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Comm. Trib. Prov. di Bari, Sez. VI


Sent. n. 180 del 2 dicembre 2009
(ud. del 4 novembre 2009)


Pres. S. Grillo,
Rel. G. Introna


Imposta sul valore aggiunto – Rettifica delle dichiarazioni – Rettifica parziale – Art. 54, comma 5, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – Assenza di elementi certi a sostegno della rettifica – Illegittimità per omesso assolvimento dell’onere della prova – Sussiste.
Massima – Nel caso di rettifica parziale ex art. 54, comma 5, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, l’Amministrazione finanziaria, perché possa ritenersi assolto l’onere probatorio di cui è gravata, deve porre a fondamento della propria pretesa elementi certi e non elementi che, in quanto contraddetti da circostanze e documenti che sono ad essa noti già nella fase istruttoria del procedimento accertativo, si appalesano come meramente indiziari.


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Svolgimento del processo
Il 30/06/2008 l’Agenzia delle Entrate Ufficio Bari 2 ha notificato al Sig. (OMISSIS) avviso di accertamento n. (OMISSIS) per IVA anno 2002. L’ufficio precisa che il ricorrente ha aderito alla sanatoria L. 289/2002 solo per le imposte sui redditi, per cui è applicabile la proroga dei termini ai fini IVA e, tenuto conto del p. v. di accesso e richiesta documenti dello stesso ufficio, da cui si rileva che sono state rinvenute presso la società (OMISSIS) s.n.c. n° 3 fatture (OMISSIS) risultanti emesse dal ricorrente, e che le stesse non risultano contabilizzate, ha emesso l’avviso, considerando che i funzionari verbalizzanti hanno contestato la mancata contabilizzazione di dette fatture anche se il ricorrente non le ha riconosciute come proprie producendo copia di denuncia alla A.G.. Il 31/10/2008 il Sig. (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS) e dall’avv. (OMISSIS), ha depositato ricorso. Precisa che il 13/11/2007, in sede di accesso, a fronte della visione delle fatture emesse alla società (OMISSIS) s.n.c., ha dichiarato di disconoscere e l’emissione delle fatture e la relativa quietanza liberatoria in quanto non ha mai commercializzato il materiale indicato nelle dette fatture fittizie e di aver provveduto a sporgere denuncia alla Gdf. Evidenzia che i verificatori hanno acquisito le fatture, riportanti la medesima numerazione, realmente emesse e regolarmente contabilizzate. Eccepisce la nullità dell’avviso per difetto di motivazione, considerando il disconoscimento delle fatture e che l’ufficio non ha mai messo in dubbio l’attendibilità delle fatture con identica numerazione effettivamente emesse e regolarmente registrate. Afferma la mancanza dei presupposti di fatto e di diritto richiesti dall’art. 56 D.P.R. 633/72 e che l’ufficio si è limitato a recepire una mera ipotesi non ancorata ad alcun fatto certo. Sostiene la nullità per violazione dell’art. 56, comma 5, D.P.R. 633/72 e dell’art. 7, comma 1, L. 212/2000. Sostiene la illegittimità delle presunzioni operate, la nullità per violazione dell’onere della prova. Eccepisce la nullità per decadenza dalla potestà accertativa in quanto ha aderito al condono tombale ex art. 9 L. 289/2002. Sostiene la infondatezza nel merito dell’avviso e la illegittima applicazione delle sanzioni. Il 9/12/2008 l’Agenzia delle Entrate Ufficio Bari 2 ha depositato controdeduzioni. Per quanto attiene all’eccepita decadenza, evidenzia che il ricorrente non si è avvalso, ai fini dell’IVA, della sanatoria L. 289/2002, per cui i termini sono prorogati di due anni. In merito alla eccepita violazione di motivazione, afferma che l’avviso di accertamento ha carattere di provocatio ad opponendum ed ha posto in grado il ricorrente di conoscere la pretesa nei suoi elementi essenziali e soddisfa l’obbligo di motivazione. Afferma che la circostanza che il ricorrente abbia sporto denunzia di apocrificità delle fatture nn. (OMISSIS) non equivale ad escludere “tout court” che le operazioni fossero effettivamente inesistenti e costituire prova valida tale da rendere nullo l’accertamento. Ritiene che incomba sul ricorrente l’onere della prova e che la mera indicazione di aver registrato in contabilità altre fatture con identico numero, oltre ad avere sporto denuncia, rappresenta mero elemento indiziario. Ritiene che i detti elementi non equivalgono da soli a scalfire l’attendibilità di documenti riscontrati presso un cliente della ditta. Il 14/10/2009 il ricorrente ha depositato memorie illustrative. Ribadisce i motivi e le ragioni del ricorso introduttivo affermando ulteriormente il difetto di motivazione poiché l’atto contiene un semplice rinvio al p.v. a carico del ricorrente e quest’ultimo contiene solo un laconico cenno all’attività ispettiva nei confronti della società (OMISSIS) s.n.c. presso la quale sono state rinvenute le fatture e la quietanza disconosciute e che detto atto non è stato allegato all’avviso di accertamento. Evidenzia che, a seguito della denuncia, il P. M. del Tribunale di Trani ha chiesto il rinvio a giudizio del Sig. (OMISSIS) (rappresentante legale della menzionata s.n.c., n.d.r.), che il P.M., sulla scorta delle fonti di prova, ha qualificato come false le fatture nn. (OMISSIS) ed ha ritenuto che il Sig. (OMISSIS) (rappresentante legale della menzionata s.n.c., n.d.r.) abbia integralmente falsificato anche un’ulteriore fattura emessa dalla ditta (OMISSIS) (operatore economico diverso dal ricorrente, n.d.r.), il cui titolare ha negato di averla emessa, che di conseguenza il G.I.P. del Tribunale di Trani ha disposto il rinvio a giudizio del Sig. (OMISSIS) (rappresentante legale della menzionata s.n.c., n.d.r.). Allega ampia documentazione a sostegno. Alla odierna udienza sono comparsi per il contribuente il difensore (OMISSIS), per l’ufficio il dott. (OMISSIS). Il difensore del ricorrente si riporta ai motivi esposti nel ricorso insistendo sulla richiesta di accoglimento dello stesso ricorso. Il dott. (OMISSIS) si riporta ai propri atti dichiarandone la legittimità.
Motivi della decisione
La Commissione, tenuto conto che l’atto impugnato attiene esclusivamente all’IVA, ritiene infondata e non accoglie l’eccezione riguardante la decadenza dalla potestà accertativa in quanto il ricorrente ha aderito al condono tombale ex art. 9 Legge 289/2002 limitatamente alle imposte sui redditi e non anche per l’IVA; di conseguenza i termini, relativamente agli accertamenti per detta imposta, sono prorogati ex art. 10 della detta legge 289/2002. Per quanto attiene alle eccezioni in merito alla motivazione dell’atto ed alla fondatezza della pretesa, dagli atti prodotti appare in modo evidente che la motivazione dell’avviso impugnato si fonda esclusivamente su quanto evidenziato dal p.v. di accesso e richiesta documenti del 13/11/2007, dal quale risulta unicamente che l’ufficio ha fatto prendere visione al ricorrente di n° 3 fatture emesse alla società (OMISSIS) s.n.c. di (OMISSIS) ed ha contestato la mancata contabilizzazione delle dette fatture. Nello stesso p.v. di accesso e richiesta documenti del 13/11/2007 risulta che il ricorrente ha disconosciuto l’emissione di tali fatture precisando che il 12/11/2007 ha sporto denuncia presso la GdF di Trani. Dagli atti emessi dalla A.G. riguardanti il procedimento instaurato a carico del Sig. (OMISSIS) risulta che lo stesso è stato rinviato a giudizio per aver utilizzato, previa loro integrale falsificazione, non solo le fatture oggetto dell’atto impugnato ma anche altre. Non risulta che l’ufficio abbia compiuto altra attività ed effettuato ulteriori riscontri e verifiche per avallare con altri elementi, certi, quanto in motivazione, che pertanto risulta carente di prova sulla veridicità della mancata contabilizzazione delle fatture nn. (OMISSIS) intestate alla ditta (OMISSIS) s.n.c.. Per detti motivi la Commissione accoglie il ricorso annullando l’atto impugnato; in considerazione della particolarità e complessità della fattispecie trattata ritiene equo disporre la compensazione delle spese del giudizio.


