Massima: “Il datore di lavoro, in caso di accertamento della presenza di lavoratori non regolarmente denunciati, può provare (come ammesso a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 144 del 2005) che il rapporto di lavoro per il quale è contestata l’omissione sia sorto successivamente al primo gennaio dell’anno nel quale è stata elevata la contestazione della violazione, presumendosi in difetto di tale prova che il rapporto decorra dal primo gennaio dell’anno dell’accertamento”.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, contro la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che ha parzialmente accolto l’appello della società (omissis) s.r.l. contro la sentenza di primo grado, che aveva rigettato il ricorso da essa proposto avverso l’atto di irrogazione di sanzioni con il quale le era stato contestato l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti da scritture o da altra documentazione obbligatoria.

 

La (omissis) s.r.l. resiste con controricorso, illustrato da successiva memoria, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per mancata esposizione dei fatti di causa.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

1.- L’eccezione di inammissibilità del ricorso va disattesa. Il requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa risulta infatti soddisfatto mediante la testuale trascrizione della parte in fatto della sentenza impugnata e la stessa formulazione dei motivi di ricorso, integrata dai necessari chiarimenti in fatto.

 

2.- Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate prospetta il difetto di giurisdizione del giudice tributario, a favore del giudice ordinario, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 130 del 2008, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche ove esse conseguano alla violazione di norme non aventi natura tributaria.

 

2.1.- Il mezzo è inammissibile.

 

Premesso che l’efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale si arresta di fronte al giudicato, anche implicito, sulla giurisdizione, sicché, nel caso in cui la sentenza della Corte costituzionale sia intervenuta quando il giudicato in merito alla giurisdizione si era già formato, non essendo stata impugnata sul punto (eventualmente anche sollevando questione di legittimità costituzionale) la pronunzia, è inammissibile l’eccezione di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di legittimità (SS. UU. 28545/08), deve rilevarsi che la ricorrente nulla deduce riguardo al fatto che l’appello della società, accolto parzialmente per ragioni dì merito, riguardasse anche la questione di giurisdizione.

 

3. – Con il secondo motivo la ricorrente censura 1′ applicazione retroattiva dell’art. 36-bis del d.l. n. 223 del 2006, convertito dalla legge n. 248 del 2006, che ha ridotto la sanzione, esplicitamente effettuata dal giudice tributario in applicazione del principio di legalità di cui all’art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997. Rileva l’Agenzia che il d.lgs. n. 472 del 1997 concerne esclusivamente le sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie e non è quindi applicabile nel caso di specie.

 

3.1.- Il secondo motivo e fondato.

 

In tema di sanzioni amministrative per la violazione delle norme ; non tributarie) in materia di assunzioni, in mancanza di una diversa disposizione di legge, opera il principio generale di cui all’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, il quale comporta l’assoggettamento della condotta illecita alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore, eventualmente più favorevole, senza che possano trovare applicazione analogica, attesa la differenza qualitativa delle situazioni considerate, gli opposti principi di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 472 del 1997, destinato ad operare, nella sola materia tributaria, una deroga al generale principio della irretroattività della leqqe, che resta invece valido per la disciplina generale dell’illecito amministrativo (cfr. Cass. 24053/04).

 

4.- Con il terzo motivo l’Agenzia lamenta il vizio di omessa motivazione quanto alla circostanza relativa alla durata – ritenuta implicitamente pari al solo giorno di accesso – dei rapporti di lavoro irregolari, mentre con il quarto motivo, sotto il profilo della violazione di legge, si duole, sul punto, del malgoverno dei principi in tema di onere della prova.

 

4.1.- Il terzo e quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente attesa l’evidente connessione, sono fondati.

 

Con la sentenza n. 144 del 2005 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, del d.l. n. 12 del 2002, convertito nella legge n. 73 del 2002, nella parte in cui non prevede la possibilità, per il datore di lavoro, di fornire la prova che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al 1° gennaio dell’anno nei quale è stata elevata contestazione della violazione.

Ne discende che l’onere di provare la decorrenza del rapporto (successiva al 1° gennaio) grava sul datore di lavoro, presumendosi in difetto di prova che il rapporto decorra dal 1° gennaio (e non dal giorno stesso dell’accertamento), e che incorre nel vizio di omessa motivazione la sentenza che (come nella specie) nonostante la mancanza di prova annulli l’atto di irrogazione delle sanzioni.

 

5. La sentenza impugnata va pertanto cassata.

 

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, risultando dalla stessa sentenza che la società datrice di lavoro non ha in effetti soddisfatto l’onere probatorio su di essa gravante riguardo alla data di inizio, eventualmente successiva al 1° gennaio, dei rapporti di lavoro in questione, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo della società.

 

Appare equo disporre l’integrale compensazione delle spese dell’intero giudizio.

 

P Q M

 

la Corte, a Sezioni Unite, dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso ed accoglie gli altri, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nei merito, rigetta il ricorso introduttivo della società. Compensa le spese dell’intero giudizio.

 

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, il 20 ottobre 2009.