La tutela dei diritti dell’uomo nell’Unione europea:
la Carta dei diritti fondamentali di Nizza
di Pietro Michea

§ La Carta dei diritti fondamentali rappresenta la codificazione di quei principi e diritti su cui si fonda la Comunità europea (d’ora in poi “CE”) che la Corte di giustizia ha definito nel corso degli anni estendendo la portata tutelatrice di quelle libertà prettamente economiche che il Trattato di Roma riconosceva. Infatti il Trattato che istituisce la Comunità europea riconosce ai soggetti una serie di libertà (le famose quattro libertà: libertà di circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali) che, nella loro forma originaria, erano strumentali alla realizzazione del mercato unico; si può correttamente affermare che il Trattato individuasse come destinatario delle stesse la persona come operatore economico che opera all’interno di una Comunità in cui le barriere nazionali dovevano essere eliminate.


§ La stessa Corte, nelle sue prime pronunce, aveva puntualizzato la non rilevanza dei diritti fondamentali nell’allora nascente Comunità di diritto europea; in particolar modo, l’organo giurisdizionale comunitario aveva voluto precisare la sua incompetenza a garantire l’effettiva applicazione di norme interne, anche se di rilevanza costituzionale, per riaffermare, invece, la sua totale competenza a garantire la corretta applicazione del diritto comunitario [1].


Una tale presa di posizione da parte della Corte poteva essere giustificata, a suo tempo, dalla volontà di riaffermare la completa autonomia, indipendenza e preminenza del diritto comunitario sulle norme di diritto interno degli Stati membri. La Corte aveva voluto prevenire eventuali commistioni tra diritto comunitario e diritto interno evitando che il diritto nazionale degli Stati membri potesse, in questo modo, influenzare il diritto comunitario che si stava lentamente formando e consolidando.


Tale giurisprudenza viene, però, ben presto modificata dalla stessa Corte con la sentenza Rutili [2] nella quale l’organo giurisdizionale afferma che i diritti fondamentali, quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e dalla Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo (d’ora in poi “CEDU”), fanno parte dei principi giuridici generali di cui essa garantisce l’osservanza.


Seguendo tale nuova e diversa impostazione, la Corte si è prodigata nell’effettuare un maggiore controllo sul rispetto dei diritti fondamentali in riferimento solamente a quei casi in cui si fosse manifestata una disciplina comunitaria. È, infatti, opportuno precisare che tale supervisione era concepita dalla Corte solo con riguardo agli atti comunitari, agli atti o comportamenti nazionali che davano attuazione al diritto comunitario e alle giustificazioni addotte da uno Stato membro per una misura nazionale altrimenti incompatibile con il diritto comunitario. Come si può ben capire tale controllo, rispetto al parametro dei diritti fondamentali, non riguardava quelle norme nazionali prive di un qualsiasi legame con il diritto comunitario.


§ L’intensa attività giurisprudenziale esercitata dalla Corte ha colmato la mancanza, nel testo del Trattato, di un’apposita disposizione materiale che riconoscesse e tutelasse i diritti fondamentali a livello comunitario e, soprattutto, la circostanza che la Comunità europea, a differenza degli Stati membri, non è parte della CEDU. La conseguenza di tale esclusione dal sistema della CEDU è che la CE rimane estranea al sistema di controllo attribuito alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo.


Tra l’altro, la circostanza che la CE non faccia parte della CEDU non ha creato rilevanti conseguenze nel rapporto tra la Corte di giustizia e la Corte di Strasburgo nonostante i due organi giurisdizionali si siano trovati, più volte, a giudicare su questioni simili. Partendo dal presupposto che le competenze delle due corti sono differenti e che la Corte di giustizia tratta la tutela dei diritti fondamentali solo in presenza di una disciplina comunitaria, quest’ultima ha abbandonato le sue prime posizioni ancorate ad un sistema di tutela delle libertà dal carattere prettamente economico per accogliere una tutela libera da tali ostacoli. In tale diversa concezione, il parametro dei diritti fondamentali riconosciuti dagli Stati membri e dalla CEDU è diventato, per la stessa Corte di giustizia, il livello minimo di tutela da apprestare ai soggetti.