P.Q.M.


la Commissione accoglie il ricorso. Spese compensate.
Bari, 4/11/2009


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Commento


La rettifica parziale ex art. 54, comma 5, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633
e l’indefettibile presupposto della sussistenza di precisi elementi
atti a consentire di individuare in modo certo materia imponibile sottratta a tassazione.
Commento alla sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Bari, Sez. VI, 2 dicembre 2009, n. 180
(di Pasquale De Tellis)


1. Premessa
La sentenza che si annota, pronunciata in relazione ad un caso di rettifica parziale ex art. 54, comma 5, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, pone in luce, sia pure succintamente ed indirettamente, lo stretto legame tra osservanza della disposizione appena citata – nella parte in cui, in particolare, impone di fondare la rettifica su elementi specifici che consentano di individuare con certezza fattispecie imponibili sottratte a tassazione – ed assolvimento dell’onere della prova gravante sull’Amministrazione finanziaria.
Poiché, infatti, la rettifica de qua necessita, come evidenziato dai Giudici baresi, di un sostegno costituito da elementi certi (1), qualora l’Amministrazione finanziaria fondi la propria pretesa su elementi che si appalesano come meramente indiziari in quanto contraddetti da circostanze e documenti che sono ad essa noti già nella fase istruttoria del procedimento accertativo, l’avviso di accertamento – hanno concluso i medesimi Giudici – è illegittimo per difetto di prova.


