un importante studio dell’avv. Valentino De Castello).
Nel sistema americano, ove pure il sistema della conciliazione ha trovato origine e che negli anni ’80 e nei primi anni del ‘90 era caratterizzato dall’assenza di schemi rigidi istituzionali e da una pluralità di procedure di conciliazione – sempre facoltative per le parti – che si svolgevano fuori dal processo, l’Administration Dispute Resolution Act del 1998 ha introdotto la forma che più ha trovato successo, e cioè una conciliazione che si svolge all’interno del processo (endoprocessuale) e comunque sotto la direzione del Giudice, che può avocare a sé il tentativo di conciliazione o può – come nella enorme pluralità dei casi – delegare a un terzo mediatore la conciliazione medesima.
Nell’esperienza americana esistono, inoltre, varie tipologie di conciliazione, tutte comunque facoltative.
Ma la conciliazione endoprocessuale, oltre a rappresentare la tipologia più attuale nel panorama nordamericano, costituisce, allo stato, anche il punto di arrivo di un’evoluzione convergente di tutti gli altri tipi di conciliazione.


2. Anche in Australia è il processo il luogo tradizionalmente favorevole alla conciliazione. I poteri conciliativi del giudice australiano si inseriscono, come quelli del giudice americano, tra i poteri di gestione della controversia, e in quanto tali, la loro importanza anche testuale è cresciuta con la progressiva managerializzazione della funzione giudicante
Anche in Australia, infatti, il sistema endoprocessuale risulta essere il tipo procedimentale attualmente privilegiato, disponendo, la maggior parte delle corti australiane, di un programma di conciliazione interna, nell’ambito del quale viene conferito al giudice il potere di inviare le parti ad una procedura di mediazione anche esterna. Il potere di invio riconosciuto al giudice si inserisce fisiologicamente nell’ambito dei poteri di case management e, in particolare, tra i poteri destinati a promuovere una più efficace trattazione delle controversie civili e commerciali.


3. Nel sistema inglese va tenuto in conto innanzitutto il ruolo conciliativo del giudice, che ha in questo caso veri poteri manageriali.
È vero che esistono meccanismi conciliativi che precedono il processo – i c.d. pre action protocols – ma è anche vero che non sono obbligatori per le parti e prescindono da un intervento conciliativo in senso stretto di un terzo e del giudice in particolare, promuovendo solo lo scambio anticipato di informazioni e la preparazione del caso da parte degli avvocati di vere e proprie transazioni.
Tuttavia anche i pre-action protocols sono procedimenti inscindibilmente e funzionalmente collegati con il processo, e con il giudice che decide la controversia, che, inizialmente estraneo al meccanismo transattivo pre-processuale pilotato solo dagli avvocati, svolge in realtà, anche in questo caso, una funzione conciliativa potendo valutare il comportamento delle parti in questa fase e comminare sanzioni pecuniarie.
Quindi ad eccezione di questi meccanismi, dove comunque la figura dominante è l’Avvocato, il sistema inglese conosce soprattutto la conciliazione endoprocessuale, con l’esercizio dei poteri conciliativi da parte del giudice inglese.
Esiste, inoltre, in Inghilterra una lunga tradizione di procedure istituzionali di conciliazione stragiudiziale, gestite da enti pubblici e privati preposti alla soluzione del contenzioso in determinati e specifici settori dell’economia inglese. Tutte però rigorosamente facoltative.
Le nuove rules inglesi non si limitano ad incoraggiare la soluzione conciliativa delle controversie, né a ridefinire il ruolo conciliativo del giudice; le nuove rules, infatti, introducono anche un nuovo tipo di conciliazione che si caratterizza per la sua natura al contempo stragiudiziale e endoprocessaule. Il giudice, oltre a promuovere la conciliazione giudiziale, può e deve anche incoraggiare le parti ad utilizzare procedure alternative di natura stragiudiziale, disponendo altresì che, al fine di consentire lo svolgimento della procedura così individuata, il giudice possa disporre la sospensione del procedimento giudiziale in corso.
Con questa previsione dunque si realizza anche il Inghilterra una procedura di conciliazione al contempo endoprocessuale e stragiudiziale non dissimile da quella adottata negli Stati Uniti nell’ambito dei già descritti programmi di court annexed mediation.
Nel linguaggio giuridico inglese, tuttavia, il procedimento in esame viene denominato court refered mediation, con una differenza terminologica alla quale corrisponde anche una distinzione funzionale. Diversamente da quanto avviene negli Stati Uniti, infatti, dove le procedure in questione si sviluppano per lo più all’interno delle corti e sotto la loro supervisione (essendo questo il punto di arrivo del descritto percorso evolutivo), nella esperienza inglese il modello organizzativo è più vario: accanto ad alcuni programmi di mediazioni coordinati dagli uffici giudiziari, infatti, è prevalente il ricorso a procedure gestite in autonomia e privatamente dagli adr providers, scelti dalle parti e da queste retribuiti sulla base di un autonomo e facoltativo e mai imposto per legge rapporto contrattuale.
Il principale risultato ottenuto attraverso l’indagine sui sistemi di common low è stato quello di evidenziare l’affermazione di una mediazione e di una conciliazione facoltativa non imposta dal legislatore e soprattutto endoprocessuale o court annexed.
Non ha più molto seguito invece la volontà di scaricare il peso della conciliazione sulle parti e/o sul mediator, in particolare nei casi in cui la controversia risulti particolarmente complessa o – come non di rado accade in quei sistemi – carica di implicazioni politiche. È rimasta pertanto solo per la piccola lite bagatellare essendo parimenti e conseguentemente variegati tanto il funzionamento delle procedure di mediazione , quanto la qualità e la professionalità dei mediatori incaricati.
In ogni caso – anche per le liti bagatellari – solo il mediator controllato dall’ufficio giudiziario e che si inserisce nel processo è risultato utile a promuovere il raggiungimento di risultati più soddisfacenti rispetto a quelli che le parti potrebbero ottenere attraverso il processo stesso.
La mediazione extraprocessuale ha infatti condotto a risultati modesti e non ha avuto carattere deflattivo.


