“Mazzini” di Giovanni Bovio: riflessioni e spunti di approfondimento.
Susanna Pastore
L’analisi del saggio di Giovanni Bovio su Giuseppe Mazzini inevitabilmente genera nella mente del lettore un intreccio in cui l’autore e il protagonista si danno reciprocamente voce attraverso il pensiero e la parola. Le riflessioni che seguono non hanno la pretesa di essere esaustive perché le due personalità sono talmente ricche e la loro vita così densa che non è possibile pensare di esaurire in questa sede l’analisi; tuttavia la traiettoria è segnata dalla forza innovativa del pensiero mazziniano e, nel contempo, dalla posizione di Bovio che, perseguendo l’obiettivo di “mantenere viva, pur in un mutato contesto socio-politico, la sostanza autentica della lezione del Maestro”, dimostra di non essere né rigido e né acritico, perseguendo l’aderenza “alle concrete esigenze del paese”, aperto “quindi, ad ogni forma di dibattito” (1).
L’importanza del saggio di Bovio per chi voglia avvicinarsi compiutamente al pensiero mazziniano nello scenario del primo Novecento è segnalata in un recente lavoro di Sauro Mattarelli (2).
Carlo Romussi, nella sua introduzione intitolata La ragione del libro (3), riferisce che Bianca Bovio aveva rinvenuto tra le carte del marito il manoscritto del lavoro che questi intendeva realizzare su Mazzini dopo quelli su Socrate e Cristo. Il libro viene pubblicato, quindi, postumo nel 1905 dall’editore Sonzogno in occasione del centenario della nascita del patriota genovese.
Per la verità già sul “Roma” del 9 marzo del 1891, “commemorando il Maestro, Bovio aveva esortato “i giovani più pensanti della democrazia” a scrivere un libro su Mazzini e sul Mazzinianesimo, libro di cui, nella stessa commemorazione, aveva tracciato un particolareggiato indice” (4).
Nella ristampa della celebrazione Per Mazzini del 1892, pubblicata nel 1900 nei Discorsi, Bovio riferisce di essere stato incaricato dalla famiglia Nathan per la stesura di un lavoro sull’esule genovese, circostanza riportata da Alfonso Scirocco (5).
Nel 1893, come si legge nel numero unico “X marzo”, Bovio, parlando di Dante e Mazzini, scrive: “La loro grandezza fu nell’essere apparsi tra due tempi, averne sentito la contraddizione e tentato la sintesi. Vi riuscirono? Ecco il libro” (6). La domanda introduce con immediatezza nel significato che l’autore attribuisce ad un libro su Mazzini e fornisce la chiave interpretativa dell’approccio alla ricerca. Si tratta di un percorso, un itinerario, un viaggio il cui approdo non è affatto scontato; del resto Bovio scriverà “Nell’immedesimarsi col fine posi la grandezza dell’uomo, e però sommo tra’ i moderni riputai Mazzini, e dal sommo dissentii in molte cose” (7).
L’esordio introduce efficacemente nell’intento che attraversa tutto il saggio: “Non ignoro che a molti parrà singolare stranezza questo parlare di Mazzini immediatamente dopo Socrate e Cristo, i due primi più solenni e più rifermati maestri di civiltà; ma penso che quelli che verranno dopo di noi, considerata tutta a parte a parte la dottrina e la vita dell’uomo, dopo Socrate e Cristo nella storia lo allogheranno terzo non di valore, ma di tempo” (8).
Socrate, Cristo e Mazzini sono tre rivoluzionari. Socrate rivoluziona “la tradizionale tavola dei valori cui tutta la grecità si era fino allora attenuta e che i Sofisti non avevano sostanzialmente intaccato. Infatti i valori fondamentali, tradizionali erano principalmente quelli legati al corpo: la vita, la salute, la vigoria fisica, la bellezza; oppure legati ai beni esteriori e all’esteriorità dell’uomo, quali la ricchezza, la potenza, la fama e simili. Ora, la netta sovraordinazione gerarchica dell’anima rispetto al corpo e la identificazione del vero uomo con l’anima” che per Socrate è l’io consapevole, la personalità intellettuale e morale “e non più con il corpo” determinava l’ “emergere in primo piano dei valori interiori” (9) in un processo di rinnovamento e di umanizzazione della cultura, il cui metodo è il dialogo “tra persone sinceramente intese a sviscerare il problema in esame, a precisarne i termini, a chiarirne gli equivoci, sempre disposti a mutare le conclusioni raggiunte qualora si scoprano nuovi argomenti contro di esse. Questa provvisorietà delle conclusioni è il sintomo di un’apertura nuova, di una nuova sensibilità per i problemi” (10) che spiega anche l’approccio metodologico di Bovio la cui posizione non è né rigida né acritica ma dialettica.
