Repubblica Italiana
TRIBUNALE DI TRANI
In nome del Popolo italiano


Il Tribunale in composizione collegiale composto dai seguenti Magistrati:
Dott. Vito Savino Presidente;
Dott. Salvatore Grillo Giudice;
Dott. Gaetano Labianca Giudice rel.


Ha emesso la seguente:


SENTENZA


nella causa civile di primo grado, iscritta al n°1526/05 R.G.A.C., posta in deliberazione all’udienza del giorno 24.4.2007 e vertente tra le seguenti parti:
ATTRICE (omissis) – Rappresentata e difesa in forza di mandato a margine dell’atto di citazione dall’Avv. (omissis) ed elettivamente domiciliato in Trani presso lo studio dell’Avv. (omissis);
CONVENUTA S. P. I. A.M.- S.G.R.SA Con sede a Milano, in persona dell’amministratore delegato e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di delega in calce fatto di citazione notificato, dagli avv.ti (omissis) e presso lo studio di quest’ultimo in Bisceglie, via (omissis), elettivamente domiciliata;
S.P. I. SPA In persona del Responsabile della Funzione Contenzioso Dott. (omissis), rappresentata e difesa, in virtù di delega in calce all’atto di citazione notificato, dagli avv.ti (omissis) e presso lo studio di quest’ultimo in Bisceglie, via (omissis), elettivamente domiciliata


OGGETTO: Nullità di contratti d’acquisto di fondi; annullamento contratti; risarcimento danni.


CONCLUSIONI DELLE PARTI: come da verbale di udienza del 24 aprile 2007.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, (omissis), premesso:




  • di aver investito in data 3.4.2003 la somma di € 206.582,76, in fondi promossi e collocati dalla banca (omissis), filiale di Trani;


  • che, in particolare, aveva sottoscritto: un totale di 1.362,137 quote del fondo “Sanpaolo Azioni Italia” per un controvalore di Lit. 99.166.416; un totale di 2.876,258 quote del fondo “High Risk’ per un controvalore di Lit. 50.166.122; un totale di 1.217,996 quote del fondo “International- Equity Risk” per un controvalore di Lit. 50.156.122; un totale di 2.788,826 quote del fondo “Pacific” per un controvalore di Ut. 50.156.122; un totale di 189,811 quote del fondo “Sanpaolo International Fund comparto Far East” per un controvalore di Lit. 49.967.945; un totale di 121,005 di quote del fondo “Sanpaolo International Fund comparto Equity Japan” per un controvalore di Lit. 49.967.945; un totale di 59,192 di quote del fondo “Sanpaolo International Fund comparto Small cap” per un controvalore di Lit. 49.967.945;


  • che, in seguito a notizie allarmanti riportate dalla stampa in merito alla mala gestio operata sui fondi della S. P. I. A. M. SGR Spa, in data 30 ottobre 2003, formulava una richiesta di disinvesimento, avente ad oggetto tutte le quote sottoscritte, richiedendo la totale restituzione del capitale conferito;


  • che, al momento del disinvestimento, apprendeva che tre dei moduli di richiesta di disinvestimento erano indirizzati alla (omissis)., che era soggetto sconosciuto, e che attenevano a tre fondi, denominati “Spif OB Paesi Emergenti Asia”, “Spif Obiettivo Giappone” e “Spif Small Cap Europa”, anch’essi ignoti;


  • che le somme accreditatele in seguito alla richiesta di disinvestimento, pari ad Euro 115.369,00 risultavano di gran lunga inferiori a quelle conferite;


  • che, pertanto, avuto riguardo all’esito del disinvestimento ed alle anomalie riscontrate, indirizzava dei reclami alla (omissis) in data 10 dicembre 2003 ed in data 16 gennaio 2004, contestando il cambiamento della titolarità della società che gestiva i detti fondi (da (omissis) a (omissis).), nonché l’oggetto degli stessi;


  • che le risposte ricevute dalla (omissis), rispettivamente in data 16 dicembre 2003 e 6 febbraio 2004, erano totalmente insoddisfacenti, in quanto la banca non allegava la distinta delle operazioni effettuate né forniva alcuna giustificazione per il comportamento tenuto, limitandosi a produrre uno scarno riepilogo della sua situazione patrimoniale;


  • che la banca aveva violato le disposizioni attinenti il contratto di mandato, eccedendo i limiti fissati nel contratto, non prestando ossequio alla diligenza che era lecito attendersi da un operatore qualificato, omettendo di informarla del cambiamento di titolarità dei fondi nonché della denominazione degli stessi fondi oggetto di investimento;


  • che l’omessa informazione in ordine al mutamento della titolarità e dell’oggetto stesso dell’investimento integravano la violazione della norma per cui il mandatario deve rendere note al mandante le circostanze sopravvenute che possano determinare la revoca o modifica del mandato;


  • che era stato altresì violato l’obbligo di trasparenza, di cui alla lettera a) dell’art. 21 n. 1 del TUF, occultando la nuova proprietà e il diverso oggetto dell’investimento;


  • che la banca si era altresì posta in una situazione di conflitto di interessi, disciplinato dall’art. 27 del regolamento Consob n. 11522/98, in quanto l’investitore avrebbe dovuto autorizzare per iscritto le operazioni compiute nei confronti della citata società lussemburghese;


  • che della situazione di conflitto di interessi non era stata previamente informata in tempo, in modo da poter recedere dal contratto;


  • che la sanzione prevista dal legislatore in caso di violazione della norma in materia di conflitto di interessi era la nullità del contratto, in quanto l’operazione era contraria a norme imperative poste a tutela del risparmiatore e della trasparenza dei servizi finanziari;


  • che sussistevano, ad ogni buon conto, anche gli estremi per una declaratoria di annullamento del contratto, in quanto concluso senza autorizzazione e perciò contrario all’interesse del cliente;


  • che vi erano altresì gli estremi per l’azione risarcitoria dipendente dalla violazione delle norme in materia di TUF;


  • che spettava all’intermediario, a mente dell’art. 23 TUF, la prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta e di aver effettuato le operazioni con la diligenza professionale identica a quella che caratterizzava le operazioni poste in essere al di fuori di situazioni di conflitto di interesse;

tanto premesso, conveniva in giudizio dinanzi all’intestato tribunale il (omissis) e la (omissis), chiedendo che il Tribunale adito:




  1. preliminarmente, ordinasse alle convenute di esibire “ogni documentazione utile e riguardante le sottoscrizioni dei fondi oggetto di giudizio”;


  2. in via principale, accertato il presunto comportamento “negligente, scorretto, non trasparente, incompetente e non professionale, eccedente i limiti del contratto di mandato… in evidente conflitto di interessi” delle convenute e consistente nel “non aver mai messo a disposizione dell’investitore le informazioni e i documenti richiesti e nel non aver mai trattato il reclamo proposto dal cliente”, dichiarasse la nullità “delle sottoscrizioni dei fondi oggetto dell’investimento della somma di Lit. 400.000.000 (…) e conseguentemente condannasse le convenute al pagamento della somma di Euro 91.213,76, rappresentante la differenza “fra capitale investito e capitale disinvestito”;


  3. in subordine, accertato il presunto “cambio di gestione eseguito in favore del terzo soggetto(omissis) e dal mutamento dell’oggetto dell’investimento (…)”, che fosse dichiarata la risoluzione “dei contratti relativi alla sottoscrizione dei fondi (…}” e di conseguenza fossero le convenute condannate al pagamento della somma costituente la differenza tra “capitale esistente alla data del conferimento nei fondi originari (…) e capitale disinvestito risultato dai nuovi fondi oggetto dell’illegittimo cambio di gestione”;


  4. che fossero condannate, infine, le convenute al risarcimento dei danni subiti dall’attrice “per la lesione del c.d. interesse negativo (…) per non aver potuto l’attrice investire la stessa somma oggetto di giudizio in altrì e più proficui investimenti (…)” .

