REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE DI TRANI – SEZIONE LAVORO
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice unico monocratico del Tribunale di Trani, in funzione di giudice del lavoro, dott.ssa M. A. La Notte Chirone, all’udienza del 07 dicembre 2009 ha pronunciato la seguente
SENTENZA EX ART. 281 SEXIES C.P.C.
Nella causa iscritta sotto il n.r.g. (omissis) e vertente
tra
Condominio (omissis),
ricorrente
e
D.V.
resistente
Fatto e diritto.
Con ricorso depositato il 26/10/2007 parte ricorrente in epigrafe conveniva in giudizio il D.V., esponendo che, costui, aveva ricevuto sentenza di condanna del condomino, al pagamento in suo favore, della somma di € 82.647,65 per pregresso rapporto di lavoro subordinato, fra loro intercorso, oltre di applicazione, in suo favore, della disciplina della tutela obbligatoria;
che, tra le parti, era intervenuta scrittura privata, con la quale la questione era definita per via conciliativa, in virtù della quale il condominio si obbligava la somma complessiva di € 70.000,00, in sei rate mensili, a decorrere dal 25.07.2007, la prima delle quali, di € 20.000,00, mentre le successive, di € 10.000, con la rinuncia del condominio a proporre appello avverso la prima sentenza; che tale atto fu sottoscritto dalle parti, nello stesso periodo che vide il “cambio” dell’amministratore, per cui, quello succeduto ebbe delle difficoltà operative, nel passaggio delle consegne, che unita alla difficoltà di reperire alcuni dei proprietari, nelle more traferitisi, determinarono il pagamento della prima rata, anziché il 25.07.2007 circa un mese dopo, e, per un importo di poco inferiore che fu però prontamente saldato con regolare corresponsione del giusto dovuto in data 28 settembre 2007; che le successive rate, da corrispondersi rispettivamente il 25/10; 25/11 e 25/12, furono corrisposte in una unica soluzione fin dal 12 ottobre 2007; che il resistente con atto di precetto notificato il 05.10.2007, richiedeva nuovamente il pagamento dell’intero, per un ammontare complessivo di € 144.634,42 in virtù della clausola risolutiva espressa, contenuta nella transazione; ciò premesso, il ricorrente, opponente, chiedeva previa sospensione del titolo esecutivo, dichiararsi la nullità dell’atto di precetto per non essere nulla dovuto, vinte le spese.
Il convenuto resisteva alla domanda.
Dopo aver tentato, con la comparizione personale delle parti un bonario componimento della controversia, la causa veniva decisa all’odierna udienza con sentenza ex articolo 281 sexies, letta al termine della camera di consiglio.
Il ricorso è fondato e come tale va accolto.
La causa risolutiva espressa, è un potere di reazione attribuito alla parte che subisce l’inadempimento, alla quale è consentito di porre me al contratto a condizione tuttavia che l’evento scatenante (ovvero l’inadempimento dell’altra parte) risulti particolarmente qualificato ed abbia determinate caratteristiche. Deve trattarsi anzitutto di inadempimento imputabile all’altra parte (escludendo quindi la fortuita impossibilità della prestazione, fatto salvo il necessario distinguo in relazione all’impossibilità parziale e temporanea, da dirimersi anche sulla base dell’interesse del creditore), e secondariamente di inadempimento rilevante.
Precisa infatti l’art. 1455 c.c. che affinché l’inadempimento sulla cui base si agisce per ottenere la risoluzione dell’intero contratto sia sufficiente a determinarla è necessario che si tratti di un inadempimento di non scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse della parte che lo subisce (Cass. 06/11/02 n. 15553). E’ quindi necessario effettuare una valutazione sulla gravità dell’inadempimento, non dissimile da quella compiuta in altri ambiti, al fine per esempio di legittimare il recesso per giusta causa nel contratto di agenzia applicando analogicamente l’art. 2119 c.c, con gli opportuni aggiustamenti rispetto alla ordinaria disciplina applicabile al rapporto di lavoro subordinato (basata anche su differenti presupposti).Valutazione di gravità (o importanza dell’inadempimento) che viene rimessa al giudizio discrezionale del giudice, che dovrà esaminare elementi di carattere oggettivo (costituiti dall’oggetto in sè dell’inadempimento ma nell’ambito complessivo del contratto) ed elementi soggettivi, indagando dunque sulle intenzioni delle parti, anche al fine di ricostruire quell’interesse del creditore della prestazione cui espressamente si riferisce l’art. 1455 c.c.
