TRIBUNALE DI TRANI
Sezione distaccata di Andria
– Sezione civile –


nella causa civile n.10230/04 R. G. vertente tra le seguenti parti:


1) **** +1 (Avv.ti I. e M.);
2) **** & C. S.a.s. (Avv. S.);


Sciogliendo la riserva formulata all’udienza del 13.2.2007;
Ha pronunciato la seguente:


ORDINANZA


Con ricorso ex artt. 700 c.p.c. depositato in data 27.7.2004, i coniugi ****, premesso:




  • – di essere proprietari di un immobile sito in Andria, alla via **** n. 33, costituito da piano ammezzato, primo piano e lastrico solare;


  • – che al civico n. 31 era ubicato un panificio, denominato “Panificio **** & C. Sas”;


  • – che da tale panificio provenivano immissioni intollerabili di rumori, che impedivano il riposo notturno, di calore, soprattutto nel periodo estivo, nonché di nauseabonde esalazioni, sin dalle prime ore del mattino;


  • – che, con verbale di rilevamento acustico effettuato dalla ARPA Puglia il 24.5.2004, veniva rilevato che “a finestre chiuse e aperte è superato il valore limite del criterio differenziale di immissione di 3.0 dB (A) in periodo notturno e in ambiente abitativo e che le emissioni rumorose prodotte dall’attività di panificazione provocavano inquinamento acustico ai sensi delle leggi 447/95, DPCM 14/1197 e L.R. n. 3/02,m superando di 19 dB (A) a finestre chiuse e di 21 dB (A) a finestre aperte il valore fissato dalle menzionate norme;


  • – che il detto verbale veniva trasmesso al sindaco di Andria nonchè al panificio in questione per la eliminazione di tali intollerabili immissioni, ma da tale trasmissione non derivava alcun positivo effetto;


  • – che avevano subito un peggioramento delle proprie condizioni psicofisiche derivanti da tale situazione ambientale, con compromissione del proprio diritto alla salute costituzionalmente garantito dall’art. 32 della Costituzione;


  • – che il periculum in mora doveva ritenersi in re ipsa, comportando, le immissioni nocive, l’alterazione del loro equilibrio psico-fisico, come anche documentato da certificazione medica;


  • – che il panificio era rimasto inerte a fronte delle contestazioni effettuate;

tanto premesso, chiedevano che fosse ordinato al panificio “**** & C. Sas” ogni provvedimento opportuno per porre fine alle immissioni intollerabili di rumori, calore ed esalazioni.
Con decreto inaudita altera parte, l’istruttore dell’epoca concedeva termine di 20 gg. dalla comunicazione del decreto per provvedere all’adozione delle cautele necessarie al rispetto dei limiti delle immissioni sonore e termiche legislativamente stabilite, con verifica da parte dell’ARPA, e fissava l’udienza per la conferma, modifica o revoca del decreto.
Instauratosi poi il contraddittorio, si costituiva la società convenuta, la quale non prendeva posizione sulle contestazioni dei ricorrenti, esponendo solamente che aveva provveduto all’adozione dei presidi necessari per l’eliminazione delle immissioni di rumore e di calore lamentate da parte dei ricorrenti nonché di aver provveduto ad inoltrare formale richiesta all’ARPA Puglia onde procedere alla ripetizione dei rilievi fonometrici e alla verifica dell’eliminazione delle fonti di inquinamento acustico.
Il giudizio veniva istruito con una CTU.
All’esito, dopo una serie di rinvii onde consentire la richiesta di chiarimenti al CTU ed una parziale rinnovazione di CTU, all’udienza del 13.2.2007, il Giudice si riservava per l’emissione dell’ordinanza interdittale.


