REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL GIUDICE DEL LAVORO DEL TRIBUNALE DI TRANI

Dr. M. BRUDAGLIO, all’udienza del 16/12/2008  nel proc. n. 44/A/07 R.G.L. ha pronunziato la seguente


SENTENZA n. 8026/08


nella causa per controversia in materia di previdenza e assistenza obbligatorie promossa con domanda depositata il 03/01/2007
TRA
XXXXXX, rappresentato e difeso dall’avv. XXXXXXX, come da procura a margine del ricorso, RICORRENTE
CONTRO
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (I.N.P.S.)   rappresentato e difeso dall’avv. XXXXXXXX,  RESISTENTE


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con ricorso depositato il 03/01/2007 il ricorrente conveniva in giudizio l’I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro-tempore, per sentirlo condannare alla corresponsione della pensione anticipata di vecchiaia, oltre arretrati, inutilmente chiesta in via amministrativa, nonché al pagamento delle spese di giudizio da liquidarsi in favore del procuratore anticipatario.
Fissata l’udienza di comparizione, si costituiva l’Istituto contestando la domanda e chiedendone il rigetto per gli stessi motivi che ne avevano determinato l’esito negativo in sede amministrativa.
Esperita sulla persona dell’istante una consulenza medico legale al fine di accertare  la  natura  e l’entità  delle  lamentate  infermità,  all’udienza  odierna  la causa veniva discussa e decisa con la lettura del dispositivo.


MOTIVI DELLA DECISIONE


La domanda proposta dal ricorrente XXXXXX va accolta per quanto di ragione come appresso specificato.
Ai sensi dell’art. 1,  n. 8, D.Lgs. 503/92, l’istante chiedeva all’I.N.P.S. la corresponsione anticipata della pensione di vecchiaia assumendo di essere affetto da gravi patologie determinantegli una invalidità pari o superiore all’80%.
Ciò premesso, deve rilevarsi che la consulenza medico legale espletata in causa, le cui conclusioni, qui integralmente richiamate, siccome rassegnate all’esito di accertamenti accurati ed immuni da vizi logici e non contraddette da apprezzabili censure delle parti, possono essere condivise,  ha consentito di accertare che il ricorrente è affetto da: “Stato neuro artrosico secondario ad artrosi del rachide lombare complicata da ernie discali a medio-alto impegno funzionale, sindrome depressiva complicata da deficit della memoria, grave deficit uditivo” e che tale quadro patologico  rende il ricorrente invalido I.N.P.S. all’80% dal gennaio 2008.
In conseguenza la domanda merita accoglimento e va riconosciuto al ricorrente il diritto ad ottenere dall’I.N.P.S., ai sensi dell’art. 1, n.8, D.Lgs. 503/92, l’anticipazione della pensione di vecchiaia, nonchè la corresponsione della stessa a far tempo dal mese di gennaio 2008, con pagamento dei relativi arretrati.
Sui ratei del trattamento previdenziale per tal via attribuiti all’istante l’Ente resistente dovrà corrispondere gli interessi legali sino al saldo.
Le spese processuali, come liquidate in dispositivo a favore del procuratore anticipatario del ricorrente, seguono la soccombenza.
La presente sentenza è provvisoriamente esecutiva a norma degli artt. 431 e 447 c.p.c.


P.Q.M.


Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Trani, definitivamente pronunciando nella causa introdotta da XXXXXX con ricorso depositato il 03/01/2007 in contraddittorio dell’ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE  (I.N.P.S.), in persona del legale rappresentante pro-tempore, così provvede:
1) accertate e riconosciute in capo al ricorrente le condizioni che danno luogo al diritto all’anticipazione della pensione di vecchiaia a far tempo dal gennaio 2008, accoglie la domanda;
2) conseguentemente condanna l’I.N.P.S. a corrispondere a favore di XXXXXX  la pensione anticipata di vecchiaia con decorrenza dal gennaio 2008, oltre agli interessi legali sui ratei maturati sino al saldo;
3) condanna, altresì, l’I.N.P.S. a corrispondere a favore del procuratore anticipatario del ricorrente, le spese processuali liquidate in complessivi € _________, oltre rimborso forfetario ex art. 15 L.P., nonché I.V.A. e C.N.A. nella misura di legge;
4) dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva.


