LA RESPONSABILITA’ PER FATTO PROPRIO DEI SINDACI
di Luca Gagliardi


Il Collegio Sindacale


Nel panorama del diritto italiano, il diritto societario è certamente il settore che ha visto le maggiori riforme degli ultimi anni.


Questo fenomeno è stato dettato principalmente dalla necessità di uniformare il nostro diritto alle normative dei paesi Europei, alla luce delle continue modifiche attuate sulla spinta del mutamento dell’economia mondiale.


Non pare, pertanto, causale che l’evoluzione del diritto societario interessi particolarmente la disciplina di controllo delle società di capitali e di conseguenza la responsabilità dei sindaci sia quali singoli sia intesi come organo, durante tutta la vita societaria compresa la fase traumatica del fallimento.


Nell’ordinamento italiano il collegio sindacale è un organo di controllo della gestione presente nelle società di capitali e cooperative.


Nelle società a responsabilità limitata, è obbligatorio solo se il capitale sociale è pari o superiore al minimo previsto per la società per azioni (120.000 euro) o se la società non può redigere il bilancio in forma abbreviata perché supera i limiti previsti dall’art. 2435 bis del codice civile. Negli altri casi per le srl, il collegio sindacale è facoltativo e può essere previsto nello statuto.


Dopo la riforma del diritto societario entrata in vigore nel 2004, in realtà qualunque società di capitali potrebbe adottare uno dei sistemi di controllo alternativi previsti dagli art. 2409 octies- 2409 noviesdecies del codice civile che non prevedono il collegio sindacale, sistema dualistico (società per azioni) e Sistema monistico (Società per Azioni), ma attualmente tali sistemi hanno scarsissima diffusione tra le società italiane.


Il collegio sindacale si compone di 3 o 5 membri effettivi più 2 supplenti (art. 2397 c.c.) tutti eletti dall’assemblea in sede ordinaria. Restano in carica per un triennio e possono essere revocati solo per giusta causa e previa approvazione con decreto del tribunale (art. 2400 c.c.). In caso di revoca o di dimissioni di un membro effettivo subentra in ordine di anzianità un supplente, mentre l’assemblea provvede alla nomina dei nuovi sindaci fino al ripristino del numero stabilito. I nuovi sindaci comunque durano in carica solo fino all’esaurimento del mandato dei sindaci che sono chiamati a sostituire.


Particolari norme sono previste a tutela dell’indipendenza dei sindaci stessi da coloro che sono soggetti al loro controllo. L’art. 2399 c.c. elenca una serie di cause di incompatibilità con l’ufficio di sindaco tra le quali rapporti di parentela e affinità con gli amministratori della società e delle società controllanti e controllate nonché rapporti di affari e di lavoro con le stesse società. Tali situazioni quando vengono a determinarsi dopo la nomina determinano l’automatica decadenza dall’incarico. Lo statuto può prevedere ulteriori restrizioni.


I Sindaci: requisiti professionali, diritti e doveri


Molta attenzione si è posta poi nello stabilire i requisiti professionali richiesti perché si possa essere nominati sindaci.


I membri del collegio sindacale devono essere scelti tra gli iscritti nel registro dei revisori contabili o negli albi professionali individuati con decreto del Ministro della giustizia (D.M. 29 dicembre 2004, 320) o devono essere professori universitari di ruolo in materie economiche o giuridiche.Almeno un sindaco effettivo e un supplente deve essere iscritto nel registro dei revisori contabili. La cancellazione da tali albi è causa di decadenza dall’incarico (art. 2397 c.c.)


Il collegio sindacale deve riunirsi almeno ogni trimestre. Delle riunioni deve essere redatto un verbale sull’apposito libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale. Decade il sindaco che non partecipa senza giusta causa a due riunioni in un esercizio. Il collegio può deliberare se sono presenti la maggioranza dei componenti e le delibere sono approvate a maggioranza assoluta (art. 2404 c.c.) I sindaci devono assistere alle riunioni del Consiglio di amministrazione, del comitato esecutivo se esiste e alle assemblee sociali. La non partecipazione all’assemblea o a due riunioni consecutive del consiglio senza giusta causa è motivo di decadenza dall’ufficio (art. 2405 c.c.). I doveri sono fissati dall’art 2403 cc. Il più importante di questi che fa comprendere la funzione di vigilanza è quella di vigilare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società.


Possono richiedere informazioni agli amministratori e condurre ispezioni e controlli sui quali però sono tenuti al segreto nei confronti di terzi. Possono in caso di necessità convocare l’assemblea se ritengono necessario riferire su particolari fatti o se non vi provvedono gli amministratori.