Socrate è un rivoluzionario e la sua è una rivoluzione che utilizza l’arma non violenta della persuasione non solo nei confronti degli uomini, ma anche dello Stato. Condannato a morte ingiustamente, respinge, in modo categorico, la possibilità di fuggire ritenendola contraria alle leggi: “Io sono delle leggi” (11) dirà Socrate nel dramma scritto dallo stesso Bovio.
La storia dell’umanità è segnata da un’altra rivoluzione non violenta: quella dell’amore professato da Cristo, sebbene “alla grecità rimase totalmente sconosciuta, cosicché quella socratica resta la più alta che il mondo pagano abbia conosciuto” (12).
Cristo è un rivoluzionario. Maria Maddalena testimonia la speranza, l’amore e la giustizia del Cristo per cui gli esseri più contaminati per la loro stessa condizione sanno che saranno i più amati. Nel dramma Cristo alla festa di Purim, Bovio farà dire al Cristo, che si palesa solo attraverso la voce quindi la parola: “Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra”. Nella prefazione alla quarta edizione affermerà: “Lui ci voleva: è un antico che ha del nuovo” (13). Il Cristo dell’amore, della speranza e della giustizia è il Cristo dello “scandalo” che insegna all’uomo un nuovo senso di responsabilità verso la storia. Il Cristo di Bovio si palesa attraverso la parola. L’idea del logos, intermediario tra l’essere divino come creatore e l’essere delle creature, non è nuova, ma la novità del cristianesimo è che il logos coincide con una concreta persona storica identificabile appunto con Gesù.
La parola ha grande importanza nell’opera di Mazzini e di Bovio per la sua capacità di mediazione tra il mondo interno e quello esterno: “La parola è un condensatore della volontà, un condensatore dell’attenzione, un condensatore dell’intera vita dell’anima” (14).
Infatti Bovio scrive che il Dio di Mazzini “è parola iniziale e finale, […] è fede invitta nella quale l’Apostolo vive e muore. Que’ sette articoli monumentali della Giovine Italia […] sono la sintesi perfetta di tutta la dottrina di Mazzini” (15); e ancora “la Giovine Italia è la connessione del progresso con il dovere, dell’educazione con l’insurrezione, dell’unità con la repubblica, del Popolo con Dio” (16).
Il programma della Giovine Italia si basava su una concezione etico-religiosa della vita intesa come rivelazione divina nella volontà del popolo donde il diritto degli italiani alla rivoluzione: eliminate con l’Austria e il papato le ultime strutture della società medievale e conseguita l’unità nazionale nella forma dello Stato repubblicano, gli italiani avrebbero potuto compiere la missione loro affidata da Dio consistente nel promuovere il rinnovamento politico e sociale in Europa. Secondo Mazzini nella storia progressiva dell’umanità cominciava ad affacciarsi un nuovo periodo. “All’epoca “critica”, rappresentata dalla rivoluzione francese, succedeva un’epoca “organica”. Sulla base intangibile dei diritti individuali, rivendicati da quella rivoluzione, doveva sorgere l’associazione. Nell’epoca critica l’iniziativa era toccata alla Francia. Per la nuova epoca organica essa doveva venire assunta dall’Italia. Il nostro paese che due volte aveva guidato il mondo, con Roma pagana e Roma cristiana, doveva risorgere a nuova vita, riprendere la sua missione direttiva, facendosi missionario all’umanità di una fede di progresso e di fratellanza” (17). Già Bovio aveva osservato che “dopo la Roma de’ Cesari e de’ Papi ha da venire la Roma del popolo. […] Qui dunque non è sogno giobertiano di primato, chè queste borie spiacciono a Mazzini; ma è missione e dovere d’inizio” (18), precisando che “La rivoluzione dell’89 […] non fu epica o nazionale, ma essenzialmente umana. […] Il contenuto umano […] si riassume […] nella semplice epigrafe: “Dichiarazione dei diritti dell’UOMO” (19). “L’Uomo, questo era e doveva essere il pensiero dominante di Mazzini” (20). L’elemento che unisce i tre rivoluzionari è per Bovio “la compenetrazione del principio con la missione, il connubio del pensiero coll’azione: e questa compenetrazione costituisce la totalità etica senza cui non v’è grandezza d’uomo e assai meno grandezza di fondatori” (21).