§ Nonostante, come abbiamo potuto constatare, non vi siano state grandi divergenze tra i due sistemi giurisdizionali, la Commissione europea, più volte, ha auspicato l’adesione della CE alla CEDU piuttosto che la redazione di una Carta dei diritti indipendente.


A tal proposito il Consiglio aveva richiesto alla Corte un apposito parere preliminare [3] sulla competenza della Comunità a stipulare un accordo di adesione alla CEDU e sulla compatibilità di siffatta ipotesi con il Trattato. Orbene, la Corte ha espresso il suo parere affermando di non potersi esprimere sulla compatibilità non avendo elementi sufficienti in grado di definire quale possa essere il contenuto di un eventuale tale accordo mentre ha dato parere negativo sulla competenza. In particolar modo ha statuito che, per poter sottoscrivere un tale accordo, dovrebbe essere modificato il Trattato medesimo visto che l’adesione alla CEDU avrebbe una rilevanza costituzionale tale da travalicare i limiti dell’art. 308 [4] dello stesso nonché della competenza esterna collegata ad una competenza interna effettivamente esercitata.


La provata mancanza di necessità di dover aderire ad un tale differente sistema (di cui la CE ha recepito comunque i principi e diritti fondamentali che ne hanno formato la struttura attraverso la giurisprudenza comunitaria) si è manifestata nel momento in cui tale modifica non è stata apportata quando se ne era presentata l’opportunità. Infatti, nonostante la netta posizione assunta dalla Corte nel parere preliminare avesse chiarito l’unica via percorribile per aderire alla CEDU (la Corte riteneva che solo una modifica del Trattato CE avrebbe consentito di aderire alla CEDU), durante la Conferenza intergovernativa che ha portato al Trattato di Amsterdam si è abbandonato qualsiasi proposito di variazione di tale parte del Trattato.


§ L’abbandono di qualsiasi proposito di adesione alla CEDU non ha bloccato quel processo che aspira a munire la CE di un catalogo di diritti codificato e non solo formato con la saggia attività giurisprudenziale della Corte. Tale aspirazione era necessitata dalla convinzione che un testo scritto, incorporato o collegato al Trattato, avrebbe avuto un carattere vincolante pari alle norme comunitarie primarie e di carattere derivato.


Già nel 1977 il Consiglio e la Commissione europea con una Dichiarazione comune si erano impegnati a rispettare, nell’esercitare le rispettive competenze, i diritti fondamentali così come riconosciuti dalle Costituzioni nazionali e dalla CEDU. Questa prima esperienza di riconoscimento di principi fondamentali (ritenuti come fondanti della costruzione europea) mostrava la sua debolezza giuridica. Si trattava di una Dichiarazione dal valore politico molto rilevante ma dal valore giuridico nullo. Nessuna eventuale istanza giurisdizionale a tutela di un’eventuale violazione di tali diritti poteva essere presentata da un soggetto che avesse ritenuto di essere stato violato da un atto comunitario contrario a quei diritti fondamentali che gli organi comunitari si erano impegnati a rispettare.


§ Riferimento normativo di maggior rilievo si è rilevato l’art. 6, comma 2 del Trattato sull’Unione europea del 1992 il quale, statuendo che “l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri in quanto principi generali del diritto comunitario”, qualifica i diritti fondamentali come principi generali del diritto comunitario. Tale disposizione, inoltre, riconosce che tali principi sono espressione delle esperienze maturate in seno alla CEDU e alle Costituzioni nazionali.


§ Logica conseguenza di tale assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni comunitarie nell’assicurare una tutela effettiva di tali diritti è stata la redazione di un’apposita Carta che definisse chiaramente quali siano i principi inalienabili e fondamentali che l’Unione europea ritiene insiti e propri della propria storia e cultura. Tale proposito è stato realizzato con la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” che, finalmente, ha consacrato la materia della tutela dei diritti fondamentali della persona nel sistema comunitario.