4. In Francia esiste una denominazione originale per il fenomeno della media-conciliazione, che va sotto l’acronimo MARC.
Al suo interno vi è però una netta distinzione formale tra conciliazione (conciliation) e mediazione (médiation) alla quale corrispondono due istituti distinti, anche se entrambi alternativi al processo civile tradizionale e parimenti finalizzati ad una soluzione consensuale della lite.
La conciliation in particolare è lo strumento di composizione amichevole delle liti più radicato nell’ordinamento francese e può svolgersi sia in sede giudiziale, sia in sede stragiudiziale.
La conciliazione giudiziale può essere raggiunta, su iniziativa delle parti o del giudice, in qualunque momento del processo. Il giudice, in particolare, può tentare la conciliazione all’inizio del processo ma può anche ripetere il tentativo in un momento successivo che egli reputi favorevole; che nel caso in cui le parti raggiungano un accordo, questo dovrà essere recepito in un processo verbale il quale, una volta sottoscritto, costituirà titolo esecutivo ai fini dell’esecuzione forzata.
Accanto ai meccanismi conciliativi appena descritti, esistono poi in Francia, come si è visto negli Usa e nel Regno Unito, anche altri meccanismi processuali che, pur non funzionando secondo lo schema tipico della conciliazione giudiziale, svolgono una interessante funzione conciliativa deflattiva all’interno del processo. In questa prospettiva, un cenno in particolare deve essere fatto alle procedure di rèférè per la funzione deflattiva che esse sono in grado di realizzare, e che sono caratterizzate dalla celerità del procedimento, dalla mancanza di formalismi processuali e soprattutto dal contatto immediato e diretto tra il giudice e le parti.
Accanto alla conciliation giudiziale, il sistema francese ha tradizionalmente conosciuto anche la grand conciliation che ha attribuito il potere di conciliare a soggetti terzi – i conciliatori di giustizia- che non hanno competenza giurisdizionale, ma svolgono esclusivamente funzioni conciliative.
I conciliatori di giustizia operano comunque presso i tribunaux d’istance, ma non sono magistrati, essendo selezionati tra soggetti dotati di una competenza giuridica limitata (anche se devono seguire specifici corsi di formazione e aggiornamento), al fine di svolgere un incarico necessariamente temporaneo e onorario.
Il procedimento conciliativo ha oggi natura pienamente e bilateralmente facoltativa, non sussistendo alcun onere di attivazione o partecipazione, né – ovviamente – alcuna sanzione a carico dell’attore o del convenuto che non compaiano o, comparendo, tengano comportamenti anticonciliativi.
Nella sua prima configurazione legislativa il procedimento di conciliazione aveva carattere esclusivamente extraprocessuale, potendo essere attivato prima e indipendentemente dal processo, per tentare di risolvere amichevolmente la controversia attraverso un procedimento informale e tendenzialmente riservato che, solo nel caso di accordo, poteva concludersi con un atto giuridicamente vincolante e potenzialmente destinato ad acquisire efficacia esecutiva, attraverso un procedimento di omologazione di competenza del giudice ordinario.
Nel 1995, tuttavia, questa configurazione originale – che pur ha dato discreti risultati e che per questo è rimasta operativa – ha subito una rilevante evoluzione.
Ferma la possibilità per le parti di attivare spontaneamente il procedimento, prima ed indipendentemente dal processo contenzioso, la legge 1995 ha previsto la possibilità – per il giudice nei procedimenti di competenza del tribunal d’istance e per quelli di modesto valore – di attivare la conciliation anche in sede endoprocessuale, quando cioè il procedimento contenzioso è già pendente davanti al giudice civile.