Ritualmente costituitosi, il (omissis), contestava i fatti esposti da controparte a supporto delle proprie richieste, chiedendo il rigetto delle domande formulate nei propri confronti.

All’uopo, esponeva:




  1. in via preliminare, il difetto di legittimazione passiva del (omissis), posto che la succursale di Trani della Banca, con cui controparte aveva stipulato un contratto per lo svolgimento dei servizi di investimento, in data 30 giugno 2003 era stata ceduta – nell’ambito di un conferimento di ramo di azienda che aveva interessato tutte le filiali della Campania, della Puglia, della Calabria e della Basilicata – alla (omissis), soggetto del tutto autonomo e distinto dalla convenuta (omissis);


  2. che della cessione di ramo d’azienda era stata data notizia mediante pubblicazione sulla G.U. in data 7 agosto 2003, ai sensi dell’art. 58, comma secondo, D. Lgs. n. 385/1993;


  3. che, ai sensi dell’ari. 58, comma quinto, D. Lgs. n. 385/1993, i creditori ceduti “hanno facoltà, entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2, di esigere dal cedente o dal cessionario l’adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione. Trascorso il termine di tre mesi, il cessionario risponde in via esclusiva”;


  4. che pertanto, a far data dal 7 novembre 2003 (e cioè dalla data in cui si era compiuta la decorrenza del termine di tre mesi dalla pubblicazione dell’avviso di cessione sulla Gazzetta Ufficiale), unicamente legittimata a rispondere delle richieste della sig.ra (omissis) era la (omissis);


  5. che gli addebiti di controparte riguardavano esclusivamente le modalità di gestione dei fondi comuni, dei quali la sig.ra (omissis) aveva sottoscritto delle quote;


  6. che, ai sensi dell’art. 1, primo comma, lettera n), del D. Lgs. n. 58/1998, il servizio di gestione collettiva del risparmio si realizzava attraverso:
    “1) la promozione, istituzione e organizzazione di fondi comuni di investimento e l’amministrazione dei rapporti con i partecipanti; 2) la gestione del patrimonio di OICR, di propria o altrui istituzione, mediante l’investimento avente ad oggetto strumenti finanziari, crediti, o altri beni mobili o immobili”; ai sensi della lettera m) del predetto art. 1, erano appunto organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) ” I fondi comuni di investimento e le Sicav”;


  7. che l’art. 33, D. Lgs. 58/1998, prevedeva poi che la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio fosse riservata alle S.G.R. e alle SICAV;


  8. che, nella vicenda per cui era processo, il San Paolo aveva svolto unicamente la funzione di intermediario finanziario, rendendo la prestazione di un servizio di investimento;


  9. che Il (omissis) si era limitato alla esecuzione di ordini impartiti dalla sig.ra (omissis), acquistando le quote dei fondi, per cui la sua attività del (omissis) si era conclusa con l’acquisto e con l’immissione nel deposito amministrato intestato alla sig.ra (omissis);


  10. che il (omissis) aveva adempiuto a tutte le norme di legge e regolamentari che regolano la prestazione di servizi di investimento da parte degli intermediari finanziari; invero, in data 3 aprile 2000 la sig.ra (omissis) aveva sottoscritto con la Banca un contratto per la prestazione di servizi di investimento; lo stesso 3 aprile 2000 l’attrice aveva ricevuto il Documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari;


  11. che, nel conferire l’ordine per l’acquisto di quote dei fondi comuni, la sig.ra (omissis) aveva sottoscritto degli specifici moduli in cui è riportato testualmente : “in possesso dei requisiti previsti dalla legge, avendo ricevuto il prospetto informativo dì cui il presente modulo costituisce parte integrante, consapevole di aderire ad un prodotto complesso costituito dai fondi al Sistema Valore Aggiunto, accetto di aderire (…)”;


  12. che il (omissis) aveva quindi correttamente ottemperato alle prescrizioni degli artt. 21 e segg., D. Lgs. n. 58/1998;


  13. che nei moduli predetti era inoltre chiaramente indicato, conformemente alla prescrizione dell’art 27, terzo comma, Regolamento Consob n. 11522/1998, la dicitura “operazione in conflitto di interesse e valori mobiliari collocato da società del gruppo” : invero, i fondi erano istituiti ed organizzati da società appartenenti al gruppo del (omissis) ((omissis) e la (omissis));


  14. che, nel far riferimento ad un presunto “conflitto di interessi”, controparte non aveva fatto riferimento all’ipotesi prevista dall’ari. 21, primo comma, lettera e), D. Lgs. n. 58/1998, e dall’art. 27, Regolamento Consob n. 11522/1998, che si verifica quando gli intermediari autorizzati hanno “direttamente o indirettamente un interesse in conflitto, anche derivante da rapporti di gruppo, dalla prestazione congiunta di più servizi o da altri rapporti di affari propri o di società del gruppo” ma, a ben vedere, aveva ritenuto che sussistesse un conflitto in presenza di operazioni “contrarie all’interesse” dell’investitore: tale assunto era chiaramente paradossale, alla luce della fattispecie del conflitto d’interessi rinvenibile nell’ordinamento (art. 1394 cod. civ.; art. 2391 cod. civ.), cui pure faceva riferimento l’art. 27, Regolamento Consob n. 11522/1998;


  15. che, fino alla richiesta di disinvestimento, formulata in data 30 ottobre 2003, la sig.ra (omissis) non aveva effettuato alcuna operazione sul suo portafoglio titoli, aveva ricevuto regolarmente gli estratti del deposito amministrato recanti la quantità ed il valore di tutte le quote dei fondi sottoscritte (cfr. doc. 15 del fascicolo di parte attrice);

tutto ciò premesso, chiedeva il rigetto della domanda con il favore delle spese di lite.