In un discorso parlamentare del 1886 Bovio dirà “… quel Giuseppe Mazzini, che pensando e scrivendo così, dimostrava che il pensiero è (n)azione, e dimostrando, la faceva” (22) evidenziando, in definitiva, l’unità tra pensiero e azione.
Il libro di Bovio è un percorso di ricerca che a sua volta presenta Mazzini come “il lineare protagonista” di un “itinerario esemplare” percorso nell’Italia dell’Ottocento. “L’idea di Italia si è elaborata per viaggi e per esili. Viaggio ed esilio sono due forme primarie e strutturanti del pensare e del fare l’Italia. Questo è stato vero nell’Ottocento, dai primordi del Risorgimento: quando il viaggio in Italia e via dall’Italia, vale a dire l’esilio, danno forma e coscienza, congiuntamente, alla Nazione, all’intellettuale e all’uomo d’azione. Per settant’anni, sia fra i pensatori che fra gli uomini d’azione – da Foscolo a Mazzini, da Nievo a Garibaldi, da Pisacane a De Sanctis – viaggi ed esili, sia materiali che immateriali, danno visibilità all’idea” (23).
Il movimento è connaturale alla stessa concezione biblica della storia e della fede. Pensiamo alla concezione messianica che affaccia sistematicamente l’uomo sul futuro, sull’oltre. Lo stesso Cristo nei Vangeli è sempre in movimento.
Per Mazzini la storia dell’umanità è movimento quindi progresso, storia di progresso inteso come continua scoperta della “legge di Dio” ed ogni periodo successivo doveva conservare le conquiste di quello precedente, aggiungendovi le nuove. Avendo però una visione realistica era comunque consapevole che la scoperta di un termine di progresso non costituiva una garanzia per la sua affermazione nella realtà. Ed è questo che fa di Mazzini, secondo Bovio, non un utopista, ma un fondatore di civiltà: “la differenza tra gli utopisti e i fondatori di civiltà: quelli conoscono le determinazioni logiche, questi le determinazioni storiche” (24); “ecco Mazzini sulla grande Bibbia dell’umanità’, la storia, a spiare […] il principio dell’avvenire” (25); “La logica dunque de’ fondatori è nella Storia” (26); “v’è processo storico e la sua legge è il progresso. Il progresso […] è l’essenza dell’uomo. E’ dunque irresistibile: i volenti conduce, i non volenti trascina, i resistenti stritola. […] la necessità del progresso […] implica […] concorso cosciente dell’uomo” (27).
Nella Circolare sui Principi politici e morali della Federazione della Giovine Italia, scritta nel 1831 – secondo la datazione attribuita da Salvo Mastellone – mentre era esule a Marsiglia, Mazzini scrive “Una legge morale governa il mondo: è la legge del progresso. Il fine per cui l’uomo fu creato è lo sviluppo pieno, ordinato e libero di tutte le sue facoltà. Il mezzo per cui l’uomo può giungere a questo intento è l’associazione con i suoi simili […]. Essa riconosce e inculca con ogni mezzo la fratellanza dei popoli […], è necessario ch’essi camminino sulla base dell’eguaglianza” (28).
Il concetto di progresso è funzionale alla sua scelta repubblicana. Del resto il programma politico della Giovine Italia era incentrato sull’unità dello Stato nazionale e sulla repubblica preceduta da una Costituente alla quale veniva affidata la soluzione dei problemi di organizzazione politica. Mazzini intuiva – e questa intuizione è certo uno degli elementi principali della sua importanza storica “perché come Cristo e Socrate egli viene a interrogare non a sforzare lo spirito della storia” (29) – che l’unità maturasse rapidamente in Italia. Egli riteneva che il passaggio dal dispotismo alla monarchia costituzionale, e dalla monarchia costituzionale alla repubblica, fosse una necessità storica “Ma prima delle repubbliche sono inevitabili come il destino le monarchie rappresentative” (30).
