La riforma fallimentare, lo schema di decreto correttivo
Giulio Bruno
Sommario |
1) – Cenni alle linee ispiratrici della riforma:
a) semplificazione e abbreviazione delle procedure.
Il D. Lgs. n. 5/2006 si caratterizza soprattutto per il forte ridimensionamento del ruolo del giudice e per il rafforzamento dei ruoli del curatore e del comitato dei creditori.
In virtù della novella del 2006, il generale arretramento del giudice, cui è affidata funzione di garanzia, e, in particolare, la sottrazione al giudice stesso del compito di verificare i crediti e di accertare i diritti dei terzi si traducono nell’attribuzione al curatore della gestione del fallimento e del compito di predisporre il progetto dello stato passivo e il programma di liquidazione, e al comitato dei creditori – organo rappresentativo del ceto creditorio – di importanti poteri di vigilanza sull’attività gestoria del curatore – con possibilità di ricorrere al tribunale per la revoca o la sostituzione del curatore “inadatto” – e di valutazione delle soluzioni liquidatorie più convenienti prospettate dal curatore.
Tale riequilibrio degli organi protagonisti della procedura fallimentare si fonderebbe sul criterio, indicato nella legge delega n. 80/2005, della abbreviazione dei tempi delle procedure, attraverso la modificazione delle discipline dell’accertamento del passivo, della ripartizione dell’attivo e del concordato fallimentare.
Ma desta perplessità la riconduzione, al criterio della semplificazione, della delimitazione dei poteri del giudice entro gli angusti confini di un ruolo di mero garante della legalità di soluzioni proposte o avallate da altri organi (1).
La genericità di quasi tutti i principi fissati dalla legge delega fa, poi, sorgere ragionevoli dubbi sulla costituzionalità di scelte del legislatore delegato profondamente innovative del sistema disegnato dal R. D. n. 267/1942 (2).
Da uno dei padri della riforma viene, invece, sottolineato che “la logica della riforma è che la composizione delle ragioni del debitore e dei creditori la debbano trovare le parti” e che “è il curatore, è il comitato dei creditori ed è anche il debitore che giocano liberamente la propria partita. L’arbitro fa l’arbitro, ma non è più un giocatore, non è più una parte…” (3).
2) – segue: b) attenuazione delle conseguenze personali del fallimento.
In coerenza col principio della legge delega di cui all’art. 1, comma 6, n. 4) (4), è stato eliminato l’accompagnamento coattivo del fallito (art. 49 L.F., abrogato); modificato in termini meno penalizzanti per il fallito il controllo sulla corrispondenza dello stesso (art. 48); soppressa , con efficacia immediata (combinato disposto artt. 152 e 153 D. Lgs. 5/2006), l’incapacità, per cinque anni dopo il fallimento, di esercitare il diritto di voto (elettorato attivo); soppressa, sempre con efficacia immediata e con gli stessi articoli richiamati, la limitazione relativa all’attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto.
Viene, poi, abrogato l’art. 50 L.F., che prevedeva il pubblico registro dei falliti.
Sulla base di ben articolato, e non generico, criterio dettato dalla legge delega, vengono, infine, sostituite le norme contenute negli artt. 142-145, che prima disciplinavano la riabilitazione civile ed ora disciplinano (gli artt. 142-144, essendo stato abrogato l’art. 145) l’istituto affatto diverso della esdebitazione.
E’ da rilevare che l’abrogato art. 142 era l’unica norma che ricollegava espressamente alla sentenza dichiarativa di fallimento, quale “effetto” di questa, “le incapacità personali che colpiscono il fallito” (1° comma), in quanto l’art. 42 (“Degli effetti del fallimento per il fallito”) espressamente sanciva e sancisce soltanto la privazione dell’amministrazione e della disponibilità dei beni.
3) Riabilitazione ed esdebitazione.
La sostituzione dell’istituto della riabilitazione con quello della esdebitazione ribadisce l’importante attenuazione, nella riforma, dei profili punitivi del fallimento. Dalla previsione di misura volta a consentire, a determinate condizioni, il ripristino delle capacità del fallito, si passa alla introduzione di istituto, nuovo per il nostro ordinamento ma già sperimentato in altri Paesi (5), caratterizzato da evidente valenza premiante, in quanto consente, a determinate condizioni, la liberazione dai debiti residui del debitore persona fisica.
4) Riabilitazione ed abrogazione del pubblico registro dei falliti.
Il pubblico registro dei falliti, fonte della infamia iuris, è stato, come si è visto, abrogato e l’istituto della riabilitazione, “propedeutico” alla disciplina del suddetto registro (così la relazione al D. Lgs. 5/06), sostituito dalla ben diversa esdebitazione.
