in relazione all’ennesimo progettato intervento sulla procedura civile di cui al disegno di legge n. 1441-bis,
esprime le seguenti valutazioni
1. Appare ormai diffusa e conclamata la consapevolezza dell’inefficienza strutturale della giustizia civile italiana.
Lo stesso Governo ne ha dato ripetutamente atto negli ultimi tempi, preannunciando la volontà di intervenire in termini adeguati alla pesantezza della crisi in atto ed alle conseguenze da essa generate.
Tuttavia questa volontà si è ad oggi tradotta unicamente nella perniciosa proposta dell’ennesimo intervento sulle regole processuali, secondo una metodologia ormai da troppo tempo diffusa e che ha condotto solo ad un’inaudita moltiplicazione dei riti, che ormai non si contano più solo secondo le materie, ma anche secondo gli anni di entrata in vigore (ed in alcuni casi con più soglie temporali di applicabilità anche nello stesso anno), con il correlativo aumento della difficoltà di gestione del processo, che, da strumento per l’attuazione dei diritti, rischia di divenire l’oggetto di se stesso.
L’Organismo Unitario non può esimersi dal manifestare per l’ennesima volta la grave preoccupazione per le intenzioni del Legislatore, che, pur avendo il tempo necessario (non sarebbe certo una ragionevolmente breve pausa di riflessione a deteriorare ulteriormente la situazione, che peraltro non risentirà – come è pacifico alla luce dell’esperienza – alcun beneficio sostanziale dall’intervento progettato), ritiene di affidarsi al solito intervento emergenziale.
Mentre sarebbe necessario un intervento di carattere organico e coordinato, che operi, per iniziare, sul piano dell’unificazione dei riti, della riforma della magistratura onoraria, della geografia giudiziaria e del processo civile telematico (tutte riforme che potrebbero essere prossime, ma che invece paiono destinate ad essere varate in tempi diversi, con effetti di ulteriore complicazione del quadro complessivo), con il contestuale avvio di una riflessione sull’attuale assetto della giurisdizione (passaggio ineludibile per ipotizzare un serio e realistico progetto di recupero), per verificare se non sia giunto il momento di differenziare e di aumentare la capacità di risposta del sistema secondo direttrici che possano anche condurre al di fuori della giurisdizione statale, purché comunque pubblica, cioè garante della tutela pubblicistica che deve essere messa a disposizione di tutti.
Tema, quest’ultimo, che offre spunti sia per chi muova da premesse federaliste, e quindi veda un ruolo attivo delle Regioni anche nella organizzazione degli Uffici Giudiziari, sia per chi ipotizzi un coinvolgimento nella funzione di rendere giustizia, pur nel mantenimento del carattere pubblicistico, di organizzazioni esponenziali del mondo economico, del lavoro e degli interessi diffusi, in una azione combinata e soggetta alle regole in primo luogo costituzionali che presiedono alla difesa dei diritti.
Tutto ciò senza tralasciare lo sforzo per la razionalizzazione delle risorse esistenti (che non sono poche ma che sono largamente sotto utilizzate o male utilizzate, come ormai non più recenti ed assai note esperienze di singoli uffici giudiziari hanno dimostrato), con un impegno che deve riguardare, in particolare, l’eliminazione delle sacche di burocratizzazione e di autoreferenzialità, l’organizzazione del lavoro, la messa a regime del processo civile telematico, l’approfondimento del dibattito sul presidio degli snodi deboli del processo (per dirne solo due: udienza istruttorie e loro documentazione; motivazione delle sentenze).
Ma accanto a questo impegno deve esservi la consapevolezza che la gravità della crisi richiede da una parte il reperimento di nuove risorse, essendo illusorio pensare di fronteggiarla solo con il migliore utilizzo di quelle esistenti (ed allora occorre pensare innanzi tutto, senza tentennamenti, ad un robusto aumento degli organici della magistratura, oltre che alla copertura degli organici attuali dei magistrati e del personale amministrativo).