In caso di danno alla società rispondono in solido con gli amministratori se il danno si poteva evitare se essi avessero vigilato come previsto dalla legge. La società può avviare in tali casi un’azione di responsabilità anche contro i sindaci stessi (art. 2407 c.c.). Nelle società con azioni quotate il collegio sindacale può inoltre, dal 2005, proporre l’azione sociale di responsabilità.


Natura dei poteri dei sindaci


Il controllo del collegio sindacale è un controllo di legalità perché i sindaci verificano il rispetto della legge e dello statuto e possono impugnare dinanzi al tribunale le delibere non conformi alla legge e allo statuto. Inoltre essi verificano l’adeguatezza dell’organizzazione amministrativa e contabile e la corretta amministrazione della società segnalando all’assemblea eventuali fatti rilevanti. I sindaci possono denunciare al tribunale eventuali irregolarità riscontrate nella gestione.


Fino alla riforma societaria avevano ampi compiti nelle società non quotate anche per ciò che riguardava il controllo contabile, compiendo una sorta di revisione interna del bilancio su cui riferivano con apposita relazione all’assemblea.


La loro competenza si è notevolmente ristretta oggi poiché l’art. 2409 bis c.c. prevede che la revisione del bilancio può essere affidata al collegio sindacale solo nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e non redigono il bilancio consolidato.


In questi casi il collegio sindacale è composto interamente da revisori contabili.


In tutti gli altri casi, il controllo contabile è affidato a soggetti esterni, revisori o società di revisione e il controllo del collegio sul bilancio è sostanzialmente formale.


L’art. 2386, comma 5, del codice civile prevede che se vengono a cessare l’amministratore unico o tutti gli amministratori, l’assemblea per la nomina dell’amministratore o dell’intero consiglio deve essere convocata d’urgenza dal collegio sindacale, il quale può compiere nel frattempo gli atti di “ordinaria amministrazione”. In alcune circostanze stabilite dalla legge, l’organo di controllo della società può svolgere atti amministrativi, che sarebbero di per sé di competenza dell’organo amministrativo vero e proprio. Infatti la norma considera questa ipotesi di assoluta impossibilità di continuare ad esercitare le funzioni gestorie da parte dell’amministratore. La norma in questione si applica di fronte ad una causa improvvisa e totalitaria di impossibilità per l’amministratore, o per il consiglio, di continuare regolarmente ad operare.


Nel momento in cui il collegio sindacale si trova nelle condizioni di dover sostituire l’organo amministrativo nelle sue funzioni, la legge prevede che l’avvicendamento a tale incarico debba avvenire in relazione solo e limitatamente agli atti di ordinaria amministrazione. In linea generale, possono essere definiti atti di ordinaria amministrazione tutte quelle attività rientranti nella tipologia di attività semplici di impresa esercitata abitualmente dalla società che viene amministrata. In altre parole, sono individuati in questa categoria tutti gli atti e i fatti classificabili nella normale attività della società, la quale, per poterli attuare, necessita dell’intervento degli amministratori. Si tratta, pertanto, per i sindaci, amministratori pro-tempore della società, di far continuare il normale svolgimento dell’attività societaria nel concetto più semplice e più elementare possibile. Secondo una stretta interpretazione, ai sindaci amministratori, spetterebbe il compito di compiere tutti quei fatti necessari alla conservazione del patrimonio o al suo miglioramento e, in tale caso, non rientrerebbero dunque quegli atti deliberativi dai quali potrebbero scaturire nuove attività o nuove operazioni di gestione, di significativa importanza. Rispetto all’obbligo di redigere il bilancio, se il periodo in cui l’organo amministrativo dovesse cessare in quello in cui deve essere redatto il bilancio d’esercizio della società, la dottrina ritiene che sarebbe troppo oneroso e impegnativo per il collegio sindacale compiere nel frattempo gli atti di ordinaria amministrazione e quindi, fra le altre cose, redigere il bilancio. Occorre sottolineare un potenziale “conflitto di interesse” nell’attività svolta, in tale particolare situazione, dal collegio sindacale. Sui medesimi soggetti graverebbero incarichi sia di gestione che di doppio controllo (legale e contabile), che potrebbero talvolta anche essere confliggenti tra loro.


La responsabilità autonoma dei sindaci


I sindaci, nella bipartizione classica rinveniente dall’art. 2407 codice civile, sono gravati da una responsabilità diretta (conseguenza del loro operato) e da una responsabilità indiretta, derivante dall’omesso controllo sull’operato dell’organo gestorio.


