V CONFERENZA NAZIONALE DELL’AVVOCATURA


II Conferenza della Giustizia



Roma 11-13 ottobre 2007
Auditorium del Massimo


Senza democrazia, cioè senza eguaglianza delle condizioni sociali e giuridico-politiche, anche la libertà può esistere solo come privilegio di pochi, non come patrimonio di tutti.
Il grande intento della Giustizia è di sostituire l’idea del diritto a quella della violenza.
E’ davvero sorprendente la fiducia che gli uomini accordano in genere all’intervento dei Tribunali. Essa è tanto grande da affezionarsi alla forma giudiziaria, anche quando, in sostanza, non esiste più:
dà un corpo alle ombre.
Alexis de Tocqueville (1)

Relazione introduttiva del Presidente OUA
Avv. Michelina Grillo



In molte occasioni, e con riferimento a svariati settori e tematiche, si susseguono di giorno in giorno interventi di soggetti che, a torto o a ragione, assumono di essere portavoce e alfieri di sentimenti e pulsioni trasversali nella società italiana.


Qui, oggi, è presente l’avvocatura italiana che ha, per espresso dettato costituzionale, il compito di rendersi tramite presso le istituzioni della migliore tutela possibile dei diritti dei singoli, delle comunità, delle imprese. E’ quindi alla stregua di anni di serrate analisi, di elaborazioni e di proposte purtroppo il più delle volte tanto illuminate e avanzate quanto inascoltate e disattese, che in questa sede ha l’ingrato, ma alto e nobile compito di farsi ancora una volta promotrice di un dibattito di alto profilo sui temi della Giustizia, vera e grande questione irrisolta, snodo prioritario e strategico non solo per la riaffermazione della legalità e della certezza del diritto in questo Paese, che ne fu la culla, ma anche per una indifferibile ripresa economica.


Una costante percorre la storia, e fors’anche la preistoria, della Conferenza della Giustizia: l’insistenza, la testardaggine con cui gli avvocati italiani l’hanno proposta, chiesta, riproposta, ribattuta ed oggi anche organizzata, senza mai stancarsi per oltre quarantanni (dal 1965). Non sono certo i soli ad essersi avveduti dei problemi del sistema, ma l’idea della Conferenza, (oggi come nel 1965 e nel 1986), è stata loro, e da loro è stata sempre tenacemente coltivata (2).


La drammatica situazione dell’amministrazione della Giustizia nel Paese, la lentezza dei processi, l’inefficacia dell’esecuzione, l’ineffettività della pena, in breve una situazione di illegalità diffusa, di mancanza di tutele, di incertezza dei rapporti, non nuoce solamente al livello di democrazia e di civiltà della nostra moderna società, ma rappresenta un potentissimo freno alla crescita dell’economia ed allo sviluppo dei rapporti interni e internazionali.


Non è un caso che il riassetto della giurisdizione ed una ripresa di efficacia del sistema siano oggi oggetto di intensa attenzione da parte del mondo produttivo, come attestano, tra gli altri, recenti e in larga parte condivisibili studi di Confindustria. (3)


Vogliamo garantire il confronto, e non già affermare posizioni precostituite, e ciò anche se certamente l’avvocatura italiana e l’Oua hanno le carte in regola per affermare posizioni proprie, come attesta una copiosa e pluriennale elaborazione su tutti i temi ancora oggi di attualità (4).


Abbiamo la certezza morale, che rappresenta la nostra grande forza, di non essere stati miopi, ma lungimiranti, di aver proposto – e di poter proporre ancora oggi – un ampio ventaglio di soluzioni non viziate da interessi e giochi di potere.


L’Avvocatura non si muove per motivi corporativi, non versa in una condizione di conflitto di interessi, perché per storia, cultura e tradizione è ed è sempre stata, e non potrebbe che essere, dalla parte del cittadino.


Gli avvocati italiani – e quindi il loro organo di rappresentanza politica – non sono una organizzazione di interessi, ma fondano la propria vita professionale e il proprio impegno sociale su un ben preciso sistema di valori.


Nel constatare, però, come a tutti i nostri sforzi abbiano corrisposto risultati invero assai modesti, potremmo domandarci se abbiamo sbagliato ad assumere in prima persona l’onere di contribuire ad individuare le strategie migliori per rendere davvero efficace il servizio Giustizia. Potremmo domandarci, poi, se siano state giuste le nostre battaglie.


Ci muove – e ci ha mosso nel decidere di assumere l’onere non modesto di organizzare questa Conferenza – il desiderio di accendere luci accecanti sul palcoscenico in cui si svolge il dibattito sui temi della Giustizia, che toccano ciascuno, di far partecipare i cittadini e le forze vive della società civile, di intercettare il malessere crescente, di ascoltare e comprendere il loro disagio e, per quanto possibile, dare loro risposte credibili, serie ed efficaci (5).


L’impegno serio che ha contraddistinto la nostra azione negli anni, la consapevolezza di avere dato prova di una seria capacità propositiva – quale oramai viene sempre più spesso riconosciuta dall’interlocutore politico – ci dà il diritto, ma anche il dovere, di chiedere ai cittadini e al Paese di riconoscere il nostro ruolo e la nostra funzione, e di attribuire il giusto valore alle battaglie che combattiamo in nome di principi dettati nel loro interesse.


Chiediamo, oggi con forza maggiore che non in passato, che l’opinione pubblica segua con attenzione il dibattito che qui avrà luogo e le tesi dell’avvocatura, e valuti se condividere o meno con noi la speranza di poter ancora ripristinare la legalità nel Paese, e gli sforzi finalizzati a questo risultato.


Questo dibattito, infatti, deve essere pubblico e coinvolgere, perché vitale, tutti gli operatori, ma non solo quelli, e non deve svolgersi in segrete stanze, in conciliaboli ristretti a pochi eletti, e snodarsi attraverso sterili contrapposizioni, dettate da spinte particolari anzichè rivolte all’affermazione di un interesse generale.


Occorre l’impegno di tutti per ricostruire il sistema Giustizia, e accanto ad esso un sistema politico-istituzionale che possa mostrarsi credibile e rispondere con autorevolezza ed efficacia alla pressante domanda di legalità, di democrazia reale, di trasparenza che giunge dal Paese.
Esiste infatti – e la storia recentissima lo conferma sotto molti profili – un pericoloso scollamento tra l’opinione pubblica e le Istituzioni, che anche con riferimento specifico al settore Giustizia producono un progressivo e grave allontanamento dei cittadini, anziché favorire il pieno esercizio dei loro diritti.


Vogliamo comprendere “chi ha ucciso la giustizia(6), e certamente ciò emergerà dall’analisi di dati che giustamente sono stati definiti imbarazzanti e vergognosi.
Ma vogliamo ancor di più avviare un’opera di bonifica dell’ambiente Giustizia, rivitalizzando la cultura della legalità, del diritto e dei diritti
.


E questo perché l’amministrazione della Giustizia è questione di democrazia e non esiste alternativa civile ad avere fiducia nella Giustizia.