2. Ferma dunque la propria contrarietà all’inopportuno intervento progettato, l’Organismo Unitario ritiene comunque di esprimere alcune prime valutazioni sulle modifiche proposte:
- 1) contrarietà ferma all’aumento della competenza dei giudici di pace: da una parte l’ancora del tutto insoddisfacente livello di preparazione da essi assicurato e comunque il dubbio se essi siano in grado di reggere l’aumento di carico (con il rischio che si ottenga solo il risultato della creazione di un ulteriore collo di bottiglia), dall’altra l’assoluta necessità che qualsiasi misura destinata ad incidere sulla magistratura onoraria e sui suoi compiti venga preceduta da un’organica e non ulteriormente rinviabile riforma della stessa, che ne tracci in modo definitivo e stabile ruolo e funzioni (evitando che essa venga usata, secondo criteri del tutto casuali, quale valvola di allentamento della pressione sulla magistratura togata), rendono assai inopportuna la misura;
- 2) contrarietà alla rinuncia alla semplificazione dello statuto della competenza ed alla rinuncia all’eliminazione del regolamento ad istanza di parte (che, con i tempi attuali della Cassazione, finisce con l’essere – in particolare attesa la sua applicazione anche ai provvedimenti ex art. 295 cod. proc. civ. – un mezzo non più proporzionale al fine), oltre tutto in difficilmente comprensibile rotta di collisione con il proposito di alleggerire il carico di lavoro della Suprema Corte;
- 3) quanto alla previsione dell’accollo delle spese a carico della parte che abbia rifiutato una proposta conciliativa, qualora la domanda venga accolta in misura non superiore a tale proposta, si sottolinea l’opportunità che esso riguardi le spese maturate dopo la formulazione della proposta;
- 4) consenso per il restringimento delle ipotesi di compensazione delle spese;
- 5) consenso, altresì, per il rafforzamento della responsabilità aggravata, ma l’operatività del relativo meccanismo dovrebbe comunque essere rimessa all’iniziativa della parte interessata, non comprendendosi la ragione della condanna d’ufficio;
- 6) consenso per la previsione dell’assegnazione alle parti di termini per memorie qualora il giudice ritenga di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio;
- 7) consenso per l’eliminazione, dalla sentenza, dello svolgimento del processo;
- 8) consenso per la generalizzazione della rimessione in termini, apprezzandosi la circostanza che rispetto al Ddl Mastella del 2007 sia stato espunto il riferimento all’errore scusabile, che avrebbe reso eccessivamente discrezionale la decisione sul punto;
- 9) consenso per la semplificazione delle modalità di notificazione della sentenza ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione e della notificazione dell’impugnazione;
- 10)consenso per l’ampliamento dell’operatività del meccanismo di cui al secondo comma dell’art. 182;
- 11)nettissima contrarietà alla previsione della facoltà in capo al giudice di concedere i termini per le memorie di cui all’art. 183, sesto comma, ove sussistano gravi motivi; mette qui conto richiamare quanto si era detto circa la stessa misura contenuta nel ricordato Ddl Mastella, quando si era osservato come la norma appaia una davvero indebita ingerenza (per sanzionare condotte censurabili c’è già lo strumento rappresentato dal regolamento delle spese) nell’apprestamento delle difese delle parti, quasi che sia il giudice il soggetto in grado di valutare l’efficacia e la completezza di tali difese (e non l’avvocato, che appare relegato al ruolo di fastidioso ostacolo al celere procedere del giudizio); e tutto ciò, non si dimentichi, per evitare un allungamento di (30+30+20=) 80 giorni!