In particolare al primo comma disciplina la responsabilità esclusiva dei sindaci, conseguente dalla violazione degli obblighi in esso menzionati; al secondo comma prevede, invece, la loro responsabilità solidale per i fatti e le omissioni degli amministratori produttivi di danno a cagione della violazione degli obblighi di controllo e vigilanza sull’operato di questi ultimi. [1]


La responsabilità cosiddetta “propria” dei sindaci si caratterizza per l’essere teorizzabile a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia responsabilità in capo ai soggetti che formano l’organo gestorio; è quindi una responsabilità esclusiva perché nasce da violazioni di doveri propri dei sindaci idonee di per se a creare un danno. [2]


Tale teorizzazione trova però un limite nella necessità che al comportamento del sindaco, utile a provocare un danno risarcibile, deve comunque accompagnarsi un comportamento dell’organo inaricato della gestione.


A questo proposito è utile evidenziare che l’unico caso giuridicamente apprezzabile in cui il sindaco (sia come singolo, sia come collegio) può assumere una diretta responsabilità per la gestione della società è quello disciplinato dall’art. 2386 c.c, caso in cui i sindaci assumono compiti di amministrazione attiva, che dovrebbero essere limitati alla gestione ordinaria e in particolare alla conservazione del patrimonio sociale e, per quanto possibile la continuità del lavoro istituzionale,come emerge dall’oggetto dello statuto. [3]


Esaminata questa ipotesi “”limite””, ci dobbiamo soffermare sull’esame dei precetti che possono essere direttamente violati dai sindaci o da uno dei componenti il collegio sindacale.


Sempre l’art. 2047 prevede che i sindaci devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno avuto conoscenza per ragioni del loro ufficio.


Il mancato rispetto del precetto appena enunziato, darà corso a una responsabilità dei sindaci di rilievo civilistico cioè atta a provocare un danno risarcibile solo se la società sarà in grado di dimostrare di aver subito un danno patrimoniale conseguenza diretta della violazione. [4]


E’ evidente che quella della violazione di notizie riservate è forse l’unica ipotesi di responsabilità del singolo componente del collegio sindacale, reo di un comportamento che non postula affatto la compartecipazione neppure colposa degli altri sindaci.


Al di fuori delle comunicazioni formali di “denunzia”, è dubbio se il sindaco possa esprimere a terzi, ovviamente che abbiano un interesse concreto alla informazione, le proprie censure all’operato degli amministratori.


Da un lato, in senso favorevole depone l’interpretazione dell’art. 40 c.p. avvalorata dalla giurisprudenza in tema di responsabilità, laddove si ribadisce che non impedire un evento che si doveva impedire equivale a cagionarlo, ma per i sindaci non è chiaro se il comportamento pretendibile sia qualunque iniziativa utile ad evitare il danno o se la reazione debba mantenersi nell’ambito dei poteri formali, che non prendono la pubblicizzazione non istituzionale degli eventi interni alla società o dei rischi connessi con i rapporti interni


E non pare neppure ammessa – se vietata dalla società – la divulgazione finalizzata ad una miglior organizzazione del controllo: tant’è che la responsabilità per violazione del segreto potrebbe rinvenirsi nel caso di utilizzo di collaboratori ai sensi dell’art. 2403-bis c.c., laddove il sindaco risponderà non solo, in quanto committente, dell’eventuale abuso che i propri ausiliari attuino delle informazioni riservate apprese, ma anche se la società, cui è concessa espressamente tale facoltà, rifiuti di fornire determinate notizie al collaboratore e, in spregio a tale divieto sia il sindaco stesso a passare le informazioni riservate al coadiutore. [5]


Il divieto di richiedere informazioni o di fornirle, anche in presenza di vincoli da parte della società soggetta al controllo è ovviamente escluso dallo stesso articolo 2403 bis c.c. quando lo scambio di informazioni viene effettuato dal sindaco per adempiere ai propri compiti di controllo con organi di società assoggetate a direzione unitaria di gruppo.


In questo momento storico si potrebbe certamente porsi il problema di come correttamente applicare le norme contenute nella legge sulla privacy ai sindaci e in particolare come amalgamare la disciplina appena descritta a quella sulla riservatezza.


Certamente soccorrono l’interprete le norme della legge 31 dicembre 1996 n. 675 sul trattamento di dati Sensibili da parte di soggetti pubblici, come integrate dall’art. 16 comma 2 d.lgs 11.5.1999 che prevedono che la tutela della pivacy debba trovare un limite quando il diritto da salvaguardare è di pari dignità.


