REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale di Trani, sezione civile, in composizione monocratica, in persona del giudice dr.ssa Patrizia Papa, ha, pronunciato la seguente


SENTENZA N. 1241/2008


nella causa iscritta ai n. / R.G., riservata per la decisione all’udienza del 9/1/08, avente per oggetto: risarcimento danni vertente


TRA.


TIZIA elettivamente domiciliata in , via , presso lo studio dell’avv. AAAA dal quale è rappresentata e difesa come da procura in atti ATTORE


E


Comune di , in persona del legale rappresentante prò tempore, rappresentato e difeso dall’avv. BBBB, domiciliato presso l’Ufficio legale del Palazzo di Città CONVENUTO


CONCLUSIONI DELLE PARTI: all’udienza del 9/1/08, l’avv. AAAA, per l’attrice, precisa le proprie conclusioni riportandosi ai suoi atti e chiedendo la condanna dei Comune al risarcimento dei danni subiti dalla TIZIA nella complessiva somma di € 30.215,75, oltre interessi legali dal dì del sinistro al soddisfo, con vittoria di spese; l’avv. CCCC, in provvisoria sostituzione dell’avv. BBBB, per il Comune convenuto, conclude riportandosi alla comparsa di risposta e chiede il rigetto di ogni avversa pretesa, con vittoria delle spese.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 28/10/02 Tizia conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Trani il Comune di , in persona del legale rappresentante prò tempore, esponendo che il giorno 25/10/01, alle ore 6.45 circa, mentre percorreva a piedi via in , cadeva a causa di alcune sconnessioni presenti sul manto stradale, riportando una frattura trimalleolare a sinistra per la quale era stata sottoposta ad intervento chirurgico di osteosintesi e stabilizzazione da cui erano residuati postumi che quantificava nella misura del 10%.
Tanto esposto, sosteneva l’attore che della caduta dovesse essere dichiarato responsabile il Comune quale proprietario della strada pubblica tenuto alla sua manutenzione; chiedeva, pertanto, che lo stesso ente fosse condannato al risarcimento dei danni conseguenti al sinistro nella misura che quantificava in complessivi € 30.215,75, con vittoria delle spese. A sostegno probatorio articolava prova per testi sulle circostanze in fatto della citazione e chiedeva c.t.u. diretta alla quantificazione dei danni. Si costituiva il Comune contestando la fondatezza delle avverse pretese e, in particolare, sostenendo che la buca non si presentava certamente quale pericolo occulto atteso che era ben visibile al momento del sinistro accaduto in piena luce del giorno e che costituiva condotta imprudente per una persona adulta camminare nelle pozzanghere che, presumibilmente, nascondevano un avvallamento; rappresentava altresì che l’attrice aveva inizialmente fornito al medico del pronto soccorso e ai momento del ricovero una diversa versione dei fatti, riferendo che era scivolata salendo in automobile, “poggiando male il piede”; chiedeva, pertanto, il rigetto di ogni avversa pretesa con vittoria di spese; deferiva interrogatorio formale all’attrice sulle caratteristiche della sconnessione e chiedeva prova per testi sulle circostanze” del sinistro e le caratteristiche della buca.
Erano ammessi ed espletati l’interrogatorio formale e la prova per testi; era altresì espletata la c.t.u. medica richiesta da parte attrice.
All’udienza del 9/1/08, sulle conclusioni precisate dai procuratori delle parti nei termini di cui all’epigrafe, la causa era riservata per la decisione del Tribunale, in composizione monocratica, con assegnazione degli ordinari termini di legge per il deposito degli scritti-conclusionali.


MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda è fondata e merita accoglimento nei limiti di seguito precisati. In merito, deve considerarsi innanzitutto che l’attrice, ha prospettato in citazione la sussistenza di una responsabilità del Comune ex art. 2051 cod. civ. con conseguente inversione dell’onere probatorio; in particolare parte attrice ha avanzato la propria pretesa in citazione deducendo di aver subito il sinistro a causa della presenza di una buca sul manto stradale non visibile perché coperta d’acqua, in un giorno di pioggia e con visibilità scarsa a causa dell’ora.
Brevemente, in diritto, deve precisarsi che, per giurisprudenza ormai consolidata (cfr. da ultimo, Cassazione civile, sez. IlI, 25 luglio 2008, n. 20427), la responsabilità per danni ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. ha natura oggettiva, in quanto si fonda sul mero rapporto di custodia, cioè sulla relazione intercorrente fra la cosa dannosa e colui il quale ha l’effettivo potere su di essa (come il proprietario, il possessore o anche il detentore) e non sulla presunzione di colpa, restando estraneo alla fattispecie il comportamento tenuto dal custode; a tal fine, occorre, da un lato, che il danno sia prodotto nell’ambito del dinamismo connaturale, del bene o per l’insorgenza in esso di un processo dannoso, ancorché provocato da elementi esterni, e, dall’altro, che la cosa, pur combinandosi con l’elemento esterno, costituisca la causa o la concausa del danno; pertanto, l’attore deve offrire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e l’evento lesivo, nonché la prova dell’esistenza di un rapporto di custodia relativamente alla cosa, mentre il convenuto deve dimostrare l’esistenza di un fattore esterno che, per il carattere dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso di causalità, cioè il caso fortuito”, in presenza del quale è esclusa la responsabilità del custode (Cassazione civile, sez. II, 29 novembre 2006, n. 25243). Tale fattore esterno può essere rappresentato anche dal comportamento imprudente del danneggiato: se questo comportamento è stato eccezionale o straordinario (come nel caso in cui vi sia stato uso improprio della cosa), esclude totalmente il nesso di causalità tra cosa in custodia e danno (caso fortuito del danneggiato); se, invece, è stato tale da concorrere soltanto nella causazione dell’evento e, perciò, non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa, costituita dalla cosa in custodia e il danno, può anche integrare il concorso colposo del danneggiante nella produzione del danno ai fini dell’art. 1227, co. 1, cod. civ. Occorre, dunque, verificare in fatto se la P.A., omettendo di custodire adeguatamente il bene demaniale strada abbia o non determinato un pericolo non visibile e non prevedibile e, perciò, non evitabile dall’utente con – l’uso della normale diligenza.
Orbene, nella fattispecie, risulta dall’esame degli atti (v. certificato di ricovero in pronto soccorso a firma dott. DDDD doc. 5 fase, parte convenuta) che il sinistro è certamente avvenuto prima delle 6,46 del mattino; entrambe le testimoni escusse a conoscenza dei fatti di causa perché hanno assistito al sinistro in quanto erano in compagnia della Tizia, hanno affermato che aveva piovuto tutta la notte e la strada era bagnata (e la circostanza non è comunque stata contestata dal Comune); costituisce fatto notorio che alla fine di ottobre intorno alle 6.30 del mattino, per giunta in un giorno piovoso, non vi sia piena luce; dalle foto allegate agli atti, peraltro, si evince che la buca si trova a ridosso di un dislivello dell’asfalto dove certamente ristagnava acqua per la pioggia abbondante (tutti hanno riferito che la buca era “coperta d’acqua”): è ben visibile, dunque, sulle foto allegate da parte attrice e non contestate quanto ad autenticità dal convenuto (oltre che riconosciute dalle testimoni) che al bordo della carreggiata dove sostano le autovetture e dove si trovava, in attesa della Tizia, l’autovettura del marito di quest’ultima, il manto stradale era stato ”rattoppato” con un ulteriore strato di asfalto e tanto aveva creato un dislivello che certamente tratteneva l’acqua piovana e ne causava il ristagno; in tale ristagno è pure posizionata la buca che era in conseguenza insidiosa in quanto costituiva un punto – non prevedibile – in cui l’acqua celava un vero e proprio avallamento; la non prevedibilità derivava dal fatto che in condizioni di scarsa visibilità (le 6.30 circa di un mattino piovoso d’autunno), l’asfalto appariva uniformemente lucido e allagato. Da tali elementi di fatto si deduce dunque che l’attrice non ha messo il piede nella, pozzanghera irresponsabilmente (come sostenuto dal convenuto), bensì non ha potuto evitare l’insidia della buca in quanto non poteva che calpestare quel manto stradale uniformemente lucido e allagato e, soprattutto, non poteva prevedere che in quel punto l’acqua era più profonda perché celava un avallamento.
Non è dunque pertinente alla fattispecie il richiamo a precedenti giurisprudenziali in cui la buca colma d’acqua si presentava quale evidente pericolo in un manto stradale tutto asciutto e in condizioni di visibilità buona.