Si costituiva pure la(omissis), che eccepiva, in via preliminare, il difetto di legittimazione passiva con riguardo a tre dei sette fondi comuni, di cui l’attrice aveva sottoscritto delle quote, che erano stati promossi e gestiti da una società terza rispetto ad essa convenuta (omissis) e che avevano mutato denominazione, rispettivamente, da (omissis) in (omissis); da (omissis) in (omissis) e (omissis); la richiesta di adesione ai tre fondi suddetti era stata infatti inviata alla (omissis), società di diritto lussemburghese, del tutto distinta dalla (omissis).
Osservava che gli unici addebiti su cui controparte basava le proprie domande attenevano al presunto “mutamento dell’oggetto dell’investimento”; tuttavia, contrariamente a quanto sosteneva controparte, si era trattato, nel caso di specie, del semplice mutamento della denominazione, che era stato comunicato con lettera inviata in data 31 marzo 2003 a tutti i partecipanti ai fondi comuni dalla stessa gestiti.
Con tale comunicazione si dava atto che il fondo San Paolo International varierà la propria denominazione in San Paolo Global Equìty Risk (…)”. Analogamente, in avviso pubblicato sul Sole 24 Ore del 5 marzo 2003, la (omissis) aveva comunicato che, in seguito alla incorporazione di (omissis), le variazioni apportate ai fondi erano state recepite in un ‘nuovo’ Regolamento Unico di gestione dei Fondi comuni di investimento (…)”; che tale nuovo regolamento, approvato dalla Banca d’Italia, sarebbe entrato in vigore il 1 settembre 2003 e che le principali variazioni riguardavano – tra le altre – “la variazione della denominazione del Fondo ‘Sanpaolo International’ in ‘Sanpaolo Global Equity Risk'”; inoltre, in un Allegato della Banca d’Italia risultava chiaramente che il fondo San Paolo International avrebbe mutato denominazione in Sanpaolo Global Equity Risk.
Risultava quindi in mala fede controparte allorquando ipotizzava che la convenuta (omissis) avesse mutato “l’oggetto dell’investimento” del fondo senza adeguatamente informare la sig.ra (omissis).
La (omissis) aveva semplicemente variato, del tutto legittimamente, la denominazione del fondo.
Inoltre, l’oggetto dell’investimento era costituito dai beni, dagli strumenti finanziari e dagli altri “valori in cui è possibile investire il patrimonio del fondo” (art. 39, secondo comma, lettera d), D. Lgs. n. 58/1998) e non mutava per la semplice variazione della denominazione del fondo.
In secondo luogo, sia la denominazione che l’oggetto dell’investimento del fondo dovevano essere stabiliti dal regolamento che ne indicava le caratteristiche peculiari, ed approvato dalla Banca d’Italia, alla quale era anche demandato di approvare le modificazioni a tale regolamento (art. 39, primo e secondo comma, D. Lgs. n. 58/1998).
La società di gestione del risparmio, infatti, aveva la facoltà di mutare il regolamento del fondo e di variare l’oggetto dell’investimento (pur nei limiti stabiliti dal D.M. Tesoro, 24 maggio 1999, n. 228 e dal Regolamento Banca d’Italia, 20 settembre 1999, per ciascun tipo di fondo) con la sola approvazione della Banca d’Italia, e quindi senza il consenso dei partecipanti al fondo.
La stessa Banca d’Italia, infatti, aveva statuito che “La modifica regolamentare si concretizza in un mutamento unilaterale delle condizioni pattuite con i sottoscrittori delle quote del fondo. Considerato che tali variazioni sono il frutto di una valutazione di esclusiva pertinenza della (omissis), la Banca d’Italia è chiamata, in sede di approvazione, a contemperare l’autonomia riconosciuta alla società medesima con il grado di eterotutela che la legge assicura ai partecipanti ai fondi” (Regolamento Banca d’Italia, 1° luglio 1998, Capitolo IV, Sezione II, par. 12).
Peraltro, ai sensi dell’art. 39, comma 3 bis, D.Lgs. n. 58/1998, e della norma contenuta nel recente Regolamento Banca d’Italia, 14 aprile 2005, Titolo V, Capitolo II, Sezione 111, par. 3, si intendevano approvate in via generale le modifiche ai regolamenti dei fondi che riguardavano per tutte le tipologie di fondi, le modifiche della denominazione della (omissis) o del fondo o di altri dati anagrafici, per cui la semplice modifica della denominazione del fondo approvata preventivamente, in base alle norme regolamentari, dalla Banca d’Italia, non necessitava di una apposita autorizzazione.
Il sottoscrittore delle quote del fondo, quindi, non aveva alcuna facoltà di sollevare eccezioni riguardo al mutamento della denominazione del fondo né, in riguardo al mutamento del regolamento del fondo.
Occorreva aggiungere, inoltre, che, in ogni caso, gli altri tre fondi gestiti dalla (omissis), in cui la sig.ra (omissis) aveva sottoscritto delle quote (Sanpaolo Azioni Italia, High Risk e Pacific), avevano mantenuto la denominazione.
Con riguardo al mutamento di denominazione dei fondi gestiti dalla (omissis) (ora (omissis)), rilevava che anche i tre fondi (o meglio comparti di fondo) lussemburghesi avevano subito variazioni nella denominazione, in seguito alla fusione di alcuni comparti regolarmente autorizzata dall’Autorità di Vigilanza lussemburghese, di cui era stata data notizia ai partecipanti al fondo con lettera del 27 agosto 2002.
Nella stessa comunicazione del 27 agosto 2000 era contenuto l’avviso che la (omissis) aveva mutato la propria denominazione in (omissis).
Esponeva altresì che l’attività della (omissis) consisteva nella prestazione del servizio i gestione collettiva del risparmio, che ai sensi dell’alt. 1, primo comma, lettera n), D. Lgs. n. 58/1998, si realizzava attraverso:




  1. “la promozione, istituzione e organizzazione di fondi comuni di investimento e l’amministrazione dei rapporti con i partecipanti;


  2. la gestione del patrimonio di OICR, di propria o altrui istituzione, mediante l’investimento avente ad oggetto strumenti finanziari, crediti, o altri beni mobili o immobili”.