Vogliamo in questa sede rilanciare una forte denuncia sulla incapacità della politica, risalente a più di un decennio, di affrontare e risolvere con chiarezza di principi ed obiettivi, efficacia e lucidità, problemi vecchi e sempre attuali, ma responsabilmente fare una altrettanto forte autocritica, esercizio sempre utile e prezioso, indispensabile quando si intende rivendicare credibilità.


Ma se quanto oggi censuriamo, è certamente accaduto anche per nostra responsabilità, e siamo pronti come sempre ad ammetterlo, è imprescindibile che anche ogni altra componente del sistema adotti lo stesso atteggiamento, e valuti e riconosca le proprie responsabilità, ammettendo i limiti delle rispettive verità.


Per quanto ci riguarda abbiamo fatto a lungo prevalere divisioni e frammentazioni, reali o strumentalmente agitate; ci siamo a lungo dibattuti con l’incapacità di innestare tempestivamente processi virtuosi di autoriforma, che peraltro abbiamo tracciato anche anticipando soluzioni moderne e all’avanguardia; abbiamo lasciato talvolta prevalere un innato individualismo che spesso ci ha portato a non essere compatti in prima linea per sostenere le nostre battaglie di libertà; abbiamo accettato con modeste reazioni interventi normativi che, invece di favorire professionalità, competenza, etica e consentirci di recuperare autorevolezza, e riaffermare quel ruolo sociale che la storia ci aveva consegnato, hanno contribuito ad appiattire e svilire il livello qualitativo ed etico degli iscritti ed a minare libertà, indipendenza ed autonomia, che dovrebbero venirci assicurate per garantire contemporaneamente la nostra funzione, nell’interesse di chi a noi si affida. Siamo poi da troppi anni, come il cinico Diogene, alla ricerca non già dell’uomo, ma di una moderna riforma dell’ordinamento professionale, che non punti a snaturare la professione, ma a consentirne un armonico sviluppo nel rispetto dei principi fondamentali irrinunciabili.


E’ per tutto questo, e forse per altro ancora, che le illuminate intuizioni che pure in più occasioni abbiamo avuto, non sono state in grado di superare i ristretti confini del nostro foro interno e non abbiamo saputo sino ad oggi affermare la necessità di esprimerci su tutti i temi più rilevanti di cui si discute nel Paese ed al di là dei confini nazionali, aggregando attorno a noi quella collettività per il bene della quale riteniamo di adoperarci ogni giorno.


Quanto alla magistratura, oggi pervasa da forti pulsioni interne nella direzione di un drastico rinnovamento che faccia venir meno i numerosi difetti del correntismo e del sistema di autogoverno, e minata nella credibilità da una disciplina interna che all’esterno appare assai poco trasparente ed incisiva (e che oggi anche nell’immaginario collettivo ha lo sgradevole sapore dell’autoprotezione e della sostanziale impunità), dobbiamo con pacatezza, ma con fermezza, sottolineare come in più occasioni interventi utili, tra i quali l’aumento degli organici, siano stati osteggiati per mantenere posizioni di privilegio (7), e come si sia difesa quella che viene definita “gerontocrazia”, in netta controtendenza con un Paese che chiede a gran voce rinnovamento. Non può non colpire, ed ovviamente in negativo, che i maggiori stanziamenti degli ultimi anni in favore della Giustizia, siano stati pressoché interamente assorbiti dagli oneri relativi agli stipendi dei magistrati, che ovviamente tanto più incidono quanto più il percipiente è alto nel grado.


La consapevolezza che nella elencazione delle colpe che possiamo attribuirci ben possiamo accomunarci ad altri soggetti del sistema non rappresenta comunque un viatico o un sollievo.


Non è qualunquismo o antipolitica, né demagogia o populismo ciò che vogliamo esprimere, ma voglia di buona politica per la Giustizia, quella buona politica di cui oggi più di ieri tutti i cittadini avvertono un impellente bisogno. Quella buona politica che, sola, può portare prospettive di rilancio del sistema, ed alla costruzione della quale vogliamo ancora oggi e a pieno titolo dare il nostro contributo di conoscenza e di esperienza.


Vogliamo rassicurare sin da queste primissime battute tutti coloro che sono intervenuti a questa cerimonia inaugurale e seguiranno i lavori, o ne coglieranno comunque gli echi. Non puntiamo all’affermazione di un inesistente partito degli avvocati, non inseguiamo miraggi di visibilità o riconoscimenti fine a se stessi: più semplicemente vogliamo sottolineare che a volte l’unica, vera ragione delle cose che si fanno è il bisogno di poter tenere alto lo sguardo, e di fissare coloro che a noi quotidianamente si rivolgono, riponendo in noi fiducia, affidandoci diritti violati e speranze di giustizia e di ristoro, con la serenità e la consapevolezza di aver operato al meglio delle nostre possibilità per contribuire a restituire all’amministrazione della giustizia quella credibilità e quella autorevolezza che oramai da troppo tempo l’hanno abbandonata.


Non vogliamo doverci vergognare, agli occhi dei nostri clienti, che con noi lamentano i tempi lunghi e l’ineffettività della giustizia, per non aver fatto nulla per cambiare lo stato delle cose, per non dover essere ai loro occhi neppure in minima misura complici del degrado del sistema.


Gli avvocati italiani, attraverso il loro organismo politico, da ben oltre un decennio hanno puntualmente levato la loro voce per esprimere le loro posizioni. Lo hanno sempre fatto nel rispetto dell’interlocutore e a viso aperto. Hanno espresso posizioni dettate non già da logiche di parte, o di partito, che non sono il prodotto di scelte di campo o, peggio, di preconcetti o di visioni connotate da matrice ideologica.
Mai sono state e saranno frutto di negoziazioni interessate o al ribasso: la tutela dei diritti dei cittadini e lo sviluppo del Paese sono obiettivi che non consentono alcuno spazio a logiche deteriori di scambio e ad interessi particolari.


L’avvocatura italiana, che per se rivendica soltanto analogo rispetto, vuole semplicemente dare voce alla propria passione civile, alla cultura del diritto e dei diritti di cui è portavoce e custode, e indicare alla politica le soluzioni che, alla luce della propria esperienza sul campo, ritiene più adatte al conseguimento dello scopo.


L’avvocatura politica è apartitica, è libera ed è autonoma, negli atti e ancor di più nel pensiero. Proprio l’essere voce libera, e l‘essere al fianco del cittadino, nelle sue espressioni singole o collettive, rappresenta per noi il maggiore orgoglio. Proprio per questo vogliamo continuare ad essere liberi e ad indicare senza infingimenti, di volta in volta a questa o a quella parte politica di governo, la strada che riteniamo giusto percorrere, le nostre valutazioni, le nostre proposte, con l’unico limite del rispetto dell’interlocutore, per noi mai venuto meno.


Ed allora, possiamo affermare che non abbiamo sbagliato quando abbiamo deciso, e non fu facile, di marcare una nostra maggiore e più incisiva visibilità sui temi di politica della Giustizia.
Non abbiamo sbagliato a combattere le nostre battaglie, ed anzi abbiamo buoni motivi per esserne fieri
.