Così deciso in Trani, addì 16/12/2008.


Il  Giudice del Lavoro
DR. MASSIMO BRUDAGLIO


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Nota


 Trib. Trani, Sez. Lavoro, sent. 16/12/2008, n. 8026 – “LA PENSIONE ANTICIPATA DI VECCHIAIA AI SENSI DELL’ART. 1, COMMA 8, D.LGS. N. 503/1992”.
 La decisione in commento si occupa del diritto alla pensione anticipata di vecchiaia, riconosciuto dall’art. 1, comma 8, del D.Lgs. n. 503/1992, in favore dei soggetti con una invalidità pari almeno all’80%.
 Come è noto, infatti, con siffatto decreto legislativo, recante “Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici”, è stata disposta l’elevazione dei limiti di età per conseguire la pensione di vecchiaia a carico dell’AGO (Assicurazione Generale Obbligatoria) gestita dall’Inps, da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 anni per gli uomini.
 Tuttavia, l’art. 1, comma 8, dello stesso decreto stabilisce che detto innalzamento non trova applicazione nei confronti dei soggetti “invalidi in misura non inferiore all’80%”, per i quali, quindi, l’età pensionabile resta ancora stabilita a  55 anni, se donne, e a 60 se uomini.   
 In proposito, occorre segnalare una importante pronuncia della Corte di Cassazione, la n. 13495/2003, per aver essa affermato l’applicabilità della disposizione in parola (e dunque la non operatività del predetto innalzamento del limite d’età pensionabile) a tutti coloro che hanno una invalidità pari o superiore all’80%, comprese le persone sordomute.
 La questione affrontata dalla Suprema Corte ha destato particolare interesse, in quanto nel caso specifico la richiesta del suddetto beneficio proveniva da soggetti appunto sordomuti, in forza del D.M. 5 febbraio 1992 (Approvazione della nuova tabella indicativa delle percentuali d’invalidità per le minorazioni e malattie invalidanti) che, come è noto, attribuisce alla sordità la percentuale fissa di invalidità dell’80%.
 Siffatta domanda trovava tuttavia il rigetto dall’Inps, avendo questo accertato – in sede di visita da parte dei propri medici – l’insussistenza del requisito sanitario anzidetto in capo ai richiedenti sordomuti.
Il predetto Iss Il predetto Istituto, infatti, con circolare n. 82/94, sosteneva che, per l’accertamento del requisito dell’invalidità “in misura non inferiore all’80%”, di cui al precitato art. 1, comma 8, D.Lgs. n. 503/1992, si dovesse risalire alla definizione di invalidità delineata dalle norme che regolano le singole forme assicurative gestite dall’Inps stesso, e che l’accertamento del requisito sanitario dell’80% fosse in ogni caso compito esclusivo dei propri uffici sanitari, anche quindi con riguardo a soggetti sordomuti.
 Sennonchè, la Suprema Corte, con la sentenza surriferita, ha respinto l’assunto dell’Istituto, statuendo che la nozione di invalidità da considerare nella specie è l’invalidità civile, la cui misurazione è disciplinata dal summenzionato Decreto del Ministero della Sanità 5 febbraio 1992, che – come anzidetto – riconosce al sordomutismo la percentuale fissa di invalidità dell’80%.
 A supporto di tale conclusione, i giudici di legittimità rilevano che la percentualizzazione puntuale – così come contenuta nell’art. 1, comma 8, del D.Lgs. n. 503/1992 – della invalidità in una misura finora estranea al regime pensionistico generale è già da sola significante dell’intento legislativo di riferirsi a una categoria di soggetti che non coincide con quella indicata nell’art. 1 della legge n. 222 del 1984, il quale accoglie una nozione di invalidità che fa consistere genericamente nella riduzione della capacità di lavoro a meno di un terzo.