La legge sulla privacy invece sarà applicabile senza alcuna limitazione nel caso in cui il sindaco divulghi notizie attinte durante il regolare esercizio di controllo a cui è deputato e riguardino terzi estraneui alla società.


Questi ultimi potranno rivalersi sulla società per la violazione di legge, facendo così nascere nella stessa società un diritto diretto contro il sindaco reo di aver utilizzato le notizie apprese nell’ambito dell’attività di controllo.


Sempre di responsabilità diretta del sindaco si potrà parlare quando lo stesso, inteso come organo collegiale, partecipi a creare false notizie o quando con l’avvallo dato alle comunicazioni provenienti dagli organi sociali, fa in modo che le stesse siano apprezzate dai terzi come veritiere e complete.


Invero la presenza di un organo di controllo non ha solo una valenza preclusiva rispetto al compimento di irregolarità, ove sussistano, bensì ha anche l’effetto positivo di creare — in assenza di anomalie — un affidamento nella correttezza dell’agire sociale, inteso sia come attività di impresa, sia come rappresentazione contabile di tale attività, e ciò nella convinzione di tutelare così interessi ben più ampi.


I sindaci sono investiti, pertanto, di una funzione di garanzia della attendibilità dei dati inerenti alla situazione patrimoniale della società che siano comunicati sia ai soci, sia a soggetti terzi in rapporto con la società, sia in generale al pubblico.


Da ciò scaturisce l’obbligo dell’organo di controllo a prestare la massima attenzione alla esattezza e fedeltà dei dati inseriti in documenti redatti dallo stesso collegio sindacale ed in tal senso va interpretata la prescrizione di una responsabilità esclusiva del sindaco per eventuali falsità. [6]


Il legislatore, nel delineare le fonti di responsabilità dirette degli organi di controllo, ha posto giustamente l’accento sulla redazione di documenti falsi, violazione che — in relazione alla percezione di una particolare “pericolosità” generale di tali comportamenti — comporta anche responsabilità penale ex articolo 2621 c.c.


Tale responsabilità si concretizza anche se l’esposizione nelle comunicazioni ufficiali del collegio sindacale di fatti non rispondenti al vero, in particolare, sulle condizioni economiche della società, o il nascondimento di tutto od in parte difatti concernenti tali condizioni, è stata fatta “fraudolentemente”, e cioè con la coscienza e volontà di trarre in inganno i destinatari della comunicazione, ma senza la precisa volontà di danneggiarli, bastando il semplice pericolo di danno. [7]


E’ necessario però evidenziare che pur essendo rimasta la previsione di reato nella recente riforma del diritto penale societario, l’implicita abrogazione del principio che attribuiva un valore intrinseco alla veridicità degli atti societari è stata ritenuta una attenuazione della punibilità penale e di conseguenza un vero e proprio disconoscimento delle esigenze di tutela precedentemente perseguite con l’imposizione del rigore contabile.


«In primo luogo viene attribuito valore di spartiacque al danno patrimoniale cagionato ai soci o ai creditori: a un evento di danno viene vincolata la qualificazione delittuosa del reato, che in mancanza degrada a contravvenzione punibile con l’arresto fino a un anno e sei mesi. Metamorfosi, quest’ultima dal sapore dissacrante: la riduzione del delitto a contravvenzione è misura non meno estrema, in chiave simbolica, di una pura e semplice depenalizzazione… Il senso è fin troppo chiaro: viene soppresso il bene giuridico de11’informazione societaria, nei suoi parametri di veridicità e di compiutezza radicato ultima analisi nel “risparmio” dell’art. 47 Cost. Residua la tutela di un interesse patrimoniale individuale, sul quale incide l’evento di danno. Incidenza individuale – si noti – anche in caso di pluralità di danneggiati, ciascuno dei quali risente di un proprio distinto pregiudizio». [8]


Pur dovendosi condividere la tesi di chi ritiene che il nuovo sistema societario – penalistico ha reso meno stringente la tutela del vero, non per questo si deve e si può affermare che sia stata mitigata l’esigenza di tutela dell’interesse generale.


In quest’ottica deve essere letto il nuovo testo dell’art. 2621 del codice civile nella parte che indica prescrizioni a favore del pubblico.


Lo stesso codice civile chiarisce, anche in campo civilistico, la necessità di veridicità delle comunicazioni sociali e la trasparenza degli atti sociali proprio per la tutela che deve essere accordata al “pubblico”.