Da tali osservazioni deriva che può ritenersi provato l’an debeatur e il sinistro deve essere imputato all’omissione di custodia diligente della strada da. parte della p.a., ex art. 2051 c.c.. Non vi sono motivi per dubitare dell’attendibilità dei testi che hanno reso dichiarazioni verosimili e coerenti tra loro, oltre che corrispondenti,” la descrizione del sinistro utilizzata dal medico del pronto soccorso nel certificato di ricovero non è sufficiente ad escludere la verosimiglianza della dinamica del sinistro come ricostruita atteso che comunque vi è riferito che l’attrice, è caduta “mentre saliva in macchina”, “poggiando male il piede”, cioè sinteticamente è detto che la Tizia, quando è caduta, si apprestava a raggiungere l’auto del marito e ha poggiato male il piede per la presenza della buca.
Relativamente al quantum, il nominato c.t.u. dott. EEEE, particolarmente esperto in quanto specializzato in Medicina legale e delle assicurazioni, ha accertato che la Tizia nella circostanza ha riportato un “valido trauma distorsivo della caviglia sn con frattura bimalleolare”, da cui sono derivati, secondo conclusioni immuni da censure in quanto corrette sotto il profilo logico e medico-legale, gg. 50 di inabilità temporanea assoluta (sommando i giorni di ricovero ospedaliero con quelli in cui all’istante era vietato il carico), gg. 30 di invalidità parziale al 50 % ed ulteriori giorni 30 al 25 %, necessari al trattamento riabilitativo e ai controlli clinici; trascorso tale periodo i postumi si sono stabilizzati e consolidati in una percentuale valutata, con criteri logico-tecnici ineccepibili e, perciò, condivisibili, in misura pari al 5%. Non si condivide l’ulteriore aumento di un punto percentuale concesso dal ctu in sede di chiarimenti, posto che appare coerente e chiaro che la frattura trimalleolare non risulta provata dall’istante – che ne aveva evidentemente l’onere – in modo certo e univoco.
Quanto alla liquidazione del danno, in conformità alle Linee guida elaborate nella conferenza distrettuale della Corte d’Appello di Bari del 26/11/07, devono e possono essere utilizzate, le tabelle di valutazione elaborate dal Tribunale di Milano per l’anno 2007, in quanto considerate come statisticamente maggiormente testate e, pertanto, più efficacemente rispondenti a quantificare in modo egualitario l’entità dei danni verificatisi nel sinistro in esame.
Brevemente, in diritto, giova rammentare che la funzione delle tabelle di liquidazione del danno è quella di assicurare l’uniformità di tale liquidazione, secondo quanto suggerito dalla Corte costituzionale nella nota sentenza 184/86 e, cioè, l’uniformità pecuniaria di base, con una certa flessibilità, in modo da adeguare la liquidazione uniforme al caso concreto in esame; l’l’uniformità pecuniaria di base è necessaria perché il valore umano e l’integrità psicofisica sono uguali per tutti gli esseri umani; la flessibilità è ugualmente indispensabile nel caso concreto, perché una stessa menomazione può avere una maggiore o minore incidenza a secondo della persona che la subisce. È evidente, infatti, che una menomazione permanente provoca un pregiudizio più intenso per taluni soggetti (ad esempio in conseguenza dell’età) che per altri, incidendo in maniera diversa, da persona a persona, sull’efficienza psicofisica della stessa, sulla sua capacità di intrattenere rapporti sociali o sulla fatica nell’espletamento del lavoro.
Il legislatore, con l’articolo 13, comma 1 del Dlgs 23 febbraio 2000 n. 38 e con l’articolo 5, comma 2, della legge 5 marzo 2001 n. 57 ha definito, per la prima volta, il danno biologico quale lesione dell’ integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico legale e risarcibile indipendentemente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato. La lesione dell’integrità psicofisica incide in modo permanente sulla validità del soggetto che, in una determinata percentuale non potrà più attendere alle sue occupazioni. Danno biologico e danno patrimoniale da lucro cessante si distinguono nettamente, ma costituiscono proiezione negativa, nel futuro, di un medesimo evento, sicché le liquidazioni, anche se distinte, devono essere considerate contemporaneamente, in modo che la valutazione complessiva sia corrispondente al danno nella sua globalità.
Da tali premesse deriva la necessità dell’utilizzo del metodo tabellare, (il.metodo tabellare o “milanese”, – così denominato perché adottato per la prima volta nel 1995 dal tribunale di Milano – è stato condiviso anche dalla Corte di cassazione con la sentenza 24 gennaio 2000 n. 748): nella predisposizione delle tabelle, infatti, sono stati considerati da un lato i precedenti dei Tribunali di merito e, d’altro canto, i valori di risarcimento previsti dalla legge per le micropermanenti; secondo il cosiddetto metodo milanese, il valore del punto cresce geometricamente con il crescere della percentuale di invalidità, mentre decresce in modo aritmetico rispetto all’età della vittima.
Nell’ipotesi in cui il danneggiato riesca a dimostrare in concreto la flessione del reddito conseguente alla lesione subita, e quindi il danno patrimoniale da lucro cessante, il danno biologico non può essere liquidato nel pieno rispetto dei valori e delle cifre risultanti dalle dette tabelle, posto che nella predisposizione delle stesse si è compreso nel danno biologico anche la componente della cosiddetta incapacità lavorativa generica; pertanto, quando il danno da contrazione di reddito o danno da lucro cessante può essere liquidabile separatamente, nella liquidazione del danno biologico è necessario operare una riduzione della somma risultante dall’applicazione integrale della tabella.