L’input politico iniziale alla realizzazione della Carta arrivò dal Consiglio europeo di Colonia del 1999. In seguito la Carta è stata predisposta da una Convenzione, abbastanza insolita, formata da rappresentanti dei Parlamenti nazionali, del Parlamento europeo, della Commissione e dei Capi di Stato e di governo. Il testo conclusivo è stato presentato al Consiglio europeo di Nizza del dicembre 2000 e formalmente adottato in modo congiunto dal Parlamento europeo, dalla Commissione e dal Consiglio.


L’adozione da parte delle tre istituzioni comunitarie non ha però chiarito il valore aggiunto che i principi inseriti nella Carta avrebbe avuto rispetto a quelli che ispirano il processo di integrazione europea complessivamente considerato. Dopotutto durante il Consiglio europeo di Nizza si è volontariamente demandata ad una fase successiva la questione sul carattere vincolante della Carta e sul suo rapporto con i principi generali del diritto comunitario. Probabilmente la sede appropriata per la risoluzione di tali questioni è una Conferenza intergovernativa e la stipula di un relativo Trattato internazionale che riconosca alla Carta un carattere vincolante similare a quello del Trattato.


Tale considerazione è avvalorata dall’ultimo testo di riforma del Trattato CE. Il Trattato di Lisbona, firmato nel 2007 e che dovrebbe entrare in vigore una volta superato l’impasse dell’esito negativo del referendum effettuato in Irlanda, prevede che la Carta dei diritti rimanga indipendente e separata rispetto al testo del Trattato di riforma. Contemporaneamente alla Carta verrebbe attribuito lo stesso valore giuridico dei Trattati con la conseguenza che le disposizioni previste nella stessa sarebbero vincolanti per gli Stati membri, con l’unica eccezione di Regno Unito e Polonia che hanno ottenuto in sede di Conferenza intergovernativa di essere escluse dal campo di applicazione della stessa. Tale carattere vincolante viene riconosciuto alla Carta tramite un’apposita norma di rinvio introdotta nel Trattato di Lisbona.


§ Il testo della Carta inizia con un preambolo ed i 54 articoli sono suddivisi in sei capi i cui titoli enunciano i valori fondamentali dell’Unione. Tali valori sono la Dignità, la Libertà, l’Uguaglianza, la Solidarietà, la Cittadinanza e la Giustizia. Il settimo capo della Carta contiene una serie di Disposizioni generali che disciplinano il rapporto tra le disposizioni della Carta e le disposizioni della CEDU. I diritti contenuti nella Carta sono classificabili in quattro categorie. Vi sono le libertà fondamentali comuni così come riconosciute nelle Costituzioni di tutti gli Stati membri; i diritti riservati ai cittadini dell’Unione, in particolare riguardo alla facoltà di eleggere i propri rappresentanti al Parlamento europeo e di godere della protezione diplomatica comune; i diritti economici e sociali, quelli che sono riconducibili al diritto del lavoro; i diritti moderni che sono quelli che derivano da alcuni sviluppi della tecnologia, come la tutela dei dati personali o il divieto all’eugenetica.


Bruxelles, 23/03/2009


Dottor. Pietro Michea


Note:




  1. Stork, causa 1/58, sentenza 4 febbraio 1959, Racc. 1958/59 pag. 43; Uffici di vendita del carbone della Ruhr, cause riunite 36 – 38/59 e 40/59, sentenza 15 luglio 1960, Racc. pag. 827; Sgarlata, causa 40/65, sentenza 1 aprile 1965, Racc. pag. 279.


  2. Roland Rutili contro Ministre de l’intèrieur, causa C 36 – 75, sentenza 28 ottobre 1975, in Racc. 1975, pag.1219.


  3. Parere 2/94, Adesione della Comunità alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, 28 marzo 1996, Racc. p. 1759.


  4. L’art. 308 del Trattato riprende a livello comunitario la teoria dei poteri impliciti in base alla quale ogni organo disporrebbe non solo dei poteri espressamente attribuitigli da una disposizione, ma anche di tutti i poteri necessari per l’esercizio dei poteri espressi