La sicurezza sul lavoro: il datore di lavoro nel settore privato e nel settore pubblico.
di Stefania Petruzzelli


Il sistema degli obblighi e dei soggetti obbligati, ovvero il sistema attraverso il quale si ripartisce il dovere di sicurezza e salute sul lavoro, ha subìto una significativa evoluzione normativa, in grado di incidere profondamente sull’organizzazione aziendale.
In base all’art. 2087 cod. civ., nonché alle disposizioni del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (“Testo unico sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”) e successive modifiche ed integrazioni (D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106 e Legge 26 febbraio 2010, n. 25, art. 6, co. 9-ter), il datore di lavoro, sia pubblico che privato, è il principale soggetto onerato dal dovere di sicurezza e garante verso l’ordinamento del suo adempimento.
L’evoluzione in materia è rappresentata, oltre che da tutta la Sezione I del Capo III del Titolo I, in particolare dal combinato disposto degli articoli 16, 17, 18 e 19, rispettivamente dedicati alla delega di funzioni, agli obblighi del datore di lavoro non delegabili, agli obblighi del datore di lavoro e del dirigente, agli obblighi del preposto, unitamente alle definizioni di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b), d), e), relative, rispettivamente, al datore di lavoro, al dirigente e al preposto nonché all’articolo 299, disciplinante l’esercizio di fatto di poteri direttivi.
Nel settore privato, per individuare il destinatario del dovere di sicurezza, è necessario considerare non solo la titolarità formale del rapporto di lavoro, ma anche la “realtà fattuale” dell’impresa.
Il datore di lavoro è definito, infatti, come “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unita’ produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa” [art. 2, co. 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/08].
La nozione adottata dal Testo unico comprende, dunque, il datore di lavoro sia in senso formale, vale a dire il “titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore”, sia in senso sostanziale.
Più specificamente, con riguardo a tale ultima accezione, il Legislatore Delegato si riferisce al soggetto che “comunque”, secondo il tipo e l’assetto organizzativo, ha in concreto la “responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unita’ produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.
Pertanto, in mancanza di soggetto titolare, l’esercizio dei poteri decisionali e di spesa, ovvero una condizione di fatto, si sostituisce alla titolarità, intesa come criterio di imputazione formale di uno status giuridico.
In altri termini, nell’economia della definizione fornita, l’avverbio “comunque” [art. 2, co. 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/08] permette di dare prevalenza all’aspetto fattuale nelle ipotesi di dissociazione tra figura formale e sostanziale di datore di lavoro, in ossequio alla consolidata esperienza giurisprudenziale maturata sul punto.
Di conseguenza, se nel caso di specie si crea un’apparenza di diritto a cui non corrisponde una “realtà fattuale” dell’impresa, gli obblighi di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori incombono necessariamente sull’imprenditore occulto, superando così lo schermo formale della dissimulazione.
Il quadro dinanzi tracciato sostanzialmente non muta neppure in relazione al peculiare assetto di ripartizione intersoggettiva dell’obbligo di sicurezza e salute sul lavoro nell’ambito della Pubblica Amministrazione.
Deve essere notato, infatti, un evidente avvicinamento fra i due sistemi di ripartizione dei soggetti obbligati fra settore privato e pubbliche amministrazioni a rapporto di lavoro c.d. “privatizzato” (ossia quelle di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001).
Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2008, è stata, infatti, ripresa e sviluppata la questione dell’individuazione della figura del datore di lavoro pubblico nell’ambito della normativa di sicurezza sul lavoro, questione peraltro già affrontata in occasione dell’emanazione del precedente d.lgs. n. 626/1994, ma niente affatto adeguatamente approfondita, stante una definizione lacunosa, da parte della giurisprudenza e della dottrina.
Il decreto, all’art. 2, lett. b), stabilisce che con il termine “datore di lavoro pubblico” si intende “il dirigente al quale spettano i poteri di gestione” specificando che, in mancanza di una figura dirigenziale, il suddetto status (ovvero condizione giuridica), potrà essere attribuito anche al “funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa”.
