COMUNIONE LEGALE-PRELIMINARE DI VENDITA
LITISCONSORZIO NECESSARIO DEL CONIUGE PRETERMESSO.


Nota a sentenza: Cass civile, Sez. Un., 24 agosto 2007, n. 17952
di Bruno Acconciaioco


In tema di promessa di vendita di un bene ricadente nella comunione legale tra i coniugi, assunta da uno solo di essi, la volontà contrattuale di una delle parti del contratto preliminare non può validamente formarsi in costanza di mancato o viziato consenso del coniuge pretermesso, vista l’unicità e inscindibilità del bene in comunione, nel cui atto dispositivo i coniugi costituiscono un’unica parte complessa. Ne consegue l’impossibilità per il promissario acquirente, che agisca per l’emissione di una sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c., di ottenere l’adempimento in forma specifica del contratto preliminare rimasto disatteso, laddove non sia stato convenuto, oltre al coniuge stipulante, altresì quello rimastovi estraneo, litisconsorte necessario nel predetto giudizio, nullo per mancata integrazione del contraddittorio. (Cass.Sez.un, 24 agosto 2007, n. 17952)


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Le Sezioni Unite Civili della Cassazione, nella sentenza oggetto dell’odierno commento, componendo un annoso contrasto di Giurisprudenza, forgiano un interessante orientamento in tema di esecuzione in forma specifica degli obblighi di un preliminare di vendita stipulato da uno solo dei coniugi in regime di comunione legale.
Nel giudizio ex art. 2932 c.c., il promissario acquirente ha l’obbligo di chiamare in giudizio anche il coniuge, in regime di comunione legale, del promettente venditore; di talché il coniuge non stipulante assumerà la veste di litisconsorte necessario nel giudizio di esecuzione in forma specifica, pena la nullità della sentenza per difetto del contraddittorio.


1. La vicenda concreta
Il “casus belli” muove dalla decisione del ricorrente di convenire in giudizio il fratello, lamentando il mancato trasferimento di un immobile oggetto di preliminare di compravendita tra essi intercorso, istando per una pronuncia costituitiva ai sensi dell’art. 2932 c.c.; vittorioso in primo grado, ma soccombente in appello adisce la Suprema Corte sulla base di cinque motivi di ricorso. La Seconda Sezione, nell’esaminare il primo motivo attinente la necessarietà o meno, nella vicenda concreta, del litisconsorzio coniugale e attesa la divergenza di orientamento in seno alla Giurisprudenza di Legittimità ed alla Seconda Sezione stessa, ha trasmesso gli atti al primo presidente al fine di comporre il contrasto dinnanzi alle Sezione Unite, le quali nel cassare la sentenza impugnata coniano una interessante motivazione.
Il nodo gordiano della questio iuris atteneva alla integrità del contraddittorio, ove si denunciava l’erroneo agire del Giudice d’appello allorquando ometteva di ravvisare un ipotesi di litisconsorzio necessario tra i coniugi in comunione, nel giudizio promosso ex art. 2932 c.c., dal promissario acquirente del bene comune, pur riconoscendosi di azione tesa al trasferimento dell’intero bene e non della sola quota del promettente.