La nuova disciplina è rivolta, per cui, anche alla tutela dell’interesse dei terzi che hanno instaurato rapporti con la società, nonché alla tutela dell’interesse generale dello Stato alla realizzazione di un più compiuto controllo sull’attività delle società per azioni ed alla regolarità della loro gestione in vista del conseguimento dello scopo economico-pratico del contratto sociale.


Data questa chiave di lettura alla norma, si deve portare il ragionamento alla logica conseguenza che il bilancio d’esercizio di una società di capitali, che violi i precetti di chiarezza e precisione è illecito, ed è quindi nulla la deliberazione assembleare con cui esso sia stato approvato, <<non soltanto quando la violazione della normativa in materia determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte >>. [9]


Il legislatore si pone come obbietivo la tutela dell’affidamento che non solo i soci, ma anche i terzi, ripongono nelle situazioni contabili loro esposte dagli organi gestori e vuole garantire che la vita di società di una certa importanza sia “fotografata” in modo adeguato dall’insieme delle comunicazioni che deposita.


Non è quindi necessario, che vi sia una effettiva diversità fra il risultato effettivo dell’esercizio di impresa e quanto <<raccontato>> dal bilancio perché quest’ultimo sia illecito.


Basta che siano violati i precetti di chiarezza e precisione, che assumono specifica ed autonoma rilevanza, in modo che non sia possibile attingere dal bilancio e dai relativi allegati tutte le informazioni che la legge vuole siano fornite con riguardo alle singole poste. [10]


La negligenza come responsabilità dei sindaci


Quanto detto sino ad ora ha evidenziato la necessità dei soci e non solo, sia di poter acquisire dati veritieri su cui basare le proprie strategia di investimento, sia di poter ritenere le comunicazion sociali affidabili, dando fiducia ai controlli effettuati dagli organi preposti.


La nuova disciplina societaria e in particolar modo le depenalizzazioni attuate con la modifica degi articoli 2621 e 2622 hanno creato una grande differenza fra quanto tutelato dal precetto penale e quanto invece soggetto a tutela civile.


Invero, se nel primo caso sono previste sanzioni solo per chi falsifica determinati documenti espressamente indicati dalla legge, la tutela civile si estende a tutte le comunicazioni che sono idonee a formare il convincimento dell’nvestitore. Ed è in questa ottica che deve essere letto l’articolo 2407 codice civile che prevede la sanzionabilità di quelle falsità che possono costituire fonte di inganno, anche senza essere rese pubbliche, requisito necessario, si ripete, per essere soggette al precetto penale.


Fra i compiti di controllo esercitati dal collegio sindacale rientra anche quello relativo ad accertare la veridicità delle risultanze del verbale di assemblea destinato alla pubblicazione.


Per economia di tempo e per poter verbalizzare in maniera corretta gli interventi, anche con mezzi tecnologici, nelle grandi società si usa abbozzare il verbale che sarà poi ritrascritto, in un secondo momento sul libro delle assemblee.


In tutti i casi in cui vi è una successiva elaborazione di quanto detto nel corso di assemblee o di altri rilevanti incontri e comunque, ogni qual volta il contenuto deve essere pubblicato, è necessario “imporre” ai sindaci di verificare che il contenuto della stessa sia conforme e riporti in modo completo le operazioni compiute in assemblea e le delibere ivi assunte. [11]


Si tratta senz’altro di un comportamento omissivo dei sindaci e non di un obbligo diretto di fare da cui scaturisce la responsabilità dell’organo di controllo.


Il controllo del patrimonio


Fra i dati di maggior importanza che le società di capitali devono fornire ai propri soci, all’interno, e agli investitori, intesi come singoli che come società o gruppi di società, all’esterno, vi è senz’altro il valore del patrimonio sociale.


Oggi, con la modifica al sistema societario l’organo di controllo non è più chiamato a una valutazione diretta dei conferimenti dei beni che comporranno il patrimonio della società in sede di aumento dello stesso, ma non di meno è rilevante il controllo che i sindaci e revisori devono fare, ex post, sulla quantificazione che i conferitori hanno voluto dare al loro apporto e sull’operato dei tecnici che hanno fornito i dati all’organo di gestione che li fa propri nelle relazioni.


Quando il conferimento avviene con mezzi diversi dal denaro è necessario accertare che il valore attribuito ai beni conferiti sia esatto e che copra la quota di aumento di capitale a cui sono destinati.


