Repubblica Italiana
In Nome del Popolo Italiano
La Commissione Tributaria Provinciale di Bari Sezione 9


Riunita con l’intervento dei Signori:




  • NAPOLEONE ALDO Presidente


  • NITTI Nicola Relatore


  • LICINIO Raffaele Giudice


Ha emesso la seguente


SENTENZA


( n.247/09/08 depositata il 15/12/2008) sul ricorso n°1125/08 depositato il 20/02/2008 avverso Avviso di accertamento n°(omissis) + IVA +- IRAP 2003 contro AGENZIA ENTRATE UFFICIO BARLETTA
Proposto dal ricorrente: (omissis)
Difeso dal dott. (omissis)
Sul ricorso n.(omissis) depositato il 20/02/2008
Avverso Avviso di accertamento n. (omissis) IVA 2004 contro AGENZIA ENTRATE UFFICIO BARLETTA
Proposto dal ricorrente (omissis)
Difeso dal dott. V.S. (omissis)
Svolgimento del processo


IN FATTO
Con atto depositato nella Segreteria di questa Commissione il 20-02-2008, il Sig. (omissis), esercente l’attività di commercio al dettaglio di autoveicoli nuovi ed usati, con sede in Andria, assistito e difeso dal dott. V.S., con studio in Andria, ricorreva nei confronti dell’Agenzia delle Entrate,Ufficio di Barletta, avverso l’avviso di accertamento n. (omissis), notificato il 9.8.2007, per IRPEF, IRAP,ed IVA 2003.
Con questo atto,l’Ufficio, sulla scorta della dichiarazione Mod. UNICO PF/2004,per l’anno d’imposta 2003,presentata per mezzo del servizio telematico,e dalle risultanze della verifica fiscale della G.d.F. di Andria, con cui, per gli anni 2003 e 2004,veniva segnalata una frode comunitaria ai danni dell’IVA di €.3.246.12,00, e accertava €.60.296 per maggiore IRPEF,€.1.623 per maggiore addizionale IRPEF, €..271 per maggiore addizionale comunale IRPEF,€.14.254 per maggior contributo previdenziale a artigiani,€.6.066 per maggiore IRAP,€.594.683 per maggiore IVA,€.892.024 per sanzione amministrativa pecuniaria unica.
Con successivo atto depositato nella Segreteria di questa Commissione il 20/02/2008 il Sig. (omissis), ut sopra assistito e difeso, ricorreva nei confronti dell’Agenzia delle Entrate,Ufficio di Barletta, avverso l’avviso di accertamento n.(omissis) , notificato il 9.8.2007, per IVA 2004.
Con quest’ultimo atto, l’Ufficio, sulla scorta della dichiarazione Mod.UNICO PF/2005, per l’anno d’imposta 2004, presentata per mezzo del servizio telematico, e dalle risultanze della verifica fiscale della G.d.F. di Andria – con cui,per gli anni 2003 e 2004, veniva segnalata una frode comunitaria ai danni dell’IVA per l’importo di €.657.511, a seguito di una verifica condotta nei confronti della società (omissis) di (omissis) , dalla quale era emerso che la stessa nel 2004 aveva emesso nei confronti della ditta ricorrente fatture di vendita di n.31 auto usate per l’importo di €.646.583,34 ed IVA al 20% di €.129.316,72 – accertava il predetto importo IVA e comminava la sanzione amministrativa pecuniaria (cumulo giuridico) di €.130.349-
Il ricorrente eccepiva l’illegittimità degli atti impositivi, per i motivi in seguito indicati, e ne chiedeva l’annullamento, con vittoria delle spese del presente giudizio.
1.Nullità dell’avviso di accertamento per violazione e falsa interpretazione dell’art.57,3°comma, del DPR n.633/72, stante la mancanza di nuovi elementi che potevano legittimare un secondo avviso di accertamento per lo stesso periodo d’imposta relativo al 2003 (per il quale la CTP di Bari, Sez. VI , con sentenza n.230/7/06, accoglieva il ricorso), giustificato dall’Ufficio sulla base dell’ultimo PVC della G.d.F. del 28.9.2006.Questa rilevava,sulla base della verifica eseguita dalla G.d.F di P. nei confronti della (omissis) , corrente in P., che presuntivamente si riteneva svolgesse attività di compravendita di auto dall’estero volta a favorire “interessi del soggetto terzo, l’effettivo operatore, tra questi il (omissis) migliore cliente della stessa,e che l’addetto a procacciare auto per conto della (omissis) era il Sig.L. S. di (omissis), ex socio della (omissis) cessata il 20.11.2002, il ricorrente di fatto continuava come ditta individuale (omissis) ,
2.Nullità e falsa applicazione dell’art.54, comma 5, DPR n.633/72.
Deduceva, in proposito, che l’Ufficio, con il precedente atto (si ripete annullato dalla CTP di Bari ), con procedimento induttivo, rettificava il reddito dichiarato ai fini IRPEF ed IVA , avvalendosi dell’art.54, comma 5 (accertamento parziale) del DPR n.633/72, interveniva con un accertamento parziale per recuperare ora solo l’IVA, anziché ripetere l’intero accertamento, senza riferire alcunché in ordine alle motivazioni che determinavano l’accertamento, in violazione dell’art .56 DPR n.633/72, 43 DPR n.600/73, 3 Legge n.241/90 e 7 Legge n.212/2000;