La prestazione di servizi di Investimento, che era disciplinata dal titolo 11 del D, Lgs. 58/1998 (ed, in particolare, dagli artt. 18-32), era dunque attività del tutto diversa da quella di gestione collettiva del risparmio.
Le norme richiamate da controparte (artt. 21 e 23, D. Lgs. n. 8/1998; gli artt. 27, 28 e 29, Regolamento Consob n. 11522/1998) facevano ferimento alla prestazione di servizi di investimento, e non erano dunque applicabili all’attività di gestione collettiva del risparmio e dunque, nel caso di specie, all’attività svolta dalla (omissis).
La differenza tra le rispettive discipline, e la conseguente inapplicabilità delle norme che regolano una fattispecie all’altra, era consistente nel fatto che, nelle forme di gestione collettiva, la società di gestione operava “non nell’interesse dei singolo investitore, come accade nella gestione individuale, ma nell’interesse collettivo dei partecipanti”.
Pertanto, tutte le domande di controparte basate sulla presunta violazione, da parte della (omissis), delle regole stabilite in tema di prestazione di servizi di investimento (art. 21 e 23, D. Lgs. n. 58/1998; artt. 27, 28 e 29, Regolamento Consob n. 11522/1998), erano prive di qualsiasi fondamento, posto che la (omissis) non poteva (logicamente, ancor prima che giuridicamente) violare norme inapplicabili al caso di specie.
In particolare, era inapplicabile la norma stabilite in tema di conflitto di interessi dall’art. 21. D. Lqs. n. 58/1998 e dall’art. 27 Regolamento Consob n. 11522/1998, posto che la regola specifica era dettata dall’art 49, Regolamento Consob n. 11522/1998, che, al primo comma, statuiva: “Le società di gestione del risparmio e le SICAV vigilano per l’individuazione dei conflitti d’interessi. Esse possono effettuare operazioni in cui hanno direttamente o indirettamente un interesse in conflitto, anche derivante da rapporti di gruppo o da rapporti di affari propri o di società del gruppo, a condizione che sia comunque assicurato un equo trattamento degli OICR avuto anche riguardo agli oneri connessi alle operazioni da eseguire”.
Conformemente alla struttura della gestione collettiva del risparmio ed alla posizione che assume il partecipante al fondo rispetto alla (omissis), era evidente che il legislatore e l’Autorità di vigilanza non potevano pretendere che la società di gestione ottenesse l’autorizzazione specifica di ogni singolo partecipante al fondo ogni volta che la (omissis) si apprestasse a compiere un’operazione in conflitto d’interessi, fermo restando che doveva essere “assicurato un equo trattamento degli OICR”.
Nel far riferimento ad un presunto “conflitto di interessi”, controparte non aveva fatto nemmeno riferimento all’ipotesi (comunque inapplicabile al caso di specie) prevista dall’art. 21, primo comma, lettera e), D. Lgs. n. 58/1998, e dall’art. 27, Regolamento Consob n. 11522/1998, che si verifica quando gli intermediari autorizzati hanno “direttamente o indirettamente un interesse in conflitto, anche derivante da rapporti di gruppo, dalla prestazione congiunta di più servizi o da altri rapporti dì affari propri o di società o del gruppo”.
Assolutamente fuori luogo era quindi il richiamo, effettuato da controparte, alle norme degli artt. 1394 e 1395 cod. civ., posto che la società di gestione agiva in nome proprio, e non certo quale rappresentante di ogni singolo partecipante al fondo.
Del pari inapplicabili erano le norme del mandato, dal momento che, per definizione, tale schema postulava che dominus del rapporto fosse il mandante, al quale veniva riconosciuto il potere di ultima decisione sulle scelte del mandatario.
Il partecipante al fondo comune, lungi dall’essere il dominus del rapporto che lo legava alla società di gestione, si trovava in una posizione di assoluta soggezione nei confronti di quest’ultima.
L’investitore, infatti, pur essendo titolare di un diritto di credito allo svolgimento da parte del gestore dell’attività di investimento delle somme raccolte secondo le regole e le prescrizioni dell’organo di vigilanza, ed alla restituzione dei risultati della gestione, era privo di qualsiasi ingerenza nelle decisioni di investimento nonché di poteri di controllo, e risultava quindi sottoposto rispetto alle Sgr, in quanto privo della posizione di dominus dell’affare propria del mandante.
Avuto quindi riguardo alla specifica natura del rapporto tra partecipante al fondo e (omissis), ed in particolare alla soggezione del partecipante alle scelte di investimento effettuate dal gestore, risultava chiaro che a tale rapporto non poteva essere applicato in alcun modo l’art. 1711 cod. civ.
Nel rapporto di gestione collettiva, poteva trovare applicazione la norma dell’art. 1710, primo comma, cod. civ., relativa alla diligenza del mandatario nell’esecuzione del mandato, ma non la norma dell’ari. 1711 cod. civ., posto che il partecipante al fondo non aveva alcun potere di conferire istruzioni alla società di gestione.
In ordine all’ultima doglianza svolta dall’attrice riguardo all’attività della (omissis), attinente alla presunta violazione dell’art. 59, terzo comma, Regolamento Consob n. 11522/1998, da parte della società convenuta occorreva rimarcare che la regola in esame si limitava a stabilire dei termini che non si potevano certo definire perentori.
Posto che la stessa sig.ra (omissis) aveva fornito la prova del fatto che la (omissis) aveva comunicato per iscritto l’esito del reclamo all’investitrice, peraltro ben prima del termine di 90 giorni indicato dalla norma predetta, non si comprendeva quale fosse il fondamento delle censure dì controparte.
Tanto premesso, concludeva per il rigetto della domanda.


Con istanza di fissazione di udienza notificata in data 28.9.05, ex articolo 8 del Dlgs n. 5 del 2003, veniva richiesta al Giudice relatore designato la fissazione dell’udienza collegiale per la discussione della causa.
Con tempestiva istanza depositata ex art. 8 comma quinto D.lvo 5/03 veniva sollevata eccezione di inammissibilità dell’istanza di fissazione di udienza, fondata sul fatto che, ancora pendenti i termini per la notificazione della memoria di replica ex art. 6 del D.lvo n. 5/03, al fine di consentire il diritto di replica all’attore, la convenuta aveva spiegato istanza di fissazione di udienza.
Con ordinanza del 20.10.06, veniva ritenuta ammissibile l’istanza di fissazione di udienza, sul rilievo che la convenuta non aveva assegnato termine per replica all’attore, né aveva sollevato eccezioni in senso proprio, chiamata di terzo o domanda riconvenzionale, per cui l’istanza di fissazione veniva ritenuta del tutto ammissibile, avendo le banche convenute notificato istanza di fissazione di udienza entro il termine di venti giorni dalla data della propria costituzione in giudizio, avvenuta in data 29.7.05, ed alla luce del rilievo per cui il diritto di replica dell’attore sorge solo in caso di allargamento del thema decidendum da parte del convenuto.
Il che non era avvenuto nel caso di specie.
Con decreto di fissazione di udienza confermato all’udienza collegiale del 27 aprile 2007, dichiarate inammissibili la richiesta di chiamata in causa di un terzo da parte dell’attrice, irricevibili le richieste istruttorie contenute nella nota conclusiva e rigettate le richieste istruttorie di prova orale, senza lo svolgimento di alcuna attività istruttoria, la causa veniva riservata per la decisione.


MOTIVI DI DIRITTO
Preliminarmente, sull’eccezione afferente il difetto di legittimazione passiva del(omissis), per essere stata, in data 30.6.2003, ceduta la filiale di Trani – presso cui l’attrice stipulò un contratto per lo svolgimento dei servizi di investimento – nell’ambito di un conferimento di ramo di azienda (che aveva interessato tutte le filiali della Campania, della Puglia, della Calabria e della Basilicata) alla (omissis), soggetto autonomo e distinto dalla convenuta (omissis), va detto che, del tutto correttamente, parte attrice ha convenuto in giudizio il soggetto presso il quale ha acquistato i fondi per cui è processo, che è incontestabilmente il (omissis).
Le vicende che hanno interessato la cessione di azienda della filiale presso la quale fu stipulato il contratto, sono estranee alla titolarità del rapporto, costituitosi soltanto tra la (omissis) e la (omissis), essendo pacifico che la filiale svolse – come detto dalla stessa convenuta – un ruolo di mera acquisizione della sottoscrizione del cliente e di ricezione del corrispettivo per conto della (omissis) di Torino.
La prima eccezione è dunque infondata.
Ciò posto, va detto che le specifica doglianze dell’attrice contenute nell’atto di citazione afferiscono al cambio della denominazione di quattro dei sette fondi sottoscritti (rispettivamente da International a Global Equity Risk; da San Paolo int. Fund Eq. Em. Markets Far East a Paesi Emergenti Asia; da San Paolo Int. Fund Eq. Japan a Spif Obiettivo Giappone; da San Paolo Int. Fund Eq. Europe Small Cup a Spif Small Cap Europe) ed al mutamento della titolarità degli stessi oggetti di investimento (da San Paolo Gestion International a San Paolo IMI Wealth Management), posto che la banca che gestiva il fondo non l’aveva informata di tali variazioni, che avrebbero dovuto esserle comunicate, in modo da poterle consentire di esercitare eventualmente il diritto di recesso, come previsto dalle norme del rapporto di mandato, applicabile in materia per espresso disposto dell’art. 36, comma quinto del Reg.to Consob n. 11522/98.
Ora, dalla documentazione allegata agli atti da parte convenuta, si evince che:




  1. in data 3 aprile 2000, la (omissis) ha sottoscritto con la (omissis) un contratto per la prestazione di servizi di investimento;


  2. il 3 aprile 2000 ha ricevuto il Documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari;


  3. nel conferire l’ordine per l’acquisto di quote dei fondi comuni, ha sottoscritto degli specifici moduli in cui è riportato testualmente: “in possesso dei requisiti previsti dalla legge, avendo ricevuto il prospetto informativo dì cui il presente modulo costituisce parte integrante, consapevole di aderire ad un prodotto complesso costituito dai fondi al Sistema Valore Aggiunto, accetto di aderire (…)”;


  4. nei moduli predetti è chiaramente indicato, conformemente alla prescrizione dell’art 27, terzo comma, Regolamento Consob n. 11522/1998, la dicitura “operazione in conflitto di interesse e valori mobiliari collocati da società del gruppo”;


  5. sempre nei moduli suddetti, si legge che si tratta di operazione non adeguata.

Può dunque escludersi, alla luce della summenzionata documentazione, che vi sia stata violazione delle norme in materia di conflitto di interessi.
In punto di difetto di legittimazione, invece, trattandosi di valori mobiliari collocati da società del gruppo (omissis)., non può sostenersi – come prospettato da parte convenuta – che la (omissis) si sia limitata a svolgere un servizio di “mera ricezione e trasmissione ordini”; è noto che l’attività di ricezione e trasmissione degli ordini presuppone che il raccoglitore di ordini non esegua le transazioni, ma si limiti a ricevere le disposizioni dalla clientela ed a trasmetterle ad altri intermediari, abilitati allo svolgimento dell’attività esecutiva, di norma negoziatori o collocatori.
L’art. 33, comma sesto, del regolamento Consob 11522/98, si premura poi di precisare che le disposizioni di quell’articolo non si applicano nel caso – come quello di specie – in cui l’intermediario autorizzato provveda direttamente all’esecuzione dell’ordine: ove l’intermediario esegua direttamente gli ordini della clientela, si è infatti al di fuori dei confini della ricezione e trasmissione ordini (per la sussistenza della quale è necessario che l’ordine del cliente venga trasmesso ad altro intermediario) e si rientra nell’ambito del collocamento.
L’elemento discretivo tra le due fattispecie (“ricezione e trasmissioni di ordini” e “collocamento”) è dato dal fatto che il raccoglitore di ordini si limita a ricevere e trasmettere gli ordini della clientela senza svolgere alcuna attività di promozione o di offerta dei valori mobiliari e senza essere incaricato del collocamento degli stessi (v. Comunicazione Consob del 26.10.1994).
Se, dunque, i fondi erano istituiti e gestiti da (omissis) del gruppo (omissis), è evidente che quest’ultima non possa affermare il proprio difetto di legittimazione passiva per essersi limitata a svolgere attività di mera ricezione; deve piuttosto affermarsi che si sia trattato di vero e proprio collocamento, nell’ambito del quale la (omissis), nella qualità di capogruppo e banca depositaria, aveva provveduto non a trasmettere semplicemente gli ordini, ma ad eseguire l’operazione di acquisto dei fondi, gestiti da soggetti ((omissis) e (omissis)) appartenenti al gruppo (omissis).
Acclarato che la (omissis) era un vero e proprio collocatore di fondi, si tratta ora di stabilire se entrambe le convenute (omissis) come capogruppo e (omissis) come società promotrice e incaricata della gestione) abbiano violato le norme sul mandato nel senso sopra evidenziato da parte attrice, vale a dire se avessero un obbligo di informativa nei confronti della sottoscrittrice per tutte le variazioni attinenti il mutamento della denominazione e dello stesso oggetto dell’investimento.
Ora, premesso che, dei sette fondi sottoscritti, tre hanno mantenuto la medesima denominazione (San Paolo Azioni Italia, High Risk e Pacific), e che, solo per quattro fondi, si appuntano le contestazioni dell’attrice, occorre osservare che il primo fondo acquistato dall’attrice reca la denominazione di Fondo San Paolo “International”; all’atto del disinvestimento dell’attrice (30.10.03), la denominazione era stata mutata in San Paolo “Global equity Risk”.
La banca ha dedotto che, con lettera del 31.3.2003, inviata a tutti i partecipanti ai fondi comuni gestiti dalla (omissis), era stato comunicato che, con efficacia dal 1° settembre 2003, sarebbero intervenute alcune variazioni nei fondi comuni istituiti dalle due società di gestione del risparmio, regolarmente approvate dalla Banca d’Italia.
In effetti, nella missiva si dà atto che, a seguito della fusione per incorporazione di (omissis) in (omissis) Spa, sarebbe stato avviato un importante processo di razionalizzazione della gamma di prodotti, articolantesi su distinte tipologie di interventi, consistenti in: innovazione, fusione e revisione.
Nella medesima missiva, si constata che tutte le variazioni apportate ai fondi – illustrate nell’allegato “Modifiche alla gamma fondi San Paolo IMI A.M”, erano state approvate dalla Banca d’Italia e che, con efficacia a partire dal 1° settembre 2003 – unitamente alla fusione tra le società di gestione del risparmio – sarebbe entrato in vigore un regolamento unico di gestione dei fondi gestiti da S.P.I.A.M., nel quale avrebbero trovato evidenza tutte le modifiche apportate ai fondi.
Segue a tale missiva, datata 31.3.2005 ed indirizzata a tutti i sottoscrittori dei fondi San Paolo, un libretto intitolato “Modifiche alla gamma Fondi San Paolo IMI A.M”, nel quale si riepilogano gli interventi di innovazione, di fusione e di revisione della gamma dei fondi, si illustrano le modifiche e le variazioni apportate e si specifica, testualmente, che “…. il perfezionamento dell’architettura complessiva dell’offerta è stato conseguito attraverso l’inserimento di alcune precisazioni nell’ambito delle politiche di investimento, senza tuttavia incidere sostanzialmente sull’indirizzo di gestione dei fondi”.
Ora, davvero non può parlarsi di mero mutamento nella denominazione dei fondi; è evidente, dalla lettura della missiva e della brochure illustrativa, che la (omissis). – nel fondersi per incorporazione con la (omissis). p.A – aveva concepito delle modifiche alla gamma dei fondi, con una offerta che, se era stata ampliata con riferimento ad alcuni fondi originariamente istituiti dalla società di gestione del (omissis), per quanto concerne i fondi acquistati dall’attrice, e specificamente per il Fondo International, aveva subito anch’essa degli interventi di revisione (v. par. 1 modifiche apportate alle politiche di investimento ed alla denominazione dei fondi), attraverso l’inserimento di alcune precisazioni nell’ambito delle politiche di investimento; per quanto concerne il (omissis), oltre al mutamento della denominazione in (omissis), si legge, nel riepilogo, che: “il fondo verrà inserito nella linea Active Risk.
La composizione del portafoglio risulterà prevalentemente orientata verso strumenti finanziari rappresentativi del capitale di rischio. La componente di rischio sarà investita in strumenti finanziari di emittenti di ogni area geografica la componente obbligazionaria e monetaria sarà investita in strumenti finanziari denominati in qualsiasi valuta.”
A partire dal 1° settembre 2003, vi sarebbe stato, pertanto, un processo di razionalizzazione della gamma dei prodotti, con l’integrazione dei fondi originariamente istituiti dal (omissis), con istituzione di nuovi prodotti, con la fusione di altri, con la revisione, infine, dei fondi esistenti, attraverso la puntualizzazione delle politiche di investimento dei prodotti posti in essere, pur senza incidere sull’indirizzo di gestione del fondo.
Non si è, pertanto, trattato di una mera variazione della denominazione, ma di vera e propria revisione del prodotto, rispetto alla quale, pur non essendovi incisione sull’indirizzo di gestione, si è senz’altro verificata una modifica/revisione, cui doveva far seguito una comunicazione dettagliata riguardante le revisioni in questione a ciascun partecipante ai fondi.