Le incapacità previste dal codice civile e dalle leggi speciali sono ricollegate, in alcuni casi, alla permanenza dell’iscrizione nel registro suddetto (così per la nomina a tutore, protutore, curatore dell’emancipato; artt. 350, n. 5, 355, 393 c.c.); in altri casi, alla mera qualità di fallito (così per la nomina ad arbitro; art. 812 c.c.); in altri casi ancora, alla insussistenza, a causa del fallimento, di taluni requisiti, come la buona condotta e il pieno godimento dei diritti civili (così per le professioni sanitarie), dei diritti civili e politici (per i giudici di pace), dei diritti civili (geometri), del pieno esercizio dei diritti civili e la condotta specchiatissima e illibata (avvocati).
L’abrogazione del pubblico registro dei falliti non può certo portare a ritenere che siano state abrogate le disposizioni che riconducono l’incapacità alla sussistenza della iscrizione nel registro e che, invece, permangano le sole incapacità direttamente o indirettamente (es: requisito della buona condotta) collegate allo status di fallito.
Il registro dei falliti è stato soppresso, infatti, in quanto funzionale alla riabilitazione civile del fallito (6), a sua volta eliminata dall’ordinamento. La connessione tra registro e riabilitazione era rintracciabile, nella vecchia disciplina dettata dagli artt. 142-145, soltanto nella previsione dell’ex 3° comma del 142, in virtù del quale la sentenza, che disponeva la riabilitazione, ordinava anche la cancellazione dal registro in discorso.
L’interpretazione sistematica conduce a ritenere che la sentenza dichiarativa di fallimento, facendo nascere lo status di fallito, produce le incapacità previste dalle varie disposizioni di legge e che tali incapacità permangono sino alla chiusura del fallimento. La soppressione del registro dei falliti appare, così, in sintonia, quasi avallandola ex post, con la tesi che negava la natura costitutiva dell’iscrizione nel registro stesso e riconosceva, a questa, efficacia di pubblicità notizia. Tali effetti della chiusura sono espressamente previsti dallo schema di decreto correttivo varato dal Consiglio dei Ministri il 15.6.2007: l’art. 120, che anche dopo la novella del 2006 prevedeva che la chiusura ripristinasse solo la capacità di gestire il patrimonio, prevede, in base a detto decreto correttivo, che cessano le incapacità del fallito anche con riguardo alle “conseguenti incapacità personali”.
Alla chiusura del fallimento – a prescindere dalla definitiva approvazione del richiamato decreto correttivo – si riallaccia quella che può definirsi riabilitazione automatica o di diritto, se tale concetto vuol conservarsi nell’attuale assetto normativo della legge fallimentare per significare il riacquisto della piena capacità. In tal senso si è espressa anche, ad esempio, la giurisprudenza del Tribunale di Trani, come anche si vedrà dopo.
In sostanza, con la riforma, si passa da una riabilitazione formale condizionata ad una riabilitazione sostanziale automatica, in coerenza con la ratio della riforma, mentre il comportamento del debitore rileva ai fini dell’esdebitazione, istituto premiante.
Essendo il registro funzionale alla riabilitazione e quest’ultima autonoma rispetto al primo (tanto che può oggi parlarsi di riabilitazione di diritto), si spiega l’immediata efficacia (dal 16.1.2006) dell’abrogazione dell’art. 50 L.F.(7) , ai sensi dell’art. 153 del D. Lgs. n. 5/2006, e l’espunzione dall’ordinamento dell’istituto della riabilitazione, per abrogazione espressa, contemporaneamente alla introduzione dell’istituto della esdebitazione, a decorrere dal 16.7.2006, data a partire dalla quale gli artt. 142-144, cessando di contenere le disposizioni riguardanti la riabilitazione, contengono le norme riguardanti l’esdebitazione e l’art. 145 è abrogato. L’abrogazione con effetto immediato dell’art. 50 ha trascinato con sé, quindi, soltanto il 3° comma dell’art. 142 – unico anello di congiunzione e riconduzione della riabilitazione al registro e alle iscrizioni in esso contenute – nella parte in cui detta norma prevedeva che con la sentenza di riabilitazione era ordinata la cancellazione dal registro.
5) Riabilitazione di diritto, reiscrizione nel registro delle imprese e certificati del casellario.
L’integrazione dell’art. 120 L.F. prevista dal decreto correttivo non risolverà tutti i problemi rivenienti dalla abrogazione dell’istituto della riabilitazione e dal mancato coordinamento della nuova disciplina fallimentare con le norme sul casellario giudiziale.