L’importanza di questo controllo si appalesa ancora più grande se si considera che è sempre più frequente che le società effettuano importanti movimenti sul proprio patrimonio di immobilizzazioni o addirittura su complessi aziendali, trasferiti ad altre società o utilizzati per costituire nuove società


Questo elemento era chiaro anche nella formulazione dell’art. 2403 ante riforma che prevedeva che “chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un esperto designato dal Presidente del tribunale, contenente la descrizione dei beni o dei crediti conferiti; il valore a ciascuno di essi attriuito,i criteri di valutazione seguiti” e il terzo comma imponeva un obbligo di verifica, prevedendo che gli amministratori e i sindaci dovevano, nel termine di sei mesi dalla costituzione della societa, controllare le valutazioni contenute nelle relazioni previste dal comma uno dell’articolo 2403 c.c. e procedere, in caso di fondato motivo a una revisione della stima.


La lettura del dettato dell’articolo appena analizzato ha fatto propendere la maggiore dottrina verso l’ipotesi che i sindaci dovevano operare in piena autonomia rispetto al consiglio di amministrazione, divenendo così gli unici responsabili senza che potesse attribuirsi una responsabilità agli amministratori.


Ma una limitazione al potere dei sindaci era stata inferta con la disciplina delle società quotate, che aveva delegato il potere di controllo sui conferimenti alle società di revisione limitando il controllo dei sindaci solo nell’ipotesi che i conferimenti erano fatti in sede di costituzione della società.


Dopo la riforma il potere di controllo delle stime è stato ulteriormente ridotto, in quanto il nuovo testo dell’art. 2403 codice civile prevede che il controllo dei conferimenti, sempre da parte delle società di revisione, sia effettuato solo per le società quotate, mentre è stato del tutto escluso qualsiasi controllo da parte dei sindaci per le altre società.


Il controllo e la revisione sono stati tradizionalmente affidati dal legislatore italiano ad amministratori e sindaci per assicurare — producendo il sistema la responsabilità sia degli amministratori sia dei sindaci — nel migliore dei modi l’esatta formazione del capitale sociale, anche in presenza di conferimenti in natura. L’eliminazione dell’intervento dei sindaci riduce l’efficienza del sistema. Per giustificare l’amputazione, il legislatore (nella Relazione, § 4, n.5 ) adduce, fra l’altro, che in tal modo si” superano problemi applicativi di difficile soluzione sia quanto ai modi in cui dovessero collaborare sia con riferimento alla soluzione da dare in caso di loro contrasto di valutazione”. Senonché, dalla lettura di un qualsiasi manuale aggiornato si ricava, da un lato, che da almeno un quarto di secolo la dottrina è conforme nel dire che amministratori e collegio sindacale devono operare come due organi autonomi; dall’altro, che il contrasto di valutazione può ugualmente verificarsi anche quando controllo e revisione della stima sono affidati agli amministatori e alla società di revisione i quali, anch’essi, sono “organi” autonomi. [12]


Per completezza si ricorda che l’art. 2465 c.c. ha escluso il controllo sulla stima dei conferimento nell’aumento del capitale sociale delle società a responsabilità limitata.


Anche la riforma del 2008 introdotta con il decreto legislativo n. 142 non sembra discostarsi dalla volontà del legislatore di “”liberalizzare”” i conferimenti seguendo l’idea che fa coincidere l’interesse dei soci con quello della società.


A salvaguardia dei soci e dei terzi rimane solamente la responsabilità degli amministratori e degli organi societari che devono tutelare l’integrità ed effettività del patrimonio sociale a favore dei creditori.


Ciò si ripercuote anche sui sindaci, che privati di un controllo diretto sui conferimenti, sono però tenuti a un controllo sui conferimenti e acquisti prima di ratificare le assemblee.


Gli adempimenti obbligatori


La lettura delle norme vigenti evidenzia subito come non ci sia una precisa e specifica successione di norme atte a regolare l’attività di controllo, ma sono dettati dei canoni generali, che se omessi comportano per il sindaco una censura.


E’ comunque certo che gli adempimenti suggeriti dal legislatore non esauriscono le attività proprie del collegio sindacale, che sono indicate dall’articolo 2403 del codice civile che prevede che il collegio sindacale deve in generale controllare l’amministrazione della società.


L’organo di controllo deve altresì vigilare sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo cioè verificare che tutte le prescrizioni legali e statutarie risultino rispettate dall’organo amministrativo.


Ciò significa che la violazione di doveri specifici non è l’unico né il principale metro di giudizio dell’operato dell’organo di controllo, che si misura invece in termini generali di diligenza, ovvero di utilizzo di tutti i poteri, anche al di fuori di schemi comportamentali prefissati, utili al fine di attuare una vigilanza effettiva sull’attività societaria [13].