Analoghe considerazioni possono farsi con riferimento agli altri fondi della (omissis) acquistati dall’attrice (da “San Paolo int. Fund Eq. Em. Markets Far East” a “Paesi Emergenti Asia”; da “San Paolo Int. Fund Eq. Japan” a “Spif Obiettivo Giappone”; da “San Paolo Int. Fund Eq. Europe Small Cup” a “Spif Small Cap Europe”), anch’essi inseriti nel summenzionato programma di razionalizzazione dei fondi conseguente alla fusione di alcuni comparti e alla modifica delle caratteristiche dei comparti esistenti (v. doc. 11 di parte convenuta), con decorrenza 27 settembre 2002.
Ciò che in sostanza l’attrice lamenta è che sia stata posta di fronte ad un cambio di denominazione (che non ha comportato solo una veste nuova solo in termini di titolo, ma anche di politica e strategia di investimento dei fondi), nonché ad un cambio di denominazione nella gestione degli stessi fondi di investimento senza essere stata minimamente informata della variazione.
E’ incontestabile che si sia trattato di modifica che ha inciso sulla politica di investimento dei fondi, tant’è vero che la stessa (omissis) si è premurata di avvisare i clienti sottoscrittori che, dalla data del 1° settembre 2003, ormai ottenuto il via libera dalla Banca d’Italia, sarebbe entrato in vigore il nuovo regolamento del fondo chiamato “Regolamento unico di gestione dei fondi gestiti da SPIAM appartenenti al sistema di valore aggiunto, al sistema etico e al sistema profili & Soluzioni”, nel quale avrebbero trovato conferma tutte le modifiche apportate ai fondi.
Tale previsione si conforma al dettato previsto dal regolamento della Banca d’Italia del 1° luglio 1998 che, all’art. 12.1. annesso I, allegato – cap. IV, prevede che “particolari modalità di informativa ai partecipanti (ad es. comunicazione diretta, avvisi ripetuti alla stampa, etc.) adeguate alla tipologia dei partecipanti medesimi dovranno essere previste per le modifiche regolamentari … relative a variazioni delle caratteristiche o dello scopo del fondo, per le quali non sia stata richiesta l’approvazione dei partecipanti”).
Nel caso di specie, la convenuta non ha fornito la prova della ricezione, da parte della (omissis), della missiva del 31.3.2003, indirizzata a tutti i sottoscrittori fondi San Paolo; vi è, però, agli atti copia del Sole 24 Ore, nel quale si rende noto a tutti i partecipanti ai fondi comuni di investimento mobiliare aperti che la Banca d’Italia aveva autorizzato la fusione per incorporazione tra (omissis) p.A in (omissis) s.p.a. e che, unitamente alle operazioni di fusione, si sarebbero variate alcune disposizioni relative ai fondi gestiti da (omissis), con variazioni recepite in un nuovo regolamento unico di gestione dei fondi comuni di investimento mobiliare; sempre nel comunicato stampa, si legge che le principali modifiche apportate ai fondi riguardavano l’inserimento di alcune precisazioni e di limitate variazioni nell’ambito delle politiche di investimento, la variazione del termine di durata di alcuni fondi e il regime delle spese di alcuni fondi; in particolare, si specifica che il fondo San Paolo International avrebbe assunto la denominazione di San Paolo Global Equità Risk.
Si prevede inoltre, nel comunicato stampa, che tutte le modifiche sarebbero state illustrate in una comunicazione che la (omissis) avrebbe inviato ad ogni partecipante e che la stessa comunicazione sarebbe stata disponibile presso i soggetti incaricati del collocamento.
Ora, tale essendo il contenuto della comunicazione, davvero non può dirsi che parte convenuta non abbia assolto all’onere di provare la modifica apportata e la variazione di denominazione concernente il fondo San Paolo International; sul punto, se non v’è prova della ricezione della raccomandata, v’è però la prova di avviso sulla stampa che soddisfa lo scopo cui tende l’informativa in questione, che ha preceduto (il giornale è del 5.3.2003) l’entrata in vigore delle modifiche regolamentari (1°.9.03) al fine di consentire ai partecipanti di valutare le modifiche intervenute e, se del caso, recedere dal contratto.
Reputa quindi il Collegio che la prima doglianza attinente il mutamento di denominazione del fondo San Paolo International sia infondata.
Venendo adesso alle altre doglianze, afferenti, oltre al mutamento della denominazione, anche il mutamento della titolarità del soggetto deputato alla gestione del fondo, va premesso che parte attrice ha convenuto in giudizio la sola società capogruppo (omissis) e non la società che aveva gestito i fondi in questione, vale a dire la (omissis).
Sul punto, la (omissis) s.p.a. ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, asserendo di essersi limitata a svolgere una funzione di ricezione o trasmissione di ordini, non di promozione e gestione.
Si è però detto che se la (omissis) spa non era la società che gestiva i tre fondi contestati dall’attrice (“San Paolo int. Fund Eq. Em. Markets Far East”; “San Paolo Int. Fund Eq. Japan”; “San Paolo Int. Fund Eq. Europe Small Cup”), è altresì vero che la società incaricata della gestione ((omissis)) faceva parte del gruppo (omissis), e che si trattava di valori mobiliari appartenenti a società del gruppo.
Ne costituisce la riprova il fatto che il collocamento è avvenuto presso la succursale di Trani della (omissis), dove l’ordine fu indirizzato oltre che alla stessa (omissis) (che ne era dunque la banca collocatrice e depositaria), alla (omissis).
Orbene, prevedendo l’art. 38 del Reg.to consob 11522/98 che anche la banca depositaria è responsabile nei confronti dei partecipanti al fondo di ogni pregiudizio subito in conseguenza dell’inadempimento ai propri obblighi, va detto che la modifica attinente il tipo di investimento effettuato (mutamento nella denominazione dei fondi, con revisione della politica e/o strategia di investimento) era di contenuto tale che, anche indipendentemente dagli obblighi di informativa incombenti sulla società di gestione (peraltro appartenente al medesimo gruppo bancario), la capogruppo (omissis) avrebbe dovuto rendersi parte diligente affinché la propria correntista e sottoscrittrice del fondo, per il tramite dello stesso istituto bancario, fosse resa edotta delle modifiche apportate senza la sua approvazione e quindi fosse messa in grado di valutare l’opportunità di continuare con questa nuova gestione o disinvestire il proprio capitale.
Sull’istituto bancario incaricato del collocamento incombe il dovere di buona fede, dal quale derivano gli obblighi di informazione nei confronti dei sottoscrittori; l’informazione deve riguardare non solo i rischi dell’investimento al momento della sottoscrizione, ma anche i rischi sopravvenuti, soprattutto laddove si tratti di rischi diversi da quelli che il risparmiatore aveva consapevolmente assunto.
Peraltro, è tranciante il fatto che si trattasse di società capogruppo, alla quale spettano compiti di direzione e coordinamento nei confronti delle componenti del gruppo individuato ai sensi dell’art. 11, comma 1, lettera b ), per l’esecuzione delle istruzioni impartite dalla Banca d’Italia (art. 12 Dlgs n. 58/98), e che in capo a questa vi era l’obbligo di operare in modo che i clienti fossero sempre adeguatamente informati.
Ora, non è stato adeguatamente provato che parte attrice avesse ricevuto comunicazione del mutamento della denominazione della società deputata alla gestione del fondo e della stessa nuova denominazione dei fondi, non meramente nominale, ma dovuta alla fusione di alcuni comparti autorizzata dall’autorità di vigilanza lussemburghese.
Se quindi può condividersi quanto sostenuto da parte convenuta a proposito della non necessità per la banca di procurarsi una preventiva autorizzazione del cliente in relazione alla gestione collettiva del risparmio, non può sottacersi che, nel caso di specie, vi sia stato un vulnus informativo, dipendente dal mancato adempimento degli obblighi informativi circa le “modifiche regolamentari … relative a variazioni delle caratteristiche o dello scopo del fondo.”
In tali limiti, deve ritenersi fondata la domanda, apparendo infine priva di pregio appare poi l’obiezione secondo la quale l’attrice aveva ricevuto regolarmente gli estratti del deposito amministrativo recanti la quantità ed il valore delle quote dei fondi sottoscritti; come messo in luce anche dalla stessa comparsa conclusionale di parte attrice, gli estratti del deposito contenevano solo numero di quote del fondo e descrizione dello stesso senza alcuna variazione delle denominazione.


