Il Processo Cautelare
Luciano Guaglione
( N.d.R Relazione tenuta il 15 giugno 2007 a Barletta in occasione del Seminario su Il Processo Cautelare )




































































Sommario


Introduzione


 


 


Forma della domanda e  giudice competente (artt. da 669 bis a 669 quinquies c.p.c.).


 


 


 


 



 


 


 


Il provvedimento (artt. 669 septies e 669 octies c.p.c.).


 


 


 


L’inefficacia del provvedimento cautelare (art. 669 novies c.p.c.).


 


La revoca e la modifica (art. 669 decies c.p.c.).


 


Il reclamo (art. 669 terdecies c.p.c.).


 





Introduzione.

L’evoluzione legislativa
Anteriormente all’emanazione della legge 26.11.1990, n. 353 il nostro ordinamento ignorava un modello procedimentale unitario applicabile a tutti i provvedimenti cautelari tipici o atipici ed era invece caratterizzato dal proliferare di schemi procedimentali diversi, dalla disciplina quasi sempre lacunosa ad abbisognevole di difficili integrazioni a livello ermeneutico.
Tale situazione di vero e proprio caos normativo e di incertezza interpretativa si prestava inevitabilmente a favorire un uso distorto delle misure cautelari da parte del litigante più abile o scaltro ed il formarsi di prassi praeter legem fortemente differenziate ufficio per ufficio, oltre ad esaltare la discrezionalità del giudice in ordine alla disciplina di aspetti delicati (quali quelli della revocabilità e della durata delle misure cautelari) in un settore già di per sè estremamente pericoloso a causa della sommarietà della cognizione.
Di qui l’esigenza di razionalizzare l’intera materia della tutela cautelare, allo scopo di prevenire – prima ancora che reprimere – abusi.[1]
Le disposizioni generali sul procedimento cautelare uniforme, introdotte dalla legge 26 novembre 1990 n. 353 hanno realizzato un  ampliamento dei diritti e delle garanzie delle parti, valorizzando soprattutto il contraddittorio ed i controlli sul provvedimento reso dal giudice. Tale normativa, entrata in vigore il 1° gennaio 1993, rese insostenibile la sopravvivenza della precedente, disorganica, contraddittoria disciplina (sovente di origine pretoria), anche relativamente ai giudizi già pendenti.
In epoca più recente il d.lg. n. 5 del 2003 (vigente dal 1° gennaio 2004), nell’introdurre una sorta di “microcodice di procedura civile” per le controversie in materia societaria e finanziaria, ha parzialmente modificato (con gli artt. 23 e 24) – in quell’ambito – l’impianto del processo cautelare disegnato dal legislatore del ’90, anche al fine di dare soluzione ai maggiori dubbi e problemi interpretativi emersi nelle applicazioni giurisprudenziali.
Da ultimo, la legge n. 80 del 2005 (entrata in vigore, per la parte che ci interessa, il 12 settembre 2005) ha rimodellato il procedimento cautelare uniforme, estendendo ad esso gran parte delle regole del rito cautelare societario (le quali, per il loro carattere settoriale, non si prestavano agevolmente ad un’applicazione analogica) ed eliminando in tal modo il rischio di una ingiustificata disparità di discipline.
L’innovazione più significativa consiste indubbiamente nel rilievo attribuito alla distinzione tra provvedimenti cautelari anticipatori e conservativi, perché i primi (ove ottenuti ante causam) conservano efficacia anche se il giudizio di merito non è iniziato oppure (se emessi lite pendente) si estingue. Sul piano teorico la nuova disciplina, chiaramente ispirata da una ratio deflativa, pone in crisi la distinzione tra tutela sommaria cautelare e tutela sommaria non cautelare, fino ad oggi basata sul diverso regime di stabilità del provvedimento dipendente dal requisito strutturale della strumentalità, perché anche i provvedimenti cautelari anticipatori diventano potenzialmente permanenti. Ne derivano ricadute importanti sul piano della stessa funzione del procedimento cautelare, che sembra evolvere dalla mera cautela di un diritto, da accertare successivamente nel processo a cognizione piena (con efficacia di giudicato), alla assicurazione immediata dell’utilità sostanziale di cui l’istante ha bisogno attraverso un provvedimento semplificato, a prevalente finalità esecutiva, che aspira pure a divenire stabile nel tempo.

Le caratteristiche salienti del rito cautelare uniforme.
Il nuovo modulo procedimentale cautelare  è caratterizzato dalla piena operatività, al suo interno, dei connotati propri del modello costituzionale di processo giurisdizionale, quali la garanzia del giudice naturale, il principio del contraddittorio, il coordinamento della misura cautelare con la cognizione piena (nel senso della costante prevalenza di quest’ultima), la garanzia del diritto di difesa da parte di chi subisce la misura cautelare, quale diritto di provocare un controllo immediato del provvedimento da parte di un giudice diverso. [2]
Lo schema unitario è ispirato in linea generale alle regole che disciplinavano il procedimento d’urgenza, introdotto con un unico atto di impulso (art. 669 bis c.p.c.), innanzi ad un giudice la cui competenza è fissata con regole di generale applicazione (artt. 669 ter, 669 quater e 669 quinquies c.p.c.), il quale pronuncia, a seguito di contraddittorio e con cognizione sommaria, ordinanza oppure decreto se “la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento”, da confermare o revocare con ordinanza a seguito di contraddittorio (art. 669 sexies c.p.c.), avente contenuto di rigetto o di accoglimento con effetti e loro stabilità regolati per tutti i provvedimenti cautelari (artt. 669 septies, 669 octies e 669 novies c.p.c.), suscettibile di essere revocato, modificato e riformato secondo un modello unitario (artt. 669 decies, 669 undecies, 669 terdecies c.p.c.) e di essere attuato con criteri di generale applicazione (art. 669 duodecies c.p.c.).
In tutti i casi, infine, il giudizio di merito è promosso con ulteriore atto di impulso di parte. La disciplina unitaria sopprime, pertanto, il giudizio di convalida nei sequestri e la continuità processuale tra fase sommaria e fase di merito nei processi possessori, rendendo necessario un autonomo atto di impulso della parte per la introduzione del giudizio di merito a cognizione piena [3].

Forma della domanda e giudice competente (artt. da 669 bis a 669 quinquies c.p.c.).
L’art. 669 bis c.p.c. costituisce la norma di apertura del procedimento e regola la forma e le modalità di proposizione dell’istanza cautelare, individuandole in un ricorso da depositarsi nella cancelleria del giudice competente.
Quanto al contenuto della domanda cautelare, nel silenzio dell’art. 669 bis, soccorre l’art. 125 c.p.c.: il ricorso deve contenere, in generale, l’indicazione dell’ufficio giudiziario, delle parti, dell’oggetto e delle ragioni della domanda, nonché la formulazione delle conclusioni. Nel caso di domanda ante causam, dovranno essere indicati gli elementi sufficienti all’individuazione della futura azione di merito.

L’istanza cautelare può essere proposta nel verbale d’udienza? Può essere contenuta nell’atto di citazione?
Orbene, considerato che il legislatore del 1990 ha delineato un vero e proprio rito cautelare, autonomo in tutti i suoi aspetti rispetto a quello di merito, ed ha specificamente indicato nel ricorso depositato la sua forma introduttiva, deve ritenersi, conseguentemente, che in ordine al momento introduttivo il nuovo processo cautelare non consente alcuna distinzione, nel senso che la domanda si propone sempre con ricorso depositato nella cancelleria del giudice competente, vuoi che sia proposta ante causam vuoi che sia proposta nel corso del processo a cognizione piena. [4]
Ne deriva l’inammissibilità dell’istanza cautelare formulata oralmente – quando è già pendente la causa di merito – attraverso verbalizzazione all’udienza, anziché con ricorso depositato nella cancelleria del giudice competente, come prescrive l’art. 669 bis c.p.c. [5]
La forma scritta è imposta dalla stessa struttura del procedimento cautelare uniforme che, anche ove sia incardinato in pendenza della causa di merito, ha una sua autonomia ed implica la formazione di un fascicolo separato.
Sennonchè l’indirizzo prevalente in giurisprudenza, nel solco della prassi formatasi nel sistema anteriore alla novella, è favorevole ad ammettere la proponibilità della domanda cautelare in udienza, purché l’istanza a verbale contenga tutti gli elementi necessari all’identificazione del contenuto-forma richiesto dalla legge per il ricorso, sicché l’atto possa considerarsi idoneo al raggiungimento dello scopo sottraendosi così ad una declaratoria di nullità, in base all’art. 156, comma 3°, c.p.c. [6]
Le considerazioni svolte circa la prescrizione formale imposta dall’art. 669 bis c.p.c. hanno indotto alcuni commentatori a dubitare che possa ritenersi ancora ammissibile il cumulo delle due domande, e cioè la proposizione dell’istanza cautelare con l’atto di citazione notificato alla controparte. [7]
Tuttavia l’ipotesi non è infrequente nella prassi giudiziaria, prevalendo l’opinione se-condo cui ove l’atto – pur deviando dallo schema tipico previsto dall’art. 669 bis c.p.c. – contenga gli elementi necessari per l’identificazione della cautela richiesta mostrandosi così idoneo al raggiungimento dello scopo, lo stesso deve ritenersi equi-pollente ad un formale ricorso proposto in pendenza della causa di merito (poiché quest’ultima si determina, ex art. 39 c.p.c., con la notificazione della citazione, mentre la richiesta della misura cautelare si intende perfezionata nel momento successivo della costituzione dell’attore in cancelleria, a norma dell’art. 165 c.p.c.).

E’ possibile proporre in via riconvenzionale una controdomanda cautelare?
Oltre alle eccezioni e difese finalizzate al rigetto della domanda cautelare, la pre-valente giurisprudenza ritiene ammissibile per il resistente la proposizione, in via riconvenzionale, di altro ricorso per l’emissione di misura cautelare: l’orientamento è condivisibile, purchè la domanda riconvenzionale  di provvedimento cautelare sia connessa all’oggetto del ricorso principale e sia avanzata nel primo atto difensivo della parte resistente [8].
A ben vedere la possibilità di controdomande cautelari proposte in via riconvenzionale non è espressamente riconosciuta dal legislatore, sicchè in passato parte della giurisprudenza di merito [9] l’ha esclusa sull’assunto di un’asserita economicità del giudizio cautelare, che imporrebbe, in base all’art. 669 sexies c.p.c., l’espletamento delle sole formalità indispensabili alla pronuncia chiesta dal ricorrente; tuttavia la giurisprudenza successiva, sia di legittimità [10] che di merito [11], si è espressa nel senso dell’inesistenza di ragioni ostative alla proponibilità, in via riconvenzionale, di una domanda cautelare.

