V CONFERENZA NAZIONALE DELL’AVVOCATURA


II Conferenza della Giustizia



Roma 11-13 ottobre 2007
Auditorium del Massimo


Intervento del Vice Presidente OUA
Avv. Antonio Giorgino


Nel lontano 1986 ebbi il privilegio, in rappresentanza del mio ordine di appartenenza, di partecipare alla Prima Conferenza Nazionale della Giustizia. Un appuntamento, realizzato dall’allora Guardasigilli Virginio Rognoni e fortemente voluto dagli Avvocati Italiani, in particolar modo dal Presidente dell’Ordine di Bologna, Avv. Angiola Sbais, a cui va, in questo momento, il commosso e grato ricordo di noi tutti.
Ventuno anni dopo, la soddisfazione per quella felice intuizione lontana nel tempo ma non nei ricordi, si fonde alla gratificazione odierna.
E’, infatti, per me motivo di grande orgoglio aprire ufficialmente la seconda Conferenza sulla Giustizia organizzata e promossa dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana: organismo di rappresentanza politica del mondo forense ed espressione diretta del Congresso, nei suoi obbiettivi a breve e lungo termine.
Fedele all’esigenza di sintesi connessa ad un intervento di introduzione della manifestazione odierna, consentitemi di svolgere solo alcune considerazioni, evidenziando, quasi come premessa epistemologica, la indiscussa relazionalità esistente tra Giustizia e Società. Una relazionalità dinamica che affonda le ragioni della propria esistenza nella convinzione diffusa e generalizzata che i mali della società si riflettono sull’amministrazione della giustizia e che le disfunzioni della giustizia, specie quando quest’ultima non è percepita come valore, accelerano le prospettive di desocializzazione, alle quali assistiamo continuamente in questa contemporaneità intrisa di contraddizioni e visibile fonte di frastuoni.
Secondo il filosofo americano John Rawls, autore della celebre opera Una teoria della Giustizia, la giustizia, nella sua accezione più ampia (e, quindi, non solo nella sua prospettiva meramente giurisdizionale) è la prima virtù delle istituzioni sociali, così come la verità lo è dei sistemi di pensiero.
Sottolineare l’importanza del senso della giustizia, la centralità di questo sistema valoriale nella sua intrinseca capacita` di determinazione delle dinamiche sociali, l’intreccio (anche semantico) con la legalità, l’equità e l’uguaglianza, nel pieno rispetto della libertà e delle libertà, non può mai essere occasione di retorica. Così come non può esserlo, la ricerca delle ragioni dell’efficienza di tutte le istituzioni preposte al raggiungimento di questi obiettivi ambiziosi, realizzabili, peraltro, solo se matura effettivamente il concorso di tutti. Un concorso operoso e consapevole.
L’efficienza per la giustizia è, per dirla con il linguaggio della filosofia, questione ontologica e non solo fenomenologica.
Non solo. Nell’attuale momento storico, segnato da un tasso di conflittualità origine di non poche preoccupazioni, al diritto, in quanto sintesi legislativa delle risposte date o da dare alle diverse istanze del tessuto macro e micro sociale, si chiede oltre alla garanzia della certezza (premessa per l’efficienza e per l’efficacia della giustizia) anche, e soprattutto, quella dell’equilibrio.
Diventa sempre più pressante, infatti, l’esigenza di un diritto equo, e perciò equilibrato, sigillo di lealtà, di moralità e di imparzialità di tutte le persone (unicuique suum) e per tutte le persone.
L’equilibrio sociale, l’esigenza di ragionare dal punto di vista paradigmatico in termini funzionalistici e strutturali, non è solo una auspicabile qualità dei legislatori, dei giudici e degli altri operatori del diritto, ne` può essere solo virtù soggettiva del singolo. Deve essere criterio comportamentale delle istituzioni, specie di quelle giuridiche. A loro spetta il compito di individuare, con costanza, e di garantire, reiteratamente, le forme più idonee a realizzare questo obiettivo di fondo, attraverso strumenti di mediazione fra la giustizia astratta dei diritti e le esigenze etiche, senza sbattere le porte in faccia alle ragioni di quell’evoluzionismo, sintetizzabile, almeno nelle sue forme più evidenti, con l’espressione di darwinismo sociale.
Allargando solo un po’ la visione prospettica di questa Conferenza, di fronte a noi abbiamo due grandi rischi.
Il primo: quello di ragionare in termini di dirittismo e non di diritto, con un inevitabile squilibrio a favore dei diritti e non anche (e contemporaneamente) dei doveri.
Il secondo: quello di enfatizzare l’individuo più della persona, con la conseguenza di mantenere sullo sfondo le potenzialità dell’ io sociale, per lasciare spazio alla cultura del soggettivismo: cultura che riduce al massimo le possibilità di coesione e di condivisione valoriale.
In questo quadro, dunque, la Giustizia si pone anche come teoria deontologica, cioè come dovere generale.
Fu questa l’idea forte, meglio il risultato più lusinghiero, che emerse dai lavori della Prima Conferenza Nazionale della Giustizia di Bologna: la Giustizia è un servizio che si deve alla Comunità e non l’esercizio di potere da parte dell’amministrazione giudiziaria, pur in tutte le sue articolazioni.
E’ il cittadino che ha il diritto di ottenere quel servizio o prodotto sociale che è la resa di giustizia e di qualità accettabile: e cioè servizio dato in tempi ragionevoli da una organizzazione nella quale confluisce l’impegno paritario di magistrati ed avvocati con i propri doveri e le proprie responsabilità.
Questo cammino non è stato facile e non lo è tuttora per pigrizia intellettuale e per mancata e reiterata assimilazione ai principi consacrati nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, di recente recepiti nelle modifiche della nostra Carta Costituzionale (art.111)