Diritto.
La domanda è fondata.
Va premesso che i ricorrenti hanno agito anzitutto per la tutela del loro diritto alla salute compromesso dalle immissioni intollerabili da rumore.
Sul punto, va premesso che, secondo la costante giurisprudenza, il diritto alla salute è configurato in termini di diritto soggettivo assoluto, come tale facente parte dello statuto della «persona», inquadrabile quindi tra i diritti della personalità, capace di esprimere un criterio di giudizio nei confronti di comportamenti che, pur di per sé leciti, finiscono per incidere sulla salute altrui.
Il conflitto tra diritto alla salute, da una parte, e diritto di proprietà o di iniziativa economica, dall’altra, non può che risolversi a favore del primo, indipendentemente dalla circostanza che il fatto lesivo provenga da un soggetto privato o da una pubblica autorità.
Il che vuol dire, in termini concreti, riferiti alla vicenda in esame, che la produzione di emissioni sonore e termiche, anche se attinenti all’esercizio di un’attività economica, deve arrestarsi allorché sia idonea a produrre pregiudizio alla salute altrui.
Il problema è in ordine alla individuazione del limite oltre il quale l’emissione sonora provoca sofferenza e perciò danno alla salute, ed alla individuazione dello strumento normativo, in forza del quale possa imporsi la limitazione del livello di rumore.
La giurisprudenza ha fatto ricorso, in via analogica, alla normativa sulle immissioni di cui all’art. 844 c.c. in tema di proprietà, e correlativamente, al criterio di «tollerabilità», per cui la scelta della norma applicabile ha imposto di conseguenza la scelta del tipo di limite.
La tutela della salute è perciò attualmente garantita dall’applicazione diretta e autonoma dell’art. 32 cost. (suggerita dalla Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 88 del 1979) con il ricorso strumentale all’art. 844 c.c. ai soli fini dell’utilizzazione del concetto di normale tollerabilità delle immissioni.
In termini specifici, resta, però, praticamente impossibile determinare quale sia la normale salute e quale sia la normale sensibilità, chiaro essendo che le situazioni personali concrete sono estremamente variabili, così come possono essere diversi e variabili i punti di vista in base ai quali si giudica la normalità.
Infatti, per definire la normale tollerabilità, bisogna anche tener conto di numerose variabili: la destinazione economico-sociale dei fondi interessati (zone rurali, zone industriali, zone abitative); le abitudini di vita delle popolazioni locali; la rumorosità ambientale (a prescindere cioè dalla fonte sonora oggetto dell’indagine); la natura e le caratteristiche del rumore (durata, intensità, intermittenza, continuità).
Si deve perciò escludere che la normale tollerabilità possa essere considerata con esclusivo riferimento alla disciplina pubblicistica in tema di inquinamento acustico, perché in tal modo si rinuncerebbe all’accertamento in concreto della lesione del bene protetto (in tal senso, Trattato dir. priv. diretto da Rescigno, vol. VII, 402; PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, Immissioni, normale tollerabilità e tutela dell’ambiente (alla ricerca di declamazioni mentitorie della giurisprudenza), Rass. civ. 1990, 902).
La prevalente giurisprudenza di legittimità e di merito ha in via di principio ritenuto eccedenti il limite della tollerabilità quelle immissioni sonore che superino di tre decibels la rumorosità di fondo (possono citarsi, ad esempio, App. Milano 9 maggio 1986, Foro it. 1986, I, 2870; Trib. Savona 31 gennaio 1990, cit., e così continuando); tale criterio è stato successivamente recepito dal D.P.C.M. 1° marzo 1991, dalla legge 447/95 e dal DPCM 14.11.1997, che individua, per ciascuna delle aree in cui è diviso il territorio comunale, il livello di tollerabilità delle emissioni o immissioni sonore compatibile con le attività ivi prevalentemente condotte; la norma deve essere peraltro applicata in modo da raggiungere la finalità di tutela della salute e della quiete pubblica dall’inquinamento acustico; per una corretta valutazione delle singole situazioni, è necessario poi considerare sia la zona dove le emissioni vengono prodotte, sia la zona in cui queste vengono percepite.
Ora, l’art. 2, comma 2, DPCM 1°.3.1991, dispone che, per le zone non esclusivamente industriali (come quella in questione), quale soglia limite della tollerabilità e quindi quale differenza, tra il rumore ambientale e quello residuo, il limite di 5 dB durante il periodo diurno e 3 dB durante quello notturno.
Poiché un incremento di tre decibels nell’intensità sonora comporta un raddoppio di essa, si ammette comunemente che, col raddoppio, il fastidio che può dare l’emissione sonora si tramuti in sofferenza.
La sofferenza assume contorni patologici sia a livello uditivo che a livello psichico ed è tanto più grave quanto maggiore è la durata di esposizione alle emissioni sonore di tale sorgente.
Il criterio oggettivo fondamentale per verificare la pericolosità di una sorgente sonora è perciò quello comparativo relativo.
Con l’avvertenza che, da solo, non basta a definire illecita una emissione sonora, dovendosi tener conto di tutti quegli altri elementi di cui s’è detto.
Premesso quanto sopra, nel concreto, il perito di ufficio ha rilevato (con l’assistenza di un ausiliario competente in acustica ambientale, di un primo fonometro di rilevazione e poi di un secondo fonometro di rilevazione, calcolando la differenza tra il livello di rumore ambientale misurato a finestre chiuse ed aperte, con sorgente rumorosa attivata ed il livello di rumore residuo, a finestre chiuse ed aperte, con sorgente rumorosa disattivata), l’eccedenza della sorgente rumorosa rispetto al livello di normale tollerabilità secondo la normativa vigente, tenuto conto – come detto – del rumore di fondo dei luoghi, delle attività che normalmente si svolgono nella zona e delle priorità dell’uso della detta zona, a fini abitativi e residenziali sulla base delle autorizzazioni amministrative.
Tale eccedenza è stata verificata sia dando il preavviso alle parti che senza preavviso, e in tutte le misurazioni il rumore ha superato il valore limite (con la finestra del soggiorno aperta, chiusa, con il vano letto avente finestra aperta e chiusa).
Il CTU ha inoltre evidenziato che, in alcuni casi (con la finestra del soggiorno aperta), il rumore è di tipo “impulsivo, con disagio” per l’integrità psicofisica.
La domanda pertanto è fondata e, con riferimento alle immissioni sonore, il rimedio è costituito (v. CTU., alla pag. 60):
1) dallo spostamento del murale caldaia a gas, posto sulla muratura dell’atrio o chiostrina comune;
2) dallo spostamento della cella frigo, posta nel vano deposito;
3) dal miglioramento dei dispositivi di attenuazione, propagazione, vibrazioni e rumori per via strutturale.