Quali sono le conseguenze dell’omessa o incompleta indicazione della causa di merito in caso di ricorso ante causam?
In particolare l’onere di specifica individuazione della causa petendi (fatto generatore del diritto cautelato e periculum in mora) e del petitum (misura cautelare richiesta) della domanda cautelare ha un rilievo giuridico notevole, avendo la riforma introdotto un filtro alla riproponibilità della domanda cautelare a seguito di provvedimento negativo (“mutamenti delle circostanze” oppure “nuove ragioni di fatto o di diritto” ex art. 669 septies, comma 1° c.p.c.), onde è necessario individuarne gli elementi essenziali per evitare che la parte possa riproporre identica domanda, dopo un precedente rigetto.
Il carattere strumentale della tutela cautelare richiede, inoltre, che il ricorso contenga – sempre sotto il profilo della causa petendi dell’azione cautelare – sufficienti indicazioni circa la domanda di merito a cautela della quale è richiesta la misura cautelare (questa identificazione si giustifica anche per il successivo onere, previsto dall’art. 669 octies c.p.c., di introdurre il giudizio di merito, da intendersi come giudizio sullo stesso oggetto del processo cautelare).
Il venir meno dell’obbligo di incardinare il giudizio di merito in relazione alla tipologia di provvedimenti (che potremmo definire latamente anticipatori) previsti dal testo novellato dell’art. 669 octies c.p.c. non esonera il ricorrente dall’obbligo di indicare l’azione di merito, essendo tale indicazione necessaria anche ai fini della qualificazione del provvedimento cautelare richiesto. [12]
Il difetto di specificità nell’indicazione degli elementi oggettivi di identificazione della domanda cautelare si riflette sulla validità dello stesso atto introduttivo. Al riguardo la giurisprudenza si è divisa tra due posizioni, differenziate più sotto il profilo terminologico-formale che sotto quello sostanziale: la prima, minoritaria, che invoca invece il concetto di inammissibilità [13] o di improcedibilità [14] del ricorso e la seconda che fa ricorso alla categoria della nullità [15].
Sembra preferibile parlare di nullità, categoria che meglio si presta a sanzionare la domanda cautelare priva dell’indicazione dell’azione di merito, attraverso l’applicazione dell’art. 156, comma 2° c.p.c.; il vizio deve ritenersi sanabile ex nunc mediante applicazione analogica del meccanismo previsto dal nuovo art. 164, comma 5° c.p.c., e cioè la rinnovazione o l’integrazione del ricorso disposta dal giudice. [16]

Come si individua il giudice competente a conoscere la domanda cautelare?
Relativamente alla competenza la legge n. 353 del 90 ha effettuato due scelte di fondo: 1) devoluzione delle misure cautelari chieste ante causam al giudice che sarebbe competente a conoscere la causa di merito; 2) normale attribuzione del potere cautelare ad un giudice monocratico, anche quando la competenza spetti ad un ufficio giudiziario a composizione collegiale, ma soppressione della competenza funzionale del presidente del tribunale (e del pretore dirigente) prevista in precedenza dagli artt. 672 e 673 in tema di sequestri.
Le due scelte appaiono del tutto coerenti con il carattere strumentale (rispetto al giudizio a cognizione piena) della tutela cautelare e con l’esigenza di rispettare la specifica professionalità del giudice chiamato a provvedere in via sommaria su materie spesso estremamente delicate. [17]
Per effetto dell’istituzione del giudice unico di primo grado e della soppressione degli uffici di pretura (d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51), la competenza cautelare ante causam rimane attribuita esclusivamente al tribunale, anche per le cause di competenza del giudice di pace.
Dal preciso dettato normativo dell’art. 669 ter, comma 4°, c.p.c. risulta in ogni caso soppressa la competenza cautelare ante causam del presidente del tribunale, così come era configurata dall’abrogato art. 672 c.p.c., salva naturalmente la possibilità che il presidente assegni a sè stesso il singolo procedimento.
Allo stesso modo appare sufficientemente chiaro che, nelle cause di competenza del tribunale, il giudice debba essere sempre monocratico, a prescindere dalla circostanza che la causa di merito rientri, o meno, tra quelle che dovranno essere decise nel merito dal collegio.
L’istruzione e la decisione collegiali nel procedimento cautelare ante causam rimangono dunque un’ipotesi del tutto eccezionale, limitata alle controversie (come ad es. quelle di competenza delle Sezioni specializzate agrarie) in cui l’ordinamento prevede come regola che il giudice di primo grado operi sempre in veste collegiale. [18]
Ai sensi dell’art. 669 quater c.p.c. “quando vi è causa pendente per il merito, la domanda deve essere proposta al giudice della stessa“.
Al riguardo la Suprema Corte ha chiarito che per “causa pendente per il merito” si deve intendere “il giudizio avente ad oggetto l’accertamento dello stesso diritto che il ricorrente afferma essere minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile, per impedire il quale è necessario assicurare  provvisoriamente gli effetti della decisione di merito”. [19]
La tendenziale identità, sancita dagli artt. 669 ter, comma 1°, e 669 quater, comma 1° c.p.c., tra il giudice competente a pronunciare sulla domanda cautelare e quello chiamato a decidere il merito, non costituisce una regola assoluta ed indefettibile, sussistendo delle deroghe (nelle ipotesi di competenza per il merito del giudice di pace; esercizio o trasferimento dell’azione civile nel processo penale; controversia oggetto di clausola compromissoria, di compromesso o di pendenza di giudizio arbitrale) vuoi se la misura cautelare sia richiesta ante causam vuoi se la lite sia già pendente.

Il procedimento (art. 669 sexies c.p.c.).
La struttura di fondo del nuovo procedimento cautelare privilegia – nell’ottica di un rito per così dire ordinario – il contraddittorio delle parti, non solo in sede di proposizione del ricorso (l’istanza viene sempre vagliata nel contraddittorio delle parti, anticipato o, in caso di decreto inaudita altera parte, posticipato),  ma anche in sede di riproposizione dell’istanza cautelare (art. 669 septies), di revoca e modifica (art. 669 decies), di attuazione delle misure cautelari (art. 669 duodecies) e di reclamo contro i provvedimenti di accoglimento.
A seguito della proposizione dell’istanza cautelare la regola posta dall’art. 669 sexies, comma 1° c.p.c. – conforme ai precetti dell’art. 101 c.p.c. e 24, comma 2° cost. – è che si provveda dopo aver instaurato il contraddittorio delle parti.

Come si instaura il contraddittorio?
Il giudice deve fissare l’udienza di comparizione delle parti innanzi a lui per la trattazione e per il compimento degli atti di istruzione indispensabili.
La notificazione a cura della parte istante costituisce la forma tipica di attivazione del contraddittorio nel nostro ordinamento, essendo eccezionale l’ipotesi della notificazione a cura dell’ufficio (v. ad es. l’art. 420, comma 11° c.p.c.)
Sennonchè, nel silenzio della norma circa le modalità di attivazione del contraddittorio, parte della dottrina ritiene possibile, in ossequio al principio della libertà delle forme sancito dagli artt. 121 e 131 c.p.c., l’utilizzazione di strumenti di convocazione della controparte anche diversi dalla notificazione (quali il telefono, il telegramma, il fax, il biglietto di cancelleria, ecc,) purché idonei allo scopo (art. 156 c.p.c.).
E’ verosimile che tale utilizzo sia destinato ad aumentare in futuro, in correlazione all’ingresso delle nuove tecnologie nel processo civile, secondo un percorso faticosamente avviato dalla legge 7 giugno 1993 n. 183 e, da ultimo, ripreso dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 in tema di comunicazione del deposito di provvedimenti giudiziari a mezzo di posta elettronica e fax (si veda il nuovo testo degli artt. 133, 134 e 176 c.p.c.).
Nell’ipotesi di istanza cautelare proposta a verbale o con memoria depositata all’udienza, il contraddittorio deve ritenersi automaticamente attivato nei confronti delle altre parti costituite, salvo il diritto delle stesse di controdedurre eventualmente entro un termine a difesa appositamente richiesto e concesso.
Rimane da accennare all’ipotesi dell’istanza cautelare proposta lite pendente nei confronti della controparte rimasta contumace, dovendosi stabilire se il contraddittorio debba essere instaurato attraverso una rituale notificazione a norma dell’art. 292 c.p.c. [20] ovvero sia possibile ricorrere anche a forme alternative di comunicazione [21].
Sembra preferibile quest’ultima opinione, sia per esigenze di celerità sia perché deve escludersi il carattere di novità della domanda cautelare proposta in corso di causa [22].
Il riferimento, nel comma 1° dell’art. 669 sexies c.p.c., all’audizione delle parti non implica la necessità di un interrogatorio libero delle stesse e, quindi, di una sorta di onere di comparizione personale all’udienza, ma sottintende la garanzia del contraddittorio e la possibilità di far valere le proprie ragioni tramite il difensore tecnico.

