TRIBUNALE DI TRANI
Sezione Promiscua
Il Tribunale di Trani – Sezione Promiscua – composto dai signori magistrati :
– dr. Luciano Guaglione Presidente
– dr. Alberto Binetti Giudice relatore
– dr. Livio Lattanzio Giudice
a scioglimento della riserva formulata all’udienza del 14 novembre 2006 ha emesso la seguente
ORDINANZA
Nella causa civile iscritta sul ruolo generale al n. 1816 dell’anno 2006
TRA
G. To., rappresentato e difeso per mandato in calce alla copia notificata del ricorso in primo grado dagli Avv.ti L. C. e A. S. ed elettivamente domiciliato in B. alla Via C., 16 presso il suo studio;- RECLAMANTE –
E
D. N., rappresentato e difeso giusta mandato a margine della comparsa di costituzione dell’8 agosto 2006 dall’Avv. R. C. ed elettivamente domiciliato in Trani (c/o Avv. R. B.);- RECLAMATO –
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Oggetto della presente procedura è la tutela interdittale invocata dal reclamato, il quale aveva lamentato lo spoglio della veduta meglio specificata in atti, chiedendone la reintegrazione.
A sostegno della domanda aveva assunto : a) di essere proprietario di un appartamento sito al 1* piano del fabbricato condominiale di Via D., 31/D in B.; b) che al piano rialzato dello stesso stabile era ubicato un appartamento sottostante al proprio, dotato di terrazzo a piano terra sul fronte posteriore del fabbricato; c) che nel mese di febbraio 2005 il resistente (odierno reclamante), aveva dato inizio a lavori in contiguità al proprio appartamento per la realizzazione di una tettoia in aderenza al muro perimetrale adiacente; d) che la tettoia, ultimata entra la prima decade di marzo 2005 era costituita da “un tavolato ad una falda, poggiante su 15 arcarecci trasversali, portati da due travi longitudinali”; e) che per tale costruzione il resistente G. T. era tenuto a rispettare la distanza di tre metri prevista dall’art. 907 cod. civ. rispetto al balcone dal quale veniva esercitata la veduta; f) che la costruzione rappresentava anche un pericolo sotto il profilo ambientale, estetico, funzionale, igienico e della sicurezza; g) che era stato già introdotto, in precedenza, un ricorso per denuncia di nuova opera, dichiarato inammissibile dal giudice adito in quanto l’opera denunciata era già ultimata al momento di proposizione del ricorso.
Dinanzi al Giudice di prime cure, il resistente è comparso ed hanno eccepito : a) che la domanda era inammissibile in quanto già rigettata da precedente pronuncia; b) che esso resistente, con il consenso del Condominio, non aveva fatto altro che sostituire l’attuale tettoia ad una tenda posta a distanza inferiore a tre metri, che non aveva mai consentito di potere esercitare dal balcone sovrastante la inspectio e la prospectio”; sicché non vi era stata alcuna immutazione dei luoghi ma una semplice sostituzione nella struttura ormai vetusta, che non aveva ristretto né recato pregiudizio all’esercizio della veduta.
Il primo giudice, assunte le necessarie informazioni, ha ritenuto di accogliere la richiesta di provvedimenti interdittali, ordinando al resistente la reintegrazione nel possesso della veduta, mediante la rimozione della tettoia lignea di cui è causa.
Ha, dunque, interposto reclamo l’originario resistenti, evidenziando : a) come il giudice di primo grado abbia erroneamente ritenuto ammissibile il ricorso introduttivo, nonostante la presenza di altra e precedente decisione cautelare di rigetto sulla stessa domanda; b) come avesse omesso di valutare la carenza di interesse del ricorrente, per non avere lo stesso impugnato la deliberazione dell’assemblea condominiale con la quale era stata approvata l’esecuzione dell’opera; c) come erroneamente il giudice di prime cure non avesse motivato sull’applicablità delle norme in materia di distanze legali tra le costruzioni in ambito condominiale; d) come, ancora, il primo giudice non avesse correttamente verificato la assenza del requisito della “costruzione” per l’applicazione dell’art. 907 cod. civ.
Si è costituita la reclamata, chiedendo, nel merito, il rigetto del reclamo,e l’integrale conferma del provvedimento interdittale.
Dopo due rinvi per l’incompatibilità di due dei giudici componenti il collegio, e dopo la discussione delle parti in camera di consiglio, il Collegio si è riservato per la decisione.