2. La fattispecie
La fattispecie concreta sottoposta all’attenzione dei Giudici baresi si caratterizza per il rinvenimento, in occasione di un accesso eseguito da parte dei verificatori dell’Agenzia delle Entrate presso la sede operativa di una società in nome collettivo, di tre fatture apparentemente emesse, nei confronti della stessa società, a nome del contribuente parte del giudizio conclusosi con la pronuncia in commento, nonché della relativa quietanza liberatoria, anch’essa apparentemente emessa a nome di tale contribuente.
Tali fatture, unitamente a detta quietanza liberatoria, sono state esibite al contribuente dai verificatori dell’Agenzia delle Entrate nel corso di un accesso effettuato presso la sede della ditta di cui è titolare.
Il contribuente ha risolutamente disconosciuto sia le tre fatture che la relativa quietanza liberatoria, precisando che esse fanno riferimento ad operazioni del tutto inesistenti in quanto nei confronti della suindicata società, nell’anno d’imposta oggetto di accertamento (2002), ha realmente emesso solo due fatture – regolarmente contabilizzate ed acquisite in copia dagli stessi verificatori – recanti data di emissione, numeri cronologici, oggetti ed importi del tutto differenti da quelli recati dalle citate tre fatture.
Il contribuente ha, altresì, informato i verificatori di aver già provveduto a sporgere denuncia, presso la locale Compagnia della Guardia di Finanza, nei confronti del rappresentante legale della suindicata società in nome collettivo, contestandogli l’emissione delle tre fatture contraffatte di cui sopra ed ha consegnato loro copia della stessa e del relativo verbale redatto dai militari della Guardia di Finanza.
I verificatori hanno, poi, acquisito le fatture realmente emesse dal contribuente nell’anno d’imposta 2002 recanti gli stessi numeri cronologici indicati nelle predette fatture contraffatte ed hanno, così, avuto modo di accertare, per un verso, che, rispetto a queste ultime, recavano data di emissione, oggetti ed importi del tutto differenti e, per altro verso, che erano state regolarmente contabilizzate.
Nonostante gli appena evidenziati elementi smentissero ampiamente la decisività, ai fini del fondamento della pretesa impositiva, delle tre fatture rinvenute presso la sede operativa della società in nome collettivo, l’Agenzia delle Entrate, facendo propria l’indimostrata e non provata ipotesi dei verificatori e senza contestare sotto alcun profilo l’attendibilità e la corretta tenuta delle scritture contabili della ditta verificata, ha emesso avviso di accertamento con cui, ai sensi dell’art. 54, comma 5, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, sulla base dell’illegittimo ed erroneo presupposto per cui le fatture de quibus non risultavano contabilizzate dal contribuente, ha recuperato l’IVA ad esse relativa, pari ad euro 62.605,00, ed ha, altresì, irrogato sanzioni, pari ad euro 78.256,25, per un totale di euro 140.861,25, oltre interessi.
Nell’adire il Giudice tributario, il contribuente ha eccepito:
a) nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione;
b) nullità dell’avviso di accertamento per violazione degli artt. 56, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972 e 7, comma 1, della legge n. 212/2000;
c) nullità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 54, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972 ed illegittimità delle presunzioni operate;
d) nullità dell’avviso di accertamento per violazione dell’onere della prova;
e) nullità dell’avviso di accertamento per intervenuta decadenza dalla potestà accertativa;
f) nullità dell’avviso di accertamento per infondatezza nel merito;
g) illegittima applicazione delle sanzioni.


3. La rettifica parziale ex art. 54, comma 5, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633
Il modulo accertativo adottato nel caso di specie dall’Amministrazione finanziaria, ossia la rettifica parziale di cui all’art. 54, comma 5, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, al pari dell’accertamento parziale di cui all’art. 41-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (2), costituisce una deroga (3) al principio generale dell’unicità dell’accertamento, in virtù del quale, come è noto, attraverso l’accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, con riferimento al periodo d’imposta oggetto d’esame, si deve pervenire alla determinazione dell’imposta dovuta con un unico atto e non con più atti reiterati nel tempo (4).
Tale principio si ricava, indirettamente, dagli artt. 43, quarto comma, del citato D.P.R. n. 600 del 1973 e 57, quarto comma, del parimenti citato D.P.R. n. 633 del 1972, a mente dei quali l’avviso di accertamento, una volta emesso, può essere integrato o modificato solo in base alla sopraggiunta conoscenza di nuovi elementi, ossia di elementi che, al tempo del primo accertamento, non potevano essere conosciuti dall’Ufficio impositore.
Ne discende che quest’ultimo, ai fini del fondamento e della quantificazione della pretesa impositiva, deve tenere conto, sino al momento della notifica dell’avviso di accertamento, di tutti gli elementi conoscibili.
Ciò – è evidente – non può non determinare un rallentamento dell’attività accertativa, inconveniente al quale il Legislatore ha posto rimedio introducendo (5), per l’appunto, l’istituto dell’accertamento parziale, che consente all’Amministrazione finanziaria di procedere ad accertare l’imponibile o l’imposta risultante da specifici elementi senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertativa, vale a dire senza precludersi di fare luogo ad un’ulteriore attività di accertamento basata, in deroga al richiamato principio dell’unicità dell’accertamento, su dati noti già al tempo dell’accertamento parziale.
Atteso tale rilevante effetto procedimentale, si ritiene che i dati da porre a fondamento dello strumento accertativo de quo debbano essere costituiti da precisi elementi atti a consentire sostanzialmente ictu oculi l’individuazione di materia imponibile sottratta a tassazione.
Val quanto dire che gli elementi a sostegno della pretesa impositiva devono essere tali da consentire la predisposizione dell’accertamento parziale in difetto di un’incisiva ed approfondita attività istruttoria da parte dell’Amministrazione finanziaria, di talché questa ben può limitarsi a raccogliere informazioni minimali al mero fine di verificare in limine l’attendibilità di detti elementi (6).
È quanto mai palese, inoltre, che i precisi elementi su cui deve fondarsi l’accertamento parziale sostanziano di sé sia la motivazione che la prova della pretesa impositiva, nel senso che tali elementi non possono non costituire il nucleo primario tanto della motivazione dell’avviso di accertamento o di rettifica in cui l’Amministrazione finanziaria formalizza la pretesa in discorso quanto del corredo probatorio indicato a sostegno della ripresa a tassazione.
E non sembra possa fondatamente opinarsi che il descritto carattere saliente dei dati da porre a fondamento dell’accertamento parziale sia, anche solo in parte, mutato dopo le modifiche apportate dapprima con la legge 30 dicembre 1991, n. 413 e successivamente con la legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005) (7) (8).
Del resto, anche i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate nella recente circolare n. 8/E del 13 marzo 2009 (paragrafo 8.2) inducono a ritenere che connotati peculiari dell’accertamento parziale restino la spiccata valenza dimostrativa, ai fini del recupero a tassazione, degli elementi suscettibili di costituire il fondamento di tale modulo accertativo ed un’attività istruttoria minimale.
Non può farsi a meno di segnalare, tuttavia, come in dottrina non manchi chi sia persuaso che anche un elemento non dotato, di per sé, di specifica valenza dimostrativa possa fondare un accertamento parziale, sia pure a condizione che tale elemento venga elaborato ed adattato alla concreta situazione del contribuente controllato (9). In tal caso, dunque, l’Ufficio finanziario dovrebbe andare oltre un’istruttoria di tipo minimale e riscontrare puntualmente significatività e rilevanza dal dato posto a sostegno dell’accertamento parziale. In altre parole, secondo la posizione dottrinale in discorso, l’incisività e l’approfondimento dell’attività istruttoria dovrebbero essere inversamente proporzionali alla valenza dimostrativa dell’elemento che si vorrebbe porre a base dell’accertamento parziale.