Quali sono le regole che presiedono all’istruttoria cautelare, con particolare riferimento ai poteri del giudice ed ai diritti delle parti?
Instaurato il contraddittorio, il giudice, ove necessario, procede all’attività istruttoria “nel modo che ritiene più opportuno”, “omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio”: tale previsione induce a ritenere codificato il principio di deformalizzazione dell’istruttoria cautelare, giustificata dall’urgenza del provvedere.
Al riguardo va sottolineato che l’art. 669 sexies, 1° comma, c.p.c., prevedendo la possibilità di compiere “atti di istruzione”, consente l’assunzione anche di mezzi di prova tipici del giudizio ordinario di cognizione.
La novità è di notevole portata rispetto alla previgente disciplina dei sequestri, nella quale l’attività in senso lato istruttoria si esauriva nella possibilità ex art. 672 c.p.c. di assumere “sommarie informazioni”.
Sennonchè la formula adoperata dal legislatore nel riferimento agli “atti di istruzione indispensabili”, da assumere senza formalità, ha suscitato un’ampio dibattito dottrinale sulla portata dell’istruttoria cautelare, con particolare riguardo ai poteri del giudice e delle parti.
Invero alcuni autori ritengono che il legislatore avrebbe dettato regole qualitativamente diverse nell’istruttoria del 1° e 2° comma dell’art. 669 sexies c.p.c., come si evince dalla stessa formulazione letterale della norma, che contrappone gli “atti di istruzione” alle “sommarie informazioni”. La minore o maggiore urgenza di provvedere legittimerebbe non soltanto un diverso modus procedendi (in contraddittorio o inaudita altera parte), ma anche un diverso taglio dell’istruttoria: più simile a quella del processo ordinario di cognizione nel caso normale della preventiva audizione delle parti ed, invece, più informalizzata ed elastica, ove l’urgenza di provvedere non consenta tale comparizione.
Secondo tale indirizzo, dunque, gli atti espletati dal giudice nel corso dell’istruttoria cautelare c.d. ordinaria sono normali atti istruttori che si svolgono secondo gli schemi di cui all’art. 202 ss. c.p.c. ed hanno, pertanto, un rango qualitativo pari a quelli esperibili nella fase a cognizione ordinaria. [23]
Ne deriva una totale chiusura alle prove atipiche, se intese nel significato di strumenti probatori non previsti dalla legge, potendo il principio di informalità giustificare tutt’al più una deroga alla disciplina processuale delle modalità di acquisizione dei singoli mezzi di prova (es. assunzione di testi senza previa dichiarazione di impegno o al di fuori delle posizioni capitolate). [24]
Per contro, la doppia urgenza e l’assenza di contraddittorio, che caratterizzano l’ipotesi eccezionale di cui al 2° comma dell’art. 669 sexies c.p.c., consentirebbero una deroga anche totale alle regole dell’istruttoria ordinaria  – in punto di principio dispositivo, di onere della prova, ecc. – giustificando ed esaltando l’impulso ufficioso del giudice.
A tale orientamento se ne contrappone un altro – espresso dalla prevalente dottrina e dalla scarna giurisprudenza – che, valorizzando pienamente la “deformalizzazione” del procedimento cautelare (e quindi la discrezionalità demandata al giudice nella fissazione delle modalità con cui procedere agli atti di istruzione), è incline a negare sul piano istruttorio una sostanziale differenziazione tra i metodi di accertamento individuati rispettivamente dal 1° e dal 2° comma dell’art. 669 sexies c.p.c..
Il principio della libertà delle forme, cui la norma di ispira, comporterebbe – tanto nel caso della previa comparizione delle parti, quanto in quello dell’istruttoria effettuata inaudita altera parte – l’applicazione di una serie di regole identiche, identificabili nell’iniziativa inquisitoria, nella soppressione delle regole sull’onere della prova e nell’informalità più assoluta dell’acquisizione (sempre ovviamente nel rispetto del contraddittorio), fermo restando il principio dell’onere delle allegazioni, che spetta pur sempre alla parte anche in questa materia e che non consente al giudice di introdurre d’ufficio nuovi fatti nel processo. [25]
Ed invero la formula adoperata dal legislatore nel 1° comma dell’art. 669 sexies coglie l’essenza della cognizione sommaria, la quale – a differenza della cognizione piena, caratterizzata da una predeterminazione legislativa di forme, termini, poteri processuali delle parti e del giudice  – si svolge secondo forme e termini rimessi per la massima parte alla discrezionalità del giudice e non previamente fissati dal legislatore. [26]
Da tali premesse si traggono rilevanti conseguenze sul piano della concreta disciplina del procedimento cautelare, quali la ritenuta mancanza di qualsivoglia termine minimo a difesa, predeterminato dalla legge, e la piena apertura alle prove atipiche (in riferimento sia alle modalità di acquisizione dei mezzi di prova tipici sia alle c.d. prove innominate, quali ad es. gli scritti di terzi, le perizie stragiudiziali, l’utilizzazione della sentenza come mezzo di prova, ecc.).
Ai sensi del 2° comma dell’art. 669-sexies c.p.c., qualora la realizzazione del contraddittorio nella forma – normale – anticipata possa pregiudicare in tutto o in parte l’effettività del provvedimento cautelare richiesto, il giudice provvede inaudita altera parte con decreto motivato, “assunte ove occorra sommarie informazioni”.
Tra le ipotesi più ricorrenti di deroga all’attuazione del contraddittorio vanno segnalate quelle del sequestro conservativo e del sequestro giudiziario di beni mobili, nelle quali mettere sull’avviso la controparte significherebbe offrirle sovente la possibilità di sottrarsi agli effetti del provvedimento stesso.
Naturalmente nei casi eccezionali in cui si proceda con il descritto meccanismo, il contraddittorio è pure garantito in modo differito, tornando ad applicarsi le regole di cui al 1° comma dell’art. 669 sexies c.p.c. all’udienza fissata dal giudice.

Quale efficacia hanno, nel giudizio di merito, le prove raccolte in sede cautelare?
Va sottolineato anzitutto che il giudice competente non può concedere un provvedimento cautelare sulla sola verosimiglianza delle allegazioni di parte ricorrente, perchè il presupposto minimo per ottenere un tal provvedimento è costituito dal c.d. fumus boni iuris, ovvero dalla prova superficiale dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio.
Nel giudizio relativo al fumus, oggetto di accertamento è lo stesso diritto sostanziale protetto mediante le forme giudiziarie ordinarie, anche se attraverso il ricorso a strumenti conoscitivi dotati di un minor grado di certezza giuridica perché più immediati e di rapido espletamento, donde la natura dei risultati sul piano probabilistico e non su quello della certezza giuridica.
Orbene, quanto al quesito posto alquanto riduttiva sembra l’affermazione della Corte costituzionale, [27] per la quale il materiale probatorio raccolto nella fase cautelare civile rileva nel merito soltanto come argomento di prova, così come risultano estremamente semplificate le contrapposte tesi dottrinarie che, da un lato, sostengono l’inutilizzabilità nel giudizio di merito di ogni risultato dell’istruttoria cautelare ottenuto con mezzi non consentiti dalla legge [28] e, dall’altro, invece, la possibilità di impiegare gli esiti dell’indagine cautelare come argomenti di prova. [29]
In realtà le situazioni ipotizzabili sono diverse e vanno analizzate distintamente: a) ove siano state acquisite prove tipiche, attraverso i normali canali di acquisizione previsti dalla legge (che sono la produzione, per il materiale documentale, e l’assunzione, secondo le regole degli artt. 202 ss. c.p.c., per le prove costituende), dette prove devono ritenersi pienamente utilizzabili nel giudizio di merito, esaltandosi il carattere di strumentalità rispetto all’autonomia del procedimento cautelare; b) qualora vi sia stata acquisizione informale di  prove tipiche, e cioè acquisizione di documenti o di prove costituende con forme e termini diversi da quelli previsti dal secondo libro del codice di procedura civile, tali risultanze manterranno un carattere meramente indiziario ovvero (secondo coloro che non ritengono consentito l’impiego nel giudizio ordinario di fonti di informazione pervenute agli atti al di fuori dei canali legali di acquisizione) saranno prive di qualsivoglia valore (dovendosi così procedere alla rinnovazione della prova, secondo le regole dell’istruttoria ordinaria); c) allorché, infine, siano state acquisite prove atipiche o innominate, intese appunto nel significato di strumenti probatori non codificati,  ma attraverso i normali canali  previsti nel processo ordinario (ad es. deposito di testimonianze o perizie stragiudiziali, uso di prove raccolte in altro processo, ecc.), a tali risultanze potrà essere attribuito, nella causa di merito, lo stesso valore che assumerebbero se raccolte direttamente nel giudizio ordinario.
Tale valore viene generalmente ricondotto a quello degli “indizi”, che possono essere posti a base del ragionamento presuntivo (in virtù dell’art. 2727 c.c.) oppure a quello degli “argomenti di prova” che l’art. 116, 2° comma, consente di trarre dal comportamento delle parti, anche se non sembra  corretto – alla luce della casistica e della prassi giurisprudenziale –  individuare un unico parametro o criterio alla cui stregua “misurare” in maniera uniforme l’efficacia probatoria delle prove atipiche, che non appaiono suscettibili, sotto questo profilo, di disciplina unitaria.


Il provvedimento (artt. 669 septies e 669 octies c.p.c.).
L’art. 669 septies disciplina l’ipotesi del provvedimento negativo (di incompetenza o di rigetto per altri motivi di rito o di merito) prevedendo in ogni caso l’adozione della forma dell’ordinanza: ciò lascia intendere chiaramente che l’istanza cautelare non potrà mai essere respinta dal giudice con decreto in assenza di contraddittorio. [30]
La ratio della scelta legislativa va individuata verosimilmente nell’esigenza di scoraggiare il ricorso avventato alla tutela cautelare ante causam attraverso il deterrente della condanna alle spese, che può essere contenuta solo nell’ordinanza, e di mettere altresì la controparte nella condizione di essere comunque edotta della proposizione dell’istanza rigettata,  in modo da poter far valere eventuali eccezioni (ad es. l’identità dei fatti e dell’apparato argomentativo) in sede di riproposizione della domanda cautelare.


E’ ammissibile il rigetto del ricorso con decreto inaudita altera parte per motivi di rito?
Qualche commentatore ritiene che il rigetto per motivi di rito possa essere pronun-ciato anche con decreto inaudita altera parte, che deve però contenere sempre la fissazione dell’udienza in contraddittorio, con la conseguente possibilità che la parte istante non provveda alla notifica e abbandoni il processo anche per evitare la probabile condanna alle spese. [31]
Quantunque sulla legittimità di una tale forma di rigetto è lecito nutrire seri dubbi sulla base della lettera dell’art. 669 septies, che si riferisce sempre ad un rigetto reso con ordinanza, [32] non può ignorarsi una prassi applicativa sviluppatasi in molte sedi giudiziarie, quella cioè di rigettare de plano l’istanza cautelare quando il ricorso sia manifestamente infondato o inammissibile o inaccoglibile per motivi di rito, [33] prassi dietro la quale si cela verosimilmente un rifiuto di pratiche defatigatorie ad abusive della tutela cautelare. [34]
A prescindere dal ragionevole dubbio di legittimità costituzionale di tale percorso giudiziario, preme rimarcare in questa sede l’esigenza del controllo su tale decreto per evitare che sia preclusa al ricorrente l’esercizio di una facoltà (il reclamo) esercitabile soltanto avverso un provvedimento che assuma forma di ordinanza.