Va disatteso il primo motivo di reclamo con il quale si deduce l’erroneità nella valutazione del primo giudice allorquando ha escluso la formazione del giudicato cautelare per effetto della pronuncia resa a seguito della prima denuncia di nuova opera. Infatti, correttamente, va rilevato che non solo il giudice non si è pronunciato affatto sul merito della domanda cautelare, limitandosi a verificare uno dei presupposti preliminari per la cautela richiesta e cioè il dato oggettivo della ultimazione dell’opera all’epoca di introduzione del giudizio, ma si è pronunciato su domanda differente – denuncia di nuova opera – rispetto a quella odierna.
Passando al merito, precisato che la prospettazione del ricorrente è nel senso che attraverso la nuova realizzazione della copertura della veranda sottastante, posta ad una distanza inferiore a quella minima prevista dall’art. 907 c.c., il resistente avrebbe privato il D. della facoltà – prima esercitata – di godere della veduta sul balcone sottostante, è sufficiente ricordare come, secondo la giurisprudenza di legittimità “con riguardo al possesso di una veduta, il pregiudizio derivante dalla costruzione da altri realizzata può integrare non soltanto una turbativa o molesta, tutelabile con azione di manutenzione, come normalmente si verifica nel caso in cui detta costruzione non rispetti le prescritte distanze, ma anche uno spoglio, ai sensi ed agli effetti dell’art. 1168 c.c., come quando, trattandosi di veduta goduta iure servitutis (nella specie, su un cortile, attraverso apertura nel muro perimetrale di fabbricato), il possesso medesimo venga integralmente perduto per effetto di detta opera” (Cass. Civ., 29 giugno 1985, n. 3889); nello stesso senso Cass. Civ., 5 maggio 1998, n. 4526 secondo cui “per la configurabilità del possesso di servitù di veduta, tutelabile con l’azione di spoglio, non è necessario che l’opera da cui è esercitata sia destinata esclusivamente all’affaccio sul fondo del vicino, se per l’ubicazione, consistenza e caratteristiche, il giudice del merito ne accerti l’oggettiva idoneità all’inspicere e al prospicere in alienum, come nel caso di vedute da terrazze, lastrici solari, ballatoi, pianerottoli, porte di accesso, scale” (cfr. anche Cass. Civ., 17 novembre 2003, n. 17341).
Quanto al motivo di reclamo riguardante la presunta carenza di interesse del ricorrente, va ribadito quanto condivisibilmente affermato dal primo giudice nel senso che l’impugnativa della delibera assembleare, che aveva consentito l’esecuzione dell’opera, in tal modo, incidendo sul diritto soggettivo esclusivo del singolo condomino, non era affatto pregiudiziale rispetto alla odierna richiesta.
In altre parole, il condominio non poteva con una decisione a semplice maggioranza e non all’unanimità incidere sul diritto del singolo, a meno che il singolo non fosse tra i consenzienti; di modo che della inefficacia della delibera medesima rispetto al singolo condomino poteva il primo giudice incidentalmente eseguire l’accertamento.
Conseguentemente, correttamente il primo giudice, da una parte, ha accertato che la approvazione dell’assemblea condominiale, assunta a maggioranza, non poteva rendere legittima un’attività in danno del singolo condomino, e, dall’altra, quest’ultimo non ha perso l’interesse a tutelare il proprio diritto per effetto della sola mancata impugnativa assembleare di per sé nulla.
Quanto al terzo motivo di reclamo, esso attiene alla verifica del possesso della veduta.
In via preliminare va osservato che il primo giudice ha tratto dalla assunzione degli informatori il convincimento che la tettoia di cui si discute non è affatto certo che fosse una mera sostituzione di altra copertura costituita da una tenda da sole delle dimensioni identiche alla ridetta tettoia.
Sul punto il reclamante non ha proposto alcuno specifico motivo, sicché il dato può dirsi accertato.
Piuttosto, le difese del G. si appuntano da una parte sulla ponderata applicazione dell’art. 907 cod. civ. ai rapporti tra condomini e dall’altra sulla sussistenza di contrapposte esigenze di privacy e di sicurezza che avrebbero legittimato la collocazione della tettoia, oltre che sulla natura della tettoia, che non sarebbe una vera e propria costruzione.
Orbene, il primo giudice risponde con puntuali argomentazioni a tutte le eccezioni testè ricordate.