4. Il principio espresso nella pronuncia. Argomentazioni a sostegno della sussistenza del difetto di prova ed argomentazioni a sostegno dell’integrazione della violazione dell’art. 54, comma 5, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633
Come accennato nella premessa, i Giudici baresi, con la sentenza in commento, hanno evidenziato come la rettifica parziale ex art. 54, comma 5, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 necessiti di un sostegno costituito da elementi certi. Ne consegue che, qualora l’Amministrazione finanziaria fondi la propria pretesa su elementi che si appalesano come meramente indiziari in quanto contraddetti da circostanze e documenti che sono ad essa noti già nella fase istruttoria del procedimento accertativo, l’avviso di accertamento è illegittimo per difetto di prova.
Il Collegio giudicante, segnatamente, ha rimarcato che, nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto operare i riscontri atti a consentire di verificare se emergesse in modo certo materia imponibile sottratta a tassazione.
In effetti, molteplici elementi fattuali e documentali imponevano all’Ufficio di appurare in modo particolarmente accurato che le tre fatture e la relativa quietanza liberatoria rinvenute presso la sede operativa della società in nome collettivo permettessero di stabilire con certezza l’esistenza di corrispettivi non dichiarati.
Detti elementi sono:
1) il disconoscimento, da parte del contribuente, delle tre fatture e della relativa quietanza liberatoria;
2) la denuncia sporta dal medesimo contribuente nei confronti del rappresentate legale della società in nome collettivo presso la cui sede le fatture e la quietanza de quibus sono state rinvenute;
3) la circostanza che la ditta verificata ha emesso e contabilizzato, liquidando l’IVA e versandola, fatture contrassegnate dagli stessi numeri cronologici delle fatture oggetto di denuncia, ma recanti date, importi e generalità differenti rispetto a quelli recati da queste (e – si badi – l’Ufficio non ha mai avanzato il minimo dubbio sulla regolarità ed attendibilità della contabilità tenuta dalla ditta verificata);
4) le risultanze del registro delle fatture emesse dalla ditta verificata, acquisito in copia dai verificatori dell’Ufficio (le fatture realmente emesse nel mese in cui figurano emesse le fatture oggetto di denuncia recano numeri cronologici di gran lunga superiori a quelli recati da queste ultime, senza contare, peraltro, che nella data in cui appaiono emesse le fatture disconosciute la ditta verificata non ha emesso alcuna fattura);
5) le macroscopiche divergenze sotto il profilo della veste grafica tra le fatture oggetto di denuncia e quelle realmente emesse dal contribuente e contraddistinte dagli stessi numeri di emissione delle prime (e tali fatture realmente emesse dal contribuente – e regolarmente contabilizzate – sono state acquisite in copia dai verificatori, unitamente a quelle realmente emesse – e regolarmente contabilizzate – nei confronti della società in nome collettivo, ma differenti in toto da quelle oggetto di disconoscimento);
6) la circostanza che l’oggetto delle fatture disconosciute era inconciliabile con l’attività imprenditoriale in concreto svolta dal contribuente.
Tutti questi elementi, idonei a configurare quali meri indizi i contrapposti elementi sulla cui base l’Organo accertatore ha ritenuto di provvedere alla ripresa a tassazione, sono stati inspiegabilmente ignorati prima dai verificatori e poi dal medesimo Organo accertatore.
Alla luce di quanto precede, è oltremodo evidente che, nel caso di specie, come sostanzialmente rilevato dall’Organo giudicante, difetta, a sostegno della rettifica parziale, qualsivoglia elemento oggettivamente contraddistinto dal carattere della certezza.
Come se non bastasse, ulteriori elementi, questa volta di natura meramente indiziaria (10), atti a far fortemente dubitare della fondatezza del recupero a tassazione derivano – osservano i Giudici baresi – dagli sviluppi che hanno fatto seguito alla denuncia sporta dal contribuente nei confronti del rappresentante legale della società presso la cui sede operativa sono state rinvenute le ridette fatture e la relativa quietanza liberatoria (11).
Nell’affermare la necessità che l’Ufficio finanziario procedesse ai riscontri atti a consentire di individuare in modo certo materia imponibile sottratta a tassazione, il Collegio giudicante, seppur focalizzando la propria attenzione in via diretta ed immediata sull’assolvimento dell’onere della prova da parte dell’Ufficio finanziario e solo in via indiretta ed implicita sulla violazione dell’art. 54, comma 5, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (nella parte in cui esige che vengano posti, a base dell’accertamento, specifici elementi che permettano di “stabilire”- id est di individuare con certezza – l’esistenza di corrispettivi o di imposta in tutto o in parte non dichiarati o di detrazioni in tutto o in parte non spettanti), ha implicitamente ammonito l’Amministrazione finanziaria ad utilizzare il modulo della rettifica parziale nel pieno rispetto del chiaro disposto di cui all’art. 54, comma 5, citato.
Come innanzi osservato, infatti, gli specifici elementi certi alla cui sussistenza è condizionato l’uso legittimo della rettifica parziale non possono non costituire il nucleo essenziale del sostegno probatorio del recupero a tassazione cui si procede con il modulo accertativo in parola.
Ad ogni modo, il difetto di prova integra indubbiamente il più evidente dei profili di illegittimità dell’atto nella specie impugnato.
Invero, anzitutto, v’è da dire che il modulo accertativo adottato nella specie dall’Ufficio (id est, come più volte detto, la rettifica parziale) non ammette alcuna deroga al noto insegnamento della Suprema Corte di Cassazione in tema di onere della prova, insegnamento in base al quale, dinanzi al Giudice tributario, l’Amministrazione finanziaria, in quanto attore in senso sostanziale, deve fornire la prova della propria pretesa (12).
Di conseguenza, palesemente arbitrario è stato il tentativo dell’Organo accertatore di invertire, nella fattispecie sottoposta all’attenzione dei Giudici baresi, a carico del contribuente l’onere probatorio, tanto più ove si consideri che quest’ultimo ha disconosciuto le tre fatture e la relativa quietanza poste a fondamento del recupero a tassazione.
Chiarito ciò, preme evidenziare come correttamente il Collegio giudicante, alla luce del concreto operato dell’Organo accertatore nella specie, abbia ritenuto non assolto l’onere probatorio gravante su quest’ultimo.
Deve, difatti, escludersi che le fatture rinvenute presso la società in nome collettivo possano provare l’effettività delle operazioni che apparentemente documentano, a meno che non si voglia attribuire alla fattura un’efficacia probatoria differente a seconda che ad invocarla a sostegno del proprio assunto sia l’Amministrazione finanziaria o il contribuente, il che sarebbe palesemente in contrasto con il principio costituzionale della parità delle armi, il quale, tra l’altro, assicura l’uguaglianza probatoria sotto il profilo oggettivo, nel senso che garantisce per le prove la stessa dignità e la stessa efficacia indipendentemente dal soggetto che le alleghi dinanzi al Giudice tributario (13).
E, invero, la Corte di Cassazione ha puntualizzato che, nel caso in cui, diversamente da quanto è accaduto nella specie, l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, persino l’eventuale produzione di assegni bancari con cui sono stati effettuati i relativi pagamenti non consente di ritenere raggiunta la prova dell’effettività dell’operazione sottostante (14).
Ora, se l’emissione della fattura e la produzione del relativo mezzo di pagamento sono ritenuti dai Giudici di legittimità inidonei a provare l’effettività dell’operazione, a fortiori devono reputarsi inidonee a tale scopo le tre fatture poste nel caso di specie a fondamento del recupero a tassazione, atteso che, da un lato, l’Ufficio non ha rinvenuto e prodotto i relativi mezzi di pagamento, né tanto meno documenti accompagnatori della merce che appare oggetto delle operazioni di cui alle predette fatture e, dall’altro lato, il contribuente, in occasione dell’accesso eseguito presso la sede della ditta di cui è titolare, ha evidenziato, come sopra posto in luce, molteplici elementi atti ad integrare un quadro probatorio di consistenza tale da smentire l’assunto dell’Organo accertatore (basti considerare che, a fronte degli scritti disconosciuti, sussiste un intero impianto contabile le cui attendibilità e regolarità non sono mai state poste minimamente in dubbio e sulla cui base il contribuente ha provveduto a liquidare e versare regolarmente l’IVA nell’anno d’imposta oggetto d’esame).