3.Nullità dell’accertamento per violazione degli artt.2697 (onere della prova), 2727 e 2729 (presunzione semplice) c.c.
Sosteneva in proposito che l’onere della prova in ordine alla falsità dell’operazione, rappresentata da false fatture da lui prodotte, era a carico dell’Ufficio (cfr. Cass. sentenze n.17799/2007 e n. 18710/2005), e che nessuna prova esisteva, né l’Ufficio era in grado di dimostrare che il Sig. L.S., nel 2003, intratteneva rapporti commerciali con la ditta (omissis), né proverebbe alcunché la circostanza che in passato egli era socio con il ricorrente.
Sosteneva di avere agito in buona fede e ignorava l’attività svolta dalla (omissis),né competeva a lui giudicare la politica commerciale di questa o dei suoi fornitori, che non era stato provato che si trattava di fatture soggettivamente inesistenti, e per le quali ancora pendeva giudizio penale, e che con la ditta (omissis) le operazioni commerciali erano effettivamente avvenute, per cui non si poteva parlare di fatture inesistenti, giacché l’IVA da lui era stata legittimamente detratta e versata alla (omissis). Sosteneva ,infatti, che era in grado di dimostrare che il pagamento delle fatture (omissis) era avvenuto tramite banca.
Soggiungeva, poi, che anche la giurisprudenza comunitaria in materia di cosiddette ”frodi carosello” (sentenza del 12.21.2006, cause riunite C-354/03, C-355/03, C-484/03), aveva sostenuto che il diritto del soggetto passivo che deduce l’IVA pagata a monte non poteva essere pregiudicato dal fatto che, nella catena di operazioni fraudolenti, in quanto il ricorrente non poteva sapere che gli acquisti effettuati erano relativi da una frode IVA.
In ordine alla documentazione relativa a spese sostenute direttamente dal Sig. L.M., legale rappresentante della (omissis), si riservava di fornire la prova che tali operazioni commerciali con l’estero erano realmente avvenute.
Contestava, poi, l’affermazione dell’Ufficio, secondo cui il ricorrente per sfuggire ai controlli del fisco aveva modificato la struttura giuridica della sua azienda, in quanto, al contrario, l’A.F. aveva incluso nei suoi programmi di accertamento proprio i soggetti che modificavano spesso la partita IVA o la forma giuridica (v. Circ. Agenzia delle Entrate n.6/E del 25.1.2008).
Pertanto, chiedeva l’accoglimento del ricorso e la condanna dell’ufficio al pagamento delle spese del presente giudizio.
Di seguito alla notifica in data 25.4.2008 della Cartella di pagamento n. (omissis), con la quale veniva intimato il pagamento di €.385.438,45 dovuto a titolo provvisorio in presenza dir ricorso, per iscrizione a ruolo a seguito di avviso di accertamento n. (omissis) /2007, per l’anno d’imposta 2003, con atto depositato nella Segreteria di questa Commissione l’1.7.2008, il ricorrente presentava istanza di sospensione per la sussistenza sia del fumus boni iuris, per le motivazioni esposte nel ricorso, sia del danno grave e irreparabile, atteso che stava attraversando un periodo di ristrettezza finanziaria , come poteva evincersi dall’allegato estratto conto della Banca (omissis)., per cui il pagamento di tale somma non poteva che portarlo ad uno stato di insolvenza e, quindi, al fallimento.
Con altro atto, depositato l’1,7.2008, a seguito della intervenuta notifica in data 25.4-20089 della cartella di pagamento n. (omissis), dell’importo di €.73.374,94, dovuto a titolo provvisorio in presenza di ricorso, per iscrizione a ruolo a seguito di avviso di accertamento n. (omissis) /2007, per l’anno d’imposta 2004, il ricorrente presentava analoga istanza di sospensione, con le stesse motivazioni.
Contestualmente, chiedeva la trattazione del ricorso in pubblica udienza.
Con separati atti n. (omissis) e n. (omissis) del 3.4-2008, depositati nella Segreteria di questa Commissione il 7.4.2008, l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Barletta, si costituiva in giudizio, richiedendo la riunione dei due ricorsi e contro deduceva.
A tal fine, riferiva che, in relazione al primo motivo di impugnazione, per cui l’ufficio, violando la previsione dell’art.57 del DPR n.633/72, avrebbe integrato l’imponibile accertato ai fini IVA, senza addurre la sopravvenuta conoscenza di fatti nuovi, chiariva che la rettifica IVA era stata effettuata sulla scorta della previsione dell’art.54, comma 3, del DPR n.633/72, che consentiva, su segnalazione della G.d.F. o altre pubbliche amministrazioni, di circoscrivere l’accertamento ad alcuni redditi del contribuente, senza interessare altri settori, come era avvenuto nel caso di specie. I fatti contestati costituivano,quindi, fatti nuovi acquisiti dopo l’emanazione dell’avviso di accertamento, già notificato al contribuente.
