LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Sentenza n. 17761 del 30 giugno 2008


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:


Dott. CRISCUOLO Alessandro – Primo Presidente f.f. –
Dott. PREDEN Roberto – Presidente di sezione –
Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Consigliere –
Dott. CICALA Mario – rel. Consigliere –
Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –
Dott. DE MATTEIS Aldo – Consigliere –
Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –
Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –
Dott. BENINI Stefano – Consigliere –


ha pronunciato la seguente:


sentenza


sul ricorso proposto da:
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI VERONA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 288, presso lo studio dell’avvocato PERSIANI MATTIA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DONELLA DARIO, giusta delega a margine del ricorso; – ricorrente –


contro


R.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ITALO CARLO FALBO 22, presso lo studio dell’avvocato COLUCCI ANGELO, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso; – controricorrente –


e contro


PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI VERONA,
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI VENEZIA;
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE; – intimati –


avverso la decisione 2/07 n. 78/06 RG del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE di ROMA, depositata il 28/12/05;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 11/03/08 dal Consigliere Dott. CICALA Mario;
uditi gli avvocati DONELLA Dario, COLUCCI Angelo;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARTONE Antonio, che ha concluso in via principale inammissibilità, in subordine il rigetto.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Verona propone ricorso (iscritto al RG. n. 12019/2007) avverso la decisione del Consiglio Nazionale Forense del 19 gennaio – 26 febbraio 2007 con la quale è stata accolta l’impugnazione della dott.ssa R.E. contro il provvedimento di cancellazione dal registro dei praticanti avvocati deliberato il 29 dicembre 2005 dal COA di Verona sul presupposto dell’intervenuto decorso del sessennio per l’abilitazione al patrocinio, dopo l’ottenimento del certificato attestante il compimento della pratica forense.
Nella decisione impugnata il CNF ha ritenuto che, mentre l’abilitazione al patrocinio deve essere dichiarata cessata alla scadenza del sessennio, non è invece previsto alcun limite temporale per l’iscrizione al registro dei praticanti avvocati non abilitati al patrocinio, non essendo contemplata, tra le ipotesi di cancellazione dal registro di cui al R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 14, nè quella della scadenza del sessennio di iscrizione al patrocinio, nè quella dell’avvenuto rilascio del certificato di compiuta pratica al termine del periodo stabilito al R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 17, comma 1, n. 5, il quale individua esclusivamente “il termine minimo di almeno due anni consecutivi, senza, peraltro, fissare limiti temporali massimi per il compimento della pratica ed il correlativo necessario mantenimento dell’iscrizione nel predetto registro”. In definitiva, ad avviso del CNF, non si rinvengono “specifiche disposizioni contrarie” – diversamente da quanto, ad esempio, è disciplinato dal D.M. 2 dicembre 1977 in materia di praticantato per l’ammissione all’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di consulente del lavoro – che impediscano al praticante avvocato di “rimanere iscritto nel registro senza limitazioni di tempo e sino a quando non avrà superato l’esame abilitativi”.
Resiste con controricorso la dott.ssa R. argomentando per la manifesta infondatezza ed inammissibilità del ricorso e per la condanna ex art. 96 c.p.c. del COA di Verona.