Occorre ora chiarire le conseguenze di tali violazioni.


L’attrice ha richiesto la declaratoria di nullità/annullabilità dei contratti; in via gradata, ha chiesto il risarcimento del danno per responsabilità della banca.
La giurisprudenza formatasi all’indomani della introduzione della disciplina TUF, e tra essa anche quella di questo Tribunale, accertate le violazioni, ha ripetutamente riconosciuto la nullità del contratto.
Tuttavia tale conseguenza, in un recente ripensamento giurisprudenziale (Cass., sent. 19024/05; Trib. Modena, sent. 10.5.2006; Trib. Catania, sent. 5.5.2006; Trib Firenza, sent. 21.2.2006; Trib. Genova, sent. 2.8.2005; Trib Milano, sent. 25.7.2005; cfr Trib. Roma, sent. 31.3.2005; Trib. Genova, sent. 15.3.2005) ed in una recente ricostruzione dottrinale, non è apparsa più adeguata e corretta.
Si è correttamente evidenziato che vi è nullità di un contratto quando sia coinvolta la struttura e l’oggetto del contratto stesso, non invece condotte che si collocano nella fase delle trattative (o nella sua fase esecutiva) e sono finalizzate a “valutare la convenienza dell’operazione”.
Sempre la dottrina ha evidenziato i pericoli di una confusione tra i due piani, anche di ordine probatorio, atteso che il giudizio di nullità è tradizionalmente un giudizio di diritto (dichiarabile anche d’ufficio), indifferente alla regola dell’onere della prova, mentre le ipotesi contemplate nell’art. 21 cit. attengono a regole comportamentali, la cui violazione va provata; ciò stride con una ricostruzione teorica, certamente corretta, che collega la nullità, cioè il giudizio di validità del negozio, alla sua struttura e contenuto. D’altronde, essendo dovere dell’interprete partire dal dato testuale della norma, subito si rileva che solo per la violazione della forma scritta l’art. 23 co. 1 TUF ha espressamente previsto la nullità del contratto, laddove nella stessa norma, al comma 6, altrettanto espressamente il Legislatore prevede che “nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi previsti nel presente decreto spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”.
Cioè è lo stesso Legislatore a considerare espressamente come la violazione alla “diligenza” richiesta all’intermediario sia sanzionata con l’azione risarcitoria, e l’ipotesi non può che riguardare quella “diligenza” di cui alla lett. a) dell’art. 21, esplicata nell’analitica descrizione degli obblighi informativi e quant’altro.
Si badi inoltre che anche la nullità prevista per la violazione della forma scritta, elemento che attiene alla struttura del contratto (artt. 1418 c. 2, 1325 n. 4 c.c.), deve essere eccepita dal cliente, avendo evidentemente optato il Legislatore per l’istituto della nullità cd. relativa, che indubbiamente costituisce un minus rispetto alla ordinaria nullità assoluta. Se ora si riconoscesse, quale conseguenza dell’inosservanza degli obblighi comportamentali, la nullità del contratto (da collocarsi nell’alveo della nullità assoluta in mancanza di ogni limitazione normativa), dovrebbe giungersi alla conclusione che essa, anche quando non costituisce petitum della domanda, può essere dichiarata d’ufficio: con la conseguenza che mentre la carenza di un elemento strutturale del contratto darebbe adito solo a nullità relativa, rilevabile dal solo cliente-investitore, la violazione di un obbligo comportamentale, peraltro incidente sulla fase delle trattative precontrattuali, determinerebbe invece la eliminazione d’ufficio di un rapporto sinallagmatico, a prescindere dunque dalla volontà dell’investitore, o comunque -per chi ritiene che la nullità assoluta non possa o debba essere sempre rilevata d’ufficio- da chi dimostri d’avere interesse (dunque non il solo investitore).
La conseguenza di per sé può persino non apparire rilevante, poiché, potrebbe obiettarsi, gli interessi tutelati dalla disciplina sono duplici, quello dell’investitore e quello del mercato finanziario, e quest’ultimo supera la sfera d’interesse nella mera disponibilità del privato, ma così non è.
Si è infatti già detto che i due interessi sono strettamente correlati, perché il mercato finanziario – indicazione astratta – comprende il singolo risparmiatore, il risparmio pubblico – somma di tutti i risparmi e risparmiatori – le società e strutture finanziarie operanti nel mercato. Se il singolo non ha ricevuto o non ha avvertito un danno è lo stesso mercato a non aver subito un danno. Ne discende che ove dal compimento di una operazione, pur in violazione delle norme comportamentali, il singolo non ha avvertito “disagi”, vuol dire che quella situazione non ha inciso in alcun modo sul mercato finanziario: non vi sarebbe allora alcun interesse da tutelare. Ma vi è di più, e cioè che in concreto l’operazione può essere tornata parimenti utile e vantaggiosa al cliente, nonostante la violazione delle norme regolamentari.
Ebbene in tale ipotesi, ove si accedesse alla teoria della nullità, il Giudice, anche d’ufficio -o ad esempio su richiesta dello stesso intermediario- dovrebbe ugualmente dichiarare la nullità. Il risultato sarebbe aberrante. Probabilmente è proprio per evitare tali incongruenze che il Legislatore, persino in caso di carenza di uno degli elementi strutturali del contratto (la forma scritta), ha opportunamente ritenuto di tutelare l’interesse a mezzo sì della nullità, però a richiesta della parte (nullità relativa).
Per attività di intermediazione di valori mobiliari deve intendersi lo svolgimento di servizi finanziari, e tra essi l’art. 1 co. 5 colloca sia la negoziazione per conto proprio (lett. a), sia quella per conto terzi (lett. b), sia la ricezione e trasmissione di ordini nonché la mediazione (lett. e). Nell’ampiezza di tale attività è frequente che l’intermediario si limiti a procurare direttamente dal terzo l’acquisto di un prodotto finanziario, sorgendo così, oltre il sinallagma tra investitore e intermediario (sulla base di un rapporto di mandato), un sinallagma contrattuale tra terzo ed investitore (compravendita).