Anche l’altro motivo, per cui l’Ufficio non avrebbe fornito la prova della falsità soggettiva delle operazioni contestate, e che il diritto di dedurre l’IVA pagata a monte, non era pregiudicato attesa la buona fede circa il mancato assolvimento degli obblighi di versamento da parte del cedente, anch’esso era infondato.
Sosteneva, in proposito, che si trattava di cosiddette frodi carosello, che, nel caso di specie, era stato svelato dalla G.d.F. di (omissis)., che aveva accertato che la (omissis) di (omissis). (soggetto cedente, che aveva assunto la veste di cartiera e che, in tale veste aveva intrattenuto una fitta rete di rapporti commerciali con il ricorrente) aveva acquistato autovetture nuove e usate (provenienti dalla Germania) che poi aveva ceduto alla ricorrente a prezzi inferiori a quelli di acquisto, senza effettuare il versamento dell’imposta incassata dal cedente. Con questo meccanismo , l’acquirente conseguiva un vantaggio concorrenziale potendo vendere a sua volta le autovetture acquistate ad un prezzo inferiore a quello praticato da altri operatori e, nel contempo, detrarre l’IVA applicata sulle fatture di acquisto emesse dalla venditrice. In effetti, avendo acquistato a prezzi inferiori, la cartiera aveva rinunciato al profitto che avrebbe conseguito se avesse operato sul mercato.
In ordine all’assunto del ricorrente, per il quale le operazioni commerciali con la (omissis) erano realmente avvenute e giustificate dall’esistenza di mezzi di pagamento utilizzati, a giustificazione, richiamava la sentenza della Cassazione (n.15228 del 3.12.2001), secondo cui ”la prova della legittimità e correttezza delle detrazioni Iva deve essere fornita dal contribuente non risolvendosi nella sola esibizione di mezzi di pagamento che normalmente vengono utilizzati fittiziamente per dare corpo apparente ad una transazione inesistente”.
In ordine all’eccezione del ricorrente secondo cui non poteva non detrarre l’IVA quando, in buona fede (elemento psicologico ),non sia possibile sapere della frode perpetrata da terzi, richiamava quanto statuito dai giudici di legittimità (Cass. n.22882/06), che negava rilevanza all’elemento psicologico (cioè ala buona fede), per la quale “in presenza di operazioni inesistenti … non si realizza l’ordinario presupposto impositivo, né la configurabilità di un pagamento a titolo di rivalsa, né i presupposti per il diritto alla detrazione di cui all’art-19 DPR 633/72”.
Inoltre, a parere dell’Ufficio non pareva pertinente la richiamata giurisprudenza comunitaria, in quanto “solo l’estraneità del contribuente che si trovi a valle dell’operazione fraudolenta potrà giustificare la sua buona fede dal momento che in tali casi egli avrebbe potuto non sapere degli acquisti effettuati mediante frode IVA.”
Chiedeva, pertanto, l’accertamento della legittimità della pretesa erariale, la dichiarazione di infondatezza del ricorso e la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese di giustizia.
Questo Collegio, con ordinanze nn.98 e 99 del 24.9.2008,accoglieva l’istanza di sospensione dell’esecuzione degli atti impugnati, stante il periculum in mora in presenza di importi rilevanti contenute nelle cartelle di pagamento sopra richiamate.
Con separati atti, il ricorrente in data 18.11.2008, depositava memorie illustrative, allegando copia della sentenza della CTR di Bari n.74/1/08 del 3.7.2008, con la quale veniva confermata la sentenza favorevole al contribuente della CTP di Bari n.230/07/06 del 21.11.2006, innanzi citata.
A giustificazione richiamava, quindi, la sentenza n.39 della V Sezione della CTP Puglia, in tema di rettifica IVA, secondo cui l’ufficio “non poteva limitarsi a richiamare soltanto la verifica fiscale effettuata nei confronti di una società terza, ma è tenuto all’inderogabile potere-dovere di valutare autonomamente e criticamente gli elementi posti a base della pretesa fiscale”.Richiamava anche la sentenza n.37 della medesima sezione V della CTR del 7.1.2005, secondo cui “Spetta all’Amministrazione Finanziaria che adduce la falsità del documento e, quindi, l’esistenza di un maggiore imponibile, provare che l’operazione commerciale,documentata dalla fattura, non è stata in realtà mai posta in essere”.
Alla odierna pubblica udienza, dopo la sintetica introduzione del relatore dei termini della vertenza di cui è causa e sopra riportati, le parti, assente il rappresentante dell’Agente della Riscossione, a corredo e conforto delle posizioni annunciate e riconfermate in udienza, come da verbale, si riportavano sostanzialmente agli assunti di cui agli atti introduttivi e alle memorie illustrative, con le documentazioni prodotte nei termini di legge e depositate.