Dalla lettura della definizione sopra riportata può immediatamente essere notato che l’intenzione del legislatore è quella di avvicinare le definizioni di datore di lavoro, principale soggetto destinatario degli obblighi di sicurezza, fra settore privato e pubbliche amministrazioni a rapporto di lavoro cosiddetto “privatizzato”.
Un simile atteggiamento normativo può, certamente, rappresentare la riaffermazione di quel processo di riforma della Pubblica Amministrazione che, a partire dagli anni Novanta e soprattutto in seguito all’adozione del d.lgs. n. 29/1993 (la cosiddetta “Prima privatizzazione”), punta all’omologazione della disciplina lavoristica tra i due settori ed ha come obiettivo quello della diffusione dei principi di economicità, efficacia ed efficienza, quali valori fondamentali dell’azione burocraticapubblica.
Con l’introduzione della nuova nozione di “datore di lavoro pubblico” viene, infatti, risolto, almeno sulla carta, il problema della disparità di trattamento fra datore di lavoro pubblico e privato che si poteva facilmente desumere dalla definizione contenuta nel d.lgs. n. 626/1994.
La definizione fatta propria dal Testo Unico sulla Sicurezza del Lavoro, subordina, invero, il riconoscimento della qualifica di datore di lavoro pubblico, all’attribuzione, alla titolarità di “poteri decisionali e di spesa”, unificando, così, tra i due settori, i criteri di attribuzione della posizione di garanzia; la precedente disposizione, infatti, prevedeva la titolarità di poteri decisionali e di spesa, solo per il riconoscimento dello status di datore di lavoro privato, mentre il datore pubblico veniva identificato unicamente come titolare dei poteri di gestione.
Muovendo dalla considerazione che questi ultimi erano ben lungi dal coincidere con gli, astrattamente, incondizionati poteri decisionali e di spesa del datore di lavoro privato e, concretamente, sarebbero ed effettivamente sono stati esercitati soltanto nei limiti delle risorse messe a disposizione del dirigente o del funzionario investiti dello status di datore di lavoro, il permanere di questa diversificazione avrebbe discutibilmente reso meno incombente la tutela della sicurezza e della salute nella pubblica amministrazione rispetto al settore privato; il che, evidentemente, è apparso, al legislatore ragionevolmente inaccettabile.
La definizione espressa dal Testo Unico sulla Sicurezza, dunque, prevede, analogamente a quanto avviene per il settore privato, che i poteri di gestione di cui il datore di lavoro pubblico deve necessariamente essere dotato, corrispondano ad autonomi poteri decisionali, anche in materia di spesa, sottintendendo, di conseguenza, la titolarità di autonomia gestionale e tecnico-funzionale.
La novità più rilevante presente nella definizione di datore di lavoro pubblico è, infatti, senza ombra di dubbio, l’esplicita previsione, nella seconda parte della nozione, secondo la quale nel caso in cui l’individuazione venga omessa o attuata in maniera non conforme ai criteri sopra indicati, “il datore di lavoro coincide con l’organo di vertice medesimo”.
La prospettiva di individuazione del datore di lavoro fatta propria dal nuovo quadro definitorio del T.U.S.L., trae spunto da un recente orientamento giurisprudenziale che ha visto riconoscere nell’organo di direzione politica la posizione di garanzia datoriale, nel caso in cui l’individuazione di quest’ultima non sia stata effettuata e fino alla sua corretta identificazione da parte del soggetto tenuto, o, meglio, obbligato a questo adempimento preliminare.
