Corte di cassazione Sezioni unite civili
Sentenza 27 febbraio 2007, n. 4421
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Giudice di pace di Bassano del Grappa, con sentenza 30 aprile 2002, disattesa l’istanza di sospensione, respinge l’opposizione proposta da M.C. avverso il decreto ingiuntivo ottenuto nei suoi confronti dal supercondominio denominato Complesso Residenziale Le Laite e Calmasino sito in Conco (VI), relativamente al pagamento di spese condominiali per circa 1.518.000 lire, sulla considerazione: che non sussistesse rapporto di pregiudizialità necessaria tra l’opposizione al decreto ingiuntivo e l’impugnazione delle deliberazioni assembleari poste a base dell’istanza in monitorio; che risultasse documentalmente provata l’esistenza sia del supercondominio istante sia del condominio Calmasino R/S, autonomi e con proprie assemblee deliberanti; che il condominio Calmasino R/S fosse uno degli edifici del supercondominio usufruente d’impianti comuni; che gli immobili dell’attore facessero parte d’entrambi gli enti di gestione amministrati dal rag. G.; che il credito azionato risultasse da bilanci regolarmente approvati con deliberazioni assembleari esecutive, non impugnate nel termine di cui all’art. 1137 c.c.; che legittimamente il decreto fosse stato richiesto sulla base del preventivo approvato dall’assemblea per spese di gestione quali il riscaldamento e la manutenzione dei servizi comuni.
M.C. impugna per cassazione tale sentenza deducendo con le svolte censure: a) violazione degli artt. 116 e 183 del codice di rito per essersi l’amministratore presentato in udienza senza aver preventivamente convocato un’assemblea condominiale onde informare i condomini ed essere autorizzato ad eventuale transazione; b) omessa sospensione del giudizio in violazione dell’art. 295 c.p.c.; c) violazione delle norme codicistiche in tema di comunione e condominio, non esistendo una “soggettività giuridica” denominata Complesso Residenziale Le Laite e Calmasino e non essendo di esso amministratore il “mero mandatario giudiziale” rag. G.; d) difetto di motivazione per illogicità sulla ritenuta coesistenza di condominio e supercondominio.L’intimato Complesso Residenziale resiste con controricorso.
Il ricorrente deposita memoria.
Con ordinanza interlocutoria 15 luglio 2005, n. 15085, la Seconda Sezione rileva che il secondo motivo di ricorso, concernente la violazione del disposto in tema di sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c., involge questione su cui si registra contrasto di giurisprudenza e rimette la causa al Primo Presidente che ne assegna la trattazione alle Sezioni Unite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Nel capo dell’impugnata sentenza con il quale ha disatteso l’istanza, proposta dall’allora parte opponente ed odierna ricorrente, intesa ad ottenere in via preliminare la sospensione del giudizio d’opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 295 c.p.c., il giudice a quo, escludendo il nesso di pregiudizialità necessaria tra giudizio d’impugnazione della deliberazione assembleare e giudizio d’opposizione al decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto sulla base della deliberazione medesima, s’è adeguato all’analoga conclusione cui è da tempo pervenuta, in subiecta materia, la prevalente giurisprudenza di questa Corte, se pure seguendo due diversi ordini d’argomentazioni.Per il primo dei quali, l’esclusione del nesso di pregiudizialità necessaria si spiega considerando che il diritto del condominio alla percezione delle quote di spese erogate per il godimento delle cose e dei servizi comuni non nasce con la delibera assembleare d’approvazione del riparto delle spese stesse, ma è inerente all’effettuata gestione dei detti beni e servizi comuni, allo stesso modo che il fondamento dell’obbligo degli ingiunti di pagare i contributi non si fonda sulla delibera, ma è inerente alla titolarità del diritto reale sull’immobile; onde, non essendo la delibera d’approvazione del riparto delle spese costitutiva del diritto di credito del condominio ma solo dichiarativa di esso, in relazione alla quota di contribuzione del singolo partecipante alla comunione, l’eventuale venir meno della delibera per invalidità non comporta l’insussistenza del diritto del condominio di pretendere la contribuzione alle spese per i beni e servizi comuni erogati, diritto che ben può essere accertato da altra delibera valida, ma comporta solo la perdita d’efficacia del provvedimento monitorio emesso sulla base della delibera invalida; pertanto, la permanenza dell’efficacia della delibera impugnata, salvo il provvedimento di sospensione del giudice, consente l’emissione d’una pronunzia di condanna al pagamento a prescindere dalla validità della delibera.