Rinviando alla raccolta di giurisprudenza il diverso atteggiarsi dei vari orientamenti giurisprudenziali sul punto, può dirsi in linea generale che, di norma, viene ritenuto sufficiente per la risoluzione l’inadempimento sulla base del quale possa ritenersi che chi lo subisce non avrebbe concluso il contratto qualora lo avesse previsto. E’ inoltre il caso di sottolineare che in taluni tipi contrattuali il potere discrezionale del giudice risulta limitato da disposizioni espresse contenute nella disciplina codicistica, che stabiliscono criteri precisi per la valutazione dell’inadempimento. Mi riferisco in particolare alla disciplina della vendita (art. 1497 c.c.) dove la mancanza delle qualità promesse della cosa venduta, o di quelle essenziali all’uso al quale è destinata, è sufficiente a legittimare la risoluzione del contratto solo qualora il difetto ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi. Lo stesso è a dirsi nell’ambito del contratto di appalto per difformità e vizi dell’opera ex art. 1668 c.c., dove il committente ha la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto solo nel caso in cui difformità e vizi siano tali da renderla completamente inadatta alla sua destinazione. Ancora, nella disciplina dell’indennità di fine rapporto prevista per il contratto di agenzia, l’art. 1751 c.c. precisa che l’indennità non è dovuta qualora il preponente risolva il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente che, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto. Anche nella vendita a rate con riserva della proprietà (art. 1525 c.c), e nonostante l’eventuale esistenza di un patto contrario (quale potrebbe essere una clausola risolutiva espressa), è esclusa la possibilità di risoluzione del contratto laddove il mancato pagamento di una rata non superi l’ottava parte del prezzo. In tema di inadempimento è d’obbligo un riferimento anche al ritardo, certamente suscettibile di essere preso in considerazione anche ai fini della risoluzione, fermo restando il rispetto dei requisiti di cui all’art. 1455 c.c.
Si pone a questo punto il problema di quando il ritardo possa dirsi tale da legittimare la risoluzione e correlativamente sino a che punto sia ammissibile l’adempimento tardivo (Cass. 19/11/02 n. 16291). La disciplina della risoluzione non si occupa direttamente di queste problematiche, anche se precisa, in parte risolvendo il problema dei limiti dell’adempimento tardivo, che la domanda di risoluzione preclude il successivo adempimento. Pertanto, una volta presentata la domanda di risoluzione l’adempimento tardivo non sarà più consentito. In tema di ritardo molto si è discusso in dottrina sulla necessità della costituzione in mora ai fini della qualificazione del ritardo quale base per ottenere una pronuncia di risoluzione, anche se appare valutabile anche il ritardo puro e semplice ancorchè caratterizzato dalla eccedenza dei normali limiti di tollerabilità. In ordine alla costituzione in mora la dottrina (Sacco) ha tuttavia effettuato una serie di utili distinzioni, precisando che, laddove non sia previsto, neppure implicitamente, un termine per l’adempimento, la costituzione in mora (costituita da una intimazione o richiesta esplicita di adempimento effettuata per iscritto, ex art. 1219 c.c.) risulta necessaria affinchè possa configurarsi una ipotesi di inadempimento. Costituzione in mora che, una volta effettuata, ha come effetto da un lato l’aumento della gravità dell’inadempimento e dall’altro l’eliminazione di ogni equivoco in ordine all’eventuale tolleranza del creditore della prestazione. In tutte queste ipotesi (si pensi ad esempio all’inadempimento parziale oppure all’inadempimento di una intera obbligazione nell’ambito di un contratto che ne prevede molteplici, con la conseguente non essenzialità di quella inadempiuta) il contraente che subisce l’inadempimento avrà pur sempre la possibilità di esperire un’azione al fine di ottenere l’esatto adempimento e, quale che ne sia l’esito, un’ulteriore azione tesa ad ottenere il risarcimento del danno subito.
Ciò premesso, nel caso in esame, l’inadempimento dell’opponente, è stato davvero risibile, (essendo il ritardo nel pagamento, di circa un mese) e gli effetti, del tutto nullificati dal pagamento del residuo in via anticipata anziché in tre tranches e, con un non certo trascurabile anticipo di circa tre mesi. Fra l’altro, non è affatto contestata l’imputabilità dello stesso a fatti esterni e contingenti non dovuti alla condotta dell’inadempiente, ma piuttosto, al cambio di amministratore del condominio, con il relativo passaggio di consegne e la difficoltà di reperire prontamente tutti i proprietari degli immobili in periodo fra l’altro di ferie estive (agosto 2007).
Quanto precede, in accoglimento della domanda, depone per la nullità del precetto, ritenendosi che nulla è dovuto all’opposto dal condominio opponente per aver adempiuto compiutamente alla propria obbligazione, tranne un ritardo del tutto trascurabile e non imputabile a volontà esclusiva del condominio. Alla soccombenza conseguono le spese di lite liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
il giudice unico del Tribunale di Trani così decide:
– accoglie il ricorso e per gli effetti dichiara la inefficacia dell’atto di precetto notificato da D.V. al condominio ricorrente, in data 05.10.2007, per inesistenza credito;
– condanna la soccombenza alle spese di lite che liquida in complessivi € 910,00 – di cui € 10,00 per esporsi – oltre iva e cap come per legge.
Trani, 07.12.2009
Il G.L.
M. A. La Notte Chirone