2. Comunione ordinaria e comunione familiare.
Nella ricostruzione del percorso giuridico seguito dagli Ermellini non si può omettere di considerare la differenza strutturale e contenutistica che caratterizza i vari tipi di comunione esistenti nel nostro ordinamento.
La validità nomologica della sentenza in oggetto, risulta congruamente motivata dalla distinzione operata dal Supremo Collegio tra comunione ordinaria (disciplinata dagli artt. 1100-1116 C.C.) e comunione legale ( 177-197 C.C.).
a) La comunione ordinaria
Orbene è di palmare evidenza che nella comunione ordinaria, altrimenti detta pro- indiviso, e qualificata anche come proprietà plurima parziaria (analoga alla communio ercto non cito), il diritto di proprietà è unico ed attiene al bene nella sua interezza; il diritto dei comproprietari, quindi, atterrà al bene unico nella sua pienezza essendo il diritto pro-quota da essi posseduto solo attinente ad una quota ideale e non ad una parte fisicamente individuata di esso [1].
Nella comunione impropria o pro-diviso, tipica della comunione di edifici ,ciascun comunista possiede un diritto di proprietà ben distinto e diverso da quello degli altri partecipanti riguardante, per esempio, il singolo piano o appartamento risultando invece pro indiviso soltanto le parti comuni dello stabile.
La giurisprudenza in tema di preliminare di vendita di bene in comunione ordinaria, con la sentenza delle SS.UU n. 7481/93 [2] ha definito il contrasto esistente affermando che “nella communio pro-indiviso, la promessa di vendita di un bene in comunione è di norma considerata dalle parti attinente al bene inteso come un unicum inscindibile e non come somma delle singole quote che fanno capo a ciascuno dei comproprietari di guisa che -salvo che l’unico documento predisposto per il detto negozio venga redatto in modo tale da farne risultare la volontà di scomposizione in più contratti preliminari in base ai quali ognuno dei comproprietari si impegna esclusivamente a vendere la propria quota al promissario acquirente con esclusione di forme di collegamento negoziale o di previsione di condizioni idonee a rimuovere la reciproca insensibilità dei contratti stessi all’inadempimento di uno di essi- costituiscono un’unica parte complessa e le loro dichiarazione di voler vendere si fondono in un’unica volontà negoziale.
Qualora, quindi, una di tali dichiarazioni manchi, o sia invalida, o non si formi o ancora si formi invalidamente, non operando la fusione delle singole volizioni dei comproprietari vi è la assoluta impossibilità, da parte del promissario acquirente di ottenere la pronuncia ex art. 2932 c.c. nei confronti dei soli comproprietari promettenti, dacché (afferma sempre la sentenza) da un lato non è configurabile un interesse alla sua esecuzione parziale da parte del promissario acquirente e dall’altro lo stesso promettente venditore che ha validamente espresso il suo consenso, invocherebbe l’insussistenza del diritto vantato dalla controparte. Il contenuto del definitivo contratto deve riprodurre il medesimo assetto del preliminare.
b) La comunione legale
Ancora diversa è quella particolare situazione dominicale nota come comunione legale tra i coniugi; ciascun coniuge è titolare del bene per intero. Questa fattispecie si riconduce alla classica figura della comunione senza quote, in quanto i coniugi-comunisti vantano un diritto avente per oggetto i beni della comunione stessa (fondamentale la ricostruzione data da C.C. 17.3.88 N.311). Vi è pertanto da considerare la disciplina codicistica dettata dagli artt. 180 e ss. cc. [3]
Il codice civile, infatti, stabilisce il modello dell’amministrazione disgiuntiva per tutto ciò che concerne gli atti di ordinaria amministrazione; viceversa gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione dovranno essere compiuti dai coniugi congiuntamente. Qualora, però, si ravvisi la vendita (o la promessa di vendita) di un bene immobile (negozio sicuramente eccedente la normale gestione familiare) al coniuge pretermesso ed escluso, che non convalidi l’atto, non resterà che proporre l’azione di annullamento entro il ristretto termine di cui all’art. 184 secondo co. c.c., ovvero un anno dalla data in cui ha avuto conoscenza dell’atto ed in ogni caso entro un anno dalla data di trascrizione o, comunque, non oltre l’anno dallo scioglimento della comunione quando l’atto non sia stato trascritto ed il coniuge non ne abbia avuto conoscenza prima dello scioglimento della comunione.
Il potere del coniuge di poter disporre unilateralmente ed autonomamente dei beni coniugali ed il consenso necessario per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione, viene ricondotto non già come un negozio unilaterale autorizzativo, ma nel senso di un atto che rimuove un limite all’esercizio di un potere e requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di disposizione la cui mancanza- ove si tratti di bene immobile o mobile registrato- si traduce in un vizio del negozio. Tale vizio, secondo l’insegnamento nomifilattico della pronuncia annotata, non si traduce in un acquisto a “non domino”, ma semplicemente ad un acquisto nato sotto un titolo viziato e, quindi, annullabile.
Si comprende, ictu oculi, come differentemente dalla situazione che si atteggia a carico dei singoli comunisti ex. art. 1100 e ss. ciascun coniuge,anche in difetto del consenso dell’altro, potrà vendere o promettere di vendere l’intero cespite coniugale; tale vendita non sarà né inesistente né parimenti nulla, ma solo annullabile nel ristretto, lo si ripete, termine codicistico.