Nel sistema francese comunque il meccanismo si fonda su una delega delle funzioni conciliative, dal giudice al conciliatore, non sull’innesto di una procedura alternativa all’interno del processo ordinario; il potere di delega del giudice francese, inoltre, e soggettivamente e qualitativamente limitato, in quanto, ove intenda ricorrere alla conciliation delegata, egli può delegare la sua funzione conciliativa esclusivamente ai conciliatori di giustizia operanti presso il suo ufficio.
Il potere di delega, d’altro canto, non è vincolante per le parti, dal momento che il giudice che non intenda svolgere in prima persona il tentativo, può semplicemente invitarle a sottoporre la controversia al conciliatore di giustizia fissando a tale scopo un termine di quindici giorni: se, nel termine fissato, le parti accettano l’invito, il giudice potrà disporre la sospensione del procedimento allo scopo di consentire lo svolgimento di tentativo dinanzi al conciliatore di giustizia; qualora rifiutino, invece, l’obbligo di effettuare il tentativo tornerà ad incombere sul giudice, senza che l’eventuale rifiuto comporti alcuna conseguenza negativa a carico delle parti.
Una successiva integrazione del testo normativo, intervenuta nel corso del 2003, ha tuttavia introdotto l’ ulteriore possibilità: che il giudice possa costringere le parti a partecipare almeno ad un incontro formativo sulla conciliazione, nominando a tal fine un conciliateur “chergé de les informer sur l’objet et le déroulement de la mesure de conciliation”. Quanto al tentativo di conciliazione delegato, questo – se accettato dalle parti – si svolge, senza particolari formalità, con modalità analoghe a quelle che si applicano nel caso di conciliazione extraprocessuale; tuttavia il giudice delegante mantiene un controllo attivo sullo svolgimento della procedura e può terminarla in qualunque momento, su richiesta delle parti o del conciliatore delegato o anche d’ufficio, qualora ne ritenga utile la prosecuzione.
Altrettanto interessante risulta la più recente esperienza francese in materia di médiation.
A differenza del conciliatore, il médiateur non è una figura istituzionale; è, invece, un soggetto privato che agisce in virtù di una propria competenza tecnica nel settore del dispute processing. Benché la questione sia da tempo al centro de dibattito francese, invero, la figura del médiateur non ha nemmeno una caratterizzazione professionale, se è vero che, allo stato attuale, non esiste in Francia una regola generale in materia di formazione e qualificazione dei mediatori: la competenza di coloro che agiscono come mediatori è dunque affidata a percorsi di formazione e accreditamento non istituzionalizzati, organizzati da università o da enti pubblici o privati operanti nel settore della gestione amichevole dei conflitti e, a vario titolo, interessati alla diffusione della pratica e della cultura della mediazione.
Quanto alla configurazione normativa, la médiation può essere tanto convenzionale ed extraprocessuale, quanto endoprocessuale. Ha natura privata, è riservata e non presenta alcun collegamento con il processo civile, salvo le parti convenzionalmente creino una connessione tra procedimento alternativo e processo contenzioso, tale per cui il primo deve necessariamente precedere l’instaurazione del secondo..
Al pari di quanto accade per la conciliation, comunque, anche per la médiation, l’avvio ha però sempre carattere facoltativo. L’innesto della procedura di mediazione nel processo, cioè, è necessariamente subordinato al consenso di entrambe le parti, che dovrà essere raccolto dal giudice prima di sospendere il procedimento e nominare il mediatore, fissando il termine per lo svolgimento del procedimento e determinando l’ammontare del compenso.
L’esperienza francese, al pari delle esperienze di common law, pare avere trovato nella conciliazione (e nella mediazione) endoprocessuali il prototipo procedimentale privilegiato per lo sviluppo di questo strumento di giustizia alternativa, essendo questo il punto di arrivo dell’evoluzione dei tradizionali procedimenti di conciliazione giudiziale e stragiudiziale.