Assai pertinente, a riguardo, è stato il monito del Presidente della Repubblica nel messaggio pronunciato il giorno del suo insediamento davanti alle Camere riunite in seduta comune. Messaggio con il quale, in sostanza, veniva sottolineato come i problemi della legalità e della moralità pubblica si presentano ancora aperti, attraverso modalità inquietanti ed in ambiti che avremmo sperato restassero immuni; mentre restano, purtroppo, critiche le condizioni dell’Amministrazione della Giustizia sotto il profilo (soprattutto) della durata del processo.
Nel nostro Paese esiste un forte divario tra la domanda di giustizia nei suoi aspetti quantitativi e qualitativi e la risposta assai deludente che questa domanda riceve, per responsabilita` di vario genere e certo non di matrice esclusivamente politica.
Spesso e volentieri vengono trasferiti al sistema giustizia conflitti non compiutamente definiti o definibili da parte dei diversi “agenti” impegnati nella mediazione politica ed il processo (sede naturale in cui devono confrontarsi, nelle forme tipiche della giurisdizione, le istanze dotate di pari dignità) non riesce ad assolvere a tale ruolo.
Con le proiezioni, di qui a poco, di alcuni dati emerge che la domanda di giustizia, nel nostro Paese, è aumentata e continua ad aumentare, con grande disagio per il rispetto dei diritti dei cittadini e ostacolando lo sviluppo delle imprese.
In questa situazione, occorre una politica della Giustizia e per la Giustizia, che garantisca efficienza nel suo apparato complessivo ed organico, sotto il profilo del binomio costi e benefici, ma che sia in grado di assicurare un prodotto giurisdizionale vissuto da tutti come risultato di un complesso, ampio e diversificato processo di intermediazione e di ruoli.
In questa prospettiva la funzione dell’avvocato, evidentemente, trae il massimo della realizzazione nella propria funzione pubblica, presente costantemente, come si evince da una lettura non distratta della nostra Costituzione.
L’Avvocatura Italiana non ha mancato in ogni occasione, fin da quel lontano 1986 (e per la verità anche prima) di richiamare l’attenzione del Governo e del Parlamento sulla crisi della Giustizia e sui problemi dell’Amministrazione giudiziaria.
Non ha rinunciato a porre in evidenza le disfunzioni, le difficoltà vissute nel quotidiano esercizio professionale, i contrasti che si sono prodotti in particolari momenti e situazioni con la Magistratura, le necessità di interventi strutturali ed operativi.
E’ giunto quindi il momento in cui politica, magistratura, avvocatura nella sua interezza (e quindi senza divisioni interne fra istituzioni ed associazioni), personale giudiziario, tutti insieme, nella più ampia libertà dialettica delle opinioni (che è poi il sale e la ricchezza della democrazia) si battano per una reale inversione di rotta. Un cambiamento rilevante sotto il profilo culturale ed empirico, con programmi, scelte, risultati concreti, capaci di incidere veramente, e di consegnare all’opinione pubblica del nostro Paese un forte segnale di discontinuità rispetto al passato, un segnale rilevante sotto il profilo diacronico.
E’ l’unica strada che possiamo e dobbiamo percorrere, se non vogliamo cedere alla tentazione della resa.
Occorre cambiare in modo graduale, edificando un nuovo approccio ai temi della giustizia, ma sempre nell`ambito di una visione chiara, sin dall’inizio, del procedimento da seguire e degli scopi da raggiungere, respingendo così, in maniera decisa, la logica di una legislazione emergenziale. Logica che da anni viene attuata nel campo della Giustizia. E non solo.
La denuncia e la critica non bastano piu`. Devono accompagnarsi alla concreta indicazione dei rimedi possibili.
Posso assicurarvi da addetto ai lavori, con quasi cinquant’anni di attività professionale alle spalle e con una decennale esperienza di rappresentanza istituzionale e politico del ceto forense, che gli avvocati si muoveranno nell’immediato futuro con la stessa tenacia con la quale hanno voluto questa seconda Conferenza Nazionale della Giustizia. Conferenza che ha come obbiettivo non solo di disegnare un quadro fedele e completo dei problemi veramente urgenti della Giustizia Italiana, ma anche di indicare soluzioni praticabili, specie dopo il confronto con le diverse componenti sociali, economiche, politiche di quella parte della società che non accetta di gettare la spugna.
L’auspicio dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana, delle Istituzioni forensi e dell’intero mondo associativo è che questa Conferenza non esaurisca i suoi effetti nelle giornate programmate dei lavori, ma segni il punto di svolta necessario a restituire al nostro Paese un clima di confronto vero, e non di scontro, gettando così le premesse per una nuova cultura dell’amministrazione giudiziaria e per la realizzazione di quello che non esito a definire un “rinascimento della giustizia”.
Con questo auspicio, dichiaro aperti i lavori della Seconda Conferenza Nazionale della Giustizia, assolvendo così al piacevole compito di cedere la parola al Presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, Michelina Grillo.
Spetta a lei, con lo stesso entusiasmo e pari professionalità di chi nel lontano 1986 volle la prima Conferenza, tenere la relazione introduttiva, riempiendo così di contenuti il titolo di questo importante appuntamento: “Se questa è Giustizia……….. una rinascita che non può attendere”.
Grazie per la vostra attenzione.


Antonio Giorgino