Considerazioni a margine del convegno:
Il ricorso per cassazione: questioni applicative.

di Nicola Solimini

Tra tutti i partecipanti al convegno sul ricorso per cassazione, svoltosi il 4 luglio 2008 presso lo Sporting Club di Trani ed organizzato dalla sezione tranese dell’A.N.F., serpeggiava sin dalla presentazione degli argomenti del dibattito da parte dell’Avv. Sabino Palmieri, presidente dell’A.N.F. di Trani, un senso di vaga inquietudine e di preoccupazione per l’oggetto della discussione. Le amare considerazioni tratte dagli illustri relatori sugli orientamenti assunti dalla Suprema Corte con riguardo alla riforma del procedimento di cassazione introdotta nel 2006 hanno poi ulteriormente esasperato tali sentimenti.
In sostanza, andando probabilmente ben al di là del dettato normativo, la Corte di Cassazione ha imposto, di fatto, un rigido protocollo per la formulazione del ricorso, pretendendo non soltanto – alla stregua dell’art. 366 bis cpc – la formulazione del quesito di diritto (e ciò anche nei ricorsi per questioni di giurisdizione e di competenza, oltre che nei ricorsi ai sensi dell’art. 111 Cost.), ma soprattutto che tale quesito, a pena di inammissibilità del ricorso, sia redatto con criteri rigidamente predeterminati e che la chiara indicazione del fatto controverso, prevista per le censure di cui al n°5 dell’art. 360 cpc (vizi di motivazione), preveda la destinazione all’uopo di un apposito spazio grafico così come per il quesito di diritto. Vi sono poi ulteriori rigidi criteri di ammissibilità per il momento controversi (la preclusione della contemporanea censura di violazioni di legge e di vizi di motivazione, ad esempio), che rischiano di far bollare come inammissibili dei ricorsi che nel merito potrebbero essere fondatissimi.
L’intento, neppure nascosto, è quello di sfrondare la notevole mole dei ricorsi che la Suprema Corte non riesce a trattare ed a decidere in tempi accettabili.
Molto saggiamente il Prof. Giorgio Costantino ha omesso di esporre la sua opinione al riguardo (peraltro trasparita a sufficienza), chiarendo che nessuno di noi può prescindere ormai dalle norme vigenti e da quella che è l’interpretazione nomofilattica propugnata dal Supremo Collegio.
Il Dott. Riccardo Fuzio, sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione, pur assicurando l’impegno attuale della Procura Generale della Corte ad arginare la deriva interpretativa riferita dal Prof. Costantino, ha rappresentato la sua personale convinzione che noi avvocati dovremmo prendere atto della situazione catastrofica in cui versa il sistema giudiziario e ricercare il più possibile delle alternative alla giurisdizione tradizionale, propendendo per arbitrati e transazioni piuttosto che per azioni giudiziarie dinanzi all’autorità giudiziaria.
Anche il Dott. Vito Scalera, consigliere di cassazione, ha confermato il quadro nefasto della situazione descritta dagli altri relatori, testimoniando l’intento deflattivo perseguito attraverso l’irrigidimento formale della procedura.
Le conclusioni che ognuno di noi può trarre sono davvero sconsolanti. E’ in atto (e non da ora) un tentativo di risolvere gli ormai endemici problemi di malfunzionamento della Giustizia non già con un intervento riformatore organico, che adegui norme e strutture alle esigenze della collettività, ma con strumenti deflattivi che si risolvono in una denegata giustizia.
Da modesto operatore del settore in un ambito provinciale, osservo che per il cittadino (che per sua disavventura abbia bisogno di vedere risolto un suo problema di natura giudiziaria) la situazione è davvero drammatica. In primo grado, infatti, non è difficile che egli sia giudicato da un giudice solo onorario (l’ordinamento giudiziario lo vieta, ma la prassi purtroppo lo permette), oppure da un uditore con funzioni del tutto privo di esperienza. I mezzi istruttori sono spesso raccolti in maniera sciatta e superficiale (si pensi alle ben note condizioni in cui si svolgono le assunzioni di prove testimoniali nei tribunali), l’istruzione probatoria viene spesso espletata non già da un unico magistrato (come prevedeva l’ormai dimenticato principio della immutabilità del giudice istruttore), ma da più giudici susseguitisi nel tempo (più dura il processo, più sono i movimenti dei magistrati, anche quando non ve ne sarebbe stretto bisogno).
Tale situazione è aggravata dalla sostanziale impossibilità di integrare le prove in appello (come avveniva prima, con il vecchio rito), nell’ambito del quale non è più neppure possibile produrre nuovi documenti, che pure sono prove precostituite che non abbisognano di ulteriori attività né di perdite di tempo.
Il secondo grado, l’unico dinanzi ad un organo collegiale composto sicuramente da giudici togati, è nei fatti assai deludente, poiché le corti d’appello sono ormai come degli imbuti stretti, attraverso i quali i processi passano molto lentamente.
Ma le grandi aspettative che noi riponiamo nel grado di appello, sperando di incontrare finalmente dei giudici professionali in grado di comprendere le nostre ragioni, troppo spesso disattese o non comprese a sufficienza dai giudici non professionali o poco esperti in primo grado, sono spessissimo deluse, perché troviamo magistrati talvolta svogliati, distratti, poco motivati. Siamo convinti che non tutti gli atti di causa siano letti, o letti con attenzione, e dobbiamo tristemente renderci conto troppe volte che le speranze che avevamo riposto in tale organo giudiziario, l’unico composto esclusivamente da magistrati togati e l’unico collegiale (salvo le eccezioni per il primo grado), vengono bruscamente deluse.
Sinora ci rimaneva la speranza della Suprema Corte, dinanzi alla quale – con le difficoltà e le limitazioni che tale mezzo impugnatorio già di per sé comportava – tentavamo di ottenere finalmente Giustizia!
Mi è personalmente capitato, diverse volte, di vedere riconosciute le mie ragioni solo in Cassazione, magari dopo due gradi di merito deludenti, nei quali le mie tesi erano state ingiustamente respinte.
Qual è lo scenario che ci attende ora? Basterà un dettaglio tipografico sgradito per sanzionare di inammissibilità un ricorso che può essere fondato? Sarà sufficiente che si censuri contestualmente una violazione di legge ed un vizio di motivazione per precludere l’esame di un ricorso? E’ una prospettiva davvero inquietante, contro la quale dovrebbe esserci una decisa presa di posizione dell’avvocatura, a tutela non delle proprie supposte posizioni di privilegio, ma a tutela dei cittadini, i quali in tal modo sono ulteriormente privati, vorrei dire scippati, del loro diritto di difesa, pur costituzionalmente previsto e tutelato.
Anziché andare verso l’abbattimento dei tanti bizantinismi e formalismi che ancora pervadono perniciosamente la nostra vita professionale ed il nostro sistema giudiziario, la deriva imboccata esaspera tale situazione, distruggendo ulteriormente quel poco di buono che ancora rimaneva nel nostro sistema giudiziario.
Queste mie modeste considerazioni costituiscono solo uno spunto di riflessione sulla drammaticità della situazione attuale, nella speranza che si crei pian piano tra noi un movimento d’opinione che conduca ad una lotta di civiltà per cambiare realmente le cose, nell’intento di addivenire ad una Giustizia finalmente giusta ed efficiente.


Avv. Nicola Solimini