Quali sono i presupposti normativi per la riproposizione dell’istanza cautelare per motivi diversi dall’incompetenza?
L’ordinanza di incompetenza non preclude la riproponibilità della domanda cautelare (senza alcun limite) innanzi allo stesso giudice; ciò esclude inequivocabilmente (anche per la natura non decisoria e non definitiva del provvedimento) l’impugnabilità per regolamento necessario di competenza.
D’altro canto, neppure il giudice dichiarato competente e innanzi al quale l’istanza venga riproposta può richiedere d’ufficio il regolamento ex art. 45 c.p.c., ove si ritenga incompetente per ragioni di materia o di territorio inderogabile: in tal caso egli deve a sua volta declinare la propria competenza indicando altro giudice o, addirittura, il primo come competente a conoscere la domanda cautelare. [35] All’interessato rimane la facoltà di proporre reclamo avverso il provvedimento che declina la competenza cautelare [36].
Anche l’ordinanza di rigetto per motivi diversi dall’incompetenza (quali, ad es., il difetto di legittimazione ad agire, la nullità non sanata della domanda, la carenza del fumus boni iuris o del periculum in mora) non preclude la riproposizione dell’istanza cautelare “quando si verifichino mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto“.
La formula usata dal legislatore, più ampia di quella che definisce i presupposti della modifica o revoca dell’ordinanza (solo “mutamenti delle circostanze” ex art. 669 decies c.p.c.), consente la riproposizione della domanda non solo in relazione al sopraggiungere di nuove circostanze di fatto, ma anche quando vengano allegati fatti preesistenti o prospettate difese in diritto anteriormente non utilizzate, anche semplicemente attraverso la richiesta di una diversa tipologia della misura cautelare. [37]
Il quadro complessivo che si trae dall’esame dei limiti alla riproponibilità dell’istanza cautelare è quello di una disciplina preclusiva assai blanda; proprio tale considerazione ha indotto parte della dottrina e della giurisprudenza ad auspicare una lettura più rigorosa della norma dopo l’intervento della Corte costituzionale che, con la sentenza n. 253 del 23 giugno 1994,  ha esteso il reclamo anche avverso le decisioni di rigetto dei ricorsi cautelari. In tale ottica si segnalano pronunce che escludono la riproponibilità della domanda cautelare che si fondi su circostanze e ragioni non dedotte a sostegno della prima istanza, ma già deducibili in quel momento [38].

La soppressione della strumentalità dei provvedimenti cautelari anticipatori.

a) L’evoluzione delle misure cautelari: verso l’introduzione del rèfèrè.
L’art. 669 octies c.p.c. disciplina l’ordinanza di accoglimento di domanda cautelare proposta ante causam prevedendo la fissazione, nella stessa ordinanza, di un termine perentorio massimo per l’inizio del giudizio di merito (elevato da trenta a sessanta giorni dalla legge 14 maggio 2005 n. 80). La previsione discende dalla caratteristica di rigida strumentalità cui è stata improntata originariamente la disciplina dei provvedimenti cautelari e comporta, in caso di mancato rispetto del termine, la sanzione dell’inefficacia della misura cautelare, ai sensi dell’art. 669 novies c.p.c. (limitatamente oggi ai soli provvedimenti cautelari a carattere non anticipatorio).
Sennonché tale vincolo di strumentalità strutturale tra il provvedimento cautelare ed il giudizio a cognizione piena, che ispirava l’originaria disciplina di cui all’art. 669 octies c.p.c., è stato sciolto da recenti riforme normative ispiratesi ad esperienze di altri paesi (in particolare al referè francese).
Gli artt. 23 e 24 del d.lg. n. 5 del 2003 (entrato in vigore il 1 gennaio 2004), nelle materie indicate dall’art. 1, hanno introdotto un principio del tutto nuovo e derogatorio rispetto al sistema cautelare generale, stabilendo che i provvedimenti d’urgenza e gli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito conservano efficacia anche se il giudizio di merito non viene iniziato, o se si estingue.
La legge 14 maggio 2005, n. 80 (di conversione del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, c.d. decreto sulla competitività), ha trapiantato in seno al procedimento cautelare uniforme i principi derogatori già introdotti nel processo societario.
In base al nuovo testo dell’art. 669 octies c.p.c. i provvedimenti d’urgenza emessi ai sensi dell’articolo 700 c.p.c., gli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali, nonche’ i provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto, ai sensi dell’art. 688 c.p.c., conservano la loro efficacia anche quando – se emessi ante causam – non siano seguiti dal giudizio di merito nel termine di sessanta giorni (comma 6) ovvero quando – a prescindere dall’epoca della loro emanazione – il giudizio di merito si estingua (comma 7).
In tal modo, ove la tutela cautelare accordata sia integralmente anticipatoria ed esaurisca quindi il bisogno di tutela, il ricorrente è in grado di evitare gli oneri, in termini di tempi e costi, del giudizio ordinario potendosi accontentare del risultato conseguito in sede di cognizione sommaria cautelare, senza peraltro che detto accertamento (non avente valore di giudicato) possa essere invocato in un diverso giudizio (comma 8).
Naturalmente ciascuna parte è libera di optare, anche in presenza di misura cautelare anticipatoria, per una definizione del rapporto attraverso un processo a cognizione piena, che conduca ad una pronuncia suscettibile non solo di avere efficacia esecutiva, ma anche di assumere valore di “giudicato”, ai sensi dell’art. 2909 c.c., tale quindi da poter essere invocata anche in un diverso procedimento.
Il provvedimento cautelare anticipatorio resterà in ogni caso efficace sine die, fino a quando sia pronunciata (come atto conclusivo di un processo di cognizione) una sentenza che accerti l’inesistenza del diritto cautelato. Ma trattandosi di una mera eventualità (potendo accadere che alcuna parte promuova l’instaurazione del giudizio a cognizione piena), è evidente che l’efficacia del provvedimento, quantunque provvisoria,  assume connotati di potenziale permanenza.

Quali sono i provvedimenti cautelari soggetti al nuovo regime di stabilità?
Il legislatore limita l’ultrattività ai provvedimenti d’urgenza e agli altri provvedimenti cautelari a contenuto anticipatorio degli effetti della decisione di merito, oltre che ai provvedimenti nunciatori, così attribuendo rilevanza alla distinzione, di derivazione dogmatica, tra provvedimenti cautelari anticipatori e provvedimenti cautelari meramente conservativi.
Sennonchè, prescindendo dalle ipotesi più semplici previste dal codice di procedura civile (da una parte, i provvedimenti d’urgenza totalmente anticipatori della pronuncia di merito, e, dall’altra, i sequestri ed i provvedimenti di istruzione preventiva, per i quali ultimi rimane peraltro confermata l’inapplicabilità degli artt. 669 octies e novies c.p.c., in virtù dell’art. 669 quaterdecies c.p.c.), il confine tra provvedimenti cautelari anticipatori e conservativi (soprattutto al di fuori del codice di rito) è alquanto incerto e, nel dubbio, la distinzione deve essere rimessa all’interpretazione del giudice.
Al riguardo si segnala che in dottrina – già in relazione alla normativa introdotta dal d.lgs. n. 5 del 2003 – si sono formati orientamenti difformi in ordine all’idoneità di qualsiasi provvedimento d’urgenza ad escludere l’applicabilità dell’art. 669 octies c.p.c.
Un primo indirizzo interpretativo opina nel senso che tutte le misure cautelari, concesse ai sensi dell’art. 700 c.p.c., devono considerarsi ex lege a strumentalità attenuata, sottraendosi in tal modo a qualsiasi valutazione in ordine alla loro portata realmente anticipatoria [39]. La prevalente dottrina afferma, invece, che la valutazione dell’idoneità “ad anticipare gli effetti della decisione di merito” debba essere estesa anche ai provvedimenti d’urgenza [40].
Alla luce del novellato art. 669 octies c.p.c. il dibattito è destinato ad intensificarsi, tenuto conto peraltro che le indicazioni fornite dal legislatore non appaiono univoche e risolutive.
Invero, per un verso, la norma sembra assimilare senz’altro i provvedimenti d’urgenza a quelli a carattere anticipatorio, ancorchè la determinazione dell’oggetto dei provvedimenti ex art. 700 c.p.c. è così ampia e generica da poter ricomprendere nel suo ambito sia pronunce di tipo anticipatorio (come generalmente avviene) sia pronunce conservative atipiche (si pensi al sequestro atipico di pubblicazioni per prevenire o limitare il danno arrecato a mezzo stampa). Per altro verso, la norma accosta a quelli anticipatori “i provvedimenti emessi a seguito di denunce di nuova opera o di danno temuto ai sensi dell’art. 688”, i quali possono assumere anche contenuti conservativi, come si evince chiaramente dall’art. 1171, comma 2 (sospensione dell’opera e imposizione di cautele per il risarcimento del danno).
Non è chiaro, pertanto, se nell’intenzione del legislatore i provvedimenti d’urgenza sopravvivano sempre al mancato inizio o all’estinzione del processo oppure sopravvivono solo se ed in quanto siano effettivamente anticipatori.
La tesi restrittiva è da preferire, perché evita il rischio di dilatare il nuovo regime di stabilizzazione degli effetti, posto dall’art. 669 octies, comma 6°, c.p.c., anche a misure urgenti destinate ad offrire, per propria natura, una regolamentazione del tutto provvisoria e temporanea del rapporto litigioso.
L’altro problema connesso all’individuazione dei provvedimenti che godono di ultrattività, in quanto assoggettati al nuovo regime di stabilità delle misure cautelari, attiene alla corretta definizione del concetto di anticipazione.
Una prima accezione “letterale” del termine “anticipazione” impone di considerare anticipatorie le sole misure il cui contenuto sia coincidente con quello che potrebbe avere il provvedimento di accoglimento – totale o parziale – della domanda di merito [41].
Secondo una variante interpretativa meno rigorosa del suesposto orientamento (ma ugualmente “restrittiva” della formula prima richiamata) l’anticipazione presuppone – anche in via parziale – l’identità di natura e oggetto tra l’effetto anticipante e quello anticipato, indipendentemente dal diverso contenuto dei relativi provvedimenti [42].
In ogni caso la delicatezza della questione sulla natura anticipatoria o meno della misura induce ad escludere che spetti al giudice della cautela tale verifica, perché altrimenti si demanderebbe a lui il compito di determinare la disciplina dell’efficacia del provvedimento, riservato invece dall’art. 669 novies c.p.c. al giudice competente alla declaratoria d’inefficacia della misura cautelare.
Sicchè, quali che siano le indicazioni provenienti dal giudice della cautela (sotto il profilo del carattere anticipatorio o meno della misura, della fissazione o meno del termine, della liquidazione o meno delle spese), le stesse non possono considerarsi in alcun modo vincolanti per le parti, sulle quali grava sostanzialmente l’onere di qualificazione del provvedimento.
Le incertezze interpretative sul carattere effettivamente anticipatorio di un provvedimento cautelare rischiano, evidentemente, di compromettere l’auspicato effetto deflattivo conseguente all’abbandono della strumentalità necessaria, poiché in molti casi chi ha ottenuto il provvedimento cautelare sarà indotto prudenzialmente ad iniziare comunque il giudizio di merito ed a coltivarlo sino alla sua naturale conclusione, per scongiurare il pericolo di vederne caducati gli effetti – in accoglimento di ricorso proposto dalla controparte ex art. 669 novies, co. 2, c.p.c. – ove quel provvedimento sia qualificato come conservativo e non meramente anticipatorio.