Non è vano osservare, peraltro, che già i verificatori, al termine dell’accesso eseguito presso il contribuente, avevano acquisito molti di tali elementi probatori, sicché i verificatori medesimi, prima, e l’Organo accertatore, poi, in base al noto principio costituzionale di imparzialità amministrativa, avrebbero dovuto, pur se favorevoli al contribuente, valutarli obiettivamente, la qual cosa, con ogni evidenza, non è accaduta nel caso di specie.
Del resto, il Supremo Collegio ha chiarito che nel caso, diverso da quello sottoposto all’attenzione dei Giudici baresi, in cui l’Amministrazione finanziaria assuma l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, l’effettiva esistenza di queste ultime deve essere dimostrata attraverso i relativi documenti contabili ed ogni altro elemento idoneo a suffragare l’operazione (15).
Nel caso di specie, nel quale, invece, si contesta che il contribuente non abbia contabilizzato fatture relative ad operazioni economicamente esistenti, l’Ufficio non ha allegato, a sostegno del proprio assunto, alcun documento contabile oggettivamente convincente ma solo tre fatture ed una quietanza palesemente contraffatte – dovendo, per contro, prendere atto delle risultanze contabili di segno inverso evidenziate e prodotte dal contribuente – né ha addotto alcun altro elemento idoneo a suffragare dette operazioni.
Né può opinarsi che, quando debba essere l’Ufficio a dimostrare l’effettiva esistenza di operazioni, il relativo onere probatorio per una qualche ragione si alleggerisca: ciò, infatti, violerebbe il richiamato principio costituzionale della parità delle armi, il quale vieta che il contenuto dell’onere probatorio relativo ad uno specifico enunciato fattuale (nella specie, appunto, l’effettiva esistenza di operazioni) sia graduato diversamente a seconda della parte (contribuente o Ente impositore) che debba assolverlo (16).
Senza contare, peraltro, che, poiché, da un lato, il contribuente ha disconosciuto le suddette fatture e la relativa quietanza (17) e, dall’altro lato, tali scritti oggetto di disconoscimento recano la sottoscrizione apocrifa dello stesso contribuente, l’Ufficio, al fine di avvalersi di essi, avrebbe dovuto chiederne la verificazione ai sensi degli artt. 216 e ss. del c.p.c..
A tal proposito, preme osservare che non mancano pronunce della Suprema Corte nelle quali il procedimento di verificazione è stato ritenuto applicabile al processo tributario in virtù del noto principio di integrazione di cui all’art. 1, comma 2, del D. Lgs. n. 546/1992, nonché del disposto di cui all’art. 2, comma 3, dello stesso D. Lgs. (18).
Per orientamento giurisprudenziale consolidato, la mancata proposizione dell’istanza di verificazione di una scrittura privata disconosciuta equivale, per presunzione di legge, ad una dichiarazione di non volersi avvalere della scrittura stessa come mezzo di prova, ragion per cui rimarrebbe addirittura precluso al Giudice l’esame di essa ai fini della formazione del proprio convincimento (19).
Anche nelle pronunce in cui i Giudici di legittimità hanno ritenuto il procedimento di verificazione incompatibile con il processo tributario hanno comunque evidenziato che, in mancanza di verificazione nelle forme di legge dinanzi al G.O., l’Amministrazione finanziaria non può avvalersi, quale prova della propria pretesa, di una scrittura privata disconosciuta (20).
Alla luce di quanto precede, è di tutta evidenza come, atteso che l’Ufficio non ha proposto istanza di verificazione, non possa attribuirsi alle scritture disconosciute, a rigore, nemmeno un mero valore indiziario, il che rende ancor più palese la totale mancanza di sostegno probatorio alla pretesa impositiva de qua.
Alla stregua delle suesposte considerazioni, è oltremodo chiaro che, nel caso di specie, non può certamente ritenersi assolto, da parte dell’Ufficio finanziario, l’onere probatorio; al contempo, dette considerazioni rendono quanto mai palese, sia pure in via indiretta, che il complessivo quadro istruttorio-fattuale emerso in sede processuale impone di valutare tutt’altro che certi gli elementi posti, nel caso di specie, dall’Ufficio a base della rettifica parziale. L’Ufficio, in altri termini, avrebbe dovuto, alla luce degli elementi a sua disposizione, dubitare fortemente dell’autenticità delle tre fatture e della relativa quietanza e, quindi, della fondatezza della tesi dei verificatori, che, per contro, ha fatto acriticamente propria.
A ben guardare, tuttavia, il Collegio giudicante avrebbe potuto fare ancor più compiutamente giustizia dell’illegittimo modus operandi dell’Ufficio finanziario, ove avesse annullato l’impugnato avviso di accertamento in primo luogo per violazione dell’art. 54, comma 5, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e avesse, quindi, rafforzato il fondamento della propria decisione ritenendo sussistente, in secondo luogo, anche in considerazione dello stretto legame di cui sopra, il difetto di prova.
Sebbene, infatti, tale disposizione esiga che, affinché l’Organo accertatore possa procedere ad una rettifica parziale, debbano risultare specifici elementi che permettano di individuare con certezza l’esistenza di corrispettivi o di imposta in tutto o in parte non dichiarati o di detrazioni in tutto o in parte non spettanti, sta di fatto che, nel caso di specie, l’Ufficio ha ritenuto di poter fondare l’accertamento impugnato esclusivamente su di una mera ed indimostrata ipotesi dei verificatori, formulata in conseguenza del rinvenimento, presso la sede operativa di altro contribuente, di tre fatture (peraltro, come detto, oggetto di disconoscimento e denuncia) e della relativa quietanza liberatoria (anch’essa, come parimenti detto, disconosciuta).
L’operato dell’Organo accertatore si è posto, pertanto, apertamente in contrasto con la disposizione in commento.
Il complessivo quadro istruttorio-fattuale venuto in considerazione nella specie imponeva, infatti, all’Ufficio di vagliare e verificare, in maniera più che mai rigorosa, l’ipotesi formulata dai verbalizzanti, affinché, almeno in sede di redazione dell’avviso di accertamento, fossero precisati quegli specifici elementi, prescritti dalla disposizione in discorso, atti a consentire di stabilire in modo certo l’esistenza di corrispettivi in tutto o in parte non dichiarati.
Al contrario, nel caso sottoposto all’attenzione dei Giudici baresi, tale verifica, lungi dall’essere stata particolarmente rigorosa, è mancata del tutto.
Ne deriva che l’ipotesi formulata dai verificatori e fatta acriticamente propria dall’Ufficio, non permettendo neanche di presumere fondatamente l’esistenza di corrispettivi non dichiarati, a fortiori non consente di “stabilire” la loro esistenza, così come, invece, richiede l’art. 54, comma 5, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Peraltro, il tenore letterale di tale disposizione impone, senza alcun dubbio, di escludere, nell’ipotesi di rettifica parziale, l’utilizzo, da parte dell’Ufficio, di presunzioni di sorta (21). Ne consegue che la presunzione operata dai verificatori e fatta acriticamente propria dall’Ufficio, prima ancora che infondata, risulta palesemente illegittima.
Le considerazioni che precedono – si ribadisce – palesano che, nel caso di specie, l’Ufficio ha operato in violazione del disposto di cui all’art. 54, comma 5, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, sicché ben avrebbe potuto l’Organo giudicante annullare in primo luogo per tale motivo di illegittimità l’impugnato avviso di accertamento.
Invece, quel che viene in evidenza, esaminando la sentenza in commento, è che l’annullamento dell’atto impugnato sia una conseguenza non tanto della violazione della disposizione disciplinante la rettifica parziale quanto, piuttosto, delle carenze dell’operato dell’Ufficio sotto il profilo probatorio.
Di certo, stante il sopra rimarcato stretto legame tra l’assolvimento, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dell’onere probatorio gravante su di essa nell’ipotesi in cui proceda a rettifica parziale e l’osservanza dell’art. 54, comma 5, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – nella parte in cui, in particolare, prevede, quale presupposto indefettibile per l’adozione del modulo accertativo in discorso, specifici elementi che consentano di stabilire in modo certo l’esistenza di corrispettivi in tutto o in parte non dichiarati – dalla sentenza in commento emerge, sia pure in via indiretta, la violazione di tale disposizione.