Ne deriva che il sindaco deve interessarsi alla vita della società con una partecipazione assidua e non limitata al solo ambito di attività collegiale, prendendo parte e monitorando le assemblee, i comitati esecutivi, le riunioni, al fine di poter esercitare i propri poteri di impugnazione e indirizzo.


L’organo di controllo non può limitarsi solamente ad un apporto chiarificatore e di indirizzo solo quando il parere è richiesto specificatamente, come nei casi previsti dagli articoli 2386 e 2441 del codice civile, ma deve essere sempre presente e disponibile a fornire chiarimenti in ogni occasione in cui vengono prese decisioni rilevanti per la società, pena la decadenza immediata del sindaco “assenteista”


L’articolo 2405, sia nella precedente formulazione, sia in quella post riforma non permette alcuna interpretazione se non quella che il sindaco decade se non partecipa a due riunioni consigliari ed è sanzionato per l’assenza alle assemblee.


La decadenza opera, a seguito dell’aggravamento portato dalla riforma, anche se il sindaco non interviene alle riunioni del comitato esecutivo.


Dalle pubblicazione delle prime norme sulla responsabilità dei sindaci e sino all’attuale novella, si è molto discusso se la responsabilità dei sindaci fosse circoscritta ai soli casi in cui avevano l’obbligo di convocare l’assemblea, o se doveva essere censurato il loro comportamento omissivo anche nei casi in cui vi era lassismo da parte dell’organo gestorio e il collegio sindacale non si prodigasse per far continuare normalmente la vita societaria.


Con la riforma dell’articolo 2406 codice civile la discussione non ha più ragione di essere portata avanti, avendo il legislatore riconosciuto all’organo di controllo il potere autonomo di convocare l’assemblea in tutti i casi in cui ravvisi mala gestio. [14]


Conseguenza del dettato del nuovo articolo 2406 è la responsabilità dei sindaci, anche patrimoniale, quando non adotti delibere che avrebbero impedito l’aggravarsi di situazioni di danno per la società, causate da un comportamento negativo degli amministratori.


Viene di fatto riconosciuto all’organo di controllo la possibilità di adire in qualsiasi momento l’assemblea perché tuteli la società, non essendo l’organo di controllo vincolato ai soli casi previsti dalle norme, ma dovendo agire ed intervenire a porre rimedio a tutte le irregolarità di cui viene a conoscenza.


Ma la riforma, se da un lato ha ampliato i poteri dei sindaci dando loro la possibilità di convocare l’assemblea ogni volta lo ritengano necessario, dall’altro ha limitato i poteri della stessa assemblea (per esempio cancellando quella parte dell’articolo 2364 c.c. che permetteva all’assemblea di dare istruzioni agli amministratori sulle operazioni da compiere). Ci si deve quindi chiedere se i sindaci siano comunque responsabili se omettono di convocare l’assemblea in tutti i casi in cui lo ritengano necessario per un chiaro atto contrario agli interessi societari dell’organo di gestione, o se la responsabilità scatterà solo nei casi in cui l’assemblea, se convocata, avrebbe potuto effettivamente agire per la protezione della cosa sociale.


Nelle fattispecie sino ad ora esaminate si è posto l’accento sulla responsabilità dei sindaci <punita> con la sanzione della decadenza. Abbiamo anche potuto apprezzare che alla responsabilità di controllo si associa una patrimoniale solo se il comportamento del sindaco ha permesso o ha aggravato l’inadempimento dell’organo gestorio.


Oltre questa sanzione, la legislazione societaria e le norme istitutive della figura dell’organo di controllo hanno previsto un’altra sanzione, quella della revoca, che è senz’altro più grave per il sindaco, anche per le azioni risarcitorie che potrebbe subire.


La revoca non opera direttamente come la decadenza, ma è soggetta al controllo del tribunale che approva la proposta formulata dall’assemblea, dopo aver sentito in camera di consiglio il sindaco (articolo 2400 codice civile).


Appare evidente che la revoca opera in tutti i casi in cui l’assemblea ritiene che il sindaco sia venuto meno ai suoi doveri e quindi non trova ostacoli neanche se richiesta per il venir meno di un buon rapporto o per il venir meno della fiducia verso il singolo componente l’organo di controllo, a prescindere da suoi comportamenti censurabili.


E’ quindi necessario solo che vi sia una giusta causa, che può consistere in una gamma vastissima di accadimenti anche incolpevoli, giusta causa che deve, come già detto, essere valutata dal tribunale, proprio per non lasciare all’assemblea un potere che potrebbe essere esercitato anche per semplice antipatia verso il sindaco o per punirlo.