Le ricadute del nuovo regime di stabilità sul piano sistematico
a) La ripartizione degli oneri probatori tra le parti nell’eventuale giudizio di merito.
b) Le spese (la lacuna normativa e l’applicazione dell’art. 91 c.p.c.).
c) Crisi della distinzione tra tutela sommaria cautelare e non cautelare (prima basata su diverso regime di stabilità del provvedimento, perché anche i provvedimenti cautelari anticipatori divengono ultrattivi.
d) Riflessi sulla natura cautelare di talune misure extravagantes.
e) Ricadute sulla funzione della tutela cautelare: sembra evolvere dalla mera cautela di un diritto, da accertare successivamente nel giudizio a cognizione piena, all’assicurazione immediata dell’utilità sostanziale di cui l’istante ha bisogno attraverso un provvedimento sommario semplificato, a prevalente finalità esecutiva, suscettibile di consolidare i suoi effetti nel tempo. Oltre all’effettività viene esaltata la funzione di economia dei giudizi, delineandosi una sfera di tutela satisfattiva conseguibile attraverso un percorso semplificato (a cognizione sommaria) alternativo a quello del giudizio di merito (a cognizione piena).

L’inefficacia del provvedimento cautelare (art. 669 novies c.p.c.).
La “Novella” del 1990 ha introdotto con l’art. 669 novies c.p.c. una disciplina specifica dell’inefficacia del provvedimento cautelare, colmando in tal modo una vistosa lacuna del previgente regime.
La ratio ispiratrice della nuova disciplina va individuata nel rigoroso nesso di strumentalità strutturale della misura cautelare con il provvedimento di merito che accoglie la domanda, vincolo che sopravvive – dopo le recenti riforme normative – solo rispetto alle misure cautelari a carattere conservativo.

Giudice competente, in caso di contestazione della parte resistente, a dichiarare l’inefficacia della misura cautelare e rito da adottare.
In tutte le ipotesi contemplate dall’art. 669 novies c.p.c. sopra considerate la cessazione degli effetti della misura cautelare non avviene ope legis, ma solo a seguito del promovimento, a cura della parte interessata, di un apposito procedimento che conduce alla declaratoria di inefficacia e ai provvedimenti ulteriori di ripristino.
Relativamente alla competenza, nei casi di mancata proposizione del giudizio di merito, di estinzione dello stesso ovvero di mancata domanda di delibazione nei termini della sentenza straniera o del lodo arbitrale, l’istanza per l’accertamento della cessazione degli effetti della misura cautelare va proposta allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento cautelare, il quale, in assenza di contestazioni (sul punto della maturata causa di inefficacia), provvede con ordinanza esecutiva nel contraddittorio delle parti. In caso di contestazioni la competenza è attratta all’ufficio giudiziario nel suo complesso, che decide con sentenza provvisoriamente esecutiva.
L’opinione espressa dalla prevalente dottrina e giurisprudenza è nel senso che, per effetto della contestazione, il procedimento camerale debba trasformarsi in un ordinario giudizio di cognizione avente ad oggetto la controversia sulla sussistenza della causa d’inefficacia, desumendosi dalla prescelta forma della sentenza la volontà del legislatore di escludere che il provvedimento decisorio possa essere adottato con il rito camerale. [43]
Secondo una diversa opzione interpretativa, la presenza di contestazioni non determina alcun mutamento di rito, proseguendo il procedimento nelle forme della camera di consiglio per essere deciso con sentenza dal collegio, del quale non può far parte il giudice che ha emesso il provvedimento. [44]
Tale interpretazione sembra preferibile, perché il rito camerale meglio si presta a soddisfare quelle esigenze di snellezza e rapidità che caratterizzano il procedimento cautelare in ogni sua fase, da quella concessiva a quella di attuazione. [45]

La revoca e la modifica (art. 669 decies c.p.c.).
La riforma del ’90 ha introdotto la regola della revocabilità e modificabilità (su istanza di parte) del provvedimento cautelare generalizzando la soluzione giurisprudenziale affermatasi con riguardo ai provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c. [46]
Anche su tale aspetto è intervenuto recentemente il legislatore con la l. n. 80 del 2005, sostituendo al comma 1 dell’art. 669 decies c.p.c. due nuovi commi, nei quali al tradizionale presupposto della esistenza di fatti nuovi se ne aggiunge un altro, costituito dall’allegazione di “fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare”.

Quando ricorre il presupposto dei “mutamenti nelle circostanze”?
Fino a quando il “mutamento nelle circostanze” ha rappresentato l’unica ipotesi giustificativa della revocabilità o modificabilità del provvedimento cautelare, fermo restando l’impossibilità di dedurre motivi di illegittimità o di inopportunità originaria della concessa misura cautelare (deducibili in sede di reclamo), la prevalente dottrina ha ritenuto integrato il presupposto normativo solo dai mutamenti extraprocessuali dei fatti storici rilevanti successivi alla pronuncia del provvedimento [47] e non anche dai semplici mutamenti delle allegazioni o dall’allegazione di fatti preesistenti ma non dedotti in sede autorizzatoria [48] o dalle nuove risultanze istruttorie che introducono elementi nuovi nella valutazione del fumus boni iuris e del periculum in mora della concessa cautela. [49]
Sulla scia della modifica introdotta nel processo societario [50] il legislatore è intervenuto nel dibattito con la Novella del 2005, prevedendo espressamente che i “fatti anteriori” possano essere allegati ai fini della revoca o della modifica del provvedimento cautelare, purchè l’istante fornisca la prova “del momento in cui ne è venuto a conoscenza”, momento che deve collocarsi “successivamente al provvedimento cautelare”.
Trattasi evidentemente di una soluzione intermedia tra la pura e semplice rilevanza dei fatti preesistenti e non dedotti prima innanzi al giudice della cautela (onerandosi, peraltro, la parte che ha interesse a farli valere della prova di averli ignorati precedentemente) e la rimessione in termini della parte che ha omesso di allegare i fatti (perché non è richiesta anche la prova dell’ignoranza incolpevole).
L’istituto viene in tal modo a svolgere una funzione non solo di adeguamento del provvedimento alle effettive modifiche della realtà fattuale, ma anche di rimedio contro l’insufficiente allegazione, se giustificata da una conoscenza sopravvenuta.
I nuovi commi 1 e 2 dell’art. 669 decies c.p.c. chiariscono che la revoca o la modifica possono essere chieste “salvo che sia stato proposto reclamo” ovvero “esaurita l’eventuale fase di reclamo”: al di là della variante lessicale utilizzata, è chiara l’opzione del legislatore nel senso che le sopravvenienze (in senso oggettivo o soggettivo) devono essere fatte valere senz’altro (qualora sia ancora temporalmente possibile) nel subprocedimento ex art. 669 terdecies c.p.c.

Il reclamo (art. 669 terdecies c.p.c.).
La norma dell’art. 669 terdecies c.p.c. costituisce il punto di arrivo di una lunga battaglia condotta dalla dottrina italiana per colmare una vistosa lacuna del sistema previgente, che era privo di qualsiasi mezzo di gravame contro i provvedimenti cautelari (diversamente dalla maggior parte degli ordinamenti europei), nonostante la sempre maggiore diffusione ed incisività della tutela urgente cautelare nell’ambito della tutela giurisdizionale.
L’istituto si colloca nell’ambito di una serie di rimedi previsti in via generale dal legislatore della riforma (la revoca e modifica, l’inefficacia e la sospensione dell’esecuzione o dell’efficacia esecutiva della misura cautelare) in un’ottica opposta rispetto a quella della disciplina previgente, imperniata sulla tendenziale stabilità del provvedimento cautelare.
Il reclamo realizza un controllo esterno che si attua – nella forma dell’impugnazione del provvedimento – ordinanza di concessione dell’originaria misura cautelare – al di fuori del giudizio di merito, e quindi ad opera di un giudice (collegiale) sempre diverso sia dal giudice che ha reso la cautela che dal giudice (istruttore) della causa di merito.

Qual è il soggetto legittimato alla proposizione del reclamo?
Al riguardo va ricordato che l’attenzione del legislatore della riforma si è focalizzata inizialmente sulla posizione del soggetto passivo della misura cautelare, al fine di ampliare le limitatissime possibilità difensive offertegli dal sistema previgente.
In quest’ottica era stata prevista inizialmente la reclamabilità della sola ordinanza di accoglimento del ricorso cautelare, emessa prima o nel corso della causa di merito, proprio a tutela del destinatario passivo della misura.
A seguito della nota sentenza additiva del giudice delle leggi [51] è stato possibile proporre reclamo anche avverso “l’ordinanza con cui sia stata rigettata la domanda di provvedimento cautelare”, eliminando la possibilità di un gravame condizionato dal tipo di pronuncia, sulla scorta dell’avvertita necessità di un’equa distribuzione fra le parti di oneri e doveri processuali e di un apprezzamento della pari valenza degli interessi di cui le contrapposte parti sono portatrici.
La recente modifica del testo del comma 1 dell’art. 669 terdecies c.p.c. (che ammette espressamente il reclamo “contro l’ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare), apportata dalla l. n. 80 del 2005, costituisce il naturale recepimento a livello normativo dell’integrazione al testo legislativo già apportata dal giudice delle leggi.
Il richiamo – nel testo novellato del comma 1° dell’art. 669 terdecies – alla forma dell’ordinanza del provvedimento impugnabile, se, per un verso, conferma l’irreclamabilità del decreto di accoglimento reso inaudita altera parte, ai sensi del comma 2° dell’art. 669 sexies c.p.c. [52], per altro verso, non esclude la condivisibilità della tesi favorevole alla reclamabilità del decreto di rigetto de plano [53], non seguito cioè dalla suc-cessiva instaurazione del contraddittorio [54]