3. Giurisprudenza e dottrina. Tesi a confronto.
La ricostruzione operata dal dictum in commento, lungi dall’essere unitamente condivisa, ha (forse) posto fine ad un lungo ed altalenante susseguirsi di arresti in tema di preliminare di vendita di bene parzialmente altrui.
Innanzitutto, attesa la lettera delle norme sulla comunione legale, la dottrina ha efficacemente dibattuto sulla incoerenza che tale ricostruzione giurisprudenziale potesse sottendere; la lettura data dal Giudice nomifilattico verrebbe tacciata come incoerente con la ratio della comunione legale, in spregio della tutela del contraente debole e del patrimonio familiare.
Se la dottrina certo non si allineava alla Giurisprudenza questa ultima, come detto, si mostrava incerta.
Taluni arresti (ex pluribus Cass. Sez. Un. 8.7.93, n. 7481, Cass, 26.11.2002 [4], n. 16678, Cass. 5.12.2001 n. 15354 [5]) hanno statuito la necessarietà della partecipazione al giudizio del coniuge che non è stato parte del contratto preliminare ravvisando, dunque, l’esistenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario; talvolta però la Cassazione ha negato tale impostazione (cfr. Cass. 20.12.2002 n. 18149 [6], Cass. 7.3.2006 n. 7823, Cass. 20867/2004 [7] ).
I punti del dissenso vertevano sulla necessarietà o meno del litisconsorzio del coniuge non promettente che qualora fosse stato escluso dal giudizio ex art. 2932 c.c., promosso dal terzo promettente acquirente, avrebbe visto denegata la sua tutela.
In un recentissimo arresto (Cass. 20867/2004), in palese contrasto con la Giurisprudenza previgente, si escludeva la natura litisconsortile del giudizio di esecuzione in forma specifica “non ricorrendo una situazione sostanziale caratterizzata da un rapporto unico ed inscindibile con pluralità di soggetti, e non rivestendo quindi il coniuge che non ha partecipato all’atto la qualità di litisconsorte necessario” [8]; il coniuge rimasto estraneo al preliminare, di cui si chiede l’esecuzione in forma specifica, non assumerebbe la qualità di parte la cui presenza in giudizio sia condizione essenziale affinché la sentenza non risulti inutiliter data; si affermava ,inoltre,la inutilità del litisconsorzio sulla base della natura obbligatoria e non reale del preliminare.
La Corte Suprema con la sentenza n. 17952/2007 [9] aderisce all’opposto indirizzo che, in uno con la prevalente dottrina, propugna l’indispensabilità di una integrazione del contraddittorio.
Tale tesi appare condivisibile innanzitutto perché nel renvirement del 2004 non si atto che le tesi precedenti volte alla esclusione del coniuge dal giudizio si basavano sulla esperibilità del rimedio ex art. 2932 c.c. limitatamente alla quota del promettente venditore, tesi questa negata dalla Giurisprudenza successiva alla luce della già citata sentenza 311/88 della C.C.
In secondo luogo, ormai è principio unanimente condiviso che la sentenza che tenga luogo del contratto definitivo deve necessariamente riprodurre, nella forma del provvedimento giurisdizionale, il medesimo assetto d’interessi divisato dalle parti quale contenuto del contratto preliminare, senza la possibilità di introdurvi modifiche; una volta concluso il preliminare avente ad oggetto l’intero bene, non potrebbe- neppure il promissario acquirente- agire per il trasferimento della sola quota del promittente venditore.
Si osserva, infatti, che l’orientamento censurato potrebbe unicamente trovare legittimazione in seno al difetto di legittimazione attiva del coniuge non promettente atteso che, la locuzione acquisti di cui all’art. 177 c.c,. implica gli effettivi atti di trasferimento della res o la costituzione di diritti reali sui medesimi e non certo i diritti di credito sorti dal contratto preliminare che risulta prodromico all’acquisizione di tali effetti; tali diritti di credito, questi si di natura relativa e personale, sarebbero pertanto insuscettibili di essere sussunti nell’alveo del patrimonio coniugale.
Tali ragionamenti, peraltro avversati dalla dottrina, non possono valere ed in effetti non valgono nel caso in cui l’azione ex art. 2943 è proposta dal terzo con la (ovvia) conseguenza che in caso di accoglimento della domanda l’adempimento forzoso comporterebbe il sicuro depauparemento del patrimonio coniugale e l’impoverimento (consequenziale) del coniuge non partecipante.