Il R.D. del 1942 prevedeva disposizioni che ben coordinavano la disciplina della riabilitazione e delle iscrizioni e cancellazioni dal registro dei falliti con le disposizioni in materia di casellario giudiziale, oggi contenute nel T.U. 313/2002. E’ verosimile che il mancato coordinamento sia stato determinato anche dalla scelta di adottare la tecnica della novella, piuttosto che quella di abrogare il R.D. del 1942 ed emanare una nuova legge fallimentare. Resta il fatto che anche col decreto correttivo i problemi non appaiono compiutamente affrontati e risolti.
E’opportuna una ricostruzione della problematica. L’entrata in vigore della riforma fallimentare, eliminando il registro dei falliti e la riabilitazione, senza prevedere norme certe sul riacquisto delle capacità da parte dell’ex fallito e sulle iscrizioni riportabili sul certificato del casellario a richiesta dell’interessato, ha determinato la presentazione di istanze di riabilitazione civile e di cancellazione delle iscrizioni nel certificato a richiesta di parte.
L’interessato – ex fallito ha, infatti, spesso difficoltà nel richiedere l’iscrizione al registro delle imprese per l’inizio di nuova attività commerciale, non avendo alcun documento (sentenza o atto amministrativo) che dichiari o attesti il riacquisto delle capacità, cioè la riabilitazione, essendo stato detto istituto abrogato. Nello stesso tempo, non può ottenere certificato del casellario che non menzioni i provvedimenti giudiziari relativi al fallimento, atteso che l’art. 24 T.U. 313/2002 riconosce tale beneficio solo in presenza di sentenza di riabilitazione; incontra, pertanto, ostacoli nel momento in cui intende porre in essere istanze o attività che presuppongono il pieno esercizio dei diritti civili, o la buona condotta, o, ancora, la cancellazione dal registro dei falliti.
I tribunali hanno adottato soluzioni diverse, non tutte giuridicamente ortodosse, ma certamente tutte pensose delle difficoltà degli interessati e delle stesse cancellerie.
Si sono registrate, così, pronunce che hanno disposto la cancellazione del nominativo del ricorrente dal registro dei falliti e dichiarato la cessazione delle incapacità, precisando che non occorre istanza di riabilitazione, in quanto questa si produce ex lege con il decreto di chiusura del fallimento (8).
Altre pronunce sono andate oltre e, “ritenuto di dover comunque fornire una risposta tempestiva a questa generale esigenza di chiarezza e di certezza del diritto, in materia di status” e “ritenuto che dal 16.7.2006 . . . il venir meno dell’istituto della riabilitazione comporti per tutti gli iscritti nel registro dei falliti una sorta di “riabilitazione ex lege””, hanno disposto l’immediata cancellazione dal registro dei falliti di tutti i nominativi iscritti (9).
Ma è evidente che è un forzatura disporre la cancellazione di uno o più nominativi da un registro che non ha più esistenza giuridica e che, se provvedimento di tal contenuto ha come destinatari, non determinati ma determinabili, tutti gli iscritti nel registro, perde anche i connotati dell’atto giurisdizionale e finisce per atteggiarsi, piuttosto, come atto sostanzialmente amministrativo.
Diversa è la soluzione adottata dal tribunale di Trani. Il quale, in sede giurisdizionale, ha rigettato le istanze di riabilitazione e di cancellazione dal registro – atteso che la riabilitazione e il pubblico registro dei falliti sono stati eliminati dall’ordinamento giuridico e che la prima, “se se ne vuole conservare il termine lessicale” (10), opera ormai automaticamente a seguito della chiusura del fallimento. E, in sede amministrativa, con atto amministrativo 29.5.2007 del capo dell’ufficio giudiziario, “in coerenza con vari provvedimenti emessi dalla sezione civile . . . “, ha precisato che “gli effetti da collegare alla chiusura del fallimento sono identici a quelli derivanti dalla riabilitazione in base alla vecchia normativa“, neanche “applicabile ai fallimenti regolati dalla legge preriforma” (“le abrogazioni-sostituzioni non permettono di riconoscere esistenza-rilevanza a disposizioni abrogate”; la disciplina transitoria dispone che le vecchie norme si applicano alle procedure pendenti , quelle, quindi, non giunte alla chiusura, rispetto alla quale la riabilitazione è istituto successivo) e ha disposto che il contenuto dell’atto sia comunicato alla cancelleria per gli adempimenti conseguenti. Consentendo, quindi, alla cancelleria stessa di rilasciare attestazione con la quale si dà atto che la chiusura del fallimento equivale alla vecchia riabilitazione e consente il riacquisto delle capacità. In ordine alle certificazioni del casellario, possibile via di sbocco, peraltro di difficile applicazione pratica, può consistere (de iure condito)in soluzione analoga a quella sopra riferita, con allegazione al certificato di provvedimento amministrativo dal tenore sopra specificato.