Il funzionamento della Giustizia, il ripristino della legalità, i benefici effetti sui singoli e sul sistema economico che ne deriverebbero, la ritrovata credibilità nell’ambito dei rapporti internazionali, non sono obiettivi propri di una parte. L’amministrazione della Giustizia, la tutela dei diritti, non è né di destra né di sinistra, è patrimonio dell’intero corpo sociale, e la politica ha la responsabilità di elaborare e fornire risposte adeguate.


Gli avvocati italiani hanno il dovere – insito nella loro funzione di rango costituzionale – di essere vigile stimolo perchè ciò avvenga, e questa Conferenza ne è oggi la migliore attuazione.


Mutuando il titolo di un recente libro di Federico Stella, noto avvocato penalista e ordinario di diritto penale presso la Cattolica di Milano (8), possiamo affermare che la riflessione che qui oggi prende le mosse ha l’ambizione di essere una coraggiosa, appassionata, il più possibile fedele, severa e propositiva disamina della Giustizia e delle Ingiustizie, di quello che dovrebbe essere e garantire il sistema e di quello che in realtà è e non è in grado di garantire, e cioè dello stato odierno di un sistema, tanto inefficiente e degradato, quanto essenziale per aversi democrazia e tutela dei diritti nel rispetto del principio di legalità, fondamentale per lo sviluppo dei rapporti umani ed economici.


La “questione Giustizia” è seria, e giuristi, operatori e studiosi in genere tendono ad evitare di affrontarla in tutta la sua crudezza, elaborando il più delle volte teorie e soluzioni che sembrano costruite a tavolino per mondi ideali ed ipotetici, e non già, come si dovrebbe, approntate in laboratorio, scaturenti da precise analisi che abbiano un fondamento sia giuridico che scientifico, e come tali dotate di reali possibilità di esito positivo, in quanto tali auspicabilmente quanto più possibile condivise.


Occorre gettare uno sguardo disincantato e attento agli esseri che vivono nel mondo reale, che soffrono per quotidiane situazioni di grave ingiustizia, paradossalmente determinate proprio da quell’apparato istituzionale che, invece, dovrebbe approntare validi strumenti operativi di soluzione e non già elargire risposte tardive e fallaci, quantomeno per la inefficacia determinata dai lunghi tempi di attesa.


I numeri, per quanto utili e indispensabili per indagare la crisi, non sono però in grado di misurare il dolore, né possono efficacemente evidenziare le dimensioni del danno economico dei singoli e collettivo.


Non possiamo chiudere gli occhi e dipingere sulla parete del nostro desiderio visioni idilliache o fantasiose: la verità è che oggi ad essere bersaglio della oramai sempre crescente sfiducia dei cittadini, è proprio il cuore del sistema, e cioè l’effettiva capacità dello Stato – di uno Stato democratico – di esplicare una delle proprie funzioni fondamentali, la resa di Giustizia.


Occorre drasticamente incidere su di una situazione che è giorno dopo giorno fonte e ragione di disagio e mortificazione negli operatori, che scatena pulsioni distruttive da evitare e induce ad accettare senza alcuna analisi critica ogni possibile ricetta, purchè apparentemente accattivante, indipendentemente da ogni e qualsiasi approfondito studio di fattibilità e verifica sull’impatto che la stessa è destinata a produrre sul sistema, prescindendosi dal valutare la compatibilità con gli assetti costituzionali ed in particolare con i principi che reggono la giurisdizione (es. diminuzione inaccettabile delle garanzie processuali, giustificata dalla ipotetica e prospettata riduzione dei tempi).


La Carta Costituzionale è presidio di libertà e dei diritti di tutti i cittadini, e dei valori fondamentali della collettività. In essa, che rappresenta la tavola dei diritti e dei doveri dei cittadini, riscontriamo l’indicazione puntuale dei lineamenti architettonici dell’ordinamento della repubblica.
E proprio per questo non possiamo non sottolineare come la Costituzione non possa venire di volta in volta interpretata a seconda degli interessi o dei desiderata di questa o quella parte, ma applicata ed affermata in tutte le sue disposizioni.


Molte sono le norme che nella Carta Costituzionale fanno riferimento alla tutela dei diritti e all’esercizio della giurisdizione. Basti, tra le altre, ricordare:



  • l’art. 3, che sancisce il principio di eguaglianza, anche di fronte alla legge;
  • l’art. 13, che afferma l’inviolabilità della libertà personale e la possibilità che essa sia limitata unicamente in casi eccezionali;
  • l’art. 24, che afferma la possibilità per ogni cittadino di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, e l’inviolabilità del diritto di difesa ( che si esplica proprio attraverso il difensore) in ogni stato e grado del procedimento;
  • l’art. 25, che sancisce l’obbligo di precostituzione del giudice per legge;
  • l’art. 27, che accanto alla affermazione della personale responsabilità penale degli individui, pone il principio di non colpevolezza e l’altrettanto importante principio di proporzionalità ed umanità di una pena che deve tendere alla rieducazione;
  • l’art. 76, che prevede – anche per riguardo alla imprescindibile divisione dei poteri – che l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo, se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti, e che il Governo non può, sena delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria, salvo casi straordinari di necessità e di urgenza;
  • l’art. 101, che afferma che la Giustizia è amministrata in nome del popolo e che i giudici sono soggetti soltanto alla legge;
  • l’art. 102, che disciplina l’esercizio in concreto della funzione giurisdizionale, e che prevede che possano istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari, sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura;
  • l’art. 104, che sancisce l’autonomia e l’indipendenza della magistratura;
  • l’art. 106, che prevede che l’ordinamento giudiziario possa ammettere la nomina – anche elettiva – di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli;
  • l’art. 108, che prevede che le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge, e che la legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia;
  • l’art. 110, che, fatte salve le competenze del Consiglio Superiore della Magistratura, afferma la competenza del Ministro di Giustizia sull’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia;
  • l’art. 111, che afferma l’obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali e che oggi, nella nuova formulazione, contiene i principi del giusto processo, significativo frutto delle battaglie dell’avvocatura e, con particolare tenacia, dei penalisti italiani. Detti principi, com’è noto, non possono strumentalmente ed unicamente ridursi all’obbligo per lo Stato di garantire la ragionevole durata dei processi;
  • l’art. 112, che pone il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale;
  • l’art. 113, che tutela il cittadino attribuendogli il diritto di azione nei confronti della pubblica amministrazione;
  • l’art. 116, che prevede l’istituzione nelle Regioni di organi di giustizia amministrativa di primo grado.

Non è difficile scorgere i profili della impostazione costituzionale della Giustizia come servizio: alla idea autoritaria del potere si è sostituito il dovere di rendere giustizia, ed il correlativo diritto del cittadino di ottenerla (9).