Quali sono i poteri delle parti ed i limiti di cognizione del collegio?
L’art. 669 terdecies c.p.c. non chiarisce quali siano i presupposti del reclamo e, corrispondentemente, i limiti inerenti all’esercizio del potere del giudice, che ne è investito.
Al silenzio della norma supplisce, anzitutto, il principio della domanda, che vige non solo nel procedimento cautelare di primo grado ma anche in quello di gravame: il reclamo investe, dunque, il giudice del controllo nei limiti di quanto viene richiesto (effetto c.d. parzialmente devolutivo del gravame).
Quanto, poi, ai motivi del reclamo, la struttura rigidamente impugnatoria del rimedio e la stessa nozione di controllo del provvedimento (che implica una verifica degli eventuali errores in procedendo o in iudicando, nei quali sia incorso il giudice che ha concesso la cautela e non una verifica della giustizia del provvedimento sulla scorta di fatti o di prove sopravvenute) induce ragionevolmente a ritenere che il gravame debba avere ad oggetto il riesame delle condizioni di legittimità e di opportunità della misura cautelare concessa, fermo restando la fattispecie dedotta in sede autorizzatoria.
Pertanto, il giudice del reclamo può sindacare, sotto il profilo della legittimità, l’osservanza delle regole processuali dettate dagli artt. 669 ter, 669 quater e 669 sexies c.p.c. relativamente alla competenza, al contraddittorio ed al rispetto dei presupposti della tutela fissati diversamente dalla legge per le singole misure cautelari (v. artt. 670, 671, 700 c.p.c; artt. 1168 e ss., 1171 e 1172 c.c.); nel merito può verificare il giusto esercizio della discrezionalità del giudicante in ordine alle forme processuali e all’esatto accertamento, in sede di cognizione sommaria, dei fatti storici rilevanti che fondano il diritto e il pericolo nel ritardo.
Questa razionale individuazione dei motivi e dell’oggetto del controllo induce ad escludere che possano dedursi, in via di reclamo, sopravvenuti mutamenti delle circostanze, che giustificano semmai la revoca o la modifica del provvedimento cautelare.[55]
Sennonché non va trascurato, a questo riguardo, l’inciso contenuto nell’ultimo comma dell’art. 669 terdecies c.p.c., che fa riferimento – sia pure relativamente all’inibitoria e al grave danno causato dal provvedimento cautelare – a “motivi sopravvenuti“: ciò introduce un grave elemento di ambiguità nell’istituto del reclamo (che non richiede il modificarsi della fattispecie storica) e ha indotto parte della dottrina a ritenere che potessero essere addotti come motivi di reclamo anche fatti sopravvenuti all’emanazione del provvedimento, non essendo pensabile che motivi deducibili in sede di sospensione del provvedimento reclamato, non potessero poi essere conosciuti in sede di decisione del reclamo.[56]
La tesi liberale sembrava certamente più condivisibile, essendo oltremodo difficile sotto il profilo sistematico sostenere l’operatività in sede cautelare del principio di preclusione, impeditivo dell’allegazione di nuove deduzioni, di nuove eccezioni e di nuove prove: le preclusioni sono, infatti, previste per il giudizio ordinario di cognizione (artt. 183 e 184 c.p.c.) e per quello di secondo grado (art. 345 c.p.c.), e le relative norme devono ritenersi di stretta interpretazione.
Recentemente il legislatore, sulla scia dell’intervento già operato nel processo commerciale [57], ha decisamente accolto la tesi della proponibilità con il reclamo di fatti nuovi ricostruendo – sotto questo profilo – il rapporto con l’istituto della revoca o modifica in base alla diversa collocazione cronologica.
Infatti, il nuovo comma 4 dell’art. 669 terdecies c.p.c. (introdotto dalla l. n. 80 del 2005, in coordinazione con i primi due commi dell’art. 669 decies c.p.c.) prescrive che: “Le circostanze ed i motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo debbono essere proposti, nel rispetto del principio del contraddittorio, nel relativo procedimento”.
L’ampiezza della formula adoperata consente quindi la deduzione non solo di fatti oggettivamente (in quanto verificatisi fino al momento della riserva in decisione del reclamo) o soggettivamente (perché non conosciuti in precedenza) nuovi, ma anche di nuovi argomenti in diritto (i motivi). E’ altrettanto evidente che, una volta spirati i termini per il reclamo ovvero intervenuta la decisione sul reclamo, opera la preclusione per i fatti dedotti o deducibili, nel senso che tutte le circostanze che sono state allegate, o che avrebbero potuto esserlo (in quanto già verificate), non possono più giustificare un’istanza di revoca o di modifica. Il provvedimento cautelare potrà essere revocato o modificato solo per effetto di fatti sopravvenuti a quel momento: in tal senso più che di “giudicato cautelare” [58] è consentito parlare di una sorta di immodificabilità relativa del provvedimento stesso, conseguente all’impossibilità di far valere una seconda volta il dedotto e il deducibile.
Quanto ai poteri istruttori del collegio in sede di reclamo, è evidente che la loro latitudine non può che delinearsi coerentemente all’ampiezza dei motivi deducibili ed all’ambito di cognizione del giudice superiore, discendente dalla natura stessa che si riconosca al reclamo. Una maggiore ampiezza devolutiva (ammettendo le parti ad addurre nuovi argomenti, nuove eccezioni e nuove prove) comporta l’attribuzione al giudice del reclamo di un ampio potere conoscitivo negli stessi termini di quello riconosciuto al primo giudice dall’art. 669 sexies c.p.c., con conseguente possibilità di procedere indiscriminatamente e con modalità libere agli “atti di istruzione ritenuti indispensabili”, ivi comprese le sommarie informazioni. Per contro una rigida ricostruzione del reclamo in termini di “revisio prioris istantiae” comporta una restrizione dei poteri cognitivi del giudice e la sussistenza del presupposto della “indispensabilità” per l’ammissione di nuovi mezzi istruttori (limitata alla prova dei fatti allegati in primo grado o alla rinnovazione delle prove ivi assunte), dato non incompatibile con la possibilità di assumere informazioni, secondo la previsione dell’art. 738, comma 3, c.p.c. richiamato dall’art. 669 terdecies, comma 3, c.p.c.
Le applicazioni giurisprudenziali in proposito, anteriormente alla novella del 2005, non sono state univoche, risentendo della lacunosità ed equivocità dell’originario testo di legge e delle incertezze interpretative circa la reale natura del reclamo. L’indirizzo più restrittivo, riconoscendo al rimedio natura di mezzo d’impugnazione a struttura sostanzialmente rescindente (configurato in termini di revisio prioris istantiae), ha considerato incompatibile con tale natura lo svolgimento di nuova attività istruttoria [59]; altra parte della giurisprudenza, per contro, rimarcando la natura devolutivo-sostitutiva del reclamo, ha ritenuto ammissibile dedurre nuovi argomenti e nuove prove, inclusa la produzione di nuovi documenti. [60]
L’opzione espressa dal legislatore con la legge n. 80 del 2005 è chiaramente a favore della natura devolutivo-sostitutivo del reclamo, aperto all’allegazione dello ius novorum: coerentemente alla possibilità di allegare fatti nuovi, il novellato comma 4° dell’art. 669 terdecies c.p.c. – riproducendo l’analoga previsione già introdotta dall’art. 23, comma 5°, del d.lgs. n. 5 del 2003 nell’ambito del rito societario – dispone che: “il tribunale può sempre assumere nuove informazioni e acquisire nuovi documenti[61].
La diversità della formula, rispetto a quella utilizzata dall’art. 669 sexies, comma 1°, c.p.c. (che fa riferimento agli “atti di istruzione”) non giustifica tuttavia una minor ampiezza dei poteri istruttori del collegio (dotato di piena potestà cautelare) rispetto a quelli esercitabili dal giudice a quo. Ciò tanto più in considerazione della nuova prospettiva di poter conseguire un provvedimento ante causam idoneo – se a carattere anticipatorio – a svolgere una funzione non più soltanto cautelare, ma totalmente satisfattiva dell’interesse sostanziale perseguito dal ricorrente sia pure attraverso un’accertamento a cognizione sommaria, privo dell’autorità del giudicato, ma ugualmente suscettibile di produrre effetti permanenti ove alcuna parte assuma l’iniziativa di instaurare il successivo giudizio di merito; alla luce di tale rivoluzione copernicana, nell’ambito del doppio grado di giurisdizione cautelare, deve essere data alle parti la possibilità di sfruttare tutte le potenzialità istruttorie anche in fase d’impugnazione.
Pertanto, deve ritenersi che il giudice del reclamo, nel rispetto di quanto devoluto alla parte attraverso i motivi di reclamo (effetto parzialmente devolutivo, in applicazione analogica dell’art. 346 c.p.c.), abbia la possibilità di integrare eventuali lacune dell’istruttoria sulla domanda cautelare nonché, in mancanza di specifiche preclusioni, di accogliere nuove istanze istruttorie relative a circostanze sopravvenute o anche a fatti in precedenza non dedotti, procedendo al compimento di quegli atti di istruzione che reputi “indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini” della richiesta misura cautelare (e del reclamo), con applicazione analogica del comma 1° dell’art. 669 sexies c.p.c. [62]
Alla simmetria dei poteri cognitivi deve corrispondere tendenzialmente un’eguale estensione dei poteri istruttori. Il riconoscimento, in astratto, di tali poteri istruttori al giudice del reclamo va, tuttavia, in concreto coordinato – per quanto possibile – con il rispetto del termine di venti giorni stabilito per la decisione sul reclamo [63], il che induce a valorizzare in modo ancor più deciso il carattere di “indispensabilità” dei mezzi istruttori rispetto alle esigenze del procedimento cautelare onde evitare ogni inutile spreco di attività e di tempo. Ovviamente la nuova attività istruttoria può essere consentita – nel caso di misura cautelare domandata in corso di causa – in quanto non risulti incompatibile con le preclusioni eventualmente già maturate nel giudizio di merito [64].


Dott. Luciano Guaglione


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Note




  1. v. PROTO PISANI, La nuova disciplina dei procedimenti cautelari in generale, in Foro it, 1991, V, c. 87 ss..


  2. v. ANDOLINA, Profili della nuova disciplina dei provvedimenti cautelari in generale, in Foro it., 1993, V, c. 66 e ss.; ANDOLINA-VIGNERA, Il modello costituzionale del processo civile italiano, Torino, 1990, 63 ss. 


  3. [3] Per un’approfondita disamina del processo cautelare, anche alla luce delle recenti riforme normative, v. GUAGLIONE, Il processo cautelare, in Trattato di diritto civile del Consiglio nazionale del Notariato, diretto da Perlingieri, Napoli, 2006; Id., Commento agli artt. 669 quinquies, octies, decies, terdecies, 696, 696 bis, 703 e 704 c.p.c., in La riforma del processo civile, a cura di Cipriani e Monteleone, Padova, 2007.


  4. V. proto pisani, La nuova disciplina dei procedimenti cautelari in generale, cit., c. 57 ss.; ARIETA, in MONTESANO e ARIETA, Il nuovo processo civile, Napoli, 1991, p. 721.