- 12)netta contrarietà alla testimonianza scritta, quanto meno perché è da ritenere insostituibile, per l’efficacia della raccolta della prova, l’assunzione del testimone in contraddittorio; si precisa che l’Avvocatura è certamente favorevole all’introduzione di diverse modalità di assunzione della prova, che possa essere anche condotta senza la presenza del giudice; tuttavia ritiene essenziale che la prova venga comunque raccolta nel contraddittorio delle parti;
- 13)contrarietà alla rinuncia alla previsione della reclamabilità dell’ordinanza di sospensione ex art. 295;
- 14)quanto alla modifica all’art. 345, terzo comma, si sottolinea l’opportunità di chiarire espressamente, onde evitare equivoci, che le eccezioni all’inammissibilità di cui a tale norma riguardano anche i documenti;
- 15)quanto all’art. 614-bis, appare opportuno il recupero del secondo periodo del secondo comma contenuto nella versione del Ddl Mastella (“Il debitore può contestare il proprio inadempimento, o affermare che questo è dipeso da causa a lui non imputabile, con l’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615”);
- 16)contrarietà all’abrogazione del terzo e del quarto comma dell’art. 624, norme deflative e utili;
- 17)consenso per la modifica dell’art. 669-octies con la previsione della liquidazione delle spese nei provvedimenti di cui al sesto comma di tale norma emessi prima della causa di merito;
- 18)si manifestano forti perplessità in ordine all’introduzione di un nuovo modello (il procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis, 702-ter e 702-quater), quanto meno perché esso difficilmente garantirebbe gli effetti deflativi auspicati, comunque implicando un’attività istruttoria e finendo con il differenziarsi dal rito ordinario nella sostanza solo per la teorica assenza delle memorie di cui all’art. 183 e per la decisione con ordinanza anziché con sentenza;
- 19)consenso per l’abrogazione dell’art. 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102;
- 20)consenso per l’eliminazione dell’anticipazione al 31 agosto del termine finale di sospensione dei termini processuali nel periodo feriale; non tanto per ragioni di principio, che in realtà non sussistono, ma perché non è seriamente sostenibile che ciò serva davvero a ridurre i tempi e perché appare da escludere che gli uffici giudiziari, anche in considerazione della pianificazione delle legittime ferie dei magistrati, siano in grado di assicurare che l’effettiva ripresa dell’attività di udienza, che già cessa ben prima del 31 luglio, riprenda con il primo di settembre (e se alla fine non fosse così gli unici a risentire dell’innovazione sarebbero, tanto per cambiare, gli avvocati, i quali si ritroverebbero i termini che corrono già dall’inizio di settembre, senza alcuna ragionevole aspettativa di una corrispettiva – di quindici giorni poi! – riduzione dei tempi delle cause).
Vi è poi una delle previsioni contenute nel Ddl Mastella del 2007 che pare meritevole di essere ripresa. Ci si riferisce alla modifica dell’art. 77 relativa alla possibilità che la rappresentanza processuale venga conferita anche da chi non sia investito del potere di rappresentanza sostanziale.
3. Un capitolo a parte meritano le previsioni degli artt. 53-bis e 62-bis del disegno di legge.
La prima norma è volta ad alleggerire il notevole carico di lavoro gravante sulla Corte di cassazione ed appare operare in due direzioni: la generalizzazione dell’appellabilità dei provvedimenti aventi natura decisoria (art. 339-bis) e la creazione di un filtro di ammissibilità (art. 360-bis).
Mentre la prima norma potrebbe condividersi, salvo dover riflettere sulle conseguenze in termini di aggravio del lavoro delle corti d’appello (secondo la purtroppo collaudata teoria degli effetti dello spostamento dei “colli di bottiglia”), la seconda disposizione desta numerose perplessità sotto più profili e così, in prima battuta e salvo un doveroso approfondimento:
- a) per la formulazione della norma, che appare eccessivamente generica (anche con riferimento alla violazione dei principi regolatori del giusto processo) e che, nel prevedere i casi di ammissibilità, risulta non essere coordinata, con ogni conseguenza, con le ipotesi di vizio o di mancanza di motivazione;
- b) per la scelta di rimettere ai tre giudici di cui al secondo comma della norma la preliminare decisione se la Corte di cassazione debba confermare o mutare il proprio orientamento, senza la previsione dei criteri in basi ai quali tale valutazione va condotta, con grave compromissione del diritto costituzionale di ricorrere per cassazione per violazione di legge (e pertanto di veder decidere in merito al ricorso);
- c) perché appare prevedere un procedimento che si sovrappone a quello di cui all’art. 375 cod. proc. civ..
