La prova logica nell’accertamento tributario del reddito.
di Geremia Rendine

Nel’accertamento tributario l’aspetto interpretativo e concettuale della prova è particolarmente evidente perché in questo campo le prove dirette sono molto rare.
In questo ambito la prova ha natura di ragionamento, di argomentazione, di processo logico che parte da alcune premesse certe, perché l’ufficio fiscale normalmente interpreta le scarse informazioni disponibili utilizzando il senso comune, la normalità dei comportamenti umani, le conoscenze e le esperienze cui la giurisprudenza si riferisce con l’espressione “comune esperienza”, e che in latino si riassume nell’espressione ”id quod plerumque accidit”.
A volte gli accertamenti fiscali fanno riferimento a parametri, a listini, tariffe professionali, prezzi medi rilevati da indagini di mercato, studi di settore elaborati con criteri matematici-statistici –probabilistici, questo perché la valutazione dei fatti avviene normalmente in base ad esperienze e conoscenze che perché di pubblico dominio e facilmente condivisibili costituiscono “prova logica”.
Gli accertamenti fiscali, è noto, hanno carattere spiccatamente presuntivo e la maggior parte dei ragionamenti usati per le rettifiche fiscali ha un fondamento presuntivo ( dalla rettifica, per esempio, dei proventi di un professionista sulla base della produttività di beni strumentali o degli addetti, lavoratori dipendenti o collaboratori, alla natura reddituale dei versamenti e/o prelevamenti bancari senza valide giustificazioni di riscontro nelle scritture contabili obbligatorie fiscali, all’economicità o antieconomicità di alcuni comportamenti del contribuente che per ipotesi acquisti o venda sottocosto senza valide ragioni economiche, etc.).
Quindi è consequenziale che nel processo tributario ampio spazio sia dato alla valutazione della prova logica e che grande ponderazione vada effettuata riguardo alla presenza delle presunzioni gravi, precise e concordanti secondo il dettato di cui all’art.2729 del codice civile.
Sarà poi il giudice che nel suo libero convincimento dovrà dare conto, nella motivazione della sentenza, della fondatezza e persuasività dei ragionamenti di una parte rispetto ai ragionamenti dell’altra parte.
In questi casi è evidente che la prova è una prova basata sul buon senso, su regole di comune esperienza, su palesi incongruenze e anormalità di comportamenti che si manifestano illogici sul piano razionale e quindi economico.
Si pensi ad un accertamento tributario nel campo delle imposte dirette basato sulla ricostruzione induttiva del reddito d’impresa (con l’ausilio degli artt.39, 1°co. lettera d), seconda parte, o art.39, 2°co, lettera d) D.P.R. 29/9/73, n.600) oppure ad un accertamento basato sugli studi di settore (ex art.62 bis D.L. N331/93 conv.to in L. n.427/93 e s.m. ), in cui i ricavi accertabili presuntivamente e la congruità del reddito d’impresa o di lavoro autonomo viene desunto da particolari dati (contabili e non ) inseriti nella dichiarazione dei redditi presentata.
Si tratterà in ultima analisi di confutare l’accertamento fiscale dell’ufficio con ragionamenti altrettanto persuasivi che trovino conforto in dati contabili, in fatti storicamente accertabili e dimostrabili, in dati comunemente condivisi e riscontrabili.
Certamente la prova logica per avere valenza giuridica deve essere ristretta in ambiti non soggettivi e deve avere un’altissima percentuale di probabilità.
Normalmente, per esempio, è oggettivamente illogico un comportamento antieconomico a meno che la parte interessata non giustifichi e provi con documenti il suo abnorme comportamento.
Si pensi al riguardo agli accertamenti induttivi basati sul così detto “tovagliometro” che hanno trovato conferma nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (vedi per tutte la sentenza dell’08/07/2002 n.9884, sez.V), che ha affermato che “Nella prova per presunzioni, la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza del fatto da dimostrare derivi come conseguenza dal fatto noto alla stregua di ragionevole probabilità. Pertanto, ….. , è legittimo l’accertamento che ricostruisca i ricavi di un’impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli utilizzati , costituendo dato assolutamente normale quello secondo cui, per ciascun pasto,ogni cliente adoperi un solo tovagliolo e rappresentando quindi il numero di questi un fatto noto,capace anche di per sé solo, di lasciare ragionevolmente e verosimilmente presumere il numero dei pasti effettivamente consumati.”.
E’ questo metodo oramai una certezza acquisita al sistema dell’accertamento tributario, anche e sopratutto per la conferma ottenuta dall’elaborazione giurisprudenziale riferita, per cui torna in pieno la legittimità della ricostruzione induttiva dei ricavi ( o eventualmente dei proventi professionali ) operata dall’Ufficio tributario.
Certo esiste sempre la possibilità per la parte privata di fornire la prova contraria (art.38 co. 5 DPR n.600/73 e art 2697 c.c. ), ma sarebbe opportuno, a mio parere, tenerne conto già nel momento in cui si opera, cioè nel periodo d’imposta di riferimento, in modo tale da precostituirsi la prova – a tempo debito e non sospetto – per vincere qualsiasi presunzione o ragionamento dell’ufficio.-.


dott. Geremia Rendine
Dirigente, Agenzia delle Entrate,
Capo Area Controllo di Bari 1 e 2 fino al 30/06/2007,
attualmente in pensione di anzianità.


Letture consigliate:
Raffaello Lupi – Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario – Giuffrè, Milano 1988.
Raffaello Lupi –L’onere della prova nella dialettica del giudizio di fatto – in Riv. Dir. Trib.,1973, I, 1197.-