  5. V. SALVANESCHI, Commento all’art. 74 legge 26 novembre 1990, n. 353 (art. 669-bis c.p.c.), in Nuove leggi civ., cit., p. 294 ss. e, in giurisprudenza, Trib. Trani, 28 luglio 1993 e Trib. Bari 29 aprile 1994, entrambe  in Foro it., 1994, I, 2884.


  6. Cfr. Trib. Salerno, 20 gennaio 1995, in Foro it., 1995, I, 1398; Pret. Roma, 29 novembre 1994, in Giur. lav. Lazio, 1995, 136; in dottrina, v. OLIVIERI, I provvedimenti cautelari nel nuovo processo civile, in Riv. dir. proc., 1991, p. 691 ss.


  7. V. TARZIA, Il nuovo processo cautelare, Cedam, 1993, p. 253-256; ARIETA, Il nuovo processo, cit., pp. 121-122; contra CONSOLO, in CONSOLO-LUISO-SASSANI, La riforma del processo civile, cit., p. 444).


  8. In tal senso, v. Pret. Verona, 29 maggio 1987, in Giur. merito, 1988, p. 512; Pret. Salerno, 18 febbraio 1991, in Giur. it., 1993, I, 2, c. 182, con nota di M. Chiarolla, “Edicolanti” e “distributori” di giornali (sciopero e parasubordinazione); Trib. Casale Monferrato, 11 novembre 1996, cit., con nota di P. Cavallaro, L’agenda casa di suor Germana atto secondo; Trib. Napoli, 5 luglio 2002, in Dir. ind., 2003, p. 131, con annotazione di C. Bellomunno. Contra, Trib. Firenze, 25 marzo 2002, in Foro tosc., 2002, p. 318, con annotazione di C. Cirilli.


  9. Cfr. Pret. Taranto, 16 aprile 1993, in Foro it., I, c. 2010.


  10. Cfr. Cass., 24 giugno 1994, n. 6103, in Giust. civ., Mass., 1994, fasc. 6.


  11. V., oltre alle pronunce citate alla nota 10, Trib. Bologna, 12 giugno 1996, in Giur. it., 1996, I, 2, 802.






  12. Trib. Milano, 20 marzo 1997, in Giur. comm., 1998, II, 250.


  13. Cfr. Pret. Monza, 3 febbraio 1993, in Foro it., 1993, I, c. 1693,  secondo cui è affetto da nullità insanabile un ricorso per sequestro conservativo non contenente alcuna indicazione dell’azione di merito a cautela della quale è richiesta la misura cautelare; Pret. Alessandria,  16 marzo 1993, in Giur. it., 1993, I, 2, 775, con nota di DALMOTTO.


  14. V. TOMMASEO, Commento alla legge 26 novembre 1990, n. 353, in Corr. giur., 1991, p. 97; OLIVIERI, op. ult. cit., p. 701; CONSOLO, in CONSOLO-LUISO-SASSANI, op. cit., p. 430; PROTO PISANI, op. ult. cit., p. 66.


  15. V. PROTO PISANI, La nuova disciplina dei procedimenti cautelari in generale, cit., c. 61 e ss. 


  16. V. ATTARDI, op. cit., p. 230; CONSOLO, op. cit., p. 438.


  17. Cfr. Cass. 10 luglio 1985, n. 4112; Cass. 28 ottobre 1983, n. 6387.


  18. Cfr. Trib. Termini Imerese, 7 ottobre 1998, in Giur it., 1999, I, p. 1861, con nota contraria di E. Dalmotto, L’istanza cautelare lite pendente deve essere resa nota al contumace ma non necessariamente notificata.


  19. Cfr. Trib. Agrigento, 24 novembre 1994, cit., e, prima della Novella, Trib. Napoli,30 maggio 1987, in Riv. dir. proc., 1988, p. 197, con nota adesiva di G. Verde, L’istanza di sequestro in corso di causa è domanda nuova?, ove si spiega che le “domande nuove”, di cui all’art. 292 c.p.c., si riferiscono soltanto alla pretesa in senso sostanziale.


  20. Cfr. Cass., 13 maggio 1998, n.4814, in Rep. Foro it., 1998, voce Contumacia civile, p. 814, n. 3, secondo cui  “il ricorso in corso di causa ex art. 700 c.p.c., essendo diretto ad ottenere un provvedimento strumentale e temporaneo, volto ed assicurare con funzione cautelare gli effetti della successiva decisione di merito, non integra una domanda nuova rispetto a quella contenuta nell’atto di citazione”.
    Conseguentemente detto ricorso non deve essere notificato al contumace ai sensi dell’art. 292 c.p.c.”.


  21. Cfr. OLIVIERI, I provvedimenti cautelari, cit., p. 703; CONSOLO, La riforma, cit., p. 468.


  22. Cfr. VACCARELLA, CAPPONI E CECCHELLA, Il processo civile dopo le riforme, Torino, 1992, p, 364).


  23. Cfr. G. VERDE e L. DI NANNI, Codice di procedura civile,  cit., p. 463; A. PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, cit., pp. 340 e 341; SAMORI’, in F. CARPI e M. TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, sub art. 669-sexies, p. 1335 e 1336.


  24. Cfr. PROTO PISANI, La nuova disciplina,  cit., p. 67; TARZIA, Il nuovo processo cautelare, cit., p. 266).


  25. V. Corte cost., 7 novembre 1997, n. 326, in Foro it., 1998, I, 1007, con nota di SCARSELLI, Tutela del giudice e Corte Costituzionale


  26. Cfr. G. VERDE, in G. VERDE e L. DI NANNI, Codice di procedura civile, p. 464; G. FRUS, Provvedimenti cautelari, cit., p. 659.


  27. Cfr. L. MONTESANO e G. ARIETA, Diritto processuale civile, cit., III, p. 198; G. OLIVIERI, o. c., p. 704, il quale desume la natura di argomenti di prova dal fatto che i risultati dell’istruttoria cautelare svoltasi ante causam potrebbero essere considerati nel giudizio di merito tutt’al più come prove raccolte in un altro giudizio.


  28. v. PROTO PISANI, La nuova disciplina dei procedimenti cautelari in generale, cit., p. 68; Trib. Roma, 26 marzo 1993, in Foro it., 1993, I, c. 1677; Pret. Monza, 3 febbraio 1993, cit..


  29. Cfr.ATTARDI, Le nuove disposizioni sul processo civile, cit., p. 238; CONSOLO (LUISO-SASSANI), op. cit., p. 469 ss.; FRUS, op. cit., p. 674 ss..  


  30. V. le esaurienti considerazioni svolte in proposito da LABORAGINE, Sulla reclamabilità del decreto di rigetto dell’istanza cautelare (nota a Trib. Lecce, 13 settembre 2000, in Rass. dir. civ., 2/2001, p. 420 ss), la quale rimarca anche che il novellato art. 111 Cost., nel prevedere che la giurisdizione si esercita attraverso il processo  e che il processo si svolge nel contraddittorio delle parti, impone al giudice la salvaguardia di tale fondamentale garanzia, senza che assuma alcuna rilevanza la circostanza che la domanda gli sembri prima facie fondata o infondata.


  31. Trib. Ravenna, 14 settembre 1994, in Foro it., 1994, I, c. 3532; Trib. Rovigo, 7 marzo 1994, in Giur. merito, 1994, p. 1995; Trib. Milano, 8 luglio 1993, in Foro it., 1994, I, c. 1612, che ritiene ammissibile un de-creto di rigetto quanto meno per ragioni di incompetenza, non avendo il provvedimento alcun effetto preclu-sivo per la successiva riproposizione del ricorso cautelare.


  32. Cfr. GUAGLIONE, Il reclamo avverso i provvedimenti cautelari, in Rass. dir. civ., 1998, p. 28.


  33. Cfr., in senso contrario alla utilizzazione del regolamento di competenza, TOMMASEO, Commento, cit., p. 98; PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, cit., p. 343; CONSOLO (LUISO-SASSANI), cit., p. 438 e 480; nel senso, invece, che l’ordinanza di incompetenza è impugnabile con il regolamento di competenza e preclude in ogni caso la riproposizione della domanda dinanzi allo stesso giudice, v. TARZIA, Il nuovo processo cautelare, cit., p. 381 ss.


  34. Sul punto, v. CONSOLO, Rigetto per in competenza, reclamo cautelare (e l’ombra del regolamento di competenza), in Giur. it., 1995, I, 1, p. 369 ss.


  35. V. VACCARELLA-CAPPONI-CECCHELLA, Il processo civile dopo le riforme, cit., p. 366; PROTO PISANI, op. ult. cit., p. 69, che ritiene riproponibile l’istanza anche soltanto con l’indicazione di nuove prove, che rientrerebbero nel lato concetto di nuove ragioni di fatto.


  36. Cfr. Trib. Verona, 21 giugno 1994 e Trib. Modena, 7 luglio 1994, in Giur. it., 1995, I, 2, c. 266; Trib. Taranto, 15 aprile 1996 e Trib. Trani, 14 febbraio 1996, in Foro it., 1996, I, c. 1827.


  37. Cfr. D. Amadei, Il procedimento cautelare e il rito abbreviato, in D. Amadei e N. Soldati, Il processo societario, Milano, 2003, p. 100;  G. Arieta e F. De Santis, Diritto processuale societario, Padova, 2004, p. 385 e nota 8; M. Cristiano, I nuovi procedimenti in materia di diritto societario, in Giur. merito, 2004, p. 1602 s.


  38. Cfr., tra gli altri,  E. Cavese, in E. Cavese e C. Besso, Il nuovo processo societario, Commentario diretto da S. Chiarloni, Bologna , 2004, sub art. 24, 731 e nota 14; R. Caponi, La tutela sommaria nel processo societario alla luce dei modelli europei, in Foro it., 2003, V, c. 144.


  39. Perciò, è importante che nel ricorso cautelare ante causam siano presenti indicazioni sufficienti sulla futura domanda di merito – che sarà proposta nel giudizio a cognizione piena – ai fini della qualificazione del provvedimento richiesto come anticipatorio o conservativo. Sul punto cfr. Guaglione L., Il processo cautelare, Tratt. di dir. civ.del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da Perlingeri, Napoli, 2006, IX, 7, p. 152; Balena G., La disciplina del procedimento cautelare “uniforme”, in Balena G. – Bove M., Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, p. 83-84. In giurisprudenza, v. Trib. Bari, 24 febbario 2003 e 12 dicembre 2002, in Giur. it., 2003, p. 1607; Trib. Modena, 16 giugno 1999, in Giur. merito, 1999, p. 964.


