L’IMPATTO DELL’INFORMATICA SULLE PROFESSIONI FORENSE
Renato Borruso
1 – L’uso del computer da parte del giurista
Oggi è fuori discussione l’uso del computer da parte di ogni giovane avvocato, tanto è diffuso: ma usato il più delle volte solo per la videoscrittura (cioè come mezzo sostitutivo della tradizionale macchina da scrivere, ormai divenuta un pezzo da museo), per la posta elettronica (e-mail), per le ricerche in INTERNET e come archivio d’ufficio e agenda elettronica personale.
Quasi sempre senza, però, quel minimo di conoscenze teoriche indispensabili per l’uso consapevole di uno strumento professionale; senza cioè quella cultura informatica che oggi ogni professionista-ma innanzitutto giovane avvocato dovrebbe avere.
Cultura indispensabile-, e quindi non “di confine”,- sia per chi vuole specializzarsi nel diritto dell’informatica, sia per quanti vogliono comprendere bene come e perchè, con quali vantaggi e con quali rischi e fino a che punto l’uso del computer può agevolarlo nell’esercizio della sua professione e, più in generale, le ragioni più vere e profonde dell’intreccio tra diritto e informatica.
2 – Il “diritto dell’informatica” e la cultura informatica
Due parole, anzitutto, sul diritto dell’informatica che studia tutte le leggi che oggi disciplinano l’uso del computer. In esso l’informatica è soltanto oggetto del diritto: il diritto è, quindi, preminente.
Tuttavia, per comprendere “funditus” tale diritto, non basta essere giuristi, perchè la vera comprensione del diritto,- quale che sia il suo oggetto,- implica sempre la conoscenza, prima ancora che della norma, del fenomeno che la norma vuole regolamentare, inteso come fatto di vita vissuta e d’esperienza: altrimenti non si è veri giuristi ma soltanto legulei.
Chi potrebbe, infatti,- tanto per fare un esempio macroscopico- comprendere il diritto matrimoniale se non sapesse affatto cos’è il matrimonio? Come potrebbe, senza questa previa conoscenza del fenomeno, dare un significato plausibile specifico alle parole “fedeltà”, “coabitazione”, “assistenza”, “collaborazione”, che pure tanta importanza hanno nella formazione dei diritti e dei doveri dei coniugi nell’art. 143 c.c. e che il legislatore usa senza affatto spiegarne il significato?
Analogamente, come può il giurista dare un significato plausibile e specifico ad espressioni tipiche dell’informatica come, ad es., “interfaccia”, “interoperabilità” tra programmi, “forma espressiva del programma” (tutelato addirittura come “opera letteraria” nell’art. 1 , comma 2 della l. sul diritto d’autore 22 Aprile 1941 n. 633, così come modificato dall’art. 1 del d.ls. 29 Dicembre 1992 n. 518) senza aver prima approfondito cosa sia effettivamente un computer? (cioè la c.d.”computer science”).
Ci si deve, dunque, convincere che studiare il diritto dell’informatica significa, per un giurista vero studiare innanzitutto il computer, sia pure nell’ottica del giurista (e non dell’ingegnere!): cioè assimilare le cognizioni essenziali, necessarie e sufficienti, chiare anche se approssimative ( e, quindi, esposte in forma accessibile agli umanisti) per giudicare,- ragionando con la propria testa , “causa cognita” e non soltanto per sentito dire- quali siano le novità, il valore, le peculiarità, le risorse, i limiti, i rischi dell’uso del compuer e, quindi, le differenze vere, non banali, tra nonno e computer (1)
3 – Le nozioni informatiche indispensabili: l’algoritmo
Si tratta di uno studio affascinante: perchè serve per approfondire- per contrapposto- lo studio dell’uomo, e, in particolare, per chiarire quali siano le possibilità, ma anche i limiti della sostituibilità del computer all’uomo, tema che va sotto i9l nome di cibernetica e di scottante attualità per chiunque.
Un giurista non può ritenere che un confronto siffatto non riguardi, già di per se stesso, il diritto. Un giurista può anche ignorare le meraviglie del calcolo binario e, quindi, le ragioni per cui un computer può in unb secondo compiere un milione di addizzioni, può anche ignorare il vantaggio che un programmatore trae dall’uso del sistema esadecimale o i linguaggi simboli usati per la programmazione o le tecniche del “reverse engineering” (tanto per fare degli esempi), ma non può ignorare talune nozioni fondamentali dell’informatica, quali, innanzitutto, quella dell’algoritmo.
Che cos’è l’algoritmo? Il legislatore italiano, nella legge sul diritto d’autore ( art. 2, n. 8 l. 22 Aprile 1941 n. 633 così come modificato dalla l. 29 Dicembre 1992 n. 518 sulla tutela giuridica del software) lo definisce come il complesso delle “idee e principi che stanno alla base di un qualsiasi programma per elaboratore elettronico” (alias:”software”), che è necessario redigere per iscritto e inserire nel computer affinchè il computer funzioni.
