ITALIA, EUROPA E MEDITERRANEO
di Riccardo Marchio


Il mio maestro di economia politica amava rappresentare la nostra penisola come una portaerei nel mediterraneo. Lo scenario che ci prospettava era conseguente ad una politica economica da sviluppare verso i mercati del Medio Oriente, dell’Africa Settentrionale, insomma verso i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, paesi in cui gli usi sono più vicini ai nostri. Anche la cultura e le abitudini sono più simili alle nostre, comprese quelle alimentari: i nostri prodotti come olio, vino, ecc.., sono la base comune della famosa dieta mediterranea, estranea alla cultura dei paesi del nord Europa (margarina, birra, ecc…). Ascoltando le sue parole immaginavamo i porti del nostro Meridione brulicanti di merci in partenza verso quelle terre: eravamo noi che dovevamo vendere i nostri frigoriferi in Egitto e non i tedeschi o gli inglesi; le nostre acciaierie (Taranto) erano più vicine di quelle tedesche ed i costi di trasporto, come si sa, incidono notevolmente sul costo finale del prodotto. Così facendo anche le nostre regioni meridionali sarebbero uscite dalla lunga crisi economica, avrebbero recuperato il gap economico con le regioni settentrionali e la “questione meridionale” sarebbe finalmente stata risolta. Insomma, il mediterraneo era o no il Mare Nostrum? Poi ci furono le prime elezioni al Parlamento Europeo ed il mio maestro si candidò nel collegio di cui faceva parte anche la mia regione. In occasione di un incontro elettorale (udite, udite!), mi resi conto che le sue teorie politico-economiche erano del tutto mutate: dovevamo sviluppare gli scambi con i paesi dell’Europa! Il mercato comune europeo era la nostra salvezza. Ma come, mi chiesi, e la nostra penisola come ponte proteso verso il Nord Africa e il Medio Oriente? La base culturale che ci univa ai paesi che si affacciano sul Mare Mediterraneo? La vicinanza di questi mercati emergenti? Lo sviluppo delle nostre regioni meridionali? Ad una mia precisa domanda su questo deciso cambiamento di rotta del suo pensiero, la risposta fu vaga, come se avessi fatto tutt’altra domanda. Come mai, mi chiedevo, non è possibile coniugare entrambe le politiche economiche, noi che siamo al centro dell’asse nord-sud? Oggi siamo in Europa e nulla è cambiato nel nostro Meridione, che, se prima era al sud dell’Italia, ora è al sud dell’Europa. Sono sempre i tedeschi e gli inglesi a vendere i frigoriferi in Egitto. Qualche anno fa mi è capitato di leggere un’intervista dell’allora Presidente della Commissione UE, rilasciata ad un noto quotidiano nazionale, in cui Romano Prodi, ricordando che esiste il problema della giustizia nell’economia e parlando di Europa come <<unico esempio di globalizzazione democratica>>, a proposito di rapporti con il Mediterraneo dichiarava: <<L’Italia deve essere il Paese che porta questa bandiera. Ha tra l’altro anche interessi economici specifici, non solo interessi di sopravvivenza>>. L’intervistatore domandava a Prodi: <<L’italia come ponte tra Nord ricco e Sud povero?>> e Prodi risponde: <<Sì. E anche un ponte fra culture. L’ineguaglianza è strumento di maggior sviluppo, come hanno sostenuto in molti durante questi anni? Nessun dato lo dimostra, anzi succede il contrario>>. L’autore dell’articolo scriveva: <<E’ un nuovo scenario politico-economico quello che indica>>. E Prodi: <<Dobbiamo fare lavorare il mercato – insiste – ma non basta. C’è un momento in cui dobbiamo fare lavorare l’uomo: Perché l’uomo è l’uomo>>.
Mi sono chiesto: i nostri uomini ci hanno fatto perdere trent’anni?


Avv. Riccardo Marchio