Mazzini conosce il cammino del secolo “ … si presentò non come chi getta la bomba vicino al cocchio del re, ma come chi ha da sapere il cammino del secolo e il suo fatale andare nel secolo” (31), “fondatore di civiltà” perché conosce le determinazioni storiche. Non è questa la sede per affrontare la discussione innescata dallo storico francese Pierre Milza che ha pubblicato in Francia una storia del nostro paese dalla preistoria ai nostri giorni, ipotizzando che una certa tradizione del terrorismo italiano possa farsi risalire a Mazzini (32). Il dibattito scaturito testimonia comunque che la complessità della sua figura rappresenta la garanzia migliore della sua attualità.
Scrive Bovio: “Chi vuol trovare Mazzini […] lo cerchi […] nell’Etica […]. Qual’è l’etica di Mazzini? Non quella del cittadino, né dell’individuo, ma dell’uomo. […] L’uomo è sacro; nessun uomo è irresponsabile. […] Dunque questa di Mazzini […] è […] l’Etica […] umana” (33). L’itinerario esemplare di Mazzini si nutre della teorica della finalità elaborata dal Machiavelli il cui intento è quello di costruire un metodo razionale dell’azione politica sottraendola all’improvvisazione e al caso (34), “… la teorica della Finalità […] afferma, posto il buon fine, il mezzo pigliare forma e qualità da quello” (35). Per Bovio le due famose lettere scritte da Mazzini a Carlo Alberto (1831) e a Pio IX (1847) esemplificano la teorica della finalità (“… scrive al Re, scrive al Papa, gl’invita a farsi italiani e lo scrittore serba intero l’animo repubblicano” (36) ).
Nel discorso pronunciato a Napoli nel marzo 1892, riportato in appendice al suo saggio, Bovio afferma: “C’è una parte in Mazzini assai bisognosa di svolgimento – la questione sociale; ed una parte oltrepassata – la questione religiosa” (37). Il “rifiuto del teologismo mazziniano” da parte di Bovio crea non poche polemiche tra gli stessi mazziniani, soprattutto tra i più anziani, come riferisce l’Angelini nel suo saggio Giovanni Bovio e l’alternativa repubblicana. Vi è una lettera di Giovanni Pantaleo a Maurizio Quadrio, pubblicata su “L’Italia del popolo” il 16 marzo 1874, in cui si legge che malgrado i principi razionalisti e materialisti professati da Bovio “voi troverete nelle parole del forte tranese il rispetto e l’amore come religione verso i precursori di libertà e verso i forti i grandi tutti, e specialmente verso il vivissimo estinto” (38). Nel 1871 nello scritto Questione sociale Mazzini esordisce icasticamente “Torniamo e torneremo sovente sulla questione sociale perché essa è la più santa e a un tempo la più pericolosa nel periodo in cui viviamo e non vediamo finora che a più ne intendano i pericoli o la santità” (39). A questo proposito Giovanni Bovio sottolinea che per il patriota genovese il riscatto delle plebi non è demandato a una dimensione ultraterrena ma deve realizzarsi nel presente, evidenziando la modernità del suo pensiero (“ … appajono alcune linee che accennano non in astratto alla redenzione delle plebi, […] ma tracciano i mezzi, specialmente nelle forze operaje consociate e nella proposta di un fondo nazionale sacro al riscatto della terra…” (40) ).
L’insistente appello di Bovio è lo stesso di Mazzini: cioè affrontare la questione sociale come complemento della questione politica. Si deve tener presente che il filosofo tranese aveva sotto gli occhi la dura realtà del Mezzogiorno che di per sé costituiva un atto di accusa nei confronti dell’azione di governo della Destra ma anche della Sinistra inadempiente nella realizzazione delle necessarie riforme.
Per Bovio, come scrive De Lieto Vallaro in un articolo sulle opere giuridiche, “occorre trasformare e cioè compiere rivoluzione profonda non sulla superficie, ma nel contenuto ultimo delle istituzioni civili” (41). In questa ottica egli affronta la soluzione della questione meridionale. Tale soluzione dipendeva dall’avvio del processo di democratizzazione del paese con una serie di riforme socio-economiche che prevedevano, per esempio, la democratizzazione dei servizi e la realizzazione del decentramento. Il programma riformatore esigeva un sostanziale rinnovamento delle coscienze dei singoli chiamati a diventare gli artefici del loro riscatto economico, sociale e morale senza attendere l’intervento dello stato (42): la democrazia è an educational problem.