Il giurista, invero, oggi non può ignorare che:
- – il computer è si una macchina , ma del tutto particolare: (tantochè meglio forse sarebbe non considerarla una macchina o, quanto meno, solo una macchina), perchè funziona solo se, nel modo in cui e per le finalità che l’uomo gli prefissa in uno scritto (il “software” appunto) e introduce nel corpo stesso del computer;
- – il computer,- letti e memorizzati i comandi contenuti nel software,- li applica automaticamente. Il computer è, quindi, l’unica macchina che si guida con la parola cioè con un linguaggio vero e proprio (anche se destinato alla macchina e non all’uomo) cui la macchina ubbidisce fedelmente;
- – per ottenere tale risultato, il programmatore deve, però, dare al computer, attraverso il software, regole di funzionamento talmente chiare, inequivoche, complete, precise, da poter essere applicate in maniera immediata, certa, automatica, senza , quindi, alcuna necessità di interpretazione o, – come pure potrebbe dirsi,- interpretandole alla lettera. Ed è al complesso di regole così formulate che, in matematica come in informatica, si da il nome di algoritmo;
- – questa è la ragione per la quale la definizione più celebre, breve ed esaustiva del computer è quella di “automa algoritmico universale“, perchè, quando l’uomo è capace di formulare un algoritmo, è relativamente facile svilupparne le regole in un software e mettere, quindi, in grado il computer, chiamato ad applicarle, di svolgere una qualsiasi attività razionale, anche sostituendosi all’uomo, tanto da poter convertire il noto brocardo “ubi societas, ubi ius” nel più attuale:
UBI REGULA, IBI COMPUTER
4 – L’ “informatica del diritto”
A questo punto, il giurista non può non porsi questa domanda: se il programmatore riesce, mediante l’uso di un certo linguaggio, – particolarmente chiaro, schematico, preciso ,rigoroso, immediatamente operativo,- a farsi ubbidire dal computer cui quel linguaggio è diretto “bypassando” il momento soggettivo dell’interpretazione, perchè il legislatore non potrebbe usare il medesimo linguaggio per farsi ubbidire dai destinatari della legge?
Ma questa non è che la prima di tante altre possibili domande che l’impatto dell’informatica sul diritto pone, tanto da rendere evidente che, oltre al diritto dell’informatica, vi è un’altra materia, altrettanto degna di attenzione e di studio da parte del giurista che ben possiamo chiamare- consentitemi il chiasmo- ” l”‘informatica del diritto“: una materia fin ad ora pressochè sconoscita o, comunque, “snobbata” perchè ritenuta priva di nobiltà, e che, invece, ha pari dignità accademica e deve, comunque, essere considerata distinta ed autonoma rispetto alla prima, perchè mentre nel diritto dell’informatica è l’informatica a essere oggetto del diritto, nell’informatica del diritto , invece, è il diritto a essere oggetto dell’informatica.
All’insieme di queste due materie,- che hanno un comune denominatore nella previa conoscenza delle nozioni fondamentali dell’informatica alle quali si è in precedenza accennato,- ben si potrebbe dare il nome onnicomprensivo di “informatica giuridica”, che taluni, invece, preferiscono usare proprio in riferimento a quella che io chiamo “l’informatica del diritto”.
Ma, comunque la si chiami (“informatica giuridica” o “informatica del diritto”) è essenziale riconoscere il carattere specificatamente umanistico e filosofico, oltrechè squisitamente giuridico e pratico, di questa materia, (cui ho dedicato recentemente un libro, intitolato appunto “L’informatica del diritto” edito da Giuffrè),- che studia perchè e in quali modi l’informatica può far evolvere il diritto (tutto il diritto!) risolvendone contraddizioni di fondo e attuando una Giustizia più efficiente e democratica.
Invero, mentre il diritto dell’informatica è un diritto specializzato, ovviamente “de jure còndito”, l’informatica del diritto riguarda, invece, “de jure condendo”, tutto l’ordinamento giuridico, lo mette in questione (e, proprio per questo aiuta a conoscerne meglio la natura) avvicinandosi, così, alla filosofia del diritto (2) e alla teoria generale dello Stato.
5 – I cinque temi fondamentali dell’informatica del diritto
Vi sono almeno cinque ragioni fondamentali perchè il giurista- e, quindi, anche il giovane avvocato,- studi l’informatica del diritto, ragioni corrispondenti ai seguenti temi generali:
- ricercabilità computerizzata della documentazione giuridica (legislazione, giurisprudenza e dottrina);
- applicabiità da parte del computer stesso della lagge con conseguente studio delle differenze e deele affinità tra legislazione e software, specie, riguardo al problema della interpretazione dei comandi e, più in generale, del rapporto tra legge, giudice e computer;
- possibilità di migliorare la legislazione servendosi deel tecniche informatiche;
- l’informatica giudiziaria;
- l’informatica nella disciplina giuridica: ricerca nuove e più soddisfacenti soluzioni giuridiche ai problemi della vitarese possibili dall’uso del computer.
6 – La ricerca computerizzata della documentazione giuridica e, in particolare, della legislazione
Innanzitutto due parole essenziali sulla ricerca computerizzata della documentazione giuridica, a cominciare dalla legislazione.
Ricercare la leggi da applicare al caso concreto diventa in Italia, come del resto in molti altri Paesi, sempre più difficile, persino per i magistrati e per gli avvocati, innanzi tutto a causa dell’enorme numero di leggi (e di atti avneti forza di legge o, comunque, a contenuto normativo) accumulatesi col passar del tempo: oltre centonovantamila dal 1861 ad oggi!