5. Notazioni conclusive
La pronuncia in commento, sicuramente pregevole per aver colto il più evidente dei profili di illegittimità dell’atto nella specie impugnato, ossia il difetto di prova, nonché per aver, sia pure succintamente ed indirettamente, posto in evidenza lo stretto legame tra osservanza della disposizione appena citata – nella parte in cui, in particolare, impone di porre a base della rettifica elementi specifici che consentano di individuare con certezza fattispecie imponibili sottratte a tassazione – ed assolvimento dell’onere della prova gravante sull’Ufficio finanziario, sarebbe stata ancora più apprezzabile se avesse stigmatizzato a chiare lettere l’operato dell’Amministrazione finanziaria, prima che per il mancato assolvimento dell’onere della prova, per la violazione del chiaro ed inequivocabile disposto di cui all’art. 54, comma 5, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
In tal modo l’Organo giudicante avrebbe, tra l’altro, ammonito esplicitamente – e non in modo meramente implicito – l’Amministrazione finanziaria ad utilizzare il modulo accertativo della rettifica parziale nel rispetto delle disposizioni che lo regolano. Non può sottacersi, a tal proposito, che non di rado, come posto in luce dalla Giurisprudenza (22), gli Uffici finanziari omettono di verificare scrupolosamente la sussistenza dei presupposti normativamente indicati come indefettibili ai fini dell’adozione del modulo o del metodo accertativo prescelto in concreto, il che non può non tradursi in un vulnus delle situazioni soggettive tutelate, in capo al contribuente, dal Legislatore attraverso la precisa individuazione, per l’appunto, di presupposti di utilizzo, oltre che di sequenze procedimentali.