IN DIRITTO
Preliminarmente, la Commissione dispone la riunione dei ricorsi per connessione soggettiva ed oggettiva.
Il ricorrente lamenta, innanzi tutto, la violazione dell’art.57, comma 3,del DPR n.633/72, in quanto l’Ufficio, in assenza di nuovi elementi, non poteva legittimare un secondo avviso di accertamento per lo stesso periodo d’imposta (2003), per il quale la sezione VII di questa Commissione, con sentenza n.230/07/06, aveva accolto il suo ricorso.
L’eccezione è fondata e merita accoglimento.
Di norma, il contribuente non vanta pretese nei confronti del Fisco, ma subisce l’esercizio dei poteri finalizzati all’attuazione della legge d’imposta. Perciò nel diritto tributario la violazione e l’elusione del giudicato configurano prima di tutto una exceptio iuris, ossia un evento sopravvenuto rispetto alla realizzazione del presupposto, capace di effetti ostativi, modificativi o estintivi sull’obbligazione tributaria in via di attuazione.
Per effetto dell’art.43 del DPR n.600/73, infatti, l’accertamento può e deve essere modificato soltanto nel caso di sopravvenienza di nuovi elementi di conoscenza da parte dell’Ufficio.
L’indicazione giurisprudenziale è per l’ammissibilità della rinnovazione nei casi di riconosciuta presenza di una causa di nullità formale dell’atto –non, quindi, di vizi sostanziali – e salvo il giudicato formatosi sul rapporto giuridico controverso (cfr. Cass.,Sez.Trib.,sentenza 16.7.2003, n.11114; Cass.,Sez.I, sentenza 21.8.1993, n.8854; Cass.,Sez. V,sentenza 8.4.1992, n.4303).
Se sopraggiunge un giudicato sul rapporto d’imposta sfavorevole alla Amministrazione, l’atto non potrà perciò essere rinnovato, sia pure con effetti ex nunc, con lo stesso contenuto con cui era stato originariamente concepito, prendendo a pretesto il riconosciuto vizio formale che lo affligge, e ciò per la prevalenza dell’obbligo di conformarsi al giudicato cui l’Amministrazione è soggetta.
Nel caso di specie, infatti la CTR di Bari, Sez.I, con sentenza n.74/01/08, depositata il 3.7.2008, aveva rigettato l’appello dell’Ufficio, confermando la sentenza della CTP n.230/07/06 appellata.
In ordine all’avviso di accertamento n. (omissis) /2007, notificato il 9.8.2007, emesso sulla scorta della dichiarazione Mod.UNICO PF/2005, per l’anno d’imposta 2004, e sulle risultanze della verifica fiscale della Guardia di finanza di Andria condotta nei confronti di una ditta terza ((omissis).) che assumeva di avere emesso n.31 fatture di vendita di auto usate nei confronti del ricorrente per l’importo di €.646.583,34 ed IVA al 20% di €.129.316,72, la ricorrente lamenta che l’Ufficio, avvalendosi dell’art.54, comma 5 (accertamento parziale) del DPR n.633/72, è intervenuta con un accertamento parziale per recuperare solo l’IVA, anziché ripetere l’intero accertamento, senza alcuna motivazione in ordine all’ accertamento, in violazione degli artt.56 e 57 DPR n.633/72, 43 DPR n.600/73, 3 Legge n.241/90 e 7 legge n,212/2000, nonché per violazione degli artt. 2697 (onere della prova), 2727 e 2729 (presunzione semplice) del Codice civile.
L’eccezione è fondata e merita accoglimento.
La Commissione osserva che i dati e le notizie acquisiti in occasione di verifiche eseguite dalla Guardia di Finanza, riferiti a soggetti diversi dal contribuente verificato (nella specie, la società (omissis)), sono liberamente utilizzati dall’Ufficio in sede di accertamento (cfr. Cass., Sez. Trib.,sentenza 7.2.2007, n.2675; id. 21.4.2008, n.10261 e 21.5.2008, n.12901)-
Tuttavia, l’Ufficio,qualora non ricorra all’accertamento in rettifica diretta, in base al raffronto della dichiarazione ( nel caso di specie, Mod. Unico PF 2005), con le altre precedenti dichiarazioni d’imposta con le annotazioni fatte dal contribuente nei registri previsti dagli artt.23, 24, e 25 del DPR n.633/72, può avvalersi anche delle presunzioni semplici, anche ricavate per relationem ; ma nella ricostruzione delle operazioni imponibili non può prescindere dalla enunciazione espressa del collegamento logico che intende trarre dai fatti storici ivi enunciati, al fine di evidenziare la sottrazione al pagamento di tributi ovvero, come nel caso di specie, indebite detrazioni IVA per fatture inesistenti, identificando la relazione tra fatti storici costitutivi dell’obbligazione tributaria e la valutazione che ha indotto l’Ufficio ad operare la rettifica.