Quantità questa che fuoriesce di gran lunga dalle possibilità di apprendimento e di memorizzazione della nostra mente. Al riguardo, basti pensare che il più longevo e studioso dei giuristi (uno, cioè, che per sessant’anni legge e studi un provvedimento normativo al giorno) potrà al massimo aver preso cognizione, in tutto il corso della sua vita, non puù di 21.900 di essi. Cosa sono in confronto 190.000?
Il nostro ordinamento giuridico non è più a dimensione d’uomo, anche se ci ostiniamo a mantenere il principio (ipocrita) che ” ignorantia legis non excusat”. E tende ad esserlo sempre meno in futuro anche per il notevole aumento sia delle fonti normative rispetto all’anteguerra ( sentenze della Corte costituzionale, regolamenti e direttiove dell’Unione Europea, leggi regionali e provinciali), sia delle materie oggi da disciplinare e prima inesistenti (come, ad esempio, l’informatica e la tutela dell’ambiente).
E’ ben vero che il numero delle norme in vigore è da presumersi ben al di sotto di quello sopraindicato, ma nessuno può dire con certezza quali e quante siano, perchè l’abrogazione espressa è molto rara e l’abrogazione tacita può essere accertata solo mediante un giudizio comparativo tra norme di diversa età, giudizio che, quindi, presuppone la conoscenza di tutto l’ordinamento: cioè una conoscenza che oggi non ha – e non può avere- nessuno. Inoltre ci sono leggi di remota emanazione che, pur non potendo essere ritenute con sicurezza abrogate, sono, almeno di fatto, desuete, essendo del tutto mutata la situazione politica, sociale ed economica in cu furono emanate.
La certezza del diritto, essenziale perchè si abbia uno “Stato di diritto”, risulta in tyal modo gravemenbte compromessa. Vi è sempre il pericolo che una legge remota e dimenticata venga, per così dire, “risuscitata ” da taluno. Anche il cittadino più scrupoloso spesso “sa di non sapere” quali siano tutte le norme applicabili al suo caso e come si coordinino e, quindi, quali siano tutti i suoi doveri e i suoi diritti,. Sente, innanzitutto per questo, di essere indifeso di fronte alle Autorità e ciò è facile occasione di corruzioni e concussioni.
Ad oltre tre secoli di distanza, la situazione, sotto questo aspetto, non è molto diversa da quella mirabilmente descritta dal Manzoni nei Promessi Sposi. dell’Italia sotto il governo spagnolo. L’ingnoranza inconsapevole della legge da parte di molti, specie dei meno provveduti, riconosciuta persino dalla stessa Corte Costituzionale in una famosa sentenza del 1988 contribuisce a creare un vallo esiziale tra l’ltalia legale e l‘Italia reale. E questo dovrebbe tener presente chi s’indigna della poca cura della legalità che ha il nostro popolo. Altro che fare “caroselli” o “fiaccolate” ridicole in segno di protesta!
In tale situazione, le banche-dati ad elaborazione elettronica per ricercare la legislazione e la giurisprudenza non costituiscono certo un lusso: sono “l’ultima spiaggia” per fronteggiare la babele legislativa. Alla costituzione di banche-dati onnicomprensiva di legislazione, giurisprudenza e dottrina potrebbe conseguire anche un’altra grande utilità: far rintracciare dal computer tutte le leggi verosimilmente non più in vigore per abrogazione implicita o comunque desuete, presumendo tali tutte quelle che, negli ultimi vent’anni, non risultino aver ricevuto più nè alcuna applicazione in sede giudiziaria, nè alcuna attenzione da parte della dottrina (salvo, ovviamente, parere contrario di apposita commissione).
Si potrebbe, quindi, in maniera semiautomatica e in tempi relativamente brevi, ridurre- come ormai tutti chiedono a gran voce- il pletorico ordinamento italiano a un “corpus iuris” costituito da un numero molto più ristretto di leggi (si stima che non dovrebbero essere più di ventimila) sicuramente vigenti e aggiornate in linea col concetto di “diritto vivente”.
Ciò costituirebbe il primo dei presupposti per poter tornare a parlare di certezza del diritto.
7 – Le doti occorrenti al ricercatore computerizzato di documentazione giuridica
Per porre rimedio a mali così gravi e pressanti l’informatica ha offerto un servizio provvidenziale: la costituzione di banche-dati ove ricercare, in pochi minuti, qualsiasi legge nonchè la giurisprudenza e la dottrina che spiega come vada interpretata e applicata. Di tali banche-dati l’Italia ormai ne possiede più d’una: oltre quella telematica “on line” curata dalla Corte di Cassazione, ben nota anche all’estero e ormai collaudata da un uso prolungato da parte di un pubblico vastissimo attraverso una rete di migliaia di terminali disseminati in tutta Italia e anche fuori del suo territorio (3), ve ne sono oggi diverse altre, pur molto apprezzate, realizzate da editori giuridici privati su CD-ROM consultabili mediante PC.
La superiorità della ricerca elettronica rispetto a quella tradizionale si spiega tenendo presente che in una banca-dati si possono ricercare d’un colpo tutti i documenti che contengano, nell’ambito del loro intero testo (e quindi non solo nel titolo), un qualsiasi dato e, quindi, una qualsiasi parola del linguaggio naturale o una combinazione di esse opportunamente formulata con gli operatori logici booleani, secondo i dettami della c.d. “logica proposizionale“, indipendentemente, perciò, da come ciascun documento sia stato intitolato o classificato. La ricerca computerizzata si presenta, quindi, sotto tale aspetto, libera e casuale, in quanto funzionante in base a una sorta di “linking” sistematico.