In primo luogo viene esposto il seguente, e pienamente condivisibile, sillogismo : l’art. 907 cod. civ. prevede il rispetto delle distanze minime tra le costruzioni nei limiti di tre mt.; la tettoia costruita, per le sue caratteristiche strutturali e di stabilità, rientra nel concetto di costruzione elaborato dalla giurisprudenza ai fini dell’art. 907 cod. civ. (che è ad esempio differente da quello previsto dalla legge ai fini della concessione edilizia); ergo la tettoia, non rispettando (come si può evincere facilmente dalla semplice visione delle riproduzioni fotografiche in atti) il limite di tre mt. si pone in contrasto con l’art. 907 cod. civ. e legittima la richiesta di rimozione.
La giurisprudenza ha, tuttavia, proposto una lettura particolare dell’articolo in commento nei rapporti tra condomini. Infatti, tenuto conto delle particolari condizioni ambientali (con gli appartamenti sovrapposti o affiancati) a volte il rispetto delle distanze legali si potrebbe porre in contrasto con altri interessi ugualmente meritevoli di tutela. Per questa ragione la giurisprudenza dopo avere sancito, in passato, che “le norme sulle distanze in materia di vedute, in quanto compatibili con la disciplina della comunione, sono applicabili nei rapporti tra le singole proprietà di un edificio condominiale, quand’anche uno dei condomini utilizzi parti comuni dell’immobile nei limiti consentiti dall’art. 1102 cod. civ.. (nella specie, il s.c., enunciando il surriportato principio, ha confermato la decisione di merito che aveva condannato un condomino ad abbassare la veranda realizzata sulla terrazza del suo appartamento, con appoggio della relativa tettoia ad un muro perimetrale dell’edificio, sino ad osservare la distanza ex art. 907 cod. civ. da una finestra del sovrastante appartamento)”(Cass. CIv., Sez.II, 28 gennaio 1984, n.682), ha precisato più di recente che “in materia condominiale, le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell’art.889 cod. civ., trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari; pertanto, qualora esse siano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali” (Cass. Civ. Sez. 2, 25 luglio 2006, n. 16958).
Tuttavia la richiamata interpretazione giurisprudenziale non comporta automaticamente la inapplicabilità delle norme sulle distanze legali ai rapporti tra i condomini, bensì un mero atteggiamento più prudente che tenga conto delle esigenze e dei diritti di entrambi.
Nel caso di specie il reclamante vorrebbe valorizzare la necessità di proteggere il suo balcone dalle intrusioni e curiosità altrui, oltre che dalla caduta di oggetti di vario tipo provenienti dai balconi sovrastanti.
A tal proposito, il primo giudice ha negato che tali circostanze abbiano un qualche rilievo ed il collegio non può che confermare tale posizione.
Invero, quanto alle esigenze di privacy deve essere sottolineato come la particolare configurazione del fabbricato, con il balcone del piano terra più sporgente rispetto al filo di quello sovrastanti, comporta la creazione di una sorta di servitù per destinazione del padre di famiglia alla quale il proprietario del piano terra è tenuto ad adeguarsi; non può, quindi, quest’ultimo impedire che i proprietari degli appartamenti sovrastanti guardino nella parte del balcone che fuoriesce rispetto alla linea della soglia del balcone degli stessi, mentre potrà opporsi a che taluno pretenda di inspiciere al di dentro della linea medesima.
Quanto alle esigenze di sicurezza per la caduta di oggetti di vario tipo, l’ordinamento assicura la tutela inibitoria e risarcitoria nel caso di immissioni ed in generale di danni ingiusti, senza che ciò legittimi l’erezione di una barriera fisica (la tettoia) a danno dei diritti soggettivi degli altri condomini.
In conclusione, non ritiene il Tribunale che si versi in una situazione di assoluta necessità che possa giustificare la deroga al rispetto delle distanze legali.
Tanto comporta il rigetto del reclamo e la conferma integrale del provvedimento interdittale impugnato.
Quanto alla regolamentazione delle spese della presente fase interdittale, attesa la pendenza del giudizio di merito, sostanzialmente instaurato con il ricorso introduttivo e per il quale, correttamente il giudice di Trani ha già fissato l’udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c., viene rimessa all’esito dello stesso.
P.Q.M.
Rigetta il reclamo proposto in data 27 giugno 2006 da G. T..
Così deciso in Trani il 3 dicembre 2006.
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