Una volta affermata la legittimità della documentazione acquisita, occorreva che il successivo riversamento in sede di accertamento doveva essere preceduto da un contradditorio che permettesse al contribuente verificato di esercitare i propri diritti e le proprie facoltà, come previsti dall’art.12 della legge n.212/2000 e di poter fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento ex art 32, comma 1, punto 2, del DPR n.600/73, come modificato dall’art.1, comma 404, della legge n.311/2004 (Finanziaria 2005).
Da tempo, infatti, l’ordinamento ha incorporato numerose fattispecie che, per espressa previsione della legge (per esempio, art-37-bis, comma 4, del DPR n.600/73, oltre alle norme prima richiamate), o in virtù di una comoda interpretazione (artt. 16 e 17 del D. Lgs. n.472/97), impongono all’Amministrazione finanziaria di esaminare le ragioni del contribuente prima di provvedere.
Rileva il Collegio che per consolidato orientamento giurisprudenziale, l’obbligo motivazionale dell’accertamento si ritiene adempiuto tutte le volte che il contribuente sia messo in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, sia messo in condizione di esercitare il diritto di difesa, con cognizione di fatti.
Tale principio può ritenersi valido ed applicabile, anche sulla base della disposizione introdotta dall’art.7, comma 1, della legge n.212/2000 (integrata dal D.Lgs. n.32/2001), che, ispirata all’esigenza di rafforzare le garanzie di esercizio del diritto di difesa, ha affermato l’esigenza di elevare a dignità di requisito essenziale per la validità dell’accertamento la circostanza che all’avviso vengano allegati gli atti dichiarati nella relativa motivazione.
Orbene, il richiamo ad un contenitore di dati, pur se rappresentato dal PVC della Guardia di Finanza, non risponde al dettato dell’art.56 del DPR 633/72, e non è idoneo di per sé a realizzare una motivazione dell’accertamento conforma alla legge.
Il richiamo al PVC può servire solo ad integrarla motivazione, ma resta fermo il principio che l’Ufficio deve svolgere una propria indagine e valutare la documentazione richiesta al contribuente e acquisita in contradditorio, che però è mancato.
Infatti la motivazione degli atti di accertamento per relationem, con rinvio alla e conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio di poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone l conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contradditorio (cfr, ex multis, Cass.Sez.Trib., sentenza 15.9.2008, n.23635).
Ma nel caso di specie, incombeva sull’Ufficio l’obbligo della motivazione nella redazione dell’atto impositivo e l’onere della prova in sede giurisdizionale, al fine di dimostrare che effettivamente le 31 fatture di acquisto di autovetture usate erano da considerarsi effettivamente “inesistenti soggettivamente”, in quanto la ditta terza (omissis) era da ritenersi un “soggetto di fatto vuoto”, in quanto costituito appositamente per porre in essere le cosiddette “frodi carosello”, che si basano sul ricorso a società utilizzate per acquistare e rivendere merce solo cartolarmente , dissimulando l’effettiva transazione commerciale che avviene tra due soggetti realmente operanti con l’unico scopo di evadere l’IVA mentre per il contribuente acquirente l’IVA era da ritenersi indetraibile, per l’assenza delle operazioni effettuate.
Ma tale onere non è stato assolto dall’Ufficio.
Ed infatti, le operazioni commerciali tra la (omissis) e la ricorrente risultavano realmente avvenute, con detrazione dell’IVA ex art,19 DPR n.633/72, per cui non può parlarsi di fatture soggettivamente inesistenti.