La sanzione della revoca, per i sindaci e solo per essi, deve sempre essere proposta dall’assemblea anche in caso di inizio di azione disciplinare, non applicandosi in maniera automatica come per gli amministratori.


La ratio della norma trova giustificazione proprio nel fatto che è necessario provare, nei casi in cui vi sia sospetto di connivenza con gli amministratori, sia il concorso nella mala gestio sia la sussistenza di una responsabilità, che deve essere accertata dal tribunale.


Vi è un solo particolarissimo caso in cui la revoca opera in maniera autonoma, cioè senza una richiesta dell’assmblea. I sindaci sono revocati se vi è revoca degli amministratori nell’ambito di un procedimento instaurato ai sensi dell’articolo 2409 codice civile.


Il collegio sindacale non avrebbe ragione di continuare il proprio compito in presenza di un amministratore giudiziario, che vede i suoi potei e compiti promanare direttamente dal giudice, essendo un suo ausiliare, e quindi non potrebbe essere soggetto al controllo del collegio sindacale. [15]


Le considerazioni sinora proposte ci inducono a ritenere che, pur essendo corretta la distinzione comune tra responsabilità per fatto proprio e responsabilità da omesso controllo, in definitiva, se è sicuramente ipotizzabile una responsabilità autonoma del collegio sindacale, o per meglio dire una violazione di doveri imposti al sindaco indipendente dal comportamento degli amministratori, ciò non significa che possa sussistere un obbligo risarcitorio avulso dalla gestione della società.


Ed invero, proprio la natura dell’incarico affidato ai sindaci osta a che se ne possa configurare un comportamento illegittimo che direttamente influisca sulle scelte gestorie, compiute invece da terzi.


In tal senso, solo per atti compiuti al di fuori della gestione societaria può sussistere una responsabilità diretta esclusiva dei sindaci, come per la divulgazione di notizie riservate, ma in questo caso, più che di un illecito compiuto nell’ambito dell’incarico, si deve parlare di un abuso compiuto sfruttando la posizione data dalla funzione, ovvero di un illecito che sarebbe stato comunque perseguibile ex art. 2403 codice civile, se compiuto da estranei.


Viceversa, per i comportamenti illegittimi perpetrati nello specifico svolgimento dell’incarico, riteniamo fondamentale muovere dal principio che non può sussistere responsabilità dei sindaci in difetto di un previo accertamento di un comportamento di uno o più amministratori contrario alla legge o all’atto costitutivo, sia esso colposo o doloso.


Soprattutto, sotto il profilo del danno, pare evidente che le falsità e le omissioni dei sindaci in tanto possono danneggiare concretamente la società, in quanto non impediscano la produzione di un pregiudizio che, peraltro, non può che derivare da operazioni che non potrebbero essere compiute se non per decisione e scelta dell’organo di gestione.


Tale assunto spiega per quale ragione poche siano le pronunzie che individuano una responsabilità del collegio sindacale senza farla di scendere dalla responsabilità degli amministratori.


In definitiva si può concludere che la responsabilità per fatto proprio dei sindaci è ipotizzabile, ma non dà luogo, salvo casi particolari, ad un obblico risarcitorio.


Avv. Luca Gagliardi


Note




  1. Tribunale Napoli 18.3.1995, Soc, 1995, 1447.


  2. Norelli Le omissioni di controllo dei sindaci .. 2001, 312 .


  3. Ghini: L’attività di supplenza dei sindaci al verificarsi della vacanza dell’organno di gstione, 2006, 21211


  4. Quatraro: Il controllo giudiziario delle società, 1997, 98


  5. Bosticco: La responsabilità degli organi di controllo nelle società di capitali, 2009, 323


  6. Bosticco: cit., 323


  7. Quartaro: cit., 98


  8. Pedrazzo: In memoria del falso in bilancio, 2001


  9. (Cass. 21.2.2000, n. 27, GI, 2000, 1209)


  10. (App. Napoli 13.5.2002, Soc, 2002, 1123).


  11. (Trib. Cassino 14.4.1991, Soc,1991, 1520).


  12. (G.B. Portale Osservazioni sullo schema di decreto delegato in tema di riforma delle società di capitali, 2002, 703.


  13. (P. BosticcoLa responsabilità degli organi di controllo nelle società di capitali, 2009, 338.


  14. (P.P. Ferraro in Lariforma della società – commento agli articoli 2404 …, 2003, 590.


  15. Tribunale di Roma 13.7.2000.