Bovio aveva sotto gli occhi il Meridione, Mazzini la realtà operaia inglese. Negli anni del primo soggiorno a Londra il motivo sociale è fondamentale nel pensiero dell’esule; al problema sociale non dà però la soluzione socialista. Interessante a questo proposito l’intervento di Enrico Ferri comparso ne “La Ragione” nel giugno del 1901: “… Finché, adunque, i mazziniani ci invitano a riconoscere i grandi meriti storici del loro maestro e la nobilissima missione da lui compiuta nella civiltà del secolo XIX: essi hanno pienamente ragione e noi socialisti non possiamo che fare omaggio sincero a questa verità.
Ma quando essi pretendono con […] pagine spigolate qua e là nei molti scritti di Mazzini farlo passare anche per un maestro del pensiero socialista e della coscienza proletaria del secolo XX, allora francamente, noi non possiamo seguirli” (43).
Le condizioni sociali degli operai, di cui aveva conoscenza diretta, suscitano il suo sdegno. Ed è a questo periodo che risalgono i Pensieri sulla democrazia, nuovamente analizzati in un saggio recente di Salvo Mastellone che afferma:”Se l’attenzione dello storico si sposta al decennio di permanenza in Inghilterra, dal 1837 al 1847, il progetto politico di Mazzini appare sotto un diverso aspetto. A Londra discute vivacemente con liberali e democratici, con cartisti e con radicali; legge attentamente la stampa governativa e quella dell’opposizione; vede l’associazionismo affermarsi nelle “Unions” e muoversi nelle riunioni pubbliche. L’ispirazione culturale non è più soltanto francese perché tutta la vita civile inglese s’impone alla sua riflessione; il pensiero politico si arricchisce di nuovi suggerimenti che affondano le radici nella storia sociale e costituzionale britannica. Questo processo di maturazione ideologica si concretizza nei Pensieri sulla democrazia che segnano un momento intellettuale culminante del pensiero politico di Mazzini (44). Il progetto mazziniano si configura quale modello di democrazia rappresentativa progressista, esprimendo tutta la sua forza innovativa nella prima metà del XIX secolo. Secondo il patriota genovese l’affermazione della democrazia costituiva “an educational problem” perché la sua finalità, “quale forma di governo”, consiste nello “sviluppo morale della società civile” (44). Grande importanza occupa, nel processo di costruzione democratica, l’arte. Come per Tolstoj, anche per Mazzini qualsiasi forma di arte costituisce un potente fattore di coesione fra gli uomini (45). Per Mazzini inoltre “L’Arte ha da compiere una determinata missione nel mondo; essa deve spiegare e in un certo modo continuare la creazione di Dio sulla terra” (46). Anche alla musica, cui spetta, nella gerarchia delle arti, un ruolo privilegiato, viene assegnato, nel saggio Filosofia della musica (1835), “il ministero di resurrezione”, in quanto essa ha “un solo linguaggio per tutta l’umanità” (47).
In una lettera al padre, inviata da Londra il 21 maggio 1838, scrive: “L’educazione sociale è stata finora mal diretta: bisogna cangiarla. Gli uomini attuali sono precisamente il prodotto di secoli di monarchia assoluta, di ineguaglianza, di privilegi” (48).
Dall’agosto 1846 al giugno 1847, esule a Londra, Mazzini pubblica sul “People’s Journal” otto articoli riguardanti la democrazia.
Va tenuto presente che Mazzini, come Bovio, aveva chiaro il ruolo svolto dal “quarto potere” nella formazione dell’opinione pubblica e credeva pertanto fermamente nella necessità di garantire la libertà di stampa (49). Questa consapevolezza emerge sulla “Jeune Suisse” fin dal 1836, affermando che “la stampa periodica è una potenza, anzi è la sola potenza dei tempi moderni”, “interprete tra il popolo e il potere […] tra l’intelletto sociale e la sua attuazione” (50). I giornali mazziniani, cioè fondati, diretti o ispirati da Mazzini sono ventitrè senza contare poi la sua attività di corrispondente – del parigino “Le Monde”, del ginevrino “Helvetie” per esempio – e di pubblicistica sui periodici britannici. A questo peculiare veicolo di comunicazione e, soprattutto alle famose lettere aperte, l’esule genovese affidava la sua attività politica e rivoluzionaria (51).