Tuttavia, tale tipo di ricerca, se da un lato appare così accessibile da rendere inescusabile oggi l’errore professionale commesso da qualsiasi operatore del diritto per aver ignorato l’emanazione o l’abrogazione o la dichiarata illegittimità costituzionale di una norma, dall’altro lato, paradossalmente non può- purtroppo- considerarsi ancora tanto facile da essere alla portata del “quisque de populo”, come, invece, sarebbe augurabile.
Per eseguire seriamente tale ricerca occorrono, infatti, doti specifiche di alto livello, esigibili solo da un professionista ben preparato. Quali sono queste doti?
Superando una serie di pregiudizi, occorre comprendere innanzitutto, che l’uso del computer non richiede, normalmente, all’utente di un sistema informativo, nessuna speciale cognizione di elettronica o di matematica o do informatica. Non occorre affatto trasformarsi in un tecnico dell’EDP (4). Oggi tutti guidano l’automobile, ma nessuno si sogna di reputaesi, solo per questo, un tecnico della motorizzazione.
Le doti che occorre invece possedere per fare buone ricerche di documentazione giuridica usando il computer, sono ben altre e possono così riassumersi:
- buona conoscenza di fondo del diritto, specie per quanto concerne lo stile, gli schemi, la nomenclatura, le correlazioni proprie della scienza giuridica;
- fantasia e cultura, necessaria per immaginare- prima ancxora di averlo trovato il testo del documento ideale che meglio risponderebbe al tema della ricerca intrapresa e trarre da detto testo “immaginato”, i dati da offrire al computer per la ricerca del medesimo: dati che possiamo per tanto chiamare DATI-ESCA;
- capacità logica nella scelta degli operatori booleani: AND, OR, NOT e PARENTESI. Questa capacità non può essere considerata una specializzazione dell’informatica: sarebbe gravissimo pensare che i giuristi non abbiano dimestichezza con la logica;
- potere di sintesi, per far corrispondere i dati-esca da offrire al computer per la ricerca con i punti decisivi delle questioni da un punto di vista giuridico, punti che bisogna saper enucleare con chiarezza dalla massa informe dei tanti fatti che si raccontano per descrivere una qualsiasi fattispecie concreta;
- presa di coscienza della differenza di filosofia (cioè di criteri) intercorrente, in linea generale, tra la ricerca manuale e la ricerca automatica,
- solo come ultimo requisito occorre impossessarsi ovviamente di un certo numero di nozioni, di regole, di avvertenze sul modus operandi richiesto al ricercatore dal particolare sistema in uso sul computer che, nel caso di terminali collegati con la Cassazione, si chiama oggi “ITALGIURE-FIND WEB”.
Ovviamente le prime quattro doti- la conoscenza del diritto, la fantasia , la logica, il potere di sintesi giuridica – non si acquistano rapidamente frequentando questo o quel corso, leggendo questo o quel manuale, perchè sono l’essenza stessa di tutta la nostra personalità di uomini e giuristi. Tuttavia, occorre tener presente che, quando si ha a che fare con il computer, bisogna interagire con “lui”, ma ciò comporta il più delle volte “agire d’anticipo“. L’utente non è nella situazione del cliente che va al ristorante e si vede mettere sotto gli occhi, dal cameriere, il menù che gli facilita la scelta. Intergendo col computer, il “cliente”, che non voglia lasciarsi guidare dal computer, il piatto deve saperlo descrivere e indicare indipendentemente dalle classificazioni limitative del menù. Il ruolo dell’utente del computer non è un ruolo passivo (come quello dell’ascoltatore radiofonico o dello spettatore televisivo), ma un ruolo attivo.
A tutto ciò consegue che la ricerca computerizzata richiede una concentrazione mentale, una capacità di riflessione e di mobilitazione culturale molto maggiori di quelle sufficienti a eseguire una ricerca su documenti cartacei.
8 – Gli operatori logici booleani
Una particolare accortezza richiede l’uso dei c.d. “operatori logici booleani” AND, OR, NOT, PARENTESI, indispensabile per fare ricerche di documentazione giuridica.
- – L’uso dell’AND presuppone il saper riconoscere quali, tra le tante parole, che il ricercatore immagina presenti nel documento che sta cercando, siano veramente indefettibili e, quindi, non siano sottintendibili.
- – L’uso dell’OR presuppone saper indicare tutti i sinonimi o, comunque, i termini equivalenti rispetto alle parole inizialmente pensate per eseguire la ricerca: e ciò perchè nel documento ricercato può esservi solo un sinonimo o un termine equivalente (in un determinato contesto) di esse. Si pensi ad esempio, all’intercambiabilità tra “computer” ed “elaboratore” o tra “abigeato” e “furto di animali”.
- uso del NOT presuppone il saper riconoscere quali sono le parole che, nel documento da ricercare,non vi debbono essere per evitare il c.d. “rumore”, cioè la selezione di documenti non pertinenti (come nel caso in cui venga selezionato un documento concernente l’ “inquinamento della prova” che non interessa affatto il tema dell’ “inquinamento dell’ambiente”).