Si tratta di una concezione del Servizio Giustizia che ruota attorno ad alcuni fondamentali caratteri:




  • a) l’efficienza dell’organizzazione e l’effettività della prestazione;


  • b) una reale diffusività, realizzata mediante un reticolo di sedi giudiziarie sull’intero territorio, senza vuoti o fasce oscure, ancorché ancorata a criteri di razionale utilizzo delle risorse;


  • c) la professionalità nella organizzazione e direzione degli uffici e nell’impiego degli strumenti giuridici degli operatori e collaboratori di giustizia;


  • d) la socialità, intendendosi per tale la peculiarità sociale del servizio, che deve porre la questione giustizia nella giusta collocazione nell’ambito della spesa pubblica (10).

Orbene, non v’è chi non veda come tali caratteri a tutt’oggi non si rinvengano e come i precetti costituzionali richiamati siano oggi largamente inapplicati in via di fatto.


Quanto ai precetti costituzionali, in particolare vogliamo riferirci all’art. 24, all’art. 111, ed alle norme che prevedono il ricorso eccezionale alla magistratura onoraria, oggi dilagante fenomeno alluvionale nell’ambito della giurisdizione, la quale – ben lungi dalla prevista temporaneità – si appresta a divenire vero e proprio stabile circuito di “giurisdizione parallela”, alla quale viene di volta in volta assegnata, per materia o per valore, una sempre maggiore quota di giurisdizione.


Con riferimento al principio di eguaglianza, ed al diritto di difesa, deve con forza venire sottolineato che le garanzie delle parti nel processo, sia esso civile o penale, e tra esse prima di ogni altra cosa il diritto di difesa, in ogni sua esplicazione, non possono certo venire compresse e limitate, sacrificandole sull’altare dell’efficienza e della celerità: a tacer d’altro non può negarsi che il rispetto delle garanzie fondamentali che la Costituzione riconosce ad ogni individuo ben può comportare, se non addirittura esigere, qualche sacrificio dei tempi. Può dunque correttamente sostenersi che la tutela dei diritti individuali debba opporre una certa “forza di resistenza” ove vengano proposte restrizioni in funzione di accelerazione e di efficienza, ancorché tale forza di resistenza possa risultare variamente graduata a seconda della rilevanza dei diritti in gioco (11).
Ma nel nostro Paese si va ben oltre una fisiologica lentezza!


La tutela dei diritti del cittadino non può prescindere, in linea con l’art. 111 della Costituzione e con l’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, dall’attuazione di un processo giusto, che si snodi in empi ragionevoli, in un sistema che favorisca – e non già di fatto scoraggi – l’accesso alla giustizia, che è funzione pubblica, soprattutto per i meno abbienti.


Nessuna riforma, tra quelle succedutesi nel corso degli anni, ha sin qui prodotto un qualche apprezzabile risultato, e dunque dobbiamo ritenere che, come più volte denunciato, alla prova dei fatti sia risultato errato non soltanto il singolo intervento riformatore, ma ancor di più il metodo e l’insufficiente analisi che lo hanno accompagnato.
E ciò unitamente al progressivo affermarsi di una filosofia processuale che ha sistematicamente affievolito il proprio livello di fiducia nelle parti e nei loro difensori, per accentrare sempre più le attività processuali – anche quelle più minute ed insignificanti – nelle mani del magistrato, senza tener conto della insufficienza delle risorse umane: di lì un sistema che si sviluppa attraverso rinvii interminabili, nella conclamata impossibilità, sia per assenza di volontà che per obiettiva difficoltà materiale, di imporre termini perentori anche all’attività del magistrato e non solo a quella delle parti. Le lentezze e le inefficienze sono comuni ad ogni settore e a tutti gli uffici e si riscontrano nell’applicazione di ciascuno dei diversi, numerosi riti in vigore.


Il sistema appare oggi, e oramai da troppi anni, al cittadino come una rutilante giostra, sulla quale si sale pagando ogni volta un biglietto dal costo più elevato, senza alcuna sicurezza sulla durata della “corsa” e, soprattutto, vedendo ad ogni “giro” uno scenario di inefficienza sempre uguale a se stesso (12).


Manca, ed è fatto grave, la precisa cognizione nel cittadino, di quanto il sistema Giustizia incassi, per contributi direttamente pagati dalle parti, per oneri di vario genere, tra cui l’imposta di registro, per sanzioni.
Manca, ed è difetto di trasparenza cui occorre porre al più presto rimedio, la possibilità di verificare se il servizio Giustizia sia un servizio che si “autofinanzia” o meno.


Ogni tentativo sin qui esperito dall’avvocatura per ottenere dati esatti del gettito che affluisce annualmente nelle casse del Tesoro a fronte del servizio Giustizia, si è miseramente arenato : gli unici dati di cui si dispone sono gli stanziamenti che ogni anno in finanziaria vengono attribuiti al Ministero, e il dettaglio delle spese, molte delle quali riferite all’attività di indagine nel settore penale, o al costo di personale e magistrati. Dati dei quali, comunque, troppo poco si discute.


Quanto alla magistratura onoraria, che oggi – stando ai propositi governativi in tema di riassetto del comparto e di istituzione dell’Ufficio per il processo – pare destinata ad ulteriori passi avanti sulla via di una sempre maggiore stabilizzazione, non possiamo certo dimenticare che l’avvocatura ha sempre espresso viva contrarietà nei confronti di un massiccio ricorso all’utilizzo nell’ambito della giurisdizione di magistratura non professionale, vieppiù con competenze assai ampie e senza adeguate garanzie di autonomia e di professionalità. Occorre però oggi prendere atto che il sistema si è retto, ed oggi sempre più si regge (per quanto disastrato) proprio su forze provenienti dalla società civile, le quali hanno cercato in ogni modo di qualificarsi e di rendere un accettabile servizio alla comunità, ottenendo per tutta ricompensa un trattamento palesemente inadeguato e gravemente sperequato rispetto all’impegno reso, che è oggi praticamente analogo a quello profuso dalla magistratura ordinaria. Anzi, vi sono studi che affermano non soltanto la rilevantissima sproporzione tra il costo della magistratura onoraria e della magistratura “togata”, pressoché a parità di soggetti, ma anche un maggiore indice di produttività della prima rispetto alla seconda.

Ciò – ed è storia di viva attualità – ha prodotto e produce conflitti che, abbandonando per un attimo ogni considerazione sulla opportunità o meno di proseguire sulla strada intrapresa, certamente hanno un loro obiettivo fondamento, ove si analizzino – e si intendano applicare – i precetti costituzionali che prevedono adeguata tutela del lavoro, in ogni sua forma, e della eguaglianza sostanziale che deve corrispondere a situazioni analoghe.

Ci siamo qui limitati unicamente a pochi aspetti, ma emblematici.