All’uopo, il ricorrente ha allegato agli atti di causa fatture di acquisto con i relativi pagamenti effettuati per mezzo di assegni bancari; così fornendo la prova della correttezza della detrazione delle fatture ritenute relative ad operazioni inesistenti, conformemente a quanto ritenuto dalla >cassazione (cfr. sentenza 29 ottobre 2008, n.25910).D’altra parte, coloro che sono in buona fede, come asserito nel caso di specie, non possono subire limitazioni alla detrazione dell’IVA. La fattura, infatti è un documento idoneo a documentare un costo dell’impresa e, pertanto, nella ipotesi che l’amministrazione finanziaria ritenga relativa d operazioni inesistenti, non spetta al contribuente provare che l’operazione è effettiva, ma spetta all’Ufficio provare che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è stata mai posta in essere (cfr. Cass. Sez. Trib. Sentenza 13.3.2008,n.15395).
Il ricorrente ha ribadito di avere agito in buona fede, ignorando che l’attività svolta effettivamente dalla (omissis) era posta in essere per frodare l’IVA, per cui non poteva essere chiamato a rispondere dei comportamenti illegittimi altrui. Ed infatti, la bona fides (intesa come comportamento corretto) si presume, la mala fides va provata.
Trattasi di un principio che ha trovato una precisazione opportuna nelle cosiddette e predette “frodi carosello”, alla luce dell’orientamento che è emerso in sede della giurisprudenza comunitaria.
In base al principio della neutralità fiscale dell’IVA, infatti, la Corte di Giustizia U.E. ha ritenuto che i soggetti che sono in buona fede non possono subire limitazione alla detrazione(cfr. sentenza del 12.1.2006, relativa alle cause riunite C-354/03, C355/03 e C-484/03). Il diritto alla detrazione può essere negato solo quando il contribuente sapeva o avrebbe potuto sapere, usando la normale diligenza, che gli acquisti effettuati erano relativi ad una frode IVA.
In materia di indebita detrazione dell’IVA per operazioni inesistenti, la prova dell’esistenza delle stesse deve essere fornita dall’Agenzia delle Entrate (cfr. Cass.,sentenze 21.8.2007,n.17799 e 23.9.2005, n.18710).Ma, nel caso di specie , nessun elemento obiettivo di prova è stato fornito dall’Amministrazione finanziaria, salva la acritica riproduzione di quanto contenuto nel PVC della Guardia di Finanza.
Infatti, l’avviso di rettifica traduceva in atto impositivo impugnabile l’atto istruttorio endoprocessuale della Guardia di Finanza ritenendolo validamente motivato e assistito da idoneo supporto probatorio. L’ufficio finanziario riteneva di emettere l’atto avvalendosi della motivazione per relationem, cioè di motivazione non esplicitata nell’atto, ma implicitamente presente in quanto effettuata per richiamo a quanto già dedotto dalla Guardia di Finanza, le cui risultanze si intendevano, per testuale indicazione, inserite nell’avviso di rettifica, integralmente riportate.
Neppure l’affermazione secondo cui il contribuente ricorrente, per sfuggire ai controlli del Fisco, modificava di continuo la partita IVA o la ragione sociale, è stata dimostrata.
Le affermazioni dell’Ufficio, pertanto, restano prive di reale riscontro, non consentendo a questo Collegio di individuare le fonti del proprio convincimento, di valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi acquisiti.
In altri termini, l’Ufficio non ha immesso nell’atto impugnato l’indicazione delle prove sulle quali fonda la pretesa impositiva e le valutazioni di fatto e di diritto che ad essa coincidono.
Ne consegue che, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso, assorbita ogni altra eccezione, deve essere conclusivamente accolto in tutte le sue articolazioni, stante la carenza probatoria della pretesa impositiva contestata con il ricorso.
Per la particolarità delle questioni trattate, appare equo statuire l’integrale compensazione delle spese del giudizio.