- – L’uso della PARENTESI che, nelle ricerche avviate con pluralità di “dati-esca” e di operatori logici booleani, si impone per specificare quali siano i dati da ricercare preliminarmente in OR rispetto a quelli che vanno ricercati in AND (5)
8 bis – Necessità dell’ “esprit de finesse”
Concludendo sulla ricerca computerizzata in banca-dati: per farla seriamente occorre un notevole “esprit de finesse”, oltrechè una forte concentrazione mentale e una buona cultura giuridica. Ecco perchè costituisce anche un ottimo “test” per saggiare la preparazione di uno studente in legge.
E’ una ricerca che non si può lasciar fare al personale di segreteria di uno studio legale. I “dati-esca” e gli operatori logici booleani con cui correlarli devono essere frutto di una scelta personale del professionista direttamente interessato alla bontà della ricerca .
Purtroppo, normalmente si crede il contrario: e che, cioè, per fare una buona ricerca di documentazione giuridica col computer, basti saper “pigiare i pulsanti giusti”, basti cioè apprendere come funziona la macchina: in altri termini, basti la c.d. “abilità (manuale) informatica”, cioè il saper smanettare sulla tastiera del computer.
Il grosso pubblico, invero, non ha ancora preso a coscienza che, per interagire col computer, non occorre tanto conoscere la macchina nella sua materialità (il c.d.”hardware”), ma il sistema di pensiero che “gira” nella macchina grazie al “software”. Di qui una serie di gravissimi equivoci sulle qualità professionaliu di chi è chiamato a servirsi del computer per effettuare ricerche di documentazione giuridica.
Vero è, invece, che dette ricerche computerizzate, oltre a essere molton più rapide ed esaustive di quelle manuali, finiscono col costituire una palestra di affinamento del pensiero giuridico, ove i giuristi si esercitano a pesare,- come mai sono stati costretti a fare prima,- il valore e il rapporto delle parole.
Familiarizzarsi con l’uso degli “operatori logici booleani” è indispensabile anche per capire una verità più generale: e, cioè, che qualsiasi computer, quale che sia l’ambito del suo uso e la sua potenza, ha una vera e propria capacità di ragionamento ( cioè di saper dedurre da determinati presupposti determinate conseguenze secondo regole predeterminate) e che, per ragionare, connette gli elementi del suo giudizio in AND, OR, NOT, PARENTESI a seconda di come prescriva il software.
9 – L’interpretazione della legge e l’informatica
Senza nulla togliere all’importanza dell’informatica giuridica documentaria, il tema più importante dell’informatica del diritto deve, a mio avviso, essere considerato,- anche dal punto di vista della formazione del giovane giurista,- quello della applicazione della legge da parte del computer (e, in tal caso, “computerizzata”) che involge lo studio del rapporto tra:
- – linguaggio, diritto e informatica, che si riflette nel rapporto tra:
- – legge, giudice e computer e che trova il suo punto focale e critico nella
interpretazione della legge
come ragione giustificatrice della giurisprudenza e, al tempo stesso, del suo primato nella legislazione. Il problema, centrale e grave, che tale interpretazione crea da millenni ( e che ha riguardato la legge rivelata da Dio prima ancora di quella imposta dagli uomini) non si comprende mai tanto bene come studiandolo alla luce dell’informatica, come già si intuisce tenendo presente che, presso la facoltà di giurisprudenza dell’università di Roma “La Sapienza”, è stato creato, in seno alla cattedra di filosofia del diritto, un istituto chiamato “Istituto di teoria dell’interpretazione e dell’informatica giuridica“.
Questo magistrale accoppiamento, – che riesce incomprensibile a quanti (e sono ancora tanti purtroppo!) non hanno ancora compreso cosa sia veramente il computer,- avverte, infatti dell’intreccio strettissimo e particolarissimo (innanzitutto sul piano filosofico) intercorrente tra il mondo del diritto e il mondo dell’informatica, intreccio che lo distingue nettamente dal rapporto tra il diritto e qualsiasi altro prodotto materiale inventato dall’uomo.
Quando si parla di “applicazione computerizzata” della legge si ha di mira – sia ben chiaro!- non già l’accertamento dei fatti, bensì soltanto l’ INTERPRETAZIONE UNIFORME della legge che a quei fatti- accertati nei modi tradizionali dal giudice di merito- deve essere applicata.
E’ un tema affascinante e complesso anche per i suoi risvolti di carattere costituzionale e politico insiti in un inevitabile ripensamento del principio illuministico dei rapporti,- divenuti sempre più problematici!,- tra Parlamento e Magistratura. Esso meriterebbe un convegno di studio “ad hoc” per dare una risposta ai seguenti interrogativi fondamentali:
- le nostre leggi costituiscono un algoritmo?
- posto che almeno la più gran parte di esse non lo sono per difetto di completezza e di inequivocità, è augurabile, secondo il nostro modo odierno di sentire, che lo diventino togliendo al giudice il potere discrezionale di interpretarle a suo piacimento, cioè motivando si, ma pur sempre in un ottica soggettiva?
- posto che la conversione della legge in algoritmo sia augurabile, quali ostacoli sono da superare perchè ciò diventi possibile?
- se è vero che un certo numero, – quantunque piccolo,- di “norme algoritmo” vi sono già oggi, perchè non farle applicare subito dal computer a situazioni di fatto (“Tatbestanden”) già accertate dal giudice di merito?
- quali potrebbero essere le conseguenze sociali e politiche della presa di coscienza che la maggiorparte delle norme del nostro ordinamento non possono essere direttamente applicate dal computer perchè non costituiscono un algoritmo e, quindi, devono essere integrate, – e talvolta addirittura corrette, – ad opera del giudice?