  40. Carbonara F., Limiti oggettivi dell’ “anticipazione” giuridica, “strumentalità attenuata” ed ulteriori riflessioni in tema di provvedimenti cautelari nel nuovo rito societario, in Lanfranchi R. -Carratta A., (a cura di), Davanti al giudice. Studi sul processo societario, Torino, 2005, p. 377 ss.


  41. v. Trib. Milano, 10 maggio 1994, in Foro it., 1994, I, c. 2881.        


  42. Cfr. Trib. Piacenza, 5 settembre 1995, in Foro it., 1996, I, c. 1441.


  43. Cfr. Trib. Trani,  20 marzo 1998, in Rass. dir. civ., 1999, n. 2, p. 443.


  44. v., per tutte, Cass. 1 marzo 1985, n. 1782, in Foro it., 1985, I, c. 1684.


  45. V., in tal senso, ATTARDI, Le nuove disposizioni sul processo civile, cit., p. 254; TOMMASEO, Commento, cit., pp. 103-104; MANDRIOLI, Corso di dir. proc. civ., cit., p. 293.


  46. In tal senso, v. FRUS, in S. CHIARLONI, Le riforme del processo civile, Bologna 1992, p. 743 e, in giurisprudenza, Trib. Bari, 25 marzo 1993, in Foro it., 1993, I, c. 1680.


  47. v. PROTO PISANI, La nuova disciplina dei procedimenti cautelari in generale, cit., p. 78; SASSANI (CONSOLO-LUISO), La riforma del processo civile, cit., p. 501.


  48. V. art. 23, comma 3, del d.lg. n. 5 del 2003.


  49. Cfr. Corte cost., 23 giugno 1994, n. 253, in Foro it., 1994, I, 2005, con nota di B. CAPPONI; nonché in Corriere Giur., 1994, p. 948,  con nota di F. TOMMASEO; e in Giur. it., 1994,  I, 1, c. 409, con nota di C. CONSOLO. La questione era stata sollevata dal Tribunale di Aosta, 6 ottobre 1993, Trib. Bologna, 15 luglio 1993, Trib. Roma, 3 novembre 1993 e Trib. Verona, 22 dicembre 1993.


  50. La ratio dell’irreclamabilità del “decreto” è rinvenibile nella previsione del suo riesame, in sede di contraddittorio differito, per essere confermato, modificato o revocato con “ordinanza”, suscettibile – in quanto conclusiva dell’iter procedimentale – di essere impugnata con il reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c.: cfr., sul punto, Guaglione, Il reclamo, cit., p. 28.


  51. Cfr. Trib. Torino, 11 agosto 1994, in Giur. it., 1995, I, 2, c. 577, con nota adesiva di FRUS, Sulla reclamabilità del decreto di rigetto della domanda cautelare; Trib. Ravenna, 24 settembre 1994, in Foro it., 1994, I, c. 3531 ss.; Trib. Roma, 23 luglio 1996, in Riv. dir. proc., 1998, p. 606, con nota di CICCHITTI; Trib. Lecce, ord. 13 settembre 2000, in Rass. dir. civ., 2/2001, p. 420, con nota adesiva di LABORAGINE, Sulla reclamabilità del decreto di rigetto dell’istanza cautelare, che considera tale decreto alla stregua di un provvedimento “abnorme”, espressivo di un uso distorto del potere giurisdizionale del giudice. In dottrina, nel medesimo senso, v. CONSOLO, in CONSOLO, LUISO e  SASSANI, Commentario alla riforma, cit., p. 695; MONTESANO e ARIETA, Diritto processuale civile, cit., III, p. 442; CECCHELLA, Il processo cautelare, cit., p. 204; GUAGLIONE, Il reclamo avverso i provvedimenti cautelari, cit., pp. 28-29. In riferimento alla norma novellata, cfr. Ghirga, Le nuove norme sui procedimenti cautelari, cit., p. 805 s.


  52. Sulla illegittimità di tale prassi, diffusa in molti uffici giudiziari in presenza di ricorsi ritenuti ictu oculi infondati o inammissibili, v. Cipriani, Diritti fondamentali dell’Unione europea e diritto d’impugnare, in Rass. dir. civ., 2004, p. 989, il quale respinge l’idea che in Italia possa consentirsi al giudice dell’impugnazione di rigettare senz’altro – e cioè senza neppure convocare l’altra parte – le impugnazioni che gli paiano manifestamente infondate.


  53. V. ANDOLINA, Profili della nuova disciplina dei provvedimenti cautelari in generale, cit., p. 78; CEC-CHELLA (VACCARELLA-CAPPONI), Il processo civile dopo le riforme, cit., p. 378.


  54. V. PROTO PISANI, op. ult. cit., p. 89.


  55. L’art. 23 del d.lg. 17 gennaio 2003 n. 5 consente, infatti, la deducibilità innanzi al giudice del riesame di elementi di fatto (questo sembra essere il significato da attribuire al termine “circostanze”) e di motivi sopravvenuti rispetto al momento del deposito del reclamo, purché nel rispetto del principio del contraddittorio.


  56. [58] Non è possibile configurare né un giudicato formale, che l’art. 324 c.p.c. riserva solo alle sentenze non più soggette agli ordinari mezzi d’impugnazione, né di un giudicato sostanziale (peraltro espressamente escluso dall’art. 669 octies c.p.c.), che l’art. 2909 c.c. fa dipendere dall’accertamento di un rapporto giuridico e non dall’apprezzamento della sua probabile esistenza: cfr., al riguardo, F. Corsini, Il reclamo cautelare, cit., p. 91 ss.  


  57. V. Trib. Napoli, 25 marzo 1993, in Foro it., 1993, I, c. 1262; Trib. Torino,  3 dicembre 1993, in Giur. it., 1994, I, 2, c. 765; Trib. Napoli, 21 dicembre 1994, in Foro it., 1995, I, c. 1346; Trib. Roma, 15 marzo 1996, in Orient. giur. lav., 1996, I, p. 1038; Trib. Catania, 23 marzo 1995, in Foro it., 1995, I, c. 2271, ed ivi nota di richiami; Trib. Milano, 25 marzo 1996, in Corr. giur. 1997, p. 216, con nota di Rizzuto, Nova nel reclamo cautelare?; Sembrerebbero escludere anche la deducibilità dei motivi sopravvenuti, Trib. Novara, 21 giugno 1996, in Dir. ind., 1996, p. 909; Trib. Padova, 13 febbraio 1996, in Giur. it., 1996, I, 2, c. 460, con nota di De Cristofaro, Giudicato belga in itinere e provvedimento cautelare italiano, e in Giur. merito, 1994, p. 30;  Trib. Firenze, 11 marzo 1997, in Foro it., 1997, I, c. 3429; Trib. Termini Imerese, 12 febbraio 2001, in Giur it., 2002, c. 1416.


  58. V. Trib. Milano, 15 marzo 1993, in Foro it., 1993, I, c. 1262; Trib. Catanzaro, 27 maggio 1997, cit.; Trib. Catanzaro 25 marzo 1997, cit.; Trib. S. Maria Capua Vetere, 18 ottobre 2002, in Giur. merito, 2003, 1440. Per l’ammissibilità della produzione di nuovi documenti, v. Trib. Frosinone, 19 aprile 1996, in Foro it., 1996, I, c.  2515 ed ivi nota di richiami; Trib. Torino, 14 maggio 1997, in Giur. it., 1999, I, 2, c. 538; Trib. Roma, 5 novembre 2003, in Rep. Foro it., 2003, voce Subfornitura, p. 2166, n. 15.


  59. Già in relazione al rinvio – contenuto nell’art. 669 terdecies c.p.c.- all’art. 738 c.p.c., alcuni autori ritenevano possibile l’assunzione di informazioni e l’acquisizione di documenti in funzione della decisione sul reclamo: in tal senso, cfr. Saletti, La riforma delle società, cit., p. 228; Tarzia, Ghirga, Il reclamo, in Il processo cautelare, a cura di Tarzia, 2a ed., Padova, 2004, p. 439.      


  60. A favore di un’interpretazione estensiva del termine “informazioni”, così da comprendere anche gli atti di istruzione già previsti nella fase di prime cure, v. Tommaseo, Commento, cit., p. 105, che equipara i poteri istruttori del collegio a quelli concessi dalla legge al giudice che ha emanato la misura cautelare; Attardi, Le nuove disposizioni sul processo civile, cit., p. 259, secondo cui il giudice del reclamo può compiere gli atti di istruzione indispensabili per il reclamo stesso, in particolare per colmare le lacune dell’istruttoria precedente; Consolo, in  Consolo, Luiso e Sassani, La riforma, cit., p. 531, il quale sottolinea che, quantunque non sussista alcuna preclusione per nuove allegazioni, deduzioni o istanze istruttorie, non è consentito al reclamato di “mutare radicalmente la propria domanda cautelare”, osservando che il collegio, oltre che assumere informazioni, può anche integrare e comunque verificare l’istruttoria compiuta dal giudice della cautela; Olivieri, I provvedimenti cautelari nel nuovo processo civile, cit., p. 725, il quale rimarca che il potere istruttorio del giudice del reclamo “non può avere un contenuto più ampio di quello imposto al giudice del provvedimento impugnato”; Guaglione, La prova nel procedimento cautelare, in Rass. dir. civ., 2002, p. 220; Id., Il processo cautelare, cit., p. 268 s.; Corsini, Il reclamo cautelare,  cit., p. 352; Caponi, Provvedimenti cautelari e azioni possessorie,  cit., c. 138, che all’espressione “circostanze sopravvenute” attribuisce un significato lato, comprensivo della possibilità di dedurre nuove prove; Proto Pisani, Premessa, cit., c. 93; Ghirga, Le nuove norme sui procedimenti cautelari, cit., p. 813. Nello stesso senso, relativamente al procedimento cautelare socie-tario, v. Frus, in Il nuovo processo societario, cit., sub art. 23, p. 713 s.; Fabiani, Il rito cautelare societario: contraddizioni e dubbi irrisolti, in www.judicium.it, § 4.5.


  61. Frus, Le riforme, cit., p. 789.


  62. Cfr. Consolo, in Consolo, Luiso e Sassani, La riforma, cit., p. 477; Guaglione, Il reclamo, cit., p. 51 Id, La prova nel procedimento cautelare, cit., p. 228 s.; Id., Il processo cautelare, cit., p. 171 s.; nello stesso senso, con riferimento al cautelare “societario”, v. Olivieri, Il procedimento cautelare nel c.d. processo societario, cit.,§ 6.