Nell’attuale stato di cose, oggi più che in passato, si afferma l’esigenza non già di interventi parziali, settoriali e di corto respiro, ma di quell’organica riflessione sul sistema che, sola, può consentire di conoscere a fondo la “realtà della Giustizia”, di individuare le migliori soluzioni, fors’anche rivoluzionando impianti che si sono rivelati polverosi ed inadeguati, di forzare i timori e le resistenze che sempre si accompagnano ad ogni mutamento che, investendo uno “statu quo” consolidato lascia aperti margini di incertezza, di “costruire riformando pezzo per pezzo dopo che ogni innovazione sia adeguatamente e singolarmente sperimentata, com’è proprio delle organizzazioni efficienti dei nostri tempi, di quelle cioè che danno i migliori risultati e sono sotto gli occhi di tutti(13).


Ecco dunque che occorre puntare l’attenzione non già soltanto sui riti, per proporre e sostenere ulteriori interventi di chirurgia o di microchirurgia, che a lungo andare ridurranno il corpo martoriato del processo, soprattutto civile, ad un’ammasso di cicatrici tale da non lasciane più cogliere neppure l’originaria fisionomia e, quel che è peggio, senza porre definitivo rimedio alle gravi ferite del sistema.


Occorre ripensare globalmente all’intera struttura giudiziaria, dando il via ad una ricognizione che porti a fissare i punti fondamentali attorno ai quali deve ruotare un moderno sistema giustizia, capace di rispondere efficacemente ad una domanda in costante crescita, in una società complessa, che moltiplica i diritti giustiziabili e deve confrontarsi con un numero sempre maggiore di sistemi giuridici, alcuni dei quali assai difformi.


Ed allora, come gli avvocati italiani da tempo hanno indicato, occorre un ripensamento a tutto tondo della giurisdizione, una ricognizione dei diritti che consenta di attuare distinzioni motivate e serie tra le situazioni che si reputano necessitare di soluzione all’interno del circuito giurisdizionale classico, e quelle che, invece, ben possono venire affidate a circuiti diversi, da ristrutturare fortemente o addirittura da inventare, nei quali poter attingere dall’esperienza e dal contributo dell’avvocatura e da fondi di provenienza non necessariamente pubblica.


Occorre riflettere con maggiore ampiezza di respiro, anche prospettico, sui sistemi alternativi di definizione delle controversie, che – lo si ripete per l’ennesima volta – dovrebbero risultare alternativi (e quindi oggetto di scelta) rispetto ad una giurisdizione funzionante, e non già inevitabile e pressoché forzato percorso – per coloro che possono permetterselo in termini sia culturali che economici – per ottenere una giustizia rapida, a qualunque costo. Ovvero per assecondare un fenomeno sempre in crescita di fuga dalla giurisdizione, che conduce soprattutto il cittadino meno “attrezzato” (e quindi il “consumatore” di cui tanto si parla) ad accettare clausole conciliative o arbitrali nell’ambito di un numero sempre più alto di contratti per adesione, risultando così suo malgrado potenzialmente soggetto alla futura decisione di un conciliatore il più delle volte prescelto e formato proprio dalla sua controparte.
Occorre verificare la praticabilità, e l’efficacia, in luogo di conciliazioni extraprocessuali preliminari al giudizio, che hanno mostrato e mostrano la loro sostanziale ritualità ed inutilità, di conciliazioni endoprocessuali, da collocarsi quando il thema decidendum ed il thema probandum siano già stati precisati, ed il loro possibile affidamento a soggetti qualificati diversi dal Giudice (così evitando l’anticipazione di giudizio), con margini di efficacia assai maggiori.


Occorre rivalutare, senza preconcetti, il ruolo delle parti e dei loro difensori, consentendo loro più ampi margini di intervento, anche nella fase pre-giudiziale, ripensando a modelli processuali di recente prospettazione ed introduzione (Vaccarella – societario), i quali hanno avuto l’unica colpa di non essere stati attuati, ovvero hanno scontato l’ostilità preconcetta della magistratura, timorosa di vedere compromessa la propria autorità nel processo, ed anche di parte dell’avvocatura, forse non disponibile a modificare ed accrescere la propria professionalità misurandosi con una sfida che a ben vedere accresceva il ruolo e l’importanza del difensore.


Prima di attuare ulteriori alluvionali riforme procedurali, dunque, concentriamo la nostra attenzione sulle priorità, sull’organizzazione degli uffici, sulla concreta articolazione del lavoro giudiziario, sul carico di lavoro dei magistrati, ma anche su costumi deteriori, da eliminare, su prassi viziose che per numero e diffusione superano di molto quelle virtuose, pur praticate in alcuni uffici, che paradossalmente invece di venire considerati modelli da imitare vengono additati con assai poco entusiasmo, quasi potessero rappresentare da un lato comodi alibi per non dare corso ad interventi, e dall’altro specchi nei quali la maggior parte degli addetti non è certo in grado di specchiarsi. Il primo investimento da valutare dovrebbe infatti essere finalizzato alla riorganizzazione professionale e specializzata delle strutture amministrative: uffici, organigramma, metodiche e procedure di lavoro, orari, controlli di efficienza. In questo senso dovrebbe vedersi un più efficace e razionale l’impiego delle professionalità dei dirigenti direttivi, facendo loro assumere tutte quelle competenze extraprocessuali che oggi dovrebbero venire svolte (ma spesso non lo sono) dai Presidenti – tranne alcune lodevoli eccezioni. Evitando un tale percorso preliminare, si rischia seriamente di vanificare, come avvenuto finora, ogni altra buona intenzione riformatrice che riguardi circoscrizioni, riti, giurisdizioni alternative, etc.


Affrontiamo, senza infingimenti, la piaga delle sacche di privilegio che hanno impedito anche solo di sfiorare taluni assetti, che si ritengono essenziali per poter mantenere uno status di elevato livello, cui non corrisponde peraltro la qualità delle prestazioni rese.


Promuoviamo la massima trasparenza, l’adozione di bilanci sociali degli uffici giudiziari, di carte dei servizi che gli stessi rendono al cittadino, sviluppando una positiva competizione, che risvegli dal torpore tutti quanti si sono adagiati nel pantano dello “statu quo”, riscoprendo anche nell’ambito dell’amministrazione il merito e la qualità, e potenziando formule incentivanti.


Parliamo di un sistema di rilevazione dei dati che ancora oggi non si rivela adeguato alle esigenze, non solo per responsabilità a livello centrale, ma assai più spesso per inefficienze e negligenze periferiche, che impediscono di disporre degli elementi di base sui quali elaborare, con l’aiuto della scienza matematica e statistica, precise analisi, che consentano non soltanto di valutare spietatamente l’esistente, ma anche di preventivare il reale impatto delle future riforme e, successivamente, la loro reale efficacia (14).


Parliamo della tendenza alla proliferazione dei riti processuali, che è di ostacolo all’accesso alla giustizia, ed alla introduzione ed applicazione delle tecnologie ed alla introduzione di efficaci strumenti di rilevazione dei dati, ma anche all’applicazione sull’intero territorio del processo telematico. Interroghiamoci se tale proliferazione risponda nei fatti a reali esigenze di semplificazione e di accelerazione dei processi.