Avv. Pasquale De Tellis



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Note




  1. Si veda, al riguardo, P. Russo, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Giuffrè, Milano, 2002, pag. 328, ove si rinvia alle pagg. 315-317.


  2. I sintagmi “rettifica parziale” ed “accertamento parziale” non indicano un metodo di accertamento che deroga a quanto previsto dagli artt. 54 e 55 del D.P.R. n. 633/1972 e dagli artt. 38 e 39 del D.P.R. n. 600/1973, ma una modalità procedurale in relazione alla quale trovano applicazione le stesse regole previste per gli accertamenti ordinari (cfr., al riguardo, G. Antico, L’accertamento parziale, in “Azienda & Fisco” n. 7/2007, pag. 31).


  3. Tale deroga, come sostiene autorevole dottrina, deve trovare fondamento in elementi certi e specifici, “tali da consentire di evidenziare, con sufficiente fondatezza, materiale imponibile non dichiarato, prescindendo da un riesame globale della posizione fiscale del contribuente” (B. Santamaria, Lineamenti di diritto tributario, Giuffrè, Milano, 1996, pag. 149).


  4. “(E)sigenze di certezza, di tutela del contribuente e di economia (…) richiedono che l’atto di accertamento assorba tutti i risultati probatori e tutti gli elementi rilevanti acquisiti dall’Ufficio: in via di principio l’Ufficio non può versare in un primo accertamento parte degli elementi in suo possesso ed attendere per poi includere gli altri in un ulteriore e successivo accertamento” (A. Fantozzi, Diritto tributario, UTET, Torino, 1991, pag. 338).


  5. L’art. 41-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 è stato introdotto dall’art. 1 del D.P.R. 14 aprile 1982, n. 309, mentre il quinto comma dell’art. 54 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 è stato aggiunto dall’art. 3, comma 1, della legge 30 dicembre 1991, n. 413.


  6. Così P. Russo, op. cit., pag. 315.


  7. La legge 30 dicembre 1991, n. 413 ha reso possibile l’utilizzo, a fondamento di accertamenti e rettifiche parziali, anche di elementi forniti dalla Guardia di Finanza o da Amministrazioni ed enti pubblici, mentre la legge 30 dicembre 2004, n. 311 ha, tra l’altro, disposto l’utilizzabilità, al medesimo suindicato fine, degli elementi derivanti da accessi, ispezioni e verifiche.


  8. Si veda, in proposito, G. Antico, op. cit., pagg. 31 e ss.: l’Autore afferma che le modifiche apportate dalla legge 30 dicembre 2004, n. 311 “hanno avallato l’operato degli uffici periferici” quale delineato dalla circolare delle Finanze n. 235/E emanata in data 8 agosto 1997, in cui, al paragrafo 2.4, si chiarisce che gli elementi fiscalmente rilevanti evidenziati nei processi verbali conseguenti a verifiche generali della Guardia di Finanza possono essere utilizzati ai fini dell’accertamento parziale di cui agli artt. 41-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 54, quinto comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, senza che ciò determini uno stravolgimento dei “caratteri originari dell’accertamento parziale”, ossia la limitatezza dell’oggetto della rettifica operata e la mancanza, in considerazione dell’immediata utilizzabilità che deve caratterizzare gli elementi da porre a base del modulo accertativo de quo, di un’approfondita attività istruttoria dell’Ufficio accertatore.