P.Q.M.


La Commissione accoglie i ricorsi riuniti.
Spese compensate.
Bari, lì 10 dicembre 2008.


IL RELATORE
Dott. Nicola Nitti


IL PRESIDENTE
Dott. Aldo Napoleone


__________________________
Commento


Le frodi “carosello”. Commento alla Sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Bari, Sezione 9^, n. 247 del 15/12/2008.
di Rendine Geremia



Interessante sentenza quella emessa dalla nona sezione della Commissione Tributaria Provinciale di Bari, la n.247 del 15/12/2009, (che si allega alla presente ), perché affronta alcuni temi molto dibattuti in materia tributaria.


Il primo è relativo all’emanazione da parte dell’Ufficio tributario di un secondo avviso di accertamento sulla base della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi contenuti in un PVC della G.d.F. a seguito di una verifica fiscale eseguita a carico di un fornitore della ditta contribuente che – a dire dell’organo ispettivo – era a tutti gli effetti una cartiera di fatture soggettivamente inesistenti, tantoppiù che sul primo avviso di accertamento vi era stato già un giudicato di altra sezione della CTP di Bari (la n 230/7/06 ) sfavorevole all’Ufficio e già confermato da sentenza della CTR di Bari (la n.74/1/08 del 3/7/2008 ).
La parte nel ricorso introduttivo aveva contestato il corretto uso dell’art.57, 3° comma, del DPR n.633/72 e 43 del DPR n.600/73 e la CTP di Bari, richiamando le sentenze della S.C. di Cassazione n.11114 del 16/7/2003, la n.8854 del 21/8/1993 e la n.4303 dell’8/4/1992, aveva ritenuto fondata l’eccezione e l’aveva accolta.