Per quanto riguarda l’invalidità temporanea, deve considerarsi che la lesione dell’integrità psicofisica può determinare innanzitutto che, per un certo numero di giorni, il soggetto leso non può attendere in tutto (invalidità temporanea assoluta) o in parte (invalidità temporanea relativa) alle sue occupazioni; il criterio di liquidazione utilizzato per tale tipo di danno è quello di liquidare una somma di denaro per ogni giorno di invalidità, ridotta proporzionalmente ove l’invalidità non sia stata assoluta. È il sistema più utilizzato dai giudici di merito ed è previsto espressamente anche dalla citata legge 57/2001. La somma viene fissata, in armonia con quanto previsto dalla predetta legge e, oggi, dall’articolo 139 del cosiddetto Codice delle assicurazioni (Dlgs n. 209/05), con gli aggiornamenti previsti dal decreto 24 giugno 2008, in euro 42,06 per ogni giorno di invalidità assoluta, con le proporzionali riduzioni in caso di invalidità relativa.
Il danno morale, inteso quale sofferenza temporanea provocata dalie lesioni personali subite, risarcibile anche ove il fatto non costituisca reato secondo ‘l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 c.c. è liquidato, infine, in una misura compresa tra il 25% e il 50% del danno biologico risarcito alla vittima.
Tanto premesso in diritto, deve dunque considerarsi in fatto che, secondo le tabelle del Tribunale di Milano per l’anno 2008, il danno biologico subito da una persona di 48 anni (quanti ne aveva Tizia il 25/10/01, data del sinistro) , in relazione a postumi invalidanti consolidati nella misura del 5 %, deve essere monetizzato in € 5.007,00.
Nessuna allegazione, prima ancora che nessuna prova ha offerto l’attore in ordine ad una contrazione di reddito subita in conseguenza del sinistro; la impossibilità di attendere alle faccende domestiche è stata compensata con l’aiuto gratuito e senza spesa della figlia e, la vicina di casa, come riferito da costoro sentite a testimoni sul punto; nessun danno da lucro cessante deve, pertanto, essere liquidato.
Le spese mediche sostenute sono state documentate soltanto in €483, 21 e ritenute congrue in tale misura dal nominato c.t.u..
Non costituisce spesa medica rimborsabile l’onorario del ctp.
Il danno da invalidità temporanea è quantificabile in € 3.049,45 (50 giorni per € 42,06, 30 giorni per € 21,03, 30 giorni per € 10,51) secondo il criterio fissato dalle Linee guida richiamate.
Il danno morale è, infine, liquidabile equitativamente in € 1.250,00, in misura cioè, di 1/4 del danno, biologico, avuto riguardo al tipo di sofferenza subita dall’attore in conseguenza del sinistro.
Va, altresì, chiarito che le somme risultanti dall’applicazione delle stesse sono espresse in moneta al valore attuale, sicché, pur essendo il risarcimento del danno debito di valore, come tale non soggetto al principio nominalistico, a tali somme non va aggiunta la rivalutazione monetaria; alle dette somme vanno, invece, aggiunti gli interessi legali che, trattandosi di risarcimento da fatto illecito e vertendosi, quindi, in ipotesi di mora ex re, vanno conteggiati dalla data del fatto illecito sino all’effettivo soddisfo; siffatti interessi, tuttavia, vanno applicati non sulla somma interamente rivalutata ma, in applicazione dei principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite 17 febbraio 1995 n. 1712, sulla somma come annualmente rivalutata secondo indici Istat. Conseguentemente, ai fini del calcolo degli interessi, la somma complessiva risultante dall’applicazione delle tabelle dev’essere, secondo i coefficienti in uso, dapprima riportata al valore effettivo corrente al momento del fatto illecito (cosiddetta devalutazione); sulla somma così ottenuta, rivalutata anno dopo anno, vanno poi calcolati gli interessi legali anno per anno. Per i suesposti motivi, il convenuto Comune deve essere, dunque, condannato al pagamento della complessiva somma di € 9.306,45 (ossia € 5.007,00 per danno biologico + € 1.250, 00 per quello morale + € 1.250,00 per invalidità temporanea); ai fini della liquidazione del danno da ritardo, l’importo capitale liquidato a titolo di risarcimento del danno biologico e del danno morale (determinato in somma rivalutata all’attualità) deve essere previamente devalutato nell’ammontare alla data del danno (25/10/01) alla stregua degli indici Istat relativi al mutamento dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati e via via rivalutato in ragione di ciascun anno, fino al soddisfo; sull’importo così determinato anno per anno saranno calcolati gli interessi legali anno per anno, fino al soddisfo. Il Comune convenuto deve altresì essere condannato al rimborso delle spese mediche nell’ammontare di € 483,21; trattandosi di obbligazione risarcitoria e, perciò, di debito di valore, tale somma deve essere rivalutata dalla data della domanda (28/10/02) al soddisfo; su tale somma rivalutata devono essere corrisposti gli interessi legali con le stesse decorrenze.
Le spese processuali, ivi comprese quelle di CTU, seguono la soccombenza del convenuto e si liquidano nella misura indicata nel dispositivo in favore di parte attrice, con parziale compensazione conseguente alla notevole differenza tra importo preteso e importo riconosciuto come spettante.