La riportata tesi, recentemente ripresa da Cass. 7 ottobre 2005, n. 19519, e da Cass. 26 gennaio 2000, n. 857, è minoritaria e si richiama sostanzialmente ai precedenti di Cass. 17 maggio 1997, n. 4393, e Cass. 7 luglio 1988, n. 4467, che, a loro volta, richiamano la risalente Cass. 21 maggio 1964, n. 1251, senza considerare come questi avessero trovato la loro occasione in controversie svolgentisi non tra condomino e condominio in ordine all’adempimento dell’obbligazione contributiva dell’uno nei confronti dell’altro, ma tra soggetti succedutisi nella titolarità del diritto di proprietà esclusiva su d’una porzione dell’immobile in ordine all’accertamento della decorrenza della successione dell’acquirente al venditore anche nell’obbligazione medesima, per il che appariva logico e corretto rapportare tale decorrenza, in sede d’accertamento dell’attribuzione dell’onere, nell’ambito dell’obbligazione solidale nei confronti del condominio ex art. 63/II disp. att. c.c. ed in difetto di diversa pattuizione inter partes, all’epoca d’effettivo svolgimento dell’attività gestionale comportante la spesa e la consequenziale obbligazione contributiva piuttosto che a quella della delibera d’approvazione della spesa e del relativo piano di riparto (sul principio dell’ambulatorietà passiva vedansi, peraltro, le diverse opinioni di Cass. 22 febbraio 2000, n. 1956, e Cass. 26 ottobre 1996, n. 9366).Al di fuori di tali ipotesi peculiari, nella dialettica dei rapporti interni tra condominio e condomino, non solo l’obbligo dei singoli partecipanti alla comunione dell’edificio di contribuire al pagamento delle spese effettuate nel comune interesse sorge per effetto della deliberazione con la quale l’assemblea approva le spese stesse, deliberazione che deve sempre intervenire, anche per le spese d’ordinaria gestione, nella forma dell’approvazione del preventivo o quanto meno della ratifica successiva, al più tardi in sede d’approvazione del consuntivo, non potendosi prescindere dall’accertamento della legittimità e dell’entità delle stesse, ma la liquidità del credito condominiale è data solo dalla successiva deliberazione d’approvazione del piano di riparto ovvero dall’elaborazione di questo in conformità alle vigenti tabelle millesimali, nel qual caso trattandosi di semplice operazione matematica; pertanto, il condominio, che agisca nei confronti del condomino onde conseguire il pagamento delle quote da questi dovute, deve dimostrare, anzi tutto, la legittimità della spesa, producendo la relativa delibera d’approvazione ed, in secondo luogo, anche la legittimità della determinazione delle quote, o producendo la delibera d’approvazione del piano di riparto o dimostrando la conformità di questo alle vigenti tabelle millesimali regolamentari.Ne consegue che l’esaminato indirizzo, il cui presupposto ne limiterebbe, in ogni caso, l’applicabilità alle sole ipotesi di controversia concernente i contributi per spese d’ordinaria gestione e manutenzione, non è idoneo a giustificare l’esclusione della sospensione ex art. 295 c.p.c. in pendenza del giudizio sulla validità delle deliberazioni.Non di meno, tale esclusione è affermata anche da altro, ma prevalente, indirizzo sulla considerazione per cui, in tema d’opposizione a decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo emesso ai sensi dell’art. 63/I disp. att. c.c. per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla validità della delibera condominiale, già impugnata in altro giudizio, ma solo questioni riguardanti l’efficacia della medesima.Ciò in quanto le deliberazioni condominiali sono