 Inoltre – proseguono i giudici di legittimità – è lo stesso dato testuale della disposizione ad autorizzarne una interpretazione che include nel regime derogatorio della nuova disciplina della età pensionabile anche i soggetti che la legge n. 222 del 1984 qualifica “inabili”, i soggetti cioè per i quali un infermità o un difetto fisico o mentale abbiano determinato non già una riduzione ma la totale perdita della capacità di lavoro. La circostanza, infatti, che la legge espressamente dia rilievo a una misura di invalidità “non inferiore all’80 per cento comporta, “a fortiori”, che siano incluso nella sua previsione (anche) le invalidità di misura “superiore” a quella soglia percentuale, fino alle situazioni di invalidità totale (100 per cento), le quali coincidono con la inabilità.
 La deroga al nuovo regime normativo dell’età pensionabile e la conservazione della disciplina previgente deve, dunque, intendersi stabilita per tutti gli assicurati per i quali sia accertata una riduzione della capacità di lavoro di grado pari o superiore all’80 per cento, compresi i soggetti – dall’art. 2 della legge n. 222 del 1984 definiti inabili – che tale capacità abbiano perduto interamente.
Questa ricostruzione della “voluntas legis” è confortata dal testo dell’art. 3 della legge delega n. 421 del 1992, il quale espressamente indicava gli “inabili” come soggetti da escludere dall’innalzamento dell’età pensionabile, e dal contenuto del parere espresso dalla Commissione XI (lavoro pubblico e privato) sullo schema di decreto legislativo, significativamente sottolineandosi, in detto parere (seduta di giovedì 3 dicembre 1992), la necessità di sostituire la parola “inabili” con la parola “invalidi” per non precludere la deroga ai titolari di assegno di invalidità INPS”.
 Tali argomentazioni hanno indotto, quindi, i giudici di legittimità ad affermare che l’applicabilità della vecchia normativa è genericamente disposta in favore di tutti i soggetti invalidi, anche se con capacità di guadagno, perché l’unico requisito posto dalla legge riguarda la misura dell’invalidità che non deve essere inferiore all’80%.
 In sostanza, ad avviso della Suprema Corte , proprio la genericità dell’espressione utilizzata dal legislatore con la disposizione de qua (invalidi in misura non inferiore all’80 per cento) e la mancanza di qualsiasi altra specificazione depongono per l’ampiezza massima del contenuto normativo e per l’opzione interpretativa favorevole all’accoglimento, nell’ipotesi in questione, della nozione di invalidità civile.
 Pertanto, alla luce della sentenza in parola, anche i soggetti sordomuti hanno diritto al beneficio della riduzione del limite d’età per accedere alla pensione di vecchiaia (purchè ovviamente in possesso del corrispondente requisito contributivo), a prescindere da ogni valutazione dei medici Inps, e sulla base della certificazione di sordomutismo, patologia alla quale la legge associa una invalidità tabellarmente fissata nella misura dell’80%. 
 Per completezza espositiva, va ricordato che, l’elevazione dei limiti di età disposta dal D.Lgs. n. 503/1992 non trova applicazione, oltrechè nei confronti dei soggetti indicati dall’art. 1, comma 8 (invalidi in misura non inferiore all’80%), di cui si è occupata la sentenza del Tribunale tranese, anche in relazione ai lavoratori “non vedenti”, per i quali il limite di età è fissato a 50 anni per le donne e 55 per gli uomini, ai sensi dell’art. 9, L. n. 218/1952, requisiti, questi, confermati dall’art. 1, comma 6, D.Lgs. n. 503/1992, ed altresì in relazione ai lavoratori addetti ad “attività usuranti”, per i quali il limite di età pensionabile è anticipato di due mesi per ogni anno di occupazione nelle predette attività, fino ad un massimo di sessanta mesi complessivamente considerati (art. 2, D.Lgs. n. 374/1993; si veda, in proposito, anche il D.M. 19 maggio 1999, per l”individuazione delle mansioni particolarmente usuranti).


Avv. Antonio De Simone