  9. Così M. Basilavecchia, L’accertamento parziale non può essere un accertamento sommario, in “GT – Rivista di giurisprudenza tributaria” n. 10/2000, pagg. 931 e ss..


  10. Come è noto, le Commissioni tributarie possono legittimamente fondare il proprio convincimento anche su elementi probatori acquisiti nel procedimento penale, purché facciano luogo – beninteso – ad un’autonoma valutazione di tali elementi (in tal senso, ex plurimis, Cass., Sez. trib., 4 novembre 2005, n. 21434, nonché Cass., Sez. trib., 8 marzo 2001, n. 3421 e 22 settembre 2000, n. 12577); nell’ambito del processo tributario, tuttavia, tali elementi probatori regrediscono al rango di informazioni e indizi (ex multis, Cass., Sez. trib., 28 giugno 2001, n. 3526). Merita segnalare, però, che, recentemente, il Supremo Collegio ha statuito che “il Giudice di merito, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, può utilizzare anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse o anche altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse, al fine di trarne non solo semplici indizi o elementi di convincimento, ma anche di attribuire loro valore di prova esclusiva, il che vale anche per una perizia svolta in sede penale o una consulenza tecnica svolta in altre sedi civili (Cass. n. 8585/99, Cass. n. 2839/97), tanto più se essa sia stata predisposta in relazione ad un giudizio avente ad oggetto una situazione di fatto rilevante in entrambi i processi” (Sez. trib., 2 dicembre 2008, n. 2904).


  11. Il rappresentante legale della società in nome collettivo è stato rinviato a giudizio per aver utilizzato, previa la loro integrale falsificazione, non solo le fatture poste a base della rettifica parziale nel caso oggetto d’esame, ma anche altre apparentemente emesse da un operatore economico ulteriore rispetto al contribuente parte del giudizio conclusosi con la pronuncia in commento.


  12. Ex pluribus, tra le più recenti, Cass., Sez. trib., 16 aprile 2009, n. 13201.


  13. Così G. M. Cipolla, La prova nel diritto tributario, in “Diritto e Pratica Tributaria” n. 3/2009, pag. 576.


  14. Cass., Sez. trib., 10 luglio 2001, n. 15228, nella quale è stato asserito che “la produzione degli assegni bancari non aggiunge nulla al quadro probatorio e ha la stessa efficacia probatoria della emissione della fattura. Se questa di per sé non prova la effettività dell’operazione sottostante, non può ritenersi che tale prova venga raggiunta con la produzione dei mezzi di pagamento utilizzati”.


  15. Cass., Sez. trib., 11 ottobre 2005, n. 28695.


  16. Così G. M. Cipolla, op. cit., pag. 576.


  17. Il disconoscimento delle fatture e della relativa quietanza avvenuto in sede di accesso presso il contribuente – è appena il caso di precisare – è stato ribadito in sede processuale.


  18. Per tutte, Cass., Sez. trib., 29 gennaio 2003, n. 10212 e 25 settembre 2002, n. 4711.


  19. Ex pluribus, Cass., Sez. trib., n. 6184 del 10 febbraio 2006 e Cass., Sez. I, 2 febbraio 2006, n. 2332, nonché Tribunale di Trani 2.4.2007.


  20. Cfr. pronuncia n. 6184 del 10 febbraio 2006, citata sub nota 19.


  21. In tal senso, ex multis, C.T.P. di Macerata, Sez. I, 11 settembre 2009, n. 203, nella quale, con riferimento all’art. 41-bis del D.P.R. n. 600/1973, ma – è appena il caso di osservare – le considerazioni svolte valgono sicuramente anche per la rettifica parziale di cui al D.P.R. n. 633/1972, è stato puntualizzato che tale norma “richiede, per la sua applicabilità, che gli elementi emergenti da “accessi, ispezioni e verifiche nonché dalle segnalazioni … oppure dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria” consentano di stabilire in modo certo ed immediato l’esistenza di un maggior reddito non dichiarato. Pertanto l’accertamento di tipo parziale è da ritenersi applicabile solo in caso di acquisizione di dati ed elementi certi per la loro valutazione in chiave immediatamente impositiva e non già di dati frutto di procedure, esame in contraddittorio, presunzioni legali”. Nello stesso solco già C.T.P. di Salerno, Sez. I, 24 gennaio 2000, n. 222, nonché C.T.P. di Brindisi, Sez. IV, 6 marzo 2002, n. 114, nella quale si è chiarito come “l’accertamento parziale rappresenti uno strumento assolutamente eccezionale che, proprio a cagione della sua straordinarietà, può e deve trovare applicazione soltanto nella ricorrenza delle ipotesi specifiche dal legislatore disciplinate, in sintesi caratterizzate dalla obiettiva evidenza e dalla immediatezza dei rilievi, sì tali da non richiedere ulteriori elaborazioni di natura induttiva e (per le imposte sui redditi) sintetica”; si segnala, altresì, C.T.R. di Bari, Sez. I, 15 maggio 2008, n. 63.


  22. Cfr., a titolo esemplificativo, C.T.R. di Bari, Sez. I, 15 maggio 2008, n. 63, citata sub nota 21.