soggette ad impugnativa ai sensi del secondo comma dell’art. 1137 c.c. e tuttavia, per espressa previsione della medesima norma, restano non di meno vincolanti per i singoli condomini, nonostante l’esperita impugnazione, salvo il giudice di questa ne disponga la sospensione dell’efficacia esecutiva, tale delibera costituendo, infatti, ex lege titolo di credito in favore del condominio e, di per sé, prova idonea, ai fini di cui agli artt. 633 e 634 c.p.c., dell’esistenza di tale credito, sì da legittimare non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condomino a pagare le somme nel giudizio d’opposizione che quest’ultimo proponga contro tale decreto, ed il cui ambito è, dunque, ristretto alla sola verifica dell’esistenza e dell’efficacia della deliberazione assembleare d’approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere.Né sussistono continenza, ex art. 39/II c.p.c. o pregiudizialità necessaria, ex art. 295 c.p.c., tra la causa d’opposizione al decreto ingiuntivo, ottenuto ai sensi del citato art. 63/I disp. att. c.c. e quella preventivamente instaurata innanzi ad altro giudice con l’impugnativa della relativa delibera condominiale ex art. 1137 c.c., in quanto presupposto del provvedimento monitorio è l’efficacia esecutiva della deliberazione condominiale ed oggetto del giudizio innanzi al giudice dell’opposizione è l’accertamento in ordine alla persistenza di tale efficacia e della consequenziale obbligazione di pagamento delle spese dovute dal condomino sulla base della ripartizione approvata con la deliberazione medesima, obbligatoria ed esecutiva finché non sospesa dal giudice competente nell’ambito del giudizio d’impugnazione, mentre oggetto del detto giudizio d’impugnazione è il diverso accertamento in ordine alla validità della delibera medesima; onde, appunto in ragione della diversità della materia del contendere, tra il giudizio d’opposizione al decreto ingiuntivo emesso ai sensi dell’art. 63/I cit. e quello d’impugnazione della deliberazione condominiale in virtù della quale tale decreto è stato concesso non esistendo né continenza né pregiudizialità necessaria, il giudice del primo deve limitarsi ad accertare che il credito ingiunto sia fondato su deliberazioni con le quali siano stati approvati la spesa ed il relativo stato di riparto e che l’opponente fornisca o meno la prova d’aver corrisposto quanto dovuto, in difetto della qual prova deve rigettare l’opposizione, essendo ininfluente, in difetto di sospensione dell’esecutività delle deliberazioni da parte del giudice competente adìto con l’impugnazione ex art. 1137 c.c., che le deliberazioni stesse possano o meno essere invalide sotto qualsivoglia profilo (e pluribus Cass. 7 marzo 2005, n. 4951, 19 ottobre 2004, n. 20484, 17 maggio 2002, n. 7261, 13 ottobre 1999, n. 11515, 18 novembre 1997, n. 11457, 29 agosto 1994, n. 7569).Come evidenziato nell’ordinanza di rimessione, la fondatezza di tale orientamento è stata recentemente contestata (Cass. 11 febbraio 2005, n. 2759, ma già 23 giugno 1999, n. 6384) osservandosi che, in tal modo, viene eluso il problema relativo al rapporto di pregiudizialità, la sussistenza del quale non può essere negata in ragione del fatto che il condomino, in caso d’applicazione dell’art. 295 c.p.c., sarebbe comunque costretto a pagare, quanto meno in via provvisoria, i contributi fissati dalla deliberazione assembleare impugnata, dovendosi invece considerare che, ove il giudizio d’opposizione non venisse sospeso, si potrebbe verificare l’anomalia che tale giudizio potrebbe concludersi con il passaggio in giudicato di