Venendo, adesso, alla seconda doglianza dei ricorrenti, relativa alla emissione in atmosfera di odori nauseabondi, diffusi nella loro abitazione, va detto che anche questa è fondata.
L’esperto – coadiuvato da un ausiliare universitario, iscritto all’ordine dei chimici di Bari – ha rilevato, alla stregua della normativa costituita dal D.M. 25.8.2000, allegato 4), recante aggiornamento dei metodi di campionamento analisi e valutazione degli inquinanti ai sensi del D.P.R. 203/1988, la sussistenza di “sostanze organiche volatili liberatesi, durante la fase di cottura dei prodotti da forno”, utilizzando all’uopo delle pompe volumetriche di aspirazione fornite di certificato di taratura ed effettuando le relative analisi chimiche per via gascromatografica delle soluzioni provenienti da desorbimento delle tre fiale di carbone attivo adoperate i diversi punti di misura.
Ora, tale tipologia di immissione ed il problema del disturbo odorigeno – anche se nella consulenza nulla si dice sul fatto se siano stati superati i valori limite di qualità dell’aria di cui all’art. 2 del D.P.R. 203/1988, o comunque gli agenti inquinanti, cosicché non si può comprendere se siano stati superati o meno i limiti consentiti di tossicità delle sostanze inquinanti nell’aria – rappresenta anch’essa, in re ipsa, un pericolo alla integrità psico – fisica dei ricorrenti, non essendo tollerabile la permanenza in un ambiente (oltretutto abitativo) caratterizzato da emissioni diffuse di sostanze originate dalle lavorazioni e dalla cottura di prodotti da forno; nè la ditta ha realizzato od installato alcuna opera strutturale finalizzata alla riduzione e/o al contenimento delle propagazioni delle sostanze odorigene e delle esalazioni da forno. Rispetto alla problematica degli odori, è necessario, dunque, alla stregua di quanto sostenuto dal CTU nella relazione, che la società resistente effettui opportuni interventi risolutivi per l’abbattimento delle emissioni maleodoranti tuttora esistenti e provenienti dai punti dell’impianto, nei limiti della migliore tecnologia disponibile.
Secondo la definizione data dall’art. 2, punto 7, del DPR 203/1988, si intende, per migliore tecnologia disponibile, il “sistema tecnologico adeguatamente verificato e sperimentato che consente il contenimento e/o la riduzione delle emissioni a livelli accettabili per la protezione della salute e dell’ambiente, semprechè l’applicazione di tali misure non comporti costi eccessivi”.
Lo strumento indicato con la locuzione di “migliore tecnologia disponibile” (in seguito, prevalentemente sostituita da quella di “migliori tecniche disponibili”), dopo essere stato “importato” dagli ordinamenti americano ed inglese, ha avuto una diffusa, crescente utilizzazione nelle normative di tutela ambientale nei diversi settori.
Parafrasando la definizione, che ha una portata generale più attuale e consolidata, contenuta nella Direttiva 96/61/CE, può dirsi che si tratta di quelle tecniche e modalità di progettazione, costruzione, manutenzione, esercizio e chiusura degli impianti, più efficaci per ottenere un elevato livello di protezione dell’ambiente, che risultino sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente valide nell’ambito del pertinente comparto industriale.
Alla stregua di quanto detto, anche la seconda doglianza è fondata e deve dunque ordinarsi al panificio resistente di adottare, in relazione alla migliore tecnologia disponibile, un adeguato intervento funzionale al contenimento delle emissioni di sostanze volatili derivanti dalla produzione del forno.
Quanto alla terza doglianza, relativa alle immissioni di calore, deve premettersi che questo giudicante ha ordinato – dopo aver richiesto al precedente CTU degli opportuni chiarimenti – una parziale rinnovazione di CTU.
Invero, nella sua relazione, relativa allo stress termico sopportato dai ricorrenti, specie nel periodo estivo, dovuto alla alte temperature derivanti dal forno, il CTU precedente, utilizzando il limite di soglia rappresentato dal WBGT (Wet Bulb Globe Temperature), rapportato al valore di riferimento raccomandato dall’associazione degli igienisti americani (ACGIH), nonché una stazione microclimatica dotata di temperatura a bulbo secco, umido, globotermometro ed anemometro, è giunto alla conclusione che i valori rilevati risultano inferiori a quello raccomandato e pertanto da considerarsi nella norma.
Tale conclusione, a parere dell’odierno giudicante, non è affatto corretta, posto che – come sostenuto nell’altra CTU fatta eseguire dall’odierno giudicante ad un esperto di impianti termici, il quale ha rielaborato la documentazione in atti e riportata in tabella – il precedente perito era partito dalla errata premessa della applicazione di una normativa che si riferisce ad un ambiente di lavoro e non ad un ambiente domestico.