10 – I “sistemi esperti legali” (S.E.L.)
Il tema dell’applicazione computerizzata della legge può apparire può apparire avvenieristico se non addirittura utopistico o persino abberrante.
E, invece, si tratta di una realtà oggi già in atto, anche se non ancora molto diffusa e, quindi, non ancora avvertita dai più . Parlo dei SISTEMI ESPERTI LEGALI (il cui acronimo è costituito dalla sigla S.E.L) già reperibili sul mercato e usati da un numero crescente di operatori del diritto per svolgere il loro lavoro professionale.
Precisiamo, innanzitutto, cosa siano i S.E.L. Sono dei softwares finalizzati a porre anche un computer in grado di applicare una norma (astratta) di diritto ad un caso concreto della vita. E’ ben vero che per realizzare ciò occorre che la legge presenti i requisiti dell’algoritmo e che essi mancano nella maggiorparte delle nostre leggi, però è anche vero che, già oggi, un numero sia pure limitato di norme giuridiche, specie nel diritto amministrativo e di quello processuale possiedono i requisiti dell’agoritmo grazie alla loro originaria formulazione rigorosa o, se questa manca, grazie alla assoluta costanza della giurisprudenza che col tempo si è formata sulla loro interpretazione, eliminando su di essa ogni dubbio e ogni lacuna e che, quindi, dà alla norma, così interpretata e integrata, la medesima efficacia di un algoritmo.
I S.E.L.- nati, così, dalla convergenza tra formalizzazione logica del diritto e la modellizzazione giurisprudenziale- sono realizzati, il più delle volte, sotto forma di colloquio tra utente e computer, articolato in una successione di domande e risposte consequenziali, secondo le tecniche classiche dell’istruzione programmata che i computers più recenti rendono sempre più ricca di possibilità.
In Italia vi sono già ottimi S.E.L.: ricordiamo, tra i tanti, quello chiamato “REMIDA” edito dalla Giuffrè e realizzato interamente da un magistrato (Gianfranco D’ Aietti) in materia di rivalutazione monetaria e di calcolo degli interessi, prezioso per i giudici quando devono liquidare somme di denaro a titolo di condanna, in materia di determinaqzione dei danni per lesioni personali o a seguito di omicidio, in materia fiscale ( per la dichiarazione dei redditi), in materia di amministrazione condominiale.
Nella nozione di S.E.L. rientrano, poi, tutti quei “softwares” realizzati dalla pubblica amministrazione per automatizzare le proprie procedure, la formazione e la pubblicazione dei suoi atti, in quanto tutte queste attività si svolgono (in uno “Stato di diritto” come il nostro) in applicazione di precise disposizioni di legge che, quindi, vengono fatte aplicare direttamente dal computer senza più intervento dei funzionari e degli impiegati della P.A. In questo senso si può parlare di “atti amministrativi cibernetici”, in quanto la cibernetica è quella parte dell’informatica nella quale l’uso del computer è previsto non per aiutare l’uomo nel suo lavoro fornendogli informazioni utili, ma adirittura per integralmente in tutto il ciclo della sua attività lavorativa.
A prescindere dalla formazione automatica di tali atti, facilmensostituirlote algoritmizzabili, essendo regolati non solo dalle leggi, ma anche dai regolamenti e dalle circolari della P.A. ( come avviene – ad esempio – per la liquidazione degli stipendi ai dipendenti ovvero per la emissione di certificati al pubblico, quel che importa sottolineare, a proposito dei S.E.L. è che essi sono realizzabili anche quando le norme di legge che si devono applicare non costituiscono un algoritmo, in quanto ciò che manca alla norma per esserlo (inequivocità, completezza, specificità) viene integrato, al momento della compilazione del software, solitamente con la giurisprudenza della Corte di Cassazione ( e, ovviamente, delle altre giurisdizioni superiori: Consiglio di Stato, Corte dei Conti ecc.).
In tal modo il sistema giudiziario italiano si trasforma, – mano a mano e quasi inavvertitamente -, dal sistema di civil law ( a diritto legislativo) in un sistema quasi di common law (a diritto giurisprudenziale).
Con il crescere dei S.E.L., realizzati ad opera di privati, anche il legislatore potrebbe aver indotto a formulare le leggi sotto forma di software applicativi finalizzati a realizzare il principio esprimibile con il brocardo:
DA MIHI FACTUM, DABO TIBI IUS
cioè a emanare:
LEGGI SOFTWARE
per assicurare l’uniforme interpretazione della legge a fattispecie predeterminete accertate dal giudice di merito.
11 – La formalizzazione della legge con l’uso degli operatori logici boleani
Nel frattempo ci sarebbe un primo passo molto importante da compiere al fine di raggiungere il traguardo finale della “legge – software” ( cioè della legge sviluppata in forma di software): indurre il legislatore a scrivere le leggi non più in un linguaggio naturale, ma formalizzando il discorso mediante l’uso degli operatori logici booleani di cui si è già detto e con cui il giurista si è già familiarizzato essendo i medesimi dei quali deve far uso per effettuare ricerche computerizzate di documentazione giuridica.
