Applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato ex art. 671 c.p.p.
di Francesco Morelli


Superando il dogma dell’intangibilità della res iudicata, il nuovo codice di procedura penale ha riconosciuto al giudice dell’esecuzione il potere di accertare l’eventuale sussistenza di un nesso di continuazione tra più reati, anche oggetto di sentenze definitive, procedendo ad una conseguente rideterminazione in executivis della pena inflitta al condannato.
Si tratta di una delle novità più significative introdotte con il nuovo codice di rito che, realizzando un deciso ampliamento degli spazi di operatività della continuazione, attribuisce oggi al condannato ed alla parte pubblica la possibilità di chiedere al giudice dell’esecuzione l’applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato, quando più sentenze o decreti penali irrevocabili siano stati pronunciati contro la stessa persona in distinti procedimenti.
E’ necessario che l’istanza non abbia ad oggetto fatti giudicati con unica sentenza, in quanto si verrebbe, in caso contrario, a violare il principio di intangibilità della res iudicata, qualunque sia la ragione per la quale all’istituto non sia stata data operatività nella fase di cognizione (cfr. Cass. Pen., 22/1/1999). Vieppiù, l’istanza non potrà essere validamente proposta qualora il giudice della cognizione abbia già negato l’applicabilità della disciplina del reato continuato o del concorso formale.
La ratio di questa condizione ostativa è di palmare evidenza: la sede in cui dovrà essere valutata l’eventuale ricorrenza del medesimo disegno criminoso è quella cognitiva, sicché il potere di intervento del giudice dell’esecuzione avrà natura residuale e sussidiaria, essendo limitato alle sole ipotesi in cui il giudice della cognizione non abbia affrontato ed escluso ex professo la sussistenza della unicità del disegno criminoso.
Il procedimento è attivabile su istanza di parte, alla quale dovrà essere allegata copia delle sentenze o decreti irrevocabili, o nella quale andranno almeno riportati tutti i dati necessari per consentire la relativa acquisizione d’ufficio da parte del giudice dell’esecuzione ex art. 186 disp. att. c.p.p.
In merito all’individuazione del giudice dell’esecuzione competente a decidere sulla relativa istanza avente ad oggetto provvedimenti definitivi emessi da giudici diversi, essa spetterà al giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo, con due precisazioni: se i provvedimenti sono stati emessi da giudici ordinari e da giudici speciali, sarà competente il giudice ordinario, mentre nel caso in cui alcuni provvedimenti siano stati emessi dal tribunale in composizione monocratica ed altri dal tribunale in composizione collegiale, la competenza è attribuita in ogni caso al collegio.
A seguito della proposizione dell’istanza, il giudice valuta anzitutto l’ammissibilità della stessa: qualora la ritenga non ammissibile per difetto delle condizioni normativamente previste, o perché costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata e basata sui medesimi elementi, ne pronuncia l’inammissibilità con decreto, ricorribile in Cassazione.
Qualora invece l’istanza appaia ammissibile, il giudice dell’esecuzione fisserà l’udienza camerale e ne farà dare avviso alle parti e ai difensori di fiducia o, in mancanza, al difensore che sarà designato d’ufficio. L’avviso dovrà essere comunicato o notificato almeno dieci giorni prima della data predetta. Fino a cinque giorni prima dell’udienza potranno essere depositate memorie in cancelleria.
L’instaurazione del contraddittorio è condizione necessaria per la validità della decisione adottata dal giudice, poiché, qualora l’ordinanza fosse deliberata con procedura “de plano”, dovrà ritenersi affetta da nullità assoluta (Cass. Pen., 11/03/2009, n. 10747).
Nel corso del procedimento camerale, il giudice dell’esecuzione sarà chiamato ad esprimersi in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della disciplina del concorso formale e della continuazione dei reati.
Com’è noto, il concorso formale ricorre quando taluno, con una sola azione od omissione, viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge. Il reato continuato, invece, costituisce una particolare ipotesi di concorso materiale che ricorre ogniqualvolta  l’agente commette, anche in tempi diversi, una pluralità di violazioni penali in esecuzione di un «medesimo disegno criminoso», da intendersi quale anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo sin dall’inizio della sua condotta criminosa (Cass., 12.5.2006, n. 35797).
Affinché ne venga riconosciuta la sussistenza, non è tuttavia richiesta da parte dell’agente, sin dal primo momento, la predeterminazione di ciascuna azione, né una dettagliata programmazione delle modalità delle azioni criminose nel loro graduale susseguirsi, essendo sufficiente una generica previsione e rappresentazione, almeno nelle linee essenziali e nei suoi aspetti principali,  dei singoli reati e della loro futura esecuzione.
