Il Tribunale di Trani
Sezione Promiscua


nelle persone del dott. Alberto Binetti ha pronunciato la seguente


S E N T E N Z A


nella controversia iscritta al n. 2063/03 del R.G.A.C., avente ad oggetto la azione di divisione ereditaria


T R A


F. S. e F. G., assistiti e difesi giusta mandato a margine dell’atto di citazione, dagli Avv.ti D. M. e T. D., ed elettivamente  domiciliati in Trani presso lo studio del secondo;- ATTORI –


E


F. A. e F. I., rappresentate e difese giusta mandato a margine della comparsa di costituzione del 26 gennaio 2004, dagli Avv.ti L. L. e F. D., ed elettivamente domiciliati in Trani alla Via  (omissis) , presso lo studio di quest’ultima; – CONVENUTI –


N O N C H E’


F L.; – CONVENUTA CONTUMACE –


Conclusioni delle parti:
per gli attori :
“…precisa le proprie conclusioni come da foglio che deposita e al quale si riporta, chiedendone l’accoglimento…”;
per le convenute :
“si riporta alle difese svolte in tutte le memorie difensive, ribadendo la carenza di legittimazione attiva degli attori, eredi non legittimari, nonché l’esistenza del testamento asseverata da un Ente Pubblico (INPS) e la cui acquisizione appare ultronea. Spese rifuse”.


Svolgimento del processo
con atto di citazione notificato il 28 luglio – 1° agosto 2003 F. S. e F. G. convenivano dinanzi a questo Tribunale F. A., F. I. e F. L., assumendo :




  • -di essere figli del defunto F. M. e di essere succeduti per rappresentazione del padre, il quale era coerede, unitamente ai germani I., A. e L., nella successione del fratello F. L., deceduto il 16 dicembre 2002 senza eredi legittimi e senza avere lasciato alcuna disposizione testamentaria;


  • –  che il de cuius L. F. aveva depositato i propri risparmi in un conto titoli acceso presso la filiale di Trani della Banca di Roma;


  • -che cinque anni prima il de cuius aveva cointestato il detto conto deposito titoli, nonché il conto corrente ad esso collegato, a tutti i fratelli, e ciò allo scopo di consentire agli stessi operazioni bancarie in sua vece, non avendo avuto alcuna intenzione di donare o di mettere a disposizione dei fratelli i propri risparmi personali;


  • -che tra il 20 settembre ed il 7 dicembre del 2000, le sorelle I. ed A., approfittando dell’assenza del fratello L. da Trani, avevano prelevato dal deposito titoli in questione somma per £. 425.500.000, di cui £. 212.500.000 furono prelevate da A. e £. 212.000.000 da I.;


  • – che in data 9 gennaio 2001 il conto era stato estinto da L. F.;


  • -che, con atto notificato il 27 ottobre 2001, il F.  M., padre degli attori, aveva già citato in giudizio le sorelle A. e I., onde ottenere la restituzione delle somme indebitamente prelevate, ma il giudizio, nel quale era stata autorizzata anche la chiamata in causa di L. e L. F., si era estinto, in quanto, interrotto in seguito alla morte dell’attore M. F., non era stato riassunto nei termini;


  • – che successivamente anche L. F. era deceduto;


  • -che nell’ambito del citato giudizio, le sorelle I. e A. F. avevano ammesso sia il prelievo effettuato nell’anno 2000, sia la circostanza che delle somme fosse titolare il solo L.  F.;


  • -che, pertanto, le somme in questione erano di proprietà del de cuius L.; F.;


  • -che era necessario il conferimento delle somme medesime al fine di ricostruire l’asse ereditario e procedere alla divisione dei beni ereditari tra tutti gli aventi diritto.

Tanto premesso, concludevano chiedendo accertarsi gli intervenuti prelievi, dichiararsi che le somme facevano parte dell’asse ereditario di F.  L., dichiarare il diritto degli attori sulle somme nella misura di Euro 54.808,99 e ripartire i beni ereditari secondo le quote di legge, condannando A. F. e I. F. alla restituzione della somma di Euro 27.404,50 per ciascuna di esse; il tutto con vittoria di spese e competenze di giudizio.