una situazione sfavorevole all’opponente in ordine alla sussistenza del credito vantato nei suoi confronti dal condominio, in contrasto con l’annullamento, all’esito del giudizio d’impugnazione, proprio di quella delibera che rappresenta il titolo costitutivo di tale credito; che, in altri termini, il fatto che la sospensione del giudizio d’opposizione non comporterebbe anche la sospensione della delibera impugnata e della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo in base ad essa emesso (in quanto l’art. 298/I c.p.c. dispone soltanto che durante la sospensione non possono essere compiuti atti del procedimento) non fa venire meno, da un lato, l’obbligo del giudice d’accertare il rapporto di pregiudizialità e, dall’altro, l’interesse della parte alla conseguente sospensione, dacché a seguito dell’accoglimento della domanda proposta nel giudizio d’impugnazione della delibera verrebbe evitato un possibile conflitto di giudicati e per effetto della caducazione del titolo in base al quale è stato emesso il decreto ingiuntivo il condomino avrebbe diritto alla restituzione di quanto eventualmente pagato.La tesi testé riferita ha, in prima approssimazione, un suo logico fondamento e risulta compatibile con il più recente indirizzo giurisprudenziale in tema di sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c.Con ordinanza 26 luglio 2004, alle cui considerazioni si sono uniformate numerose successive pronunzie, hanno ritenuto queste Sezioni unite di comporre il contrasto determinatosi al riguardo prestando adesione all’orientamento – coerente con il disfavore dell’ordinamento verso il fenomeno sospensivo desumibile così dalla normativa processuale come dalle pronunzie del giudice delle leggi con particolare riferimento agli effetti negativi dell’istituto sulla ragionevole durata del processo richiesta anche dal novellato art. 111/II Cost. – incentrato su di una lettura restrittiva dell’istituto della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. e sulla valorizzazione della disciplina dettata dall’art. 337/II c.p.c., in correlazione con la previsione dell’art. 336/II c.p.c., limitando, quindi, l’area d’operatività della norma in discussione, così come già in precedenza avevano operato escludendo, con l’ordinanza 1° ottobre 2003, n. 14670, che la vigente normativa consentisse ancora di ravvisare, come per il passato, nell’art. 295 c.p.c., l’attribuzione al giudice d’una facoltà di discrezionale sospensione del giudizio per motivi d’opportunità.Sono, dunque, pervenute alla conclusione che la sospensione necessaria del processo, ove non sia imposta da specifica disposizione di legge, ha per fondamento non solo l’indispensabilità logica dell’antecedente avente carattere pregiudiziale, nel senso che la definizione della relativa controversia si ponga come momento ineliminabile del processo logico della causa dipendente, ma anche la sua indispensabilità giuridica, nel senso che l’antecedente logico venga postulato con efficacia di giudicato, per modo che non possa eventualmente verificarsi un conflitto di giudicati; onde, lo scopo perseguito dalla sospensione necessaria essendo quello d’evitare il conflitto di giudicati, l’art. 295 c.p.c. può trovare applicazione solo quando in altro giudizio deve esser decisa, con efficacia di giudicato, una questione pregiudiziale in senso tecnico-giuridico, sussistendo in tal caso il rischio del conflitto di giudicati, e non anche qualora oggetto dell’altra controversia sia una questione pregiudiziale soltanto in senso logico, non configurandosi in questo caso il menzionato rischio.