Parliamo di una informatizzazione che l’avvocatura vuole con tenacia (15), e per la quale da anni massicciamente si investe, e che oggi dovrebbe essere tale da consentire non solo l’acquisizione di dati in tempo reale, e possibilmente omogenei e qualitativamente significativi per l’adozione di appositi “estrattori”, ma anche di dare l’avvio ad una ben più consistente sperimentazione del processo telematico, innovazione che – è convinzione comune – potrà imprimere una effettiva svolta positiva al sistema. Sperimentazione ed attuazione che, è ovvio, potrebbe largamente facilitata laddove – come detto – si semplificassero le procedure e le si riducessero per quanto più possibile ad unum.


Parliamo di una formazione dei soggetti della giurisdizione, e più in generale di tutte le figure che gravitano nel complesso mondo della Giustizia, che da tempo mostra la corda, e che colpevolmente viene lasciata – pur essendo di rilevante interesse pubblico – per lo più alla sensibilità e coscienza dei soggetti, con costi indebitamente gravanti, quantomeno per ciò che concerne gli avvocati, unicamente sugli organi istituzionali e sui singoli. Vi è una pressoché inesistente attenzione nei confronti del capitale umano, che è per contro un importante fattore produttivo, e si differenzia dalla capacità produttiva dei mezzi materiali, che si esaurisce nel tempo, perché la capacità dei mezzi umani si trasmette, almeno in parte, da generazione a generazione. (le conoscenze si sedimentano nel tempo).



Parliamo della dirigenza, e della assenza di competenze gestionali e manageriali che in essa si riscontrano. Parliamo dei costi, per retribuzioni ancorate non già all’effettivo lavoro svolto, ed alla qualità dello stesso, ma sostanzialmente sempre al solo dato anagrafico, che sono tra le più alte d’Europa e del mondo.


Parliamo della copertura delle piante organiche degli Uffici giudiziari, e di un sistema costantemente e gravemente squilibrato, tra organico reale e organico nominale, nonché tra magistrati impiegati nella giurisdizione e magistrati applicati ad altre attività.


Parliamo delle risorse, non solo umane, ma anche economiche di cui dispone il sistema, entrambe perennemente insufficienti per fronteggiare una domanda in costante crescita.


Parliamo, senza tabù, di una rivisitazione degli assetti della geografia giudiziaria, eliminando una volta per tutte il facile ed abusato luogo comune che avvalora l’opposizione preconcetta degli avvocati: la distribuzione degli uffici sul territorio – ed oggi fortunatamente ne stanno prendendo atto anche i più scettici – non può venire effettuata sulla sola base di aridi criteri matematici, senza poi tener conto degli indici di produttività degli uffici medesimi. La revisione delle circoscrizioni deve tener conto, anche alla luce delle esperienze estere positive sul punto, della necessità di assicurare una giustizia di prossimità, un presidio di legalità sul territorio. Deve poi tener conto della struttura socio-ambientale delle singole zone, e quindi venire promossa soltanto dopo una accurata e mirata indagine che faccia emergere gli indici utili per una riflessione analitica e corretta, e non già sbrigativa e puramente d’immagine.


Parliamo della concreta realizzazione del giusto processo, anche qui senza tabù, e quindi anche della terzietà del giudice e dei sistemi con i quali garantirla, e non solo nella giustizia civile ed in quella penale, ma anche dinanzi alle giurisdizioni speciali, cominciando da quella amministrativa.


Parliamo dell’effettività della pena, della sua natura rieducativa, della sicurezza e dei timori che – in una società avviata verso la multietnicità – di quando in quando inducono a chiedere legislazioni emergenziali. Parliamo della allarmante situazione del sistema carcerario nel nostro Paese.


Parliamo degli effetti negativi che le molte inefficienze del sistema producono sulla vita dei singoli, vanificando, spesso, una pronuncia giurisdizionale che interviene “a tempo scaduto”: parliamo della tendenza al processo di piazza, dei rapporti con l’informazione, della violazione del segreto istruttorio, dell’uso più o meno disinvolto dei mezzi di indagine, e tra essi delle intercettazioni telefoniche. Riflettiamo sul fatto che a fianco di Tribunali lenti nell’amministrare giustizia, vi è una sommaria giustizia popolare che individua prematuramente i colpevoli e tali li reputa, prescindendo dal futuro esito dei processi, e valutiamo se ciò sia compatibile con i principi che debbono reggere una moderna ed avanzata democrazia.


Parliamo di una sostanziale assenza di responsabilità, sia del magistrato, che del sistema, assenza che pesa fortemente sulla bilancia della credibilità della resa di giustizia: una azione di responsabilità nei confronti del singolo, mal strutturata e di fatto inattuata, e di fatto trasferita allo stato nei giudizi per il risarcimento per la durata eccessiva dei processi. Giudizi che oggi sono largamente essi stessi oggetto di altri giudizi dello stesso oggetto, in un circolo vizioso inarrestabile, cui recenti norme sulla impignorabilità dei beni e crediti pubblici, hanno per di più tolto qualsivoglia pur modesta incisività.


La politica, e anche la politica della Giustizia, alla quale dedichiamo da anni un inesauribile e assorbente impegno, avendo anche scelto di assumere in proprio delle responsabilità, dando corpo e vita ad un Organismo di rappresentanza che ha questo preciso compito, non può essere qualunquismo e approssimazione. E’ e deve essere ferma e consapevole assunzione di responsabilità: non può non cogliere il sempre crescente disagio dei cittadini, deve rappresentare un filtro ai loro umori, operando le opportune valutazioni e scelte, per uscire da una paralisi visibile, da un sistema vischioso che non è in grado oramai da troppo tempo di mostrare e documentare risultati seri e tendenti all’affermazione e al progressivo consolidamento di un assetto più moderno ed efficiente.


Vogliamo costruire qui, insieme, le prime basi di un percorso comune fatto di fiducia e collaborazione, tracciare i presupposti di una rivisitazione complessiva del sistema, di una sorta di Costituente per la Giustizia, che – anche alla luce delle esperienze e delle indicazioni europee – sappia trovare la giusta rotta e intraprenderla con decisione e senza ulteriori ritardi.


Forti del nostro impegno ci candidiamo a partecipare a pieno titolo a questa navigazione tanto difficile quanto stimolante, ad essere anche noi marinai semplici e ufficiali di quell’equipaggio che, alternandosi al timone, potrà restituire fiducia ai cittadini e condurre la Giustizia ben oltre le secche nelle quali è oggi arenata (16) .


L’avvocatura è e può essere una grande risorsa per il sistema giustizia e per la società civile: occorre però che si ponga fine ad una sistematica denigrazione dell’intera categoria, e alla parallela progressiva emarginazione del difensore nel processo ed al di fuori di esso.
L’avvocatura non rifugge dalle proprie responsabilità, ma intende ristabilire la realtà su abusati luoghi comuni, che la vorrebbero unicamente e visceralmente avvinta al profitto e dimentica del proprio ruolo di tutela dei diritti dei singoli e della collettività (17).
L’avvocatura di oggi raccoglie senza flessioni un numero sempre più numeroso di giovani, e tra essi numerosissime donne, che investono nella loro capacità personale, nella loro formazione, nella loro etica, per contribuire alla tutela dei diritti.
Ha avviato oramai da tempo un serio percorso di riqualificazione e di formazione, anche permanente.
Svolge un prezioso compito di interpretazione e di applicazione delle norme, contribuendo alla creazione di schemi giuridici innovativi, largamente praticati soprattutto nei rapporti internazionali.
L’avvocatura è molto altro ancora, ed è fiera della sua tradizione e del suo presente.
Ai problemi della Giustizia va e deve andare la nostra vigile attenzione ed il nostro impegno di studiosi, di operatori, e prima ancora di cittadini
.