In tal modo si avrebbero due vantaggi di straordinaria importanza: l’inequivocità della interpretazione sintattica del testo della norma e, al tempo stesso, il costringere il legislatore ad una più approfondita analisi della sua volontà. L’algebra booleana della proposizione del discorso, infatti, non soltanto costutuisce la spina dorsale del funzionamento di ogni computer che, grazie ad essa, acquisisce una vera e propria capacità di ragionamento; non soltanto costituisce il motore di ricerca più raffinato per selezionare i documenti che interessano in una banca dati ( è il sistema ITALGIURE – FIND realizzato dalla Corte di Cassazione, ne è la più chiara dimostrazione), ma costituisce anche una sorta di nuova sintassi, un nuovo “latino”, per chiarire, prima di tutto a se stessi in quale effetivo rapporto logico si devono trovare i concetti espressi dalle parole.
Una volta, infatti, che al legislatore si è imposto di formiulare i suoi precetti facendo uso degli operatori logici booleani, qualora, ad esempio, egli voglia stabilire una riduzione di imposta per chi “acquisti un appartamento e una cantina o un box” (come si esprimerebbe molto probabilmente in linguaggio naturale), la necessità di convertire le congiunzioni “e“, “o” in operatori logici booleani, lo costringerebbe a rendersi conto della equivocità della formulazione soprariportata dovuta al fatto che in essa rimane dubbio se la riduzione dell’imposta spetti anche qualora si acquisti solo il box ( ma non anche l’appartamento e la cantina) ovvero tutti e tre i predetti immobili.
Il legislatore si troverebbe, così, in una situazione analoga a quella in cui si trova un bambino italiano che, quando deve tradurre in latino la congiunzione “o”, deve necessariamente porsi il problema di scegliere, a seconda dei significati, tra “vel” e “aut”, cioè è costretto a porsi un problema di approfondimento del pensiero che l’uso della lingua italiana (molto più superficilae di quella latina) quasi certamente non lo avrebbero indotto a fare.
E’ evidente, quindi, che l’algebra preposizionale di Boole è il nuovo latino che il legislatore dovrebbe usare per eliminare, quanto meno, le ambiguità provocate dalla sintassi della lingua italiana (6)
12 – La giurimetria
Anche per quanto riguarda l’informatica giudiziaria le innovazioni e i vantaggi che l’uso del computer potrebbe provocare sono così rilevanti che occorrerebbe un incontro “ad hoc” per enunciarle e discuterne.
Una però voglio enunciarla subito perchè mi è molto cara: riguarda quella che io chiamo la GIURIMETRIA.
Per apprezzarne l’importanza occorre una premessa. Non v’è alcuna pubblicazione giuridica (rivista o rassegna o repertorio o bollettino) in cui si dia notizia del “quantum” in concreto determinato dal giudice come pena per i reati commessi o come risarcimento di illeciti penali o civilio come assegno alimentare nelle cause di divorzio o di separazione dei coniugi o come minimo salariale.
Tutte le pubblicazioni di giurisprudenza riportano esclusivamente i principi di diritto e il modo corretto di interpretare la legge. Così anche il giudice di merito più coscenzioso si trova pressochè al buio quanto quantifica una condanna: com’è stato icasticamente detto, egli “non sa a che quota sta volando“. Fuor di metafora, egli non sa se la condanna che sta per pronunciare sia troppo mite o troppo severa rispetto alla media . E ciò è particolarmente vero per i magistrati più giovani che non hanno avuto modo di trarre, specie dalle camere di consiglio, l’esperienza sufficiente per decidere con consapevole equilibrio. Così cittadini che pur versano- in linea di fatto oltrechè di dirittto – in condizioni analoghe possono essere assoggettati in concreto, pur nel rispetto di identici principi teorici, a trattamenti sostanzialmente molto diversi, con irreparabile compromissione di quel principio di eguaglianza che è il fondamento stesso della Giustizia.
A tale gravissimo inconveniente oggi è possibile porre irmedio ricorrendo all’uso del computer, che opportunamente dotato di un software “ad hoc”, sappia rintracciare nella sua estesissima memoria e con la velocità che gli è propria (l’una e l’altra incomparabilmente superiore a quella umana) le quantificazioni sino a ieri determinate da tutti i giudici della Repubblica per casi uguali o affini parametrati in base a classificazioni standard e a scale predeterminate di punteggio.
Ovviamente, per mettere il computer in grado di offrire al giudice tali paramentri di raffronto, occorrerebbe compilare, per ogni condanna, una scheda in cui riportare, sotto forma di indici e/o simboli convenzionali, tutti i parametri considerati (o non) dal giudice nella motivazione del suo provvidemento e la sorte di tale giudizio a seguito di eventuale appello, per conoscere se sia stato confermato o riformato.
Si creerebbe così una banca – dati assolutamente nuova e unica per il tipo di informazioni da essa traibili, che certamente sarebbe consultata da tantissime persone, quanto meno per avere un orientamento, sia pure approssimativo, circa l’opportunità di agire o resistere in giudizio o di proporre appello. Per i giudici, è appena il caso di avvertirlo, la consultazione di tale banca dati non li priverebbe affatto della loro libertà di giudizio, potendo sempre discostarsi dai precedenti qualora ritenessero esservi ragioni particolari, sufficienti per farlo. Ma, grazie a tale consultazione, il loro giudizio potrebbe essere ed apparire più meditato, meno soggettivo, in definitiva più giusto.