Ebbene, se la violazione delle regole dell’art. 21 cit. riguarda, e non può che riguardare, il rapporto negoziale tra investitore ed intermediario, ciò come può giuridicamente riflettersi sul contratto di compravendita dei valori? Sulla base di quali elementi sarebbe possibile coinvolgere il terzo (parte del contratto di vendita), che può essersi comportato correttamente e in buona fede per quel che lo riguarda e che non è stato neppure coinvolto nella causa? Può obiettarsi che la situazione non è diversa dall’ipotesi, pur normativamente prevista, della nullità (relativa) per carenza di forma scritta. A tale obiezione possono muoversi due osservazioni. Emerge innanzitutto una responsabilità dello stesso terzo venditore, che pur sapendo che l’intermediario può eseguire l’operazione solo in forza di contratto scritto, ha parimenti venduto un prodotto finanziario per mezzo di soggetto senza valido mandato (scritto). La fattispecie inoltre può agevolmente rientrare nell’ipotesi di contratto stipulato da rappresentante senza poteri, con le conseguenze di cui all’art. 1398 c.c. E’ evidente allora che le fattispecie sono del tutto diverse, sia in ordine al vizio che inficia l’atto, sia in relazione alle conseguenze.
Emerge pertanto che la soluzione della nullità mostra tutti i suoi limiti e tale istituto, in riferimento alla tutela degli interessi protetti nella fase delle trattative, è incoerente ed ingiustificato, sia sul piano della ricostruzione teorica (con riguardo alla distinzione tra regole di validità e regole di comportamento/responsabilità), sia sul piano della idoneità del rimedio giuridico.
Come lucidamente è stato esposto dalla Corte di Legittimità nella sentenza n. 19054 del settembre 2005, la difficoltà a riconoscere una responsabilità precontrattuale discende dal timore che la tutela apprestata si è sempre appuntata sul cd. interesse negativo, cioè sul danno derivante dalla perdita ingiustificata di tempo, senza che il contratto sia più stato stipulato. Nel caso di stipulazione del contratto non vi sarebbe tutela avverso condotte illecite tenute dalla parte nella fase delle trattative.
Tale timore tuttavia è oggi ampiamente superato, poiché una rivisitazione dei doveri delle parti nella fase precontrattuale e della conseguente responsabilità ha permesso di riconoscere tutela non al solo interesse negativo in senso tradizionale (la classica perdita di tempo), ma anche all’interesse positivo, il danno cioè arrecato alla parte dalla condotta illecita della controparte, e consistente nel minor vantaggio derivante dal contratto, pur concluso, a causa del comportamento dell’altro. L’appiglio normativo è individuato nell’ipotesi prevista dall’art. 1440 c.c., senza peraltro, può ritenersi, limitare la fattispecie alla sola condotta incidente intenzionale.
Se questa ricostruzione della tutela risarcitoria è corretta e condivisa, come ritiene questo Collegio, è ad essa che può farsi ricorso nel caso oggetto del presente giudizio.
Infatti, in tale alveo può riconoscersi il danno subito dall’investitore per non essere stata preventivamente informata dall’intermediario.
Ciò chiarito, nel caso di specie, non avendo trovato accoglimento la domanda di annullamento, non essendovi comunque prove sull’essenzialità e riconoscibilità dell’errore in cui è caduta l’attrice né tanto meno prove di raggiri posti in atto dalla convenuta, ed accertata comunque la violazione delle regole di comportamento imposte dal TUF e dalle norme sulmandato, avendo l’attrice richiesto anche il risarcimento dei danni, è invece questa la domanda che merita accoglimento, con i chiarimenti appresso specificati.
L’attrice ha documentato agli atti che il capitale investito nei tre fondi gestiti dalla (omissis) era pari ad € 25.823,00 per ciascuno dei tre fondi.
All’esito del disinvestimento, la somma accreditata era pari ad € 16.164,00 per il primo fondo (EM Markets far east), € 10.164 per il secondo (Equity Japan) ed € 15.822,00 per il terzo (Ed. Europe Small Cap), per un totale di € 27.910,00.
Ora, considerato che il danno va integralmente risarcito, stante il fatto che nessuna eccezione è stata tempestivamente formulata con riguardo al profilo dell’aggravamento del danno, che avrebbe potuto ridursi verificando l’andamento dell’investimento, esso va quantificato nella differenza tra il capitale investito (€ 77.469,00) e quello rimborsato (€ 27.910,00), pari ad € 49.959,00.
A tale somma va aggiunta la rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat dal momento dell’acquisto dei tre fondi in questione al momento della pubblicazione della presente sentenza e gli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al soddisfo.
Nessun danno è invece dovuto per gli altri quattro fondi gestiti dalla (omissis).
In ordine alle spese di lite, in considerazione della novità della questione e dell’esito complessivo della lite, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti la metà delle spese di lite, restando onerata parte convenuta della residua metà nella misura liquidata dal dispositivo.


P.Q.M.


Il Tribunale di Trani, prima sezione civile, in composizione collegiale, definitivamente pronunziando nel contraddittorio tra le parti, così statuisce:




  1. accoglie in parte la domanda proposta da (omissis) e, per l’effetto, condanna la banca (omissis) spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, a corrispondere a (omissis) la somma di € 49.959,00, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat dal 7.4.2000 al momento della pubblicazione della presente sentenza e gli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al soddisfo;


  2. rigetta tutte le domande proposte nei confronti della Banca (omissis) s.p.a.;


  3. condanna parte convenuta (omissis)spa a corrispondere a parte attrice la metà delle spese di lite, che liquida, per l’intero, nella complessiva somma di € 12.000,00 (di cui € 500,00 per esborsi; € 5.500,00 per onorari; € 6.000,00 per diritti), oltre rimborso forfetario spese generali, IVA e CPA come per legge, compensando la residua metà;


  4. compensa integralmente tra l’attrice e la (omissis) le spese di lite.

Così deciso in Trani, il 27 novembre 2007.


Il Presidente
Il Giudice estensore