Orbene, aderendo al preesistente indirizzo poi confermato dalla richiamata ordinanza, per il quale le condizioni per la sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c. ricorrono qualora risultino pendenti innanzi a giudici diversi giudizi legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità tale che la definizione dell’uno costituisca l’imprescindibile presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato di modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto tra giudicati (e pluribus, Cass. 28 giugno 2001, n. 8819, 15 novembre 2000, n. 14795, 24 maggio 2000, n. 6792, 26 maggio 1999, n. 5082), questa Corte aveva già altre volte evidenziato come, nel giudizio promosso per il riconoscimento di diritti derivanti da titolo, l’obbligo di sospensione ex art. 295 c.p.c. insorga quando in un diverso giudizio tra le stesse parti si controverta dell’inesistenza o della nullità assoluta del titolo stesso, dacché al giudicato d’accertamento della nullità, la quale impedisce all’atto di produrre ab origine qualunque effetto, sia pure interinale, si potrebbe contrapporre un distinto giudicato, d’accoglimento della pretesa basata su quel medesimo titolo, contrastante con il primo in quanto presupponente un antecedente logico-giuridico opposto (Cass. 5 dicembre 2002, n. 17317, 25 gennaio 2000, n. 787, 4 aprile 2001, n. 4977, 12 maggio 1999, n. 4730, 30 marzo 1999, n. 3059, 9 agosto 1997, n. 7451).Precisando come, ovviamente, il nesso di pregiudizialità necessaria ex art. 295 c.p.c. non sia, per contro, riconoscibile ove nel diverso giudizio si controverta di meri vizi d’annullabilità del titolo medesimo, atteso che, agli effetti della norma de qua, la causa inerente ad una pretesa creditoria può ritenersi dipendente dalla causa sul titolo del relativo diritto se quest’ultima inerisca alla sussistenza del titolo medesimo, come in precedenza evidenziato, non anche ove ne possa comportare l’annullamento con sentenza di natura costitutiva, non essendo l’annullamento stesso incompatibile con la sua efficacia medio tempore; salva restando, peraltro, la retroattività inter partes con i connessi obblighi di restituzione delle prestazioni già eseguite (ibidem) .Ond’è che l’indirizzo giurisprudenziale in discussione, evidenziando come, nella specie, tra le stesse parti si controvertisse in una causa della nullità o dell’inefficacia del titolo, id est la deliberazione assembleare, che in altra causa era posto a fondamento della domanda di condanna per l’inadempimento alle obbligazioni dal titolo stesso derivanti, correttamente rileva che tra i due giudizi ricorre quel rapporto di pregiudizialità necessaria per il quale s’impone la sospensione del secondo in attesa del giudicato d’accertamento sulla nullità oggetto del primo, diversamente potendosi dar luogo a giudicati contrastanti (sempre che, giova ripetere, nel primo di nullità del titolo si discuta e non d’annullabilità).In ulteriore approssimazione devesi, tuttavia, rilevare che l’indirizzo in esame non tiene conto della peculiarità del rapporto cui il criterio decisionale adottato, pur esatto nella sua elaborazione teorica valida in astratto per la generalità dei rapporti, dovrebbe trovare applicazione e della specialità della normativa dalla quale è, in ragione di ciò, regolato.Sull’obiettiva considerazione che al Condominio – onde gli sia consentito in concreto di conseguire la sua istituzionale finalità di conservazione e gestione della cosa comune nell’interesse della collettività dei partecipanti, mediante la manutenzione, ordinaria e straordinaria, delle parti comuni dell’edificio e l’esercizio dei servizi comuni – è necessario poter fare fronte con regolarità alle relative spese e che all’uopo risulta imprescindibile la puntuale riscossione dei contributi dovuti dai condomini secondo il piano di riparto approvato dall’assemblea (o, comunque, materialmente elaborato in conformità alle tabelle millesimali vigenti: cfr. Cass. 26 ottobre 1996, n. 9366), il legislatore ha predisposto un sistema di strumenti adeguatamente coordinati, com’è all’evidenza desumibile da una lettura sistematica della disciplina elaborata al riguardo con la pertinente normativa civilistica e segnatamente con gli artt. 1130 c.c. e 63/I disp. att. c.c., anche in relazione agli artt. 633 e 634 c.p.c.Anzi tutto, nel ricomprendere, tra le plurime attribuzioni dell’amministratore, il dovere d’eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini (art. 1130/I sub 1) e di riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni (art. 1130/I sub 3), ha posto una sostanziale correlazione tra l’un dovere e l’altro, risultando all’evidenza l’adempimento del primo condizionato di fatto a quello del secondo, quindi necessariamente correlati entrambi nella realizzazione della finalità economico-sociale dell’istituto, perseguita con la regolamentazione dello stesso, prima autonoma e poi inserita con variazioni nella disciplina codicistica.In secondo luogo, onde consentire il tempestivo adempimento del condizionante dovere di riscossione dei contributi condominiali, ha attribuito all’amministratore, con l’art. 63 disp. att. c.c., il potere di chiedere decreto ingiuntivo, al quale