Incomprensibile appare poi la previsione dell’art. 131-ter cod. proc. civ..
Neppure, va detto, appaiono condivisibili gli emendamenti formulati dal gruppo del PD in Commissione Giustizia, in primo luogo nella parte in cui si risolvono nella limitazione dell’impugnazione ex art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., all’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e prevedono che la sentenza di appello che ha confermato quella di primo grado non possa essere impugnata per il motivo di cui al n. 5) ora visto.
Quello del ripensamento dell’accesso alla Corte di cassazione è un tema sicuramente importante, ma per la sua delicatezza richiede un’adeguata ponderazione ed un approfondito dibattito, non tollerando, attesi i valori in gioco, soluzioni estemporanee e lesive di diritti anche costituzionalmente garantiti.
Né è accettabile che il tema venga affrontato con una norma improvvisata, inserita quasi di sorpresa in un testo normativo avente tutt’altra natura (collegato alla finanziaria) e verosimilmente destinato, proprio per tale sua natura, ad una rapida approvazione parlamentare, tale da non consentire l’approfondimento necessario.
Questo rilievo, così come la paradossale circostanza che la Commissione Giustizia sia stata espropriata delle sue competenze, vale naturalmente anche per tutte le altre norme sulla Giustizia contenute nel disegno di legge in questione, facendo emergere l’inaccettabilità di un metodo che finisce con il privare il Parlamento del ruolo di Legislatore che gli è proprio.
L’art. 62-bis prevede una delega al Governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali.
L’Organismo Unitario ha sempre manifestato la convinzione dell’utilità di moduli di ADR che possano rappresentare ulteriori opzioni, rispetto al giudizio, per la definizione dei conflitti.
E’ così senz’altro favorevole a soluzioni quali quelle prospettate dalla norma in commento, alla condizione, innanzi tutto:
- a) che non venga reiterato [attraverso l’estensione delle disposizioni del D.Lgs. n. 5/03 prevista dalla lettera c) del terzo comma della norma in esame] il trattamento discriminatorio nei riguardi degli avvocati previsto in ambito di conciliazione societaria, consistente nel richiedere, per chi non avesse 15 anni di anzianità di iscrizione dell’albo, la frequenza di un corso di formazione di non certo particolare livello, alla pari di aspiranti (tra l’altro) non iscritti in un albo professionale;
- b) che venga assicurata la qualità e la formazione dei conciliatori;
- c) che i percorsi alternativi previsti siano modulati in modo tale da risultare effettivamente appetibili per le parti, che debbono, quindi, essere realmente motivate a percorrerli.
Deve però constatare come tutte le esperienze finora messe in campo si siano risolte in sostanziali fallimenti, per la fondamentale ragione che l’appetibilità di filtri conciliativi è direttamente proporzionale all’efficienza della giurisdizione, posto che se quest’ultima non funziona vi potrà essere sempre una parte non incentivata a sedersi al tavolo della mediazione.
L’Organismo Unitario ritiene – e ciò ha scritto in un’ipotesi di semplificazione del processo civile – che la mediazione a fini conciliativi in tanto possa essere efficace in quanto si svolga (oltre che con le necessarie sanzioni per l’eventualità in cui il processo si definisca con il riconoscimento di quanto proposto in sede conciliativa) con l’autorevolezza che le può derivare dall’essere gestita all’interno del processo e condotta da soggetto, diverso dal giudice della causa, appositamente formato e pertanto realmente preparato.
Ritiene pertanto che la norma in questione, anch’essa entrata nel testo in esame alcuni giorni fa, richieda un adeguato approfondimento, onde evitare che si risolva nell’ennesima occasione perduta.
Roma, 29 settembre 2008
Leggi il Disegno di Legge – Atto Camera n. 1441 bis approvato in Aula il 01/10/2008 |