Dalla definizione di datore di lavoro pubblico inserita nel d.lgs. n. 81/2008 si evince l’intenzione del legislatore di dispensare, quanto più possibile, la sfera politica dalla responsabilità in materia antinfortunistica; diversamente da quanto accadeva nella precedente normativa (si veda in proposito l’art. 30, d.lgs. n. 242/1996), che affidava l’incombenza dell’individuazione del datore di lavoro e, conseguentemente, dell’emanazione di apposito atto, agli organi di direzione politica, o, comunque, di vertice delle amministrazioni pubbliche, il legislatore odierno ha inteso “liberare” la rappresentazione giuridica del datore di lavoro pubblico da ogni riferimento al soggetto politico, lasciando così aperta la questione relativa alla natura dell’organo di vertice.
Occorre, inoltre, sottolineare che, anche quando la nomina del datore di lavoro sia stata tempestivamente e correttamente effettuata, sebbene l’organo apicale si sgravi, sostanzialmente, di gran parte degli obblighi organizzativi e gestionali propri del datore di lavoro (descritti esaurientemente nell’art. 18 d.lgs. n. 81/2008), sopravvivono, in capo allo stesso, i profili di responsabilità conseguenti ai poteri strutturali, indissolubilmente legati al vertice dell’Amministrazione, oltre ad una responsabilità residua di cui essi non possono spogliarsi, nel caso di negligenza di comportamento nella “scelta” del soggetto datore di lavoro, e nel successivo, imprescindibile, controllo del suo operato.
Non individuando espressamente il dirigente o il funzionario cui attribuire la qualifica di datore di lavoro, la definizione normativa di cui alla lett. b) dell’art. 2, rimanda alle singole pubbliche amministrazioni e precisamente all’organo di vertice, il compito di determinare il soggetto (o, più probabilmente, i soggetti) cui conferire la responsabilità datoriale, emettendo un apposito atto formale di organizzazione interna.
L’organizzazione della sicurezza rappresenta, infatti, un fondamentale profilo anche e soprattutto per il nuovo decreto, che conferma e perfeziona l’impostazione propria del d.lgs. n. 626/1994, ponendo così il recente provvedimento legislativo nel solco giuridico delle direttive europee, tra cui, principalmente, la direttiva 89/391/Cee (“Direttiva del Consiglio concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”), che a suo tempo costituì l’“impalcatura organizzativa” da cui originano tutti i decreti in materia di sicurezza e salute degli anni ‘90.
L’elemento di continuità consiste nel fatto che, pure per il Testo Unico, l’organizzazione della sicurezza “origina” dal vertice della singola Amministrazione, essendo quest’ultima incaricata dell’individuazione del datore di lavoro ai fini antinfortunistici.
E’ possibile notare che il disposto legislativo si inserisce organicamente nel rinnovato assetto gestionale delle amministrazioni pubbliche (sia centrali che locali), ed è espressione di quel principio di separazione tra potere politico e potere gestionale, già previsto sia dalla normativa di riforma degli enti locali (legge n. 142/1990, abrogata e sostituita dal D. Lgs. 267/2000), sia dai cosiddetti decreti di privatizzazione del Pubblico Impiego (oggi confluiti nel testo del d.lgs. n. 165/2001), principio ora portato a compimento e divenuto informatore di tutta l’organizzazione e l’azione delle amministrazioni pubbliche.
Attraverso le riforme di cui sopra e il riassetto organizzativo di tutta l’attività della Pubblica Amministrazione (si veda la “Bassanini–bis”, la “Bassanini–ter”, il D. Lgs. n. 387/1998, il D. Lgs. n. 267/2000 e, da ultimo, il D. Lgs. n. 165/2001) che ne è derivato, è stato possibile definire compiutamente il processo di separazione dei poteri all’interno delle amministrazioni pubbliche, consentendo, così, a tutti gli enti, indipendentemente dalle dimensioni, di “gestire in modo flessibile” – come afferma la Circolare del Ministero dell’Interno 15 marzo 1997, n. 1 – “in relazione alle proprie peculiarità e caratteristiche, il modello organizzatorio di cui hanno deciso di dotarsi”.


Avv. Stefania Petruzzelli