La gratitudine, quella che oggi vogliamo tributare a tutti coloro che hanno accettato di condividere con noi il percorso che prende l’avvio proprio da questa Conferenza, è il più delle volte un sentimento della vigilia, un sentimento che rende manifesta ed esteriorizza la speranza di riuscire a determinare risultati importanti.


Vogliamo credere, con convinzione, che i lavori che qui si svolgeranno, e il loro esito, ci consentiranno di provare la medesima gratitudine anche nel chiudere la Conferenza, sabato pomeriggio, con la consapevolezza di aver tutti sottoscritto una pagina importante nel percorso di crescita, anche democratica, e di sviluppo della nostra comunità (18).


Michelina Grillo


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Note




  1. De Tocqueville – La democrazia in America;


  2. Cosa doveva essere la I° Conferenza del 1986 (documento predisposto da F. BAV, approvato dall’unione dei consigli dell’Emilia Romagna e poi fatto proprio congiuntamente dal CNF e dall’ANM):
    Un incontro paritario, sinora mai verificatosi, per la ricerca comune dei termini reali della crisi. Il difetto di comunicazione e di partecipazione allontana dalla coscienza della realtà. Un confronto aperto deve contrastare questo processo di distacco, che finisce per attentare alla stessa vitalità delle istituzioni. Gli strumenti degli addetti ai lavori sono indispensabili, ma non sufficienti: tutte le forze operanti nella società civile hanno titolo a denunciare le ragioni delle loro insoddisfazioni, a indicare senso e contenuti delle loro attese. Le tecniche del diritto che si fa e del diritto che si applica devono essere rivolte alla soluzione dei problemi concreti che la società pone. La conoscenza sistematica, completa, finalmente organica, di questi problemi è il primissimo fine della Conferenza. Si tratta di fare un inventario non illuministicamente (o paternalisticamente) calato dall’alto, ma costruito in concorso con tutti coloro che possono apportare indicazioni utili; l’inventario dei mali di cui soffre non solo la Giustizia, ma la società di un Paese con la Giustizia dissestata. In questa finalità di “analisi conoscitiva” la Conferenza gioca un ruolo veramente unico di collaborazione con il legislatore ed il governo, mettendo a loro disposizione una serie di dati ed esperienze su cui soltanto può costruirsi una giusta ed informata volontà politica. Solo la disponibilità di dati scaturiti da un generale ed articolato dibattito può fondare un organico disegno di rinnovamento, e far giustizia degli interventi per leggine e novelle prive di coordinamento. La seconda finalità è quella di raccogliere le più ampie indicazioni sul programma da affrontare, sulle priorità operative, sulle metodologie da adottare. Gli specifici punti del programma non potranno che essere elaborati nel dibattito.”


  3. Quaderni di ricerca – Centro Studi Confindustria – n. 4 settembre 2007 – “Una democrazia funzionante per una politica economica riformatrice”. A ragione si è infatti rilevato che “L’efficienza o meno, la velocità o meno, dell’amministrazione della giustizia è certo un elemento sistemico che pesa notevolmente nel rating relativo al grado di modernizzazione e sviluppo di un Paese.”


  4. Per limitarci all’epoca successiva alla I° Conferenza Nazionale della Giustizia di Bologna, 1986, si richiamano i documenti conclusivi dei Congressi Nazionali Forensi, i documenti conclusivi delle Conferenze Nazionali dell’Avvocatura organizzate dall’Oua a Pescara (1997), Pisa (1999), Riva del Garda (2001) e Napoli (2005), nonché i tre Controrapporti OUA sui dati dell’amministrazione giudiziaria, l’ultimo dei quali è stato presentato a Roma nel dicembre 2006;


  5. Nel novembre 1986 si svolse la I° Conferenza della Giustizia, nella città di Bologna. per la prima volta in Italia ( e forse anche in Europa) vide la luce, anche su pressione degli Avvocati italiani, una iniziativa, quale la Conferenza della Giustizia, che vedeva convocati tutti gli operatori del processo, per un libero scambio di studi, esperienze e proposte, per rendere efficace la risposta del Paese al bisogno ed alla richiesta da parte dei cittadini tutti di Giustizia. Nasce per la prima volta anche la concezione del “servizio Giustizia”, per riproporre i cittadino e i suoi diritti come punto cardine di ogni intervento.
    Il Sindaco di Bologna, Renzo Imbeni, sottolineò nel suo saluto ai partecipanti come:
    Ai tempi nostri sulla Giustizia ed i suoi problemi si fa prevalentemente polemica, ci si divide aspramente. E’ il cittadino che giudica la Giustizia. Bisogna guardare in faccia la realtà. Il giudizio è severo: la giustizia è lenta, costa molto…….E’ indispensabile un confronto che non si limiti alla ennesima denuncia o alla notarile elencazione di limiti e disfunzioni che sono sotto gli occhi di tutti, ma che sia capace di segnare una nuova fase di proposte operative in grado di offrire certezze e garanzie sia agli operatori che ai cittadini…….Verso questa Conferenza c’è molta attenzione: è importante che vengano indicate scelte capaci di accelerare la riforma dell’amministrazione della Giustizia, correggendone limiti ed errori, nuovi indirizzi capaci d fare dell’Italia un paese sempre più progredito, moderno e giusto


  6. così un recente ed efficace titolo di copertina de l’Espresso;


  7. Si vedano a riguardo, a solo titolo esemplificativo, gli interventi di autorevoli magistrati che compaiono sul blog toghe.blogspot.com e tra essi un post di di Nello Rossi (Consigliere della Corte Suprema di Cassazione. Segretario Generale dell’Associazione Nazionale Magistrati) del 7.10.2007, nel quale si legge testualmente : “So bene che ovunque, ma soprattutto in alcuni uffici del profondo Sud, esistono due magistrature.Una burocratica, timida verso il potere, ossequiente e talora connivente.L’altra – spesso incarnata dai magistrati più giovani – animata da una genuina tensione ideale e dall’ansia di affermare legalità ed eguaglianza per cambiare lo stato delle cose esistenti”. Si veda altresì la recentissima inchiesta pubblicata in data 8.10.07 dal quotidiano La Stampa “L’altra casta : meriti e privilegi dei magistrati – Tra stipendi d’oro e travet”.