Il numero delle cause civili diminuirebbe certamente e, forse, in misura notevole, perchè i precedenti forniti da questa banca dati avrebbero certamente un alto valore predittivo circa l’esito delle cause. Al riguardo è da tener presente che ciò che determina di più ad agire o a resistere in giudizio non è solo la previsione di chi abbia ragione o torto in linea di diritto (cioè in linea di principio), ma “quanto” si possa guadagnare o perdere, cioè il prevedibile ammontare della condanna. Quante volte, infatti, una delle prime domande che il cliente rivolge al suo avvocato riguarda proprio il quantum da sperare o da temere? Poter avere una seriea informazione al riguardo, fornita non da un singolo avvocato che la tragga soggettivamente solo dalla sua esperienza, ma da una banca – dati che oggettivamente solo dalla sua esperienza, ma da una banca-dati che oggettivamente la tragga da uno screening massiccio dei precedenti, potrebbe essere determinante per indurre a non proporre cause o a risolverle transattivamente.
La banca dati che qui si propone di realizzare darebbe vita ad una nuova scienza, ad un nuovo metodo di giudizio – la GIURIMETRIA appunto – che potrebbe essere definita così: scienza, resa possibile soltanto dall’uso del computer di individuare e misurare, per ogni determinazione quantitativa o comunque “di fatto” affidata alla discrezionalità del giudice, le componenti variabili dalle quali scaturisce il giudizio, al fine di ragguagliare ogni nuova determinazione a quelle precedentemente effettuate e di assicurare, così, in concreto, mediante un sistematico confronto eseguito con l’ausilio di modelli statistici formati in base a classificazioni standard e/o a scale predeterminate di punteggio, quella parità di trattamento (almeno approssimativa) alla quale i giudicandi hanno diritto anche rispetto ai giudizi discrezionali del magistrato.
13 – Conclusioni
Più di quanto si sia verificato per tutte le grandi invenzioni, l’uso del computer – che come la scrittura e la stampa sta permeando di sè tutte le nostre attività e quindi anche il diritto – può essere volto tanto a rendere la vita più umana, più giusta, più democratica, quanto a disumanizzarla rendendola arida e opprimente.
Alla responsabilità di una scelta così drammatica il giurista non può certo sottrarsi: ovviamente – come deve essere sempre suo costume – “causa cognita“, cioè dopo aver compreso e fatto comprendere la vera natura del computer, rifuggendo tanto dal misoneismo, quanto da ingenui entusiasmi e combattendo i tanti pregiudizi che ancora oggi, a tutti i livelli, sussistono in relazione all’informatica.
In tal modo contribuirà a pilotare saggiamente, anzichè limitarsi a subire, la trasformazione globale del modo di vivere che l’avvento del computer sta provocando e che sarebbe grave lasciar guidare solo si tecnici dell’informatica per il rischio che lo ” Stato di diritto” si tramuti in una tirannica tecnocrazia.
In altri termini, occorre evitare che, anzichè piegare l0uso del computer al rispetto dei valori fondamentali del nostro ordinamento e, in particolare, dei diritti del cittadino, si faccia il contrario.
Ma occorre riconoscere che l’informatica è una conquista irrinunciabile della noctra civiltà, che chi non si mette al passo col proprio tempo viene fatlmente travolto, che il rapporto tra diritto e computer è profondamente diverso da quello profilabile tra il diritto e tutte le altre macchine sino ad ora iinventate e paragonabile soltanto all’incidenza che sul diritto ha avuto l’invenzione della scrittura e della stampa, che pertanto l’uso del computer appare destinato ad aprire un capitolo completamente nuovo nella storia del diritto: sul modo stesso di concepire la legge, su compe prepararla e scriverla, su come e da chi farla applicare, sui mezzi per farla conoscere e studiare, nonchè sugli stessi suoi ocntenuti.
Preparare il giurista- a compinciare dai giovani professionisti del Foro – a partecipare costruttivamente a questa grande svolta epocale mi sembra il compito principale dell’informatica giuridica.
Prof. Renato Borruso
Presidente Aggiunto Onorario
della Suprema Corte di Cassazione
Docente di informatica Giuridica presso Università di Roma
- A tal fine può essere utile consultare il libro ” L’informatica per il giurista. Dal BIT a INTERNET” ( II Edizione) di R. BORRUSO E C. IBERI edit da Giuffrè.
- E questa è la ragione per cui nel D.M. Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ( M.I.U.R.) del 18 marzo 2005 si incorpora al § “jus 20”, l’informatica giuridica nella filosofia del diritto.
- Tale banca dati, di cui mi onoro di essere stato uno dei Direttori, cominciò a funzionare regolarmente nel lontano 1971: prima al mondo nel suo genere!
- E.D.P. è l’acronimo derivato da ” Elaborazione Dati a Programma” che è una delle espressioni più usate ed esatte per riferirsi all’uso del computer.
- Per un consapevole uso degli operatori logici booleani nelle ricerche di documentazione giuridica V. il libro di R. BORRUSO e L. MATTIOLI edito da Giuffrè e intitolato: “ Computer e documentazione giuridica. Teoria e pratica della ricerca“.
- Allo studio di come scrivere le leggi in modo così rigoroso da poter essere applicate alla lettera; coem fu aspirazione somma di tutti i più grand legislatori dell’umanità; e quindi, suscettibile di applicazione computerizzata è stato dato il nome di ” legimatica” ( crasi di ” legislazione e informatica”)