Il secondo argomento trattato è poi quello relativo alla motivazione dell’avviso di accertamento per relationem ad un PVC della Guardia di Finanza riguardante una verifica contabile fiscale eseguita nei confronti di un soggetto terzo, proprio fornitore, e la violazione da parte dell’Ufficio del principio del contradditorio nella fase istruttoria dell’accertamento (art.12 della L. n. 212/2000 ).
La CTP di Bari pur riconoscendo la validità di una motivazione eseguita per relationem afferma che “una volta affermata la legittimità della documentazione acquisita, occorreva che il successivo riversamento in sede di accertamento doveva essere preceduto da un contradditorio che permettesse al contribuente verificato di esercitare i propri diritti e le proprie facoltà, come previsti dall’art.12 della legge n.212/2000 e poter fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento ex art.32, 1°co., punto 2, DPR n.600/73.”
Prosegue la stessa: ” il richiamo ad un PVC può servire ad integrare la motivazione, ma resta fermo il principio che l’Ufficio deve svolgere una propria indagine e valutare la documentazione richiesta al contribuente e acquisita in contradditorio, che però è mancato”.Se dunque dal punto di vista dell’obbligo della motivazione questo risulta essere stato assolto in sede amministrativa, la Commissione rammenta che incombeva allo stesso l’onere della prova in sede giurisdizionale e sul punto l’Ufficio è stato carente avendo omesso di dimostrare la veridicità dei fatti che risultano solo affermati.


Il terzo argomento tratta dell’onere della prova e di detrazione dell’IVA in presenza di fatture per operazioni inesistenti (in presenza delle così dette frodi “carosello”- vedi nota in calce-). La Commissione barese richiama la giurisprudenza della Corte di Cassazione, in particolare la sentenza n.17999 del 21/8/2007 e la n.18710 del 23/9/2005, per affermare che in materia di indebita detrazione dell’Iva per operazioni inesistenti la prova dell’esistenza delle stesse deve essere fornita dall’Agenzia delle Entrate e nella fattispecie nessun elemento di prova è stato fornito dall’Amministrazione Finanziaria, salvo l’acritica riproduzione del Pvc della Gdf. Di conseguenza le affermazioni dell’Ufficio circa l’indebita detrazione dell’iva perché afferenti operazioni soggettivamente inesistenti, restano prive di reale riscontro né consentono, all’Organo giudicante, di individuare le fonti di tale convincimento, di valutarne le prove, di controllarne l’attendibilità e la serietà. Inoltre, la stessa ritiene di non essere stata messa in condizione “di scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi acquisiti”.
E’ mancata sia la prova materiale che la prova logica.


Avv. Geremia Rendine
( già Dirigente Capo Area Controllo di Bari 1 e Bari 2, attualmente in pensione )

Nota


Ma che cosa sono queste frodi carosello e perché il Fisco vi dedica tanta attenzione?
Le frodi carosello riguardano il campo IVA e realizzano l’evasione delle imposte dirette e dell’Iva sfruttando i meccanismi dell’iva comunitaria, che, come è noto, si applica secondo il principio di tassazione nel Paese di destinazione del bene oggetto di transazione commerciale.
Se una impresa nazionale vuole evadere l’Iva ( e, nello stesso tempo, conseguire un illecito vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza) può cercare di interporre, tra se stessa e l’impresa comunitaria che effettua la cessione di beni , una o più società nazionali “cartiere”, cioè esistenti solo sulla carta, senza una reale struttura operativa. Il debito d’imposta che si crea all’atto del primo passaggio nazionale viene assunto da queste società “fantasma” le quali non assolvono ad alcun obbligo contabile o tributario e poi, una volta cessata l’attività, lasciano a secco, insieme agli altri creditori anche lo Stato.
E’ ovvio che, a causa del mancato pagamento dell’iva da parte del cosiddetto fornitore-cartiera, l’impresa che ha compiuto l’interposizione può acquistare i beni a prezzi inferiori a quelli di mercato e può al limite chiedere il rimborso dell’iva in eccedenza.
A volte queste triangolazioni sono anche più complesse in quanto nel meccanismo si inseriscono alcune società ”filtro”, che allungano il “carosello”, rendendo più difficoltosa l’azione di accertamento da parte del Fisco.-