ha anche riconosciuto il carattere dell’immediata esecutività, nei confronti dei condomini morosi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea senza neppure necessità d’autorizzazione alcuna da parte del detto organo deliberante (e pluribus, Cass. 9 dicembre 2005, n. 27292, 5 gennaio 2000, n. 29, 29 dicembre 1999, n. 14665, 15 maggio 1998, n. 4900); correlativamente, nel riservare, con l’art. 1137 c.c., ad autonomo giudizio ogni controversia sull’invalidità delle deliberazioni assembleari, ha anche escluso che qualsivoglia questione al riguardo possa essere sollevata nell’ambito dell’eventuale opposizione al provvedimento monitorio, l’oggetto di tale giudizio rimanendo, in tal modo, circoscritto all’accertamento dell’idoneità formale (validità del verbale) e sostanziale (pertinenza della pretesa azionata alla deliberazione allegata) della documentazione posta a fondamento dell’ingiunzione e della persistenza o meno dell’obbligazione dedotta in giudizio (Cass. 8 agosto 2000, n. 10427, 29 agosto 1994, n. 7569).È, dunque, evidente come il sistema normativo in questione, che s’inserisce nella disciplina del condominio già di per sé connotata da specialità in ragione della necessità d’una distinta considerazione per il settore di vita sociale che rappresenta, sia da ricondurre a quella categoria di disposizioni che, nell’attribuire a sentenze, negozi, diritti, il carattere dell’immediata esecutività, della necessaria realizzabilità pur in pendenza di controversia, a tutela d’interessi generali o particolari discrezionalmente ritenuti prevalenti e meritevoli d’autonoma considerazione rispetto alla disciplina comune propter aliquam utilitatem, si pongono con carattere derogatorio nei confronti del principio generale d’inesecutività del titolo ove impugnato con allegazione della sua originaria invalidità assoluta (nullità – inesistenza), quindi anche del principio, affermato dalla giurisprudenza più sopra richiamata, per cui la pendenza del giudizio sulla contestazione della validità del titolo giustifica la sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio nel quale si discute dell’adempimento delle obbligazioni con quel titolo costituite.È, d’altra parte, significativo che il legislatore, nel garantire l’interesse della collettività condominiale, considerato prevalente, non abbia, tuttavia, lasciato il singolo condomino del tutto privo di tutela, dacché ha attribuito al giudice dell’impugnazione della deliberazione il potere di sospendere l’esecutività della stessa; per il che, deve aggiungersi ulteriore considerazione in ordine all’illegittimità, sotto il profilo in esame, di un’eventuale sospensione del giudizio d’opposizione al decreto ingiuntivo emesso ex art. 63 disp. att. c.c., giacché, in tal caso, il giudice si arrogherebbe, di fatto, il potere di far venire meno, sia pure temporaneamente, quell’efficacia esecutiva espressamente conferita ex lege alla deliberazione, già impugnata ex art. 1137 c.c., sulla quale può esclusivamente incidere, e del pari espressamente ex lege, il solo giudice dell’impugnazione medesima.In vero, il giudizio sul fumus boni iuris in ordine alla contestata validità della deliberazione posta a base del provvedimento monitorio opposto si porrebbe, sia pure ai soli fini della pronunzia sulla sospensione, come giudizio incidentale nell’ambito del giudizio d’opposizione, eppertanto, se nel giudizio espressamente predisposto dal legislatore per la valutazione della contestazione sulla validità della deliberazione l’esecutività di questa non sia stata sospesa dal giudice competente valendosi del potere attribuitogli dall’art. 1137/II c.c. in ragione della proposta impugnazione, nessun potere di sospensione può comunque riconoscersi, né ex art. 295 c.p.c. né ex art. 337 c.p.c., al giudice del giudizio d’opposizione in relazione alla pretesa influenza su tale giudizio dell’esito del giudizio d’impugnazione, la questione essendo già stata esaminata e negativamente risolta dall’unico giudice cui è stata espressamente attribuita la competenza a deciderne.A fronte delle evidenziate esigenze che hanno determinato la predisposizione d’una disciplina speciale e derogatoria, non può che considerarsi recessiva la prevenzione dell’eventuale contrasto di giudicati che potrebbe, in ipotesi, verificarsi in seguito al rigetto, nell’un giudizio, dell’opposizione al decreto ingiuntivo ed all’accoglimento, nell’altro, dell’impugnativa della delibera, le conseguenze del quale ben possono essere superate, sia in sede esecutiva ove i tempi lo consentano, facendo valere la sopravvenuta perdita d’efficacia del provvedimento monitorio come conseguenza della dichiarata invalidità della delibera, sia in sede ordinaria mediante azione di ripetizione dell’indebito (Cass. 7 ottobre 2005, n. 19519, 7 luglio 1999, n. 7073, 3 maggio 1999, n. 4371).In definitiva, per tutte le esposte considerazioni, va escluso che al giudice dell’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto ex art. 63/I disp. att. c.c. sia consentito di sospendere il giudizio in attesa della definizione del diverso giudizio d’impugnazione, ex art. 1137 c.c., della deliberazione posta a base del provvedimento monitorio opposto.