5. Il sistema germanico è quello meno influenzato dalla “moda” della giustizia alternativa.
Ciò non significa che in Germania non esiste l’istituto della conciliazione e quello della mediazione, intesi quale strumenti di definizione anticipata e consensuale delle controversie. Al contrario, in Germania, una procedura di conciliazione radicata e particolarmente efficace esiste ma è l’istituto della conciliazione giudiziale.
Il giudice tedesco, in particolare, esercita tradizionalmente una funzione conciliativa, all’interno del processo e nell’ambito dei suoi poteri di direzione, contribuendo in modo sensibile alla deflazione dei carichi giudiziari. Proprio l’effettività dei poteri conciliativi del giudice spiega lo scarso interesse verso altre forme di conciliazione e, in particolare, verso modelli stragiudiziali di conciliazione.


6. In Belgio l’istituto della mediazione e della conciliazione sta trovando spazio solo negli ultimissimi tempi.
Si tratta naturalmente di conciliazioni endoprocessuali, facoltative e l’avvio della procedura e necessariamente subordinato al consenso delle parti, non potendo il giudice ordinare la médiation, qualora una della parti rifiuti di sottoporvisi.


In Olanda l’istituto della mediazione e della conciliazione trova ampio spazio sia nella fase endoprocessuale che in quella extragiudiziale..
Ha comunque sempre carattere facoltativo, ma per alcune materie e controversie di modesto valore le decisioni dell’organismo extraprocessuale di conciliazione assumono carattere vincolante.


Anche i paesi scandinavi hanno tradizione di istituti conciliativi e di mediazione. Mantengono comunque un carattere di facoltatività, come in Svezia, e riguardano solo specifiche controversie-


In Spagna l’istituto della conciliazione e della mediazione stragiudiziale non ha ancora trovato riferimento normativo, anche se è stato recentemente redatto un progetto di legge in attuazione della Direttiva 2008/52/CE.
Il progetto spagnolo si discosta però assai dal disegno di Alfano.
La conciliazione è infatti facoltativa e mai obbligatoria a pena di improcedibilità.
Al mediatore non è dato alcun potere di proposta, ma ha il potere di verificare se l’eventuale accordo raggiunto è conforme all’ordinamento. Questo per giustificare la richiesta preparazione giuridica e la formazione del mediatore.
Insomma nessun potere invasivo viene dato al tentativo di conciliazione extraprocessuale, che mantiene i connotati di secondarietà rispetto a quello giudiziale (ove i poteri del Giudice sono peraltro assai limitati).


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7. L’esame delle realtà dei singoli Paesi consente di verificare come la conciliazione giudiziale rappresenti il procedimento di riferimento per tutti gli ordinamenti europei ed extraeuropei.
In tutte le normative viene riconosciuto il potere – dovere del giudice di tentare la conciliazione delle parti, anche se poi le modalità di sviluppo della conciliazione divergono a seconda del sistema di diritto.
Nei sistemi di common law, infatti, i poteri conciliativi del giudice si inseriscono all’interno di un processo portato alla soluzione consensuale delle liti e rappresentano quindi la naturale manifestazione del potere giudiziale, nei sistemi di civil law invece i poteri conciliativi si inseriscono all’interno di procedimenti orientati ad ottenere una risoluzione del conflitto.
L’introduzione di nuove soluzioni procedimentali, con la valorizzazione del ruolo conciliativo di terzi, avviene comunque sempre all’interno del processo, tanto da catalogare questi terzi come veri e propri ausiliari e collaboratori del giudice.
Le procedure di conciliazione stragiudiziale che si collocano al di fuori del processo non assumono in nessun ordinamento – tranne casi di scarsa valenza – il carattere della obbligatorietà, proprio per evitare una crescita selvaggia ed incontrollata di forme private e amministrate di conciliazione/mediazione, offerte da enti e associazioni privati su base tendenzialmente concorrenziale e in assenza di qualunque connessione con il processo giurisdizionale.
Comunque in quei sistemi che prevedono la conciliazione stragiudiziale, sia pur essa facoltativa, viene data massima attenzione ai profili relativi alla selezione del conciliatori, alla loro qualificazione e professionalità. Analoghe considerazioni valgono con riferimento al tema dei controlli sui tempi e sui costi delle procedure, oltre che sulla qualità del loro svolgimento e del loro esito finale.
E comunque in ogni caso le esperienze comparatistiche insegnano che sia nella conciliazione giudiziale che in quella stragiudiziale le controversie di un certo valore o di particolare complessità non possono che avere il Giudice quale naturale interlocutore fin dall’avvio della controversia.


Maurizio de Tilla
(Presidente OUA)