  8. Federico Stella “La Giustizia e le Ingiustizie” – Saggi – Il Mulino 2006;


  9. Si vedano gli scritti dell’avvocatura prodotti in occasione della I° Conferenza Nazionale della Giustizia – Bologna 1986, nei quali il passaggio qui indicato viene diffusamente analizzato, con prospettazioni ancora oggi attualissime e con l’indicazione di doveri dello Stato, purtroppo, a tutt’oggi inadempiuti;


  10. Così testualmente Franzo Grande Stevens – Presidente CNF – Bologna 1986;


  11. Non è soltanto l’Avvocatura a sostenere con forza una tale tesi, ma anche illustri giuristi, studiosi e le stsse forze sociali. Si veda, da ultimo, lo studio di Confindustria citato;


  12. Virginio Rognoni, allora Ministro di Grazia e Giustizia, nella prolusione alla I° Conferenza Nazionale della Giustizia di Bologna, 1986, affermava “Non da oggi, certamente, si avverte l’inadeguatezza del sistema giudiziario e si segnala la necessità di riformarlo. Ma mai come oggi è stata acuta e diffusa la consapevolezza del divario esistente tra la domanda di giustizia, nei suoi aspetti quantitativi e qualitativi, e la risposta che questa domanda riceve”. Si trattava di ben 21 anni fa;


  13. Così Franzo Grande Stevens, presidente del CNF, negli scritti in occasione della I° Conferenza Nazionale della Giustizia – Bologna 28-29-30 novembre 1986;


  14. Nella relazione preliminare alla Conferenza Nazionale della Giustizia del 1986, predisposta dal CNF, già si segnalava l’importana dei dati statistici, unita alla difficoltà della rilevazione e delle analisi, occorrendo l’individuazione di metodologie che, oltre ad offrire i dati statistici, ne consentissero l’analisi a fini di programma.


  15. L’OUA, così come il CNF, è partner di progetto del “Piano triennale di e-government del processo civile” e tutti gli Ordini hanno affrontato oneri non modesti per finanziare fasi del progetto o per dotarsi di idonee attrezzature e software, promuovendo la cultura del processo telematico tra i loro iscritti;


  16. Anche in occasione della I° Conferenza Nazionale della Giustizia del 1986, l’obiettivo, e la volontà degli avvocati, era – sulla base di una conoscenza reale dei dati quale sarebbe scaturita dal confronto – l’individuazione di razionali programmi, con rigorosa attuazione nei tempi, per riforme di fondo, destinate all’oggi e al domani, “con la dovuta priorità che i problemi della Giustizia, fundamentum rei publicae, richiedono”. (note di saluto dell’avv. Angiola Sbaiz – indimenticata presidente dell’Ordine di Bologna).
    Era poi prevista la costituzione di una Consulta permanente per raccogliere i risultati della Conferenza, elaborarli, e porre a fuoco contenuti e proposte presso le sedi competenti. Purtroppo quella Consulta non fu mai costituita e i problemi della Giustizia sono rimasti sostanzialmente inalterati.


  17. Nell’editoriale pubblicato sul numero speciale del Notiziario dell’Ordine Forense di Bologna, pubblicato in occasione della I° Conferenza Nazionale della Giustizia, l’avvocato Francesco Berti Arnoaldi Veli scriveva: “Vi è in tutto ciò una ragione, che affonda le sue radici direttamente nel ruolo civile e costituzionale dell’avvocato; in quella che una retorica imperitura ha chiamato per molto tempo la “missione dell’avvocato”, e che è più propriamente il collocarsi dell’avvocato nel cuore stesso delle situazioni di vita dalle quali scaturiscono l’attesa e la speranza di giustizia – queste sì autenticamente imperiture. Mediatore preordinato e necessario di tali esigenze, l’avvocato ne ha conoscenza ed esperienza immediate. E’ a lui, nella sua funzione di custode e di garante del diritto costituzionale di difesa, che il cittadino confida e affida le sue speranze, ma anche le sue reazioni umane, di sdegno, di paura, di impazienza. Ed è l’avvocato che sente per primo, con ansia, che nella genesi della crescente insicurezza serpeggiante nella società civile una parte decisiva spetta alla delusione, talora alla rabbia, del cittadino che vede stemperate le sue attese di giustizia in processi dalla durata sempre più lunga; che vede perdente la giustizia pubblica nei casi che più gravemente colpiscono la coscienza nazionale; che sente il distacco disperante tra la “cifra” giudiziaria e la realtà.”“ C’è una immagine, esemplificata sullo stereotipo negativo manzoniano, che l’avvocatura italiana, insistendo con tanta determinazione per la Conferenza della Giustizia, dimostra di non meritare: quella dell’avvocato solidale con un sistema giudiziario a tempi lunghi, chiuso ai profani, accessibile solo a iniziati detentori di chiavi sacrali, ed a misura dell’azzeccagarbugli che sa che la lite dum pendet rendet. Quando gli avvocati, laboriosamente e vincendo essi stessi resistenze al proprio interno, avvertono ed interpretano dinanzi alla coscienza pubblica l’esigenza diffusa di indir gli “stati generali” della Giustizia proprio per avere un servizio di giustizia adeguato al presente, si fanno promotori di un radicale rinnovamento che tra le primissime vittime annovera il non rimpianto Azzeccagarbugli; ma che soprattutto è mirato ad arrestare una perdita di fiducia dei cittadini che minaccia di diventare irreversibile, e una finale perdita di cedibilità dello Stato, dalle incalcolabili conseguenze. Ed è qui che la denuncia raccolta dagli avvocati si incontra naturalmente con la necessaria partecipazione degli altri, di tutti gli altri, al capezzale del grande malato. E’ qui che l’ombra dell’utente incombe come un personaggio onnipresente e scomodo: quello al quale gli operatori non di giustizia ma per la giustizia – dal Parlamento al Ministro, al giudice, al cancelliere, al giovane procuratore….- devono, in fedeltà alla Costituzione, rendere i conti. I conti saranno lunghi, difficili. Ragione di più per rendere aperto, esauriente, anche impietoso il dibattito. Dal quale nessuno può attendersi effetti taumaturgici: ma è lecito confidare che in tutti sia presente quello spirito di operare “per la giustizia” che a molti è stata ina causa vivendi, testimoniata con la vita”.


  18. Ed ora (come disse F. BAV nel Suo editoriale contenuto nel numero speciale della rivista dell’Ordine di Bologna dedicata alla Conferenza), mentre le luci della Conferenza stanno per accendrsi, resta da verificare alla prova delle cose se l’aspirazione della società civile ad una Giustizia finalmente efficace e moderna sarà bene interpretata; se l’intento di lavorare assieme si realizzerà davvero, col suo potenziale di energia innovatrice; se l’inventario dei mali della giustizia riuscirà a mobilitare storici e politici, economisti e avvocati, magistrati e sindacalisti, legislatori e studiosi in un impegno comune; se finalmente, attraverso consonanze  e dissonanze di tante voi diverse, il grande sconosciuto – l’utente della giustizia – riuscirà a far sentir le sue esigenze elementari, ed a porsi in definitiva come vero giudice del funzionamento e della resa di un servizio che gli è garantito nel più alto dei modi, dalla parola stessa della Costituzione.