L’integrazione dell’art. 120 L.F., prospettata dallo schema di decreto correttivo, non consentirà, si diceva, di eliminare completamente tutti gli inconvenienti generati dalla riforma.
Infatti, detto correttivo è certo opportuno, ma non sufficiente, in quanto consacra, in definitiva e soltanto, in norma di diritto positivo interpretazione normativa certa in dottrina e in giurisprudenza, che i tribunali, come si è visto, hanno posto a fondamento delle loro pur differenti decisioni. Può, pertanto, ritenersi che sarà agevole la reiscrizione al registro delle imprese per l’inizio di nuova attività. Ma, sul versante delle certificazioni del casellario e delle attività condizionate dal riacquisto della piena capacità, il correttivo non appare del tutto appagante. Permane, in particolare, la negazione, anche costituzionalmente rilevante, del beneficio della non menzione, oggi sostanzialmente derivante dalla chiusura, con possibili conseguenti inconvenienti sul piano del concreto esercizio dei diritti.
In relazione ai certificati del casellario, va ricordato che soltanto la revoca, con provvedimento definitivo, della sentenza di fallimento (art. 18) consente la eliminazione delle iscrizioni relative alla dichiarazione di fallimento e alla chiusura dello stesso (art. 5, c. 2 D.P.R. 313/2002 citato). La dichiarazione di fallimento non può essere oggi (anche col decreto correttivo) eliminata in virtù della chiusura del fallimento, come non poteva essere eliminata in virtù della riabilitazione. A norma dell’art. 24 D.Lgs. 313 /2002 (Testo Unico in materia di casellario giudiziale), nel certificato generale richiesto dall’interessato non sono, invece, riportate le iscrizioni relative ai “provvedimenti concernenti il fallimento, quando il fallito è stato riabilitato con sentenza definitiva” (lett. n).
E’ probabile, quindi, che nuove domande di riabilitazione o di cancellazione dal pubblico registro dei falliti vengano presentate anche dopo l’emanazione del decreto correttivo. Quanto meno per vedere riconosciuto il diritto alla non menzione.
Non è escludibile che il Casellario Centrale possa intervenire in via autonoma, provvedendo a modificare il programma informatico, in modo tale da rendere conseguibile la non menzione con la avvenuta iscrizione della chiusura del fallimento.
Appare, però, sicuramente più appagante che l’intervento del legislatore si estenda alla modificazione della lett. n) dell’art. 24 del T.U. 313/2002, nonché della lett. q) dell’art. 3 di detto T.U. (escludendo dai provvedimenti iscrivibili quelli di riabilitazione del fallito).
E opportuna sarebbe anche la riformulazione degli artt. 350, c. 1, n. 5, 355, 393 c.c., per allinearli alla riabilitazione sostanziale generata dal decreto di chiusura del fallimento.
Dott. Giulio Bruno
( Dirigente Amministrativo Tribunale Trani)
Note
- Cfr. ancora E. Virgintino, op. cit., pag. 10 – 12, per il quale “Il presupposto oggettivo del fallimento è rimasta l’insolvenza. … Questo indice di rilevazione esterna di carattere prettamente finanziario … prescinde sia dalle cause che hanno determinato la condizione di squilibrio finanziario … sia dall’accertamento della possibilità dell’impresa di permanere nel circuito economico. Ne consegue che l’accertamento dell’insolvenza è finalizzato esclusivamente alla liquidazione per la soddisfazione dei creditori (indipendentemente dalle sorti dell’impresa). … Il filo conduttore … è la degiurisdizionalizzazione della procedura che … è volta ad attuare la tutela incondizionata dei creditori appartenenti ad alcuni ceti importanti del nostro sistema economico…”.
- M Vietti, relazione al convegno di Rimini del 2-3.12.2005, dedicato a “Crisi d’impresa e riforma delle procedure concorsuali”, in www.consrag.it., il quale osserva: “Non è un problema di ridurre il potere del giudice. Qui il problema è mettersi dal punto di vista che debitore e creditori sono i più interessati e sono anche i migliori giudici per trovare la via d’uscita dalla situazione di crisi, possibilmente evitando l’insolvenza”.
- L’art. 50 e le altre norme abrogate con efficacia immediata “essendo destinate soltanto ad eliminare una grave limitazione della persona del fallito … non avrebbero potuto giustificare una vacatio legis temporalmente estesa”, G. Lo Cascio, “Il fallimento e le altre procedure fallimentari”, IPSOA, 2007, pag. 1371.