Per quanto attiene all’onere della prova in ordine alla sussistenza del medesimo disegno criminoso, la giurisprudenza appare divisa: un primo orientamento giurisprudenziale ritiene che spetti all’interessato l’onere di allegare tutti i necessari elementi di fatto che consentano al giudice di stabilire la sussistenza del medesimo disegno criminoso, non potendo limitarsi ad indicare gli estremi di altri procedimenti a suo carico (C., Sez. I, 25.9.1995). In altre pronunce di segno opposto (C., Sez. I, 4.7.1995) la giurisprudenza di legittimità ha assunto posizioni meno rigorose, ritenendo sufficiente l’indicazione da parte dell’interessato dei reati che ritiene avvinti dal medesimo disegno criminoso, spettando poi al giudice l’ individuazione dei relativi dati sostanziali di collegamento.
La valutazione da parte del giudice dovrà essere effettuata avendo riguardo ad una serie di circostanze quali la contiguità temporale dei fatti, la natura dei reati commessi, e ad ogni altro elemento idoneo a dimostrare l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale da parte dell’agente. Fra gli elementi che incidono sull’applicazione della disciplina del reato continuato vi è la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza.
Di contro, l’identità del medesimo disegno criminoso deve essere negata qualora, malgrado la contiguità spazio-temporale e il nesso funzionale riscontrabile tra le diverse fattispecie incriminatrici, la successione degli episodi sia tale da escludere la preventiva programmazione dei distinti reati, ponendo invece in risalto l’occasionalità di uno dei due (Cass., 24.5.2007, n. 35805).
Una volta riconosciuta l’applicabilità della disciplina del concorso formale o del reato continuato, il giudice dell’esecuzione provvede alla rideterminazione della pena, che non potrà eccedere la somma di quelle inflitte con ciascuna sentenza o ciascun decreto. Nei confronti di coloro ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, co.4, c.p., l’aumento della pena non potrà essere inferiore ad un terzo rispetto a quella prevista per il reato più grave.
L’art. 81 c.p. prevede che il trattamento sanzionatorio così rideterminato non possa eccedere il triplo della pena stabilita per la “violazione più grave”, da intendersi in questa sede, ai sensi di quanto espressamente disposto dall’art. 187, disp. att., cpp., come quella violazione per la quale sia stata inflitta la pena più grave in sede cognitiva,  anche  quando  per  alcuni  reati si sia proceduto con giudizio abbreviato.
Nell’eventualità che in una sentenza vi siano più reati già riconosciuti avvinti dal nesso della continuazione ed in altra sentenza vi sia la pena per un solo reato o per reati non unificati nel modo anzidetto, il giudice della esecuzione, nel determinare il reato più grave, deve scorporare le singole condanne, e considerare la pena che per ciascun reato è stata irrogata, come se di fatto la prima continuazione non esistesse (cfr. Cass. Pen., 27/10/2004, n.1868).
In caso di decisioni emesse seguito di patteggiamento, la soluzione è offerta dall’art. 188 disp. att. c.p.p. che, sostanzialmente, estende a questa fase esecutiva la possibilità di un accordo tra accusa e difesa.
A norma di tale disposizione, infatti, nel caso di più sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti pronunciate in procedimenti distinti contro la stessa persona, questa e il pubblico ministero possono chiedere al giudice dell’esecuzione l’applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato, quando concordano sulla entità della sanzione sostitutiva o della pena detentiva, sempre che quest’ultima non superi cinque anni, sola o congiunta a pena pecuniaria.
Il giudice dell’esecuzione può altresì concedere la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, nonché adottare ogni altro provvedimento conseguente.
E’ altresì tenuto a verificare se le pene inflitte siano state tutte o solo alcune condizionalmente sospese: la sospensione condizionale della pena già concessa dal giudice della cognizione non è, infatti, automaticamente revocata, essendo compito del giudice dell’esecuzione valutare se il beneficio già concesso possa estendersi alla pena complessivamente determinata ovvero se esso debba essere revocato perché venuti meno i presupposti di legge (cfr. Cass. Pen., 5/2/2008, n. 5579).
In altre recenti pronunce la Suprema Corte ha precisato come non sia revocabile la sospensione condizionale della pena a causa di una terza condanna, allorché le due precedenti siano state ritenute dal giudice dell’esecuzione riferibili a un unico reato continuato e non risultino superati i limiti di pena di cui all’art. 163 cod. pen. (Cass. Pen., 12/6/2009, n.24285).
In caso di sopravvenuta abolitio criminis o intervenuta declatoria d’illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell’esecuzione revoca ex officio la sentenza di condanna definitiva o il decreto penale non opposto, provvedendo nello stesso modo quando è stata emessa sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere per estinzione del reato o per mancanza di imputabilità.


Avv. Francesco Morelli


N.d.R..: Il presente argomento è stato più approfonditamente trattato dall’autore nel numero di novembre 2009 della rivista “Strumentario Avvocati – Rivista di Diritto e Procedura Penale edito da Diritto Italia S.r.l. e diretto dal dott. Luigi Levita, Magistrato ordinario presso il Tribunale di Napoli.