MOTIVI DELLA DECISIONE
Per la cassazione della decisione del CNF, il ricorrente si affida ad un unico motivo con il quale denuncia la violazione:
R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8, comma 3, e art. 16, comma 5; R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 4, comma 3, art. 10, comma 1, art. 14, comma 1, lett. c) e lett. d), e comma 4, “per aver il CNF affermato che non è previsto alcun termine della iscrizione del praticante avvocato nell’apposito registro”.
Secondo il ricorrente “la regola di diritto da applicare, nel caso in discussione”, sarebbe la seguente:
“Il praticante avvocato, al quale sia stato rilasciato il certificato di compiuta pratica e per il quale sia decorso il sessennio per l’abilitazione al patrocinio, deve essere cancellato dal registro essendo venuto meno lo scopo (preparazione all’esame di avvocato) per il quale è istituito il registro e ciò inforza di una corretta e sistematica interpretazione delle norme che disciplinano la materia:
R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8, comma 3, e art. 16, comma 5, (Ordinamento della professione di avvocato) e del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 4, comma 3, art. 10, comma 1, art. 14, comma 4, lett. c. e lett. d., e comma 4, (Regolamento della professione di avvocato)”.
Il ricorrente adduce la contraddittorietà dell’orientamento assunto nella specifica materia dal CNF, sostenendo che esso si sarebbe espresso in talune occasioni per la cancellazione dal registro, mentre in altre avrebbe escluso la possibilità della cancellazione stessa; ritiene, altresì, che, in argomento, risultino due pronunce delle Sezioni Unite (Cass., SU., n. 21945 del 2004 e Cass., SU., n. 12543 del 2006) che, l’una esplicitamente (la sentenza del 2004) e l’altra implicitamente, avrebbero affermato il principio della dovuta cancellazione del praticante dal registro dopo il rilascio del certificato di compiuta pratica e la decorrenza del tesserino di abilitazione.
I due richiami non appaiono pertinenti.
Dall’esame della sentenza 21945/2004 emerge infatti che nel caso di specie il ricorrente non chiedeva di conservare la condizione soggettiva di mero “praticante” bensì “la conservazione di uno status giuridico attribuitogli formalmente dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma (abilitazione al patrocinio innanzi alle preture, ovvero nei limiti stabiliti dal D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, e succ.ve modifiche)”.
Mentre la sentenza 12543 fornisce addirittura elementi in senso opposto perchè ribadisce il potere disciplinare dei COA e del CNF nei confronti dei (meri) praticanti avvocati che abbiano perso il “patrocinio”; in quanto “in virtù della disciplina vigente, nella categoria dei praticanti avvocati risulta introdotta la distinzione fra praticanti non ammessi e praticanti ammessi ad esercitare, per un tempo determinato, il patrocinio, per cui il venir meno del riconosciuto ius postulandi non comporta anche il venir meno dello status stesso di praticante e dell’interesse del soggetto a continuare ad essere iscritto nel registro speciale “ai fini dello svolgimento della pratica con esclusione del patrocinio stesso” (R.D. n. 37 del 1934, art. 14, comma 4), con la conseguenza ulteriore che, sino a quando non intervenga il provvedimento di cancellazione dal registro dei praticanti, il praticante continua ad essere assoggettato al potere disciplinare del Consiglio dell’Ordine”.
Per quanto attiene al merito della controversia, il Collegio osserva che il R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8, prevede al suo comma 1, che i laureati in giurisprudenza che svolgano la pratica per la professione di avvocato “siano iscritti, a domanda e previa certificazione dell’avvocato di cui frequentano lo studio, in un registro speciale tenuto dal consiglio dell’ordine degli avvocati presso il tribunale nel cui circondario hanno la residenza, e siano sottoposti al potere disciplinare del consiglio stesso”. E, come è agevole constatare, la norma non pone alcun limite temporale alla durata della iscrizione nel summenzionato registro.
Un termine (sei anni) è invece previsto dal R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8, comma 2 secondo cui “i praticanti avvocati, dopo un anno dalla iscrizione nel registro di cui al comma 1, sono ammessi, per un periodo non superiore a sei anni, ad esercitare il patrocinio davanti ai tribunali del distretto nel quale è compreso l’ordine circondariale che ha la tenuta del registro suddetto, limitatamente ai procedimenti che, in base alle norme vigenti anteriormente alla data di efficacia del decreto legislativo di attuazione della L. 16 luglio 1997, n. 254, rientravano nella competenza del pretore.
Davanti ai medesimi tribunali e negli stessi limiti in sede penale, essi possono essere nominati difensori d’ufficio, esercitare le funzioni di pubblico ministero e proporre dichiarazione di impugnazione sia come difensori sia come rappresentanti del pubblico ministero”. E il comma 3, prescrive che i praticanti ammessi al patrocinio debbano prestare giuramento.
Dal disposto normativo emerge, ad avviso del Collegio, che all’interno dell’unico registro dei praticanti, cui è consentita l’iscrizione a tempo indeterminato, sussiste una specifica categoria costituita dai “praticanti ammessi al patrocinio”; e mentre è indubbiamente vero che chi perda la qualifica di praticante perde automaticamente il patrocinio, non esistono argomenti per affermare il reciproco, cioè che la perdita del patrocinio (per decorrenza del sessennio) comporti la cancellazione anche dal registro dei praticanti.