Nessuno compariva per F. L., sicché il G.I. verificata la regolarità della notificazione dell’atto introduttivo nei suoi confronti, ne dichiarava la contumacia.


Al contrario, si costituivano con medesima comparsa di risposta le convenute A. e I. Flauret, assumendo :




  • A)che effettivamente il conto titoli si apparteneva al solo L. F., anche se la cointestazione in favore dei fratelli non era avvenuta per l’impossibilità del titolare di eseguire le singole operazioni;


  • B)che L. F. aveva eseguito ulteriori ed ingenti esborsi in favore di L. ed in favore dello stesso M., padre degli attori;


  • C)che si era trattato di donazioni indirette non soggette a riduzione;


  • D) che i prelievi erano stati del tutto legittimi, tanto che il de cuius allo scopo di equiparare le posizioni, aveva donato l’appartamento alla sorella L. e per essa alla di lei figlia F.;

Concludevano, pertanto, chiedendo il rigetto delle domande attoree; il tutto con vittoria di spese e competenze di giudizio.
Espletati gli adempimenti di cui all’art. 180, 183 e 184 c.p.c. (con la concessione dell’ulteriore termine per l’articolazione di nuove prove e documenti, nonché per prova contraria), nella prima delle memorie ammesse ex art. 184 co. 1 parte seconda c.p.c. le convenute deducevano l’esistenza di un testamento del de cuius L. F., datato 6 settembre 2001 e depositato presso il notaio C. in Bari, con il quale il detto L. F. avrebbe nominato sua erede universale la nipote F. A. e, pertanto, chiedevano dichiararsi il venir meno dei presupposti della domanda attorea.
Con ordinanza del 26 aprile 2005, il G.I. rigettava le richieste di prova orale delle parti e di esibizione ex art. 210 formulata dalle convenute e, ritenuta la causa matura per la decisione, invitava le parti a precisare le proprie conclusioni.
All’udienza del 13 febbraio 2006, sulle conclusioni precisate come in epigrafe, la causa veniva riservata per la decisione con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica


Motivi della decisione
In primo luogo va precisato che la decisione della presente controversia rientra tra le attribuzioni del giudice monocratico e non collegiale dal momento che, anche a volere ammettere l’acquisizione del dedotto testamento e della relativa eccezione di successione testamentaria anziché legittima, non si verterebbe comunque né in tema di lesione di legittima (essendo la domanda principale di mera divisione) né di impugnativa di testamento (non essendo stato lo stesso impugnato).
Ciò posto, va integralmente confermata l’ordinanza del giudice istruttore con la quale è stata rigettata la richiesta di esibizione ex art. 210 c.p.c. del testamento depositato presso il notaio C. di Bari.
Ad integrazione della motivazione del citato provvedimento può essere evidenziato come in astratto sia consentita la richiesta e la concessione della rimessione in termini ex art. 184 bis del codice di rito, sia laddove riguardi la introduzione di un documento rinvenuto senza colpa in epoca successiva al maturarsi delle preclusioni istruttorie e che sia indispensabile a dimostrare una allegazione o una eccezione già formulata entro i termini di cui all’art. 183 c.p.c., sia laddove detto documento introduca esso stesso (come nel caso presente) una eccezione (quella di successione testamentaria anziché legittima) che non è stata introdotta per tempo proprio per la mancanza del necessario supporto probatorio.
Tuttavia la rimessione in termini deve essere giustificata da una dimostrata impossibilità. Nel caso che ne occupa, le convenute, pur avendo appreso sin dal novembre 2004 (come emerge dalla comunicazione dell’Ufficio Invalidi Civili del Comune di Barletta) della presumibile presenza di un testamento del de cuius L. F., con la memoria di cui all’art. 184 c.p.c., anziché richiedere di essere rimesse nei termini per il deposito del documento ed anzi produrre il documento medesimo, come era nella loro possibilità, trattandosi di atto presumibilmente pubblicato dal notaio, si sono limitate a chiedere l’esibizione del testamento, del tutto inammissibile, come già evidenziato nella ridetta ordinanza del G.I. del 26 aprile 2005.
In conclusione, non vi sono gli estremi per la rimessione in termini delle convenute, di tal che l’eccezione relativa alla successione testamentaria non può essere accolta, per la semplice ragione che non può neppure essere esaminata.
Rimane allora la domanda di divisione.
A tal proposito, va precisato che gli attori non hanno chiarito quale fosse esattamente l’ammontare delle somme a disposizione del F. L. al momento del decesso e, quindi, destinate alla successione ereditaria, deducendo esclusivamente che in precedenza il de cuius era stato titolare (unitamente ai quattro fratelli) di un conto titoli, già estinto all’epoca del decesso.
Conseguentemente, non è possibile individuare la somma residua destinata alla divisione.
È, tuttavia, rimasto accertato, che tra il settembre 2000 ed il dicembre dello stesso anno le convenute I. e A. prelevarono somme per complessive £. 424.500.000. Tanto è stato ammesso dalle stesse convenute che, pur non negando il prelievo (peraltro riscontrabile anche documentalmente), hanno suggerito che vi era l’abitudine tra i fratelli, della quale era del tutto consapevole il L., di effettuare prelievi, anche consistenti, dal conto del de cuius per le diverse esigenze.
Ebbene, tale argomentazione da una parte non può qualificarsi come vera e propria eccezione di donazione delle somme prelevate e, dall’altra, non risulta dimostrata da alcun riscontro da cui si deduca la volontà del donante (l’animus donandi).
In altri termini, non v’è alcun elemento da cui ricavare che il de cuius abbia inteso donare alle sorelle le somme dalle medesime prelevate dal conto titoli; e ciò a prescindere dal fatto che anche le eventuali donazioni sarebbero soggette, in presenza di una domanda di divisione, alla collazione ex lege.
Pertanto, in assenza di prove che il de cuius avesse inteso donare gli oltre quattrocento milioni di lire alle sorelle I. e A., le somme medesime devono ritenersi meramente prestate e destinate ad essere restituite.
Ciò significa che nell’asse ereditario di L. F. sussiste quanto meno il credito per la somma di £. 424.500.000 nei confronti di I. e A. F..
Per il resto, delle somme asseritamente prelevate anche dagli altri fratelli, ivi incluso il padre degli odierni attori, non c’è riscontro documentale, né le convenute hanno chiesto di essere ammesse a provare alcunché in proposito, limitando le richieste istruttorie alla sola dimostrazione dell’esistenza del testamento di cui si è già detto.
In conclusione, la domanda di divisione può essere accolta nei limiti della somma accertata di £. 424.500.000 pari ad attuali Euro 219.235,95, che va, dunque, suddivisa in quattro parti (quanti sono i fratelli); una di esse, pari a Euro 54.808,99, va assegnata agli attori subentrati per rappresentazione al loro genitore premorto, e va posta a carico delle debitrici nei confronti del de cuius nella misura di Euro 27.404,50 per ciascuna delle convenute I. e A. F..
Per il resto, la convenuta L. F. non ha proposto alcuna domanda di divisione, rimanendo addirittura contumace.
Quanto alle spese della presente controversia, esse seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.


P.Q.M.


Il Tribunale di Trani, definitivamente pronunciando sulle domande proposte con atto di citazione notificato il 28 luglio – 1° agosto 2003 da F. S. e F. G. nei confronti di F. I., F. A. e F. L., così provvede:




  1. Accoglie la domanda di divisione e, per l’effetto :



    • a) condanna le convenute F. A. e F. I. a pagare in favore di entrambi gli attori complessivamente la somma di Euro 27.404,50, per ciascuna di esse, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo;


  2. Condanna le convenute I. F. e A. F., in solido tra loro, alla rifusione delle spese processuali in favore degli attori, che si liquidano in complessivi Euro 5.429,00, di cui Euro 3.500,00 per onorari, Euro 1.500,00 per diritti ed Euro 429,00 per esborsi, oltre IVA e CAP e rimborso forfetario come per legge.


  3. Così deciso in Trani il 27 ottobre 2006.

Il Giudice
dott. A. Binetti