Per tale motivo, il nuovo CTU ha fatto correttamente riferimento a quanto previsto dalla norma UNI EN ISO 7730 (aggiornamento UNI – EN 27730), recante la denominazione “Ambienti termicamente moderati, determinazione degli indici PMV e PPD e specifiche condizioni di benessere termico”.
Il tecnico, partendo dalla definizione che un ambiente si definisce “moderato” se “soddisfa le condizioni ambientali omogenee e poco variabili nel tempo, presenta l’assenza di scambi termici tra soggetto ed ambiente che abbiano effetti importanti sul bilancio termico complessivo, presenti un’attività fisica moderata ed omogenea per tutti i soggetti ed una temperatura operativa compresa tra 10 e 30 gradi”, ha definito l’ambiente in cui vivono i coniugi **** come “moderato”, mentre ha qualificato quello del panificio come un ambiente “severo”.
Dall’elaborazione dei dati individuati dal precedente perito, il nuovo CTU ha rilevato che la temperatura costante, nelle varie postazioni raggiunta è risultata superiore a quella prevista dalla normativa presa quale riferimento.
Tale motivazione è del tutto immune da vizi logici e giuridici e viene integralmente recepita dall’odierno giudicante.
I rimedi sono costituiti:
1) dal miglioramento dell’isolamento termico a soffitto, mediante l’installazione all’interno del controsoffitto esistente di ulteriore materiale coibente, costituito da materassini di lana di vetro, dello spessore minimo di 50 mm.;
2) dal convogliamento dei vapori prodotti dal laboratorio in un’apposita canna di espulsione;
3) dall’installazione, sulla cappa del piano cottura, di un sistema di espulsione dei fumi, preventivamente trattati a mezzo di condotta oltre il tetto del fabbricato o in alternativa amezzo di un sistema di raffreddamento dei fumi, con un filtro di tipo scruber;
4) dall’assicurazione di una costante ventilazione ai locali del laboratorio con un sistema forzato che consenta un ricambio minimo di sei volumi per ora, bilanciando la portata dell’aria di rinnovo, con i sistemi di espuslione delle cappe;
5) dalla modificazione del posizionamento della canna fumaria dello scaldino a gas applicando le distanze di sicurezza previste dalla norma UNI – CIG 7129.
In conclusione, la domanda, sussistendo alla luce delle superiori argomentazioni il fumus boni iuris, nonché il periculum, rappresentato non solo da un‘alterazione della qualità della vita, ma da una vera e propria compromissione dell’integrità psico – fisica, certificata da medico di parte che ha attestato l’insorgenza di patologie mediche per il ricorrente e per il figlio, studente universitario, deve essere accolta.
La tutela del diritto alla salute può essere garantita nella specie attraverso l’adozione da parte del resistente di quei rimedi individuati dai consulenti tecnici; è evidente che solo qualora parte resistente non ponga in essere quegli strumenti necessari ed individuati per risolvere il problema dei rumori, degli odori, delle emissioni in atmosfera e di calore, onde consentire una serena ed equilibrata qualità minima di vita ai ricorrenti, il conflitto tra le esigenze della produzione e il diritto alla salute dovrà necessariamente risolversi a vantaggio del secondo, con inibizione dello svolgimento dell’attività produttiva.
Allo stato, può tutelarsi l’esigenza dei ricorrenti ordinando al panificio di eseguire i rimedi individuati nella presente ordinanza entro un tempo massimo di gg. 40, a far data dalla comunicazione della presente ordinanza.
Trattandosi di causa introdotta anteriormente alla novella legislativa, non può provvedersi sulle spese, posto che in difetto di esplicite previsioni contrarie, il principio dell’immediata applicazione della legge processuale sopravvenuta ha riguardo soltanto agli atti processuali successivi all’entrata in vigore della legge stessa, alla quale non è dato incidere sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti restano regolati, secondo il principio fondamentale tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere; ora, la legge 52/06 ha definitivamente fissato per la data del 1° marzo 2006 l’entrata in vigore delle riforme recate dalle leggi 80/05, 263/05 e 52/06, per cui per i processi cautelari e di cognizione l’efficacia delle nuove norme è stata limitata ai processi di nuova introduzione, dovendo quelli pendenti proseguire con l’applicazione delle norme abrogate.
Si è quindi in presenza di un generalizzato caso di ultrattività.
Il termine per l’inizio del giudizio di merito viene pertanto fissato in trenta giorni, con futura regolamentazione delle spese, comprese quelle di CTU, all’esito del giudizio di merito.