Il COA di Verona tenta di forzare la lettera della legge attraverso il richiamo ad una “ratio” che nella legge non trova appiglio.
Sostiene in primo luogo che “l’iscrizione nel registro dei praticanti è ammessa e consentita solo per lo svolgimento della pratica e per ottenere il certificato, che attesti il suo compimento, allo scopo di sostenere l’esame di abilitazione alla professione di avvocato”, sicchè soltanto “lo svolgimento di un’ utile pratica sarebbe condizione utile per il mantenimento della iscrizione al registro”. E dunque chi abbia conseguito la condizione soggettiva necessaria per l’accesso all’esame di avvocato dovrebbe esser cancellato dal registro.
Il Collegio non ritiene di poter condividere simile tesi; il laureato in giurisprudenza che abbia soddisfatto le condizioni per l’accesso all’esame di avvocato ben può avere interesse a proseguire nella pratica forense ed a svolgere tale pratica non in veste informale, bensì con una precisa qualifica ed in un rapporto di giuridica dipendenza da un professionista già abilitato.
Nè appare sufficiente in senso contrario il al R.D. n. 37 del 1934, art. 14, comma 1, lett. c), che, in riferimento all’art. 4 dello stesso R.D., prescrive la cancellazione per il caso di interruzione della pratica per un periodo superiore a sei mesi, rimanendo privo di effetti il periodo di pratica già compiuto; la norma dimostra infatti soltanto come il tirocinio sia previsto come uno status funzionale all’esame, ma non che esso debba essere obbligatoriamente contenuto nei tempi minimi necessari per l’accesso all’esame.
D’altronde, se così non fosse, non si comprenderebbe perchè la legge consenta al praticante di accedere al patrocinio per un periodo di sei anni, che si protrae anche quando il praticante sia già legittimato a presentarsi all’esame.
In realtà il COA di Verona persegue uno scopo apprezzabile e conforme alla legge: contenere il fenomeno dei “miniavvocati a vita”, cioè di soggetti che senza conseguire la qualifica di avvocato ne esercitano le funzioni, magari con l’aiuto di un professionista compiacente.
Tale obbiettivo è però recepito dalla legge attraverso la disposizione che pone un limite temporale al patrocinio dei praticanti; con la scadenza di tale termine il patrocinante è legittimato soltanto a proseguire nella pratica cioè a svolgere la sua attività di ausilio e di apprendimento sotto il controllo continuo di chi sia iscritto all’albo, come dimostra anche il fatto che per lo svolgimento della (mera) pratica non è richiesto quel giuramento che è invece richiesto per lo svolgimento di attività “a rilevanza estrema”. Ove i limiti di legge siano superati, ed il praticante svolga una vera e propria attività professionale (come paventa il ricorrente a pag. 12 dell’atto introduttivo) sono applicabili le sanzioni penali e disciplinari a carico del soggetto che travalichi i limiti di quanto gli consente la sua laurea in giurisprudenza e dell’avvocato che gli offra copertura.
Non esiste, invece, uno strumento giuridico che consenta di dedurre dal venir meno del patrocinio il venir meno anche del tirocinio.
Il COA di Verona adduce in proposito argomenti che non paiono risolutivi.
Il più rilevante viene dedotto dal R.D. n. 37 del 1934, art. 14, comma 1, lett. d), che prevede la cancellazione dal registro del praticante ammesso al patrocinio che non abbia prestato il giuramento prescritto dall’art. 8 dello steso R.D.; dunque l’omissione del giuramento non determina solo il mancato accesso alla condizione di patrocinante, bensì anche la perdita della qualifica di laureato in tirocinio; e ciò costituisce indubbiamente una forma di connessione fra le due qualifiche. Non sembra però possibile dedurre da simile norma di dettaglio un principio generale ed estendere tale connessione al ben diverso caso di perdita del patrocinio per decorrenza del sessennio. Tanto più che nulla vieta che il patrocinante cancellato dal registro per omesso giuramento vi si reiscriva (chiedendo o meno l’ammissione anche al patrocinio).
Nessun rilievo può poi attribuirsi al R.D. n. 37 del 1934, art. 14, comma 4, secondo cui “i praticanti cancellati dal registro speciale hanno il diritto di esservi nuovamente iscritti qualora dimostrino, se ne è il caso, la cessazione dei fatti che hanno determinato la cancellazione, e l’effettiva sussistenza dei titoli in base ai quali furono originariamente iscritti, e siano in possesso dei requisiti di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 17, nn. 1, 2 e 3”.
Dalla norma non si deduce infatti in alcun modo che (come vorrebbe invece il COA di Verona) “la reiscrizione nel registro è ammessa al solo fine del completamento della pratica, perchè, altrimenti, la iscrizione sarebbe inutile”.
Infine nulla è possibile dedurre dal R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 16, comma 5, che impone al Consiglio dell’ordine di aggiornare il registro dei praticanti, da cui si deduce che è “obbligo del Consiglio dell’ordine provvedere alla cancellazione di coloro che non hanno più titolo per mantenerla”; ma non che il compimento della pratica determini la cancellazione dal registro.
In definitiva il ricorso deve essere rigettato.
Stante la novità della questione risolta appare opportuno procedere a compensazione delle spese; ed, a maggior ragione, non ricorrono le condizioni di cui all’art. 96 c.p.c..


P.Q.M.


LA CORTE Rigetta il ricorso. Compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio.


Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 11 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2008