4. Sulla perdita di titolarità del bene [10]
Le SS.UU. si soffermano, altresì, sulla (possibile) perdita di titolarità del bene da parte del coniuge assente alla stipula del preliminare.
Affermare che il coniuge in regime di comunione legale é titolare del bene per l’intero, e per l’intero né può disporre non significa affermare che lo stesso obbligandosi con un contratto preliminare che involga l’intera res faccia contestualmente perdere il “dominium” della cosa allo sfortunato coniuge assente.
Tale impostazione è censurabile per almeno due ordini di ragioni.
In primis: la perdita di titolarità del bene è sicuramente inconcibiliabile con la possibilità, attribuita dall’art. 184 c.c. di convalidare successivamente il negozio concluso da uno soltanto dei coniugi.
La ratifica intervenuta a posteriori pertanto sana l’effetto dell’assenza di titolarità facendo venir meno l’alienità della cosa.
In secondo luogo non si può parimenti pensare che il coniuge assente ( o escluso) possa beneficiare della sola tutela dell’azione di annullamento alla luce del fatto che egli, in pendenza della validità del preliminare, può ancora esercitare i poteri di amministrazione congiuntiva sul bene solo promesso e non ancora traslato.
Non è possibile, infine, tacere sull’efficacia solo obbligatoria e mai reale del preliminare. L’effetto traslativo non consegue alla stipula della promessa, ma soltanto alla stesura dell’atto definitivo.


5. Sulla tutela del coniuge pretermesso.
Nella pronuncia annotata emerge una sorta di favor familiae finalizzato alla tutela del coniuge pretermesso, dimenticato o che comunque non si è vincolato al contratto preliminare.
Il principio ormai elaborato dalle SS.UU ha una portata di ordine generale e valida a dirimere qualsivoglia contrasto; allorquando dal preliminare scaturiscano controversie, non può disconoscersi al coniuge rimasto estraneo al negozio l’interesse a partecipare ai relativi giudizi, in quanto la relativa sentenza operante il trasferimento coattivo sarà tale da incidere sul patrimonio famigliare ex art. 189 c.c.; in ogni caso anche la sola pronuncia risarcitoria avrebbe riflessi sicuramente peggiorativi sulle comuni sostanze tali da poter essere mitigati o annullati solo con la vocatio in ius del coniuge escluso.
Tale vocatio dando la possibilità di agire e contraddire nel giudizio risponde oltrettutto all’esigenza, costituzionalmente garantita, del diritto alla difesa che resterebbe, altrimenti, soltanto lettera morta.
Corollario del dictum, quindi, è la creazione di una nuova figura di litisconsorzio sostanziale e processuale la cui mancanza produrrà, inevitabilemente una sentenza “inutiliter data” [11] e quindi improduttiva di qualsivoglia effetti.


Avv. Bruno Acconciaioco


Note




  1. A. Natalini, Comunione di beni e preliminare di vendita: il coniuge pretermesso é litisconsorte necessario, in www.dirittoegiustizia.it, 2008


  2. Cassazione civile , sez. un., 08 luglio 1993, n. 7481, Buffa c. Giacca, Riv. notariato 1995, 1308 nota DI MEO


  3. Cfr. M. Pulice, in Definitiva chiarezza sull’ipotesi di litisconsorzio del coniuge nel giudizio ex art. 2932 Codice Civile Nota a Corte di Cassazione- Sezioni Unite Civili, Sentenza 24 Agosto


  4. Cassazione civile , sez. III, 26 novembre 2002, n. 16678 ,Chiorboli c. Horst, Giust. civ. Mass. 2002, 2050


  5. Cassazione civile , sez. II, 05 dicembre 2001, n. 15354, Soc. D’Ercole immob. c. Tano e altro, Giust. civ. Mass. 2001, 2090


  6. Cassazione civile , sez. I, 20 dicembre 2002, n. 18149, Marini c. Marini e altro, Giust. civ. Mass. 2002, 2221


  7. Cassazione civile , sez. II, 28 ottobre 2004, n. 20867, M. c. L. e altro Giust. civ. Mass. 2004, 10Vitanot. 2005, 264,Riv. giur. edilizia 2005, 4 1156.


  8. Cassazione Civile, Sezione Seconda, 20867/2004, Mondello contro Roseto ed altro, in Nuova Giurisprudenza civile commentata, 2005, I, p.892, con nota di Criceti, Comunione di beni, preliminare di vendita e tutela del coniuge pretermesso.


  9. Cassazione civile , sez. un., 24 agosto 2007, n. 17952, Luccioli c. Luccioli, Giust. civ. Mass. 2007, 7-8


  10. Cfr. Guida al diritto, n. 37/2007, Il sole 24 ore.


  11. Cfr. B. Acconciaioco, Preliminare di vendita di bene in comunione legale, www.percorsigiuffrè.it, 2008