Va, pertanto respinto l’esaminato secondo motivo del ricorso, rimesso alla decisione di queste Sezioni unite, e gli atti vanno trasmessi al Primo Presidente per l’assegnazione alla sezione semplice, competente a decidere sugli ulteriori motivi di ricorso e sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte respinge il secondo motivo del ricorso e dispone trasmettersi gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione del ricorso alla sezione semplice per l’ulteriore corso.
Nota
Le sezioni unite intervngono sulla pregiudizialità del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo per la riscossione dei canoni condominiali e il giudizio di impugnazione della relativa delibera assembleare. La S.C. fa propria la tesi della non pregiudiziaità tra i due giudizi e (quindi) della non necessarietà della sospensione del procedimento di opposzione a decreto ingiuntivo, nelle more della impugnazione della delibera. Il risultato non convince. E non convince perché la Corte mentre da un lato giunge ad abbracciare la tessi della non sospendibilità del processo in ossequio al principio (costituzione del giusto processo e quindi)di celerità dei procedimenti giudiziari, dall’altro non risponde in maniera puntuale alla soluzione delle problematiche relative all’eventuale conflitto di giudicati (tra la sentenza del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e quella di impugnazione della delibera assembleare).Risolve tale problematica sostenendo che le conseguenze del conflitto di giudicati “ben possono essere superate, sia in sede esecutiva ove i tempi lo consentano, facendo valere la sopravvenuta perdita d’efficacia del provvedimento monitorio come conseguenza della dichiarata invalidità della delibera, sia in sede ordinaria mediante azione di ripetizione dell’indebito”Analizzando le soluzioni proposte si evincono in modo palese una serie di incongruenze. Da una parte si propone la opposizione alla esecuzione per la sopravvenuta “perdita di efficacia del provvedimento monitorio come conseguenza della dichiarata invalidità della delibera”. Ebbene a parere dello scrivente tale perdita di efficacia del decreto ingiuntivo ( ovvero della sentenza che lo conferma) non dovrebbe avvenire in maniera tanto automatica. Il giudicato del decreto ingiuntivo é definitivo e la impugnazione della delibera assembleare, seppur vittoriosa, non potrà sospendere l’efficacia della provvedimento monitorio. Inoltre essendo il decreto ingiuntivo dodtato di provvisoria esecuzione, ben raramente potrà essere ancora in corso l’esecuzione, all’esito della sentenza sulla impugnazione della delibera assembleare.Anche la seconda soluzione non convince in quanto, se pur astrattamente percorribile si pone in contrasto con il principio ispiratore della decisione commentata. Se deve esserci celerità e giusto processo é meglio sospenderne uno che pronunciare una sentenza inutiliter data e iniziare un’altro giudizio per la ripetizione dell’indebito. Peraltro non bisogna barattare quesioni di esecutorietà (assicurate con la provvisoria esecuzione) con questioni di pregiudizialità. Il condominio continua a funzionare grazie alla provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo e se il giudizio di opposizione é sospeso in attesa della decisione sulla delibera assenbleare l’unico che potrà dolersene é l’opponente che, quasi sempre, é il soggetto più interessato alla sospensione.
Avv. Pietro Martire