P.Q.M.


Accoglie il ricorso;
condanna la parte resistente ad eseguire i lavori indicati nella parte motiva della presente ordinanza, consistenti:




  1. nel miglioramento dell’isolamento termico a soffitto, mediante l’installazione all’interno del controsoffitto esistente di ulteriore materiale coibente, costituito da materassini di lana di vetro, dello spessore minimo di 50 mm.;


  2. nel convogliamento dei vapori prodotti dal laboratorio in un’apposita canna di espulsione;


  3. nella installazione, sulla cappa del piano cottura, di un sistema di espulsione dei fumi, preventivamente trattati a mezzo di condotta oltre il tetto del fabbricato o in alternativa a mezzo di un sistema di raffreddamento dei fumi, con un filtro di tipo scruber;


  4. nella assicurazione di una costante ventilazione ai locali del laboratorio con un sistema forzato che consenta un ricambio minimo di sei volumi per ora, bilanciando la portata dell’aria di rinnovo, con i sistemi di espuslione delle cappe;


  5. nella modificazione del posizionamento della canna fumaria dello scaldino a gas applicando le distanze di sicurezza previste dalla norma UNI – CIG 7129;


  6. nella adozione, in relazione alla migliore tecnologia disponibile, di un adeguato intervento funzionale al contenimento delle emissioni maleodoranti, mediante idoneo sistema di trattamento dell’aria;


  7. nello spostamento del murale caldaia a gas, posto sulla muratura dell’atrio o chiostrina comune;


  8. nello spostamento della cella frigo, posta nel vano deposito;


  9. nel miglioramento dei dispositivi di attenuazione, propagazione, vibrazioni e rumori per via strutturale;

– assegna a parte resistente termine di gg. 40 per l’esecuzione di tali lavoro a far data dalla comunicazione della presente ordinanza;
– fissa in trenta giorni il termine per l’inizio del giudizio di merito;
Andria, il 1° marzo 2007


IL GIUDICE
Dott. Gaetano LABIANCA