p.q.m.


Il Tribunale, in persona del Giudice Unico dott. Patrizia Papa, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Tizia, con atto di citazione notificato il 28/10/02, nei confronti di Comune di , in persona del legale rappresentante prò tempore, uditi i procuratori delle parti, così provvede in accoglimento della domanda: condanna il Comune convenuto al pagamento, in favore di Tizia, della complessiva somma di € 9.306, 45 (ossia € 5.007,00 per danno biologico + € 1.250,00 per quello morale + € 1.250,00 per invalidità temporanea), oltre interessi legali calcolati anno per anno sull’importo capitale liquidato a titolo di risarcimento del danno (determinato in somma rivalutata all’attualità) devalutato nell’ammontare alla data del danno (25/10/01) alla stregua degli indici Istat relativi, al mutamento dei prezzi al consumo per le famìglie di operai ed impiegatie via via rivalutato in ragione di ciascun anno con gli stessi indici, fino al soddisfo; condanna, il convenuto al pagamento, in favore di Tizia, della complessiva somma di € 483,21 per rimborso spese mediche, rivalutata dalla data della domanda (28/10/02) al soddisfo; su tale somma rivalutata devono essere corrisposti gli interessi legali con le stesse decorrenze; condanna, pure, il Comune al rimborso, in favore di Tizia, di 1/3 delle spese del presente giudizio che liquida, per l’intero, in complessivi € 10.706,26, di cui € 3.568, 92 per diritti, € 6.385, 00 per onorario, € 752,34 per spese (di cui € 363,92 per spese c.t.u. medica), oltre IVA, CPA, rimborso forfetario come per legge.
La presente sentenza, è provvisoriamente esecutiva per legge.
Trani, 7 novembre 2008.


Il giudice monocratico
dr. Patrizia Papa







LA RESPONSABILITA’ DELLA P.A. EX ART. 2051 COD. CIV..
di Nicola Ulisse


La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ha natura oggettiva e la P.A. (custode) ne risponde ex art. 2051 cod. civ..
A ribadire questo importante principio è il Tribunale di Trani, in persona del giudice monocratico dr.ssa Patrizia Papa, con sentenza n° 1241/08.
Tale decisione, che si allinea con la consolidata giurisprudenza di legittimità (v. da ultimo Cass. 20427/08, richiamata in motivazione), costituisce un ulteriore significativo punto di riferimento per gli operatori del diritto.
La vicenda riguarda il caso di un pedone che ha evocato in giudizio il Comune di XXX per sentirlo dichiarare responsabile dell’evento dannoso occorsogli e, per l’effetto, condannare al risarcimento di tutti i danni subiti, a seguito della caduta avvenuta in strada per la presenza di buche, non visibili, perché colme d’acqua piovana e, comunque, non distinguibili perché non segnalate. Nel caso di specie la buca (e la pericolosa insidia che essa rappresentava per qualsiasi utente) non poteva essere scorta, atteso che nell’occorso (in un giorno di pioggia) il manto stradale si presentava uniformemente lucido e allagato. Di talché, per l’istante non è stato possibile prevedere che in quel punto l’acqua era più profonda perché celava un avallamento.
Da qui l’affermazione del principio secondo l’ente (pubblico) che ha l’effettivo potere sulla cosa (da cui è derivato il danno) ha il dovere di tenere e manutenere le strade in condizioni tali da non costituire un pericolo per gli utenti, che fanno affidamento sullo stato di apparente transitabilità e pedonabilità.
Essa ha il pregio di distinguersi non solo per il nitore e la coerenza espositiva seguita nell’esaminare le istanze delle parti, dando conto attraverso l’approfondito ed attento esame degli esiti istruttori, delle ragioni che hanno consentito di appurare e riconoscere la fondatezza della domanda; ma anche perché offre la chiara indicazione in ordine alla valutazione e liquidazione delle lesioni operate dai Giudici del distretto di Corte d’Appello di Bari.
In proposito, si legge che quanto alla liquidazione del danno, in conformità alle Linee guida elaborate nella conferenza distrettuale della Corte d’Appello di Bari del 26/11/07, devono e possono essere utilizzate, le tabelle di valutazione elaborate dal Tribunale di Milano per l’anno 2007, in quanto considerate come statisticamente maggiormente testate e, pertanto, più efficacemente rispondenti a quantificare in modo egualitario l’entità dei danni verificatisi nel sinistro in esame.


Avv. Nicola Ulisse