Non è un caso che anche Bovio annoveri, oltre alla militanza politica, anche quella giornalistica, ritenendola uno strumento ineludibile di crescita civile, funzionale a una capillare azione educativa nei confronti di tutto il popolo. La lotta al sistema e l’opera divulgativa demandata alla stampa nella formazione delle coscienze costituisce dunque l’elemento unificante della militanza giornalistica di entrambi i pensatori.
Con gli articoli pubblicati in Inghilterra tra il ‘46 e il ’47 sul “People’s Journal”, resi noti nel nostro paese alcuni anni più tardi, Mazzini fornisce uno dei contributi più lucidi e moderni nel dibattito sulla democrazia in Europa.
I Pensieri sulla democrazia in Europa si rivelano un testo di viva attualità e di lungimirante capacità di analisi politica. Il primo articolo introduttivo, apparso il 28 agosto 1846 e riguardante la Democracy, assume un significato esplicativo. In proposito Mastellone evidenzia che l’autore esordisce sottolineando che essa è inscindibilmente legata al “moto di ascesa delle classi popolari desiderose di prendere parte alla vita politica” del proprio paese; questa “tendenza democratica” non mira a sostituire una classe sociale con un’altra classe sociale, ma a sottrarre il potere politico a “una cerchia di privilegiati”, e a porre la gestione governativa “sotto la guida dei migliori e dei più saggi […] perché, come insegna la dottrina cristiana, “siamo tutti fratelli”. “Cristo è venuto per tutti. […] Gli uomini non possono quali figli di Dio essere uguali davanti a Dio ed essere diseguali tra di loro” (52).
Per Mazzini non vi è nessuna “analogia storica tra la Democrazia rappresentativa dei tempi futuri” (53) e le esperienze democratiche del passato. Infatti l’esule genovese ritiene che “l’unione del principio democratico con il governo rappresentativo è un fatto prettamente moderno” (54). Nell’analisi che Mastellone fa del pensiero mazziniano la democrazia assume “una funzione comunicativa: […] se volete raggiungere questo obiettivo, lasciate che l’uomo comunichi nel modo più strettamente possibile con il maggior numero di suoi compagni” (55). Ed in questo consiste il significato civile dell’esperienza associazionistica. La funzione dell’associazione è proprio quella di realizzare l’uguaglianza eliminando gli ostacoli che si frappongono ad essa perché, osserva Mazzini, “ogni ineguaglianza porta con sé una quantità proporzionale di tirannia” (56).
Nel quinto articolo sui Pensieri pubblicato il 6 febbraio 1847 Mazzini denuncia gli errori “di tutti i socialisti” e “di tutti i creatori di utopie”, compreso Fourier, perché attribuiscono a se stessi e ai propri compagni “la direzione della società” costituendo una gerarchia di “uomini devoti” senza considerare le forze propulsive della base (57).
Il 17 aprile 1847 compare un intervento riguardante il comunismo (58) nel quale viene denunciata la violazione di quella che per Mazzini si configura come un ineludibile strumento di crescita della società, vale a dire la libertà che si realizza attraverso le libere associazioni, facendo emergere il carattere etico-rappresentativo della sua idea di democrazia.
Il rimprovero rivoltogli da Marx ed Engels di aver escluso i contadini dal progetto di edificazione della repubblica democratica individuava indubbiamente un limite del mazzinianesimo e della democrazia risorgimentale italiana. Mazzini infatti conosceva bene la realtà operaia ed era consapevole delle carenze della sua azione. Rivolgendosi agli operai nel 1871 afferma “E voi m’amate perché sapete che s’io non ho potuto fare ho desiderato molto per voi …” (59)
Bovio, esponente della cultura meridionale di opposizione, sin dall’inizio del suo impegno politico aveva cercato di creare un’alleanza delle correnti della Sinistra in funzione della realizzazione di uno Stato democratico edificato sul suffragio universale e sulla rappresentanza di tutte le forze sociali. Egli infatti avvertiva la carica dirompente della questione sociale. Nel numero unico “X marzo” Bovio scrive “L’idea repubblicana risorge più luminosa perché integrata dalle dottrine sociali. Non riconduce con sé le vecchie aristocrazie del sangue e del censo, non le caste gelose o le classi dirigenti: nulla di produttivo che non sia il lavoro, nulla di “sovrano” che non sia un popolo “deliberante e valente”…” (60). Costituiscono testimonianza di questo suo impegno le pagine del giornale “La Spira”. L’obiettivo che il filosofo tranese tenacemente persegue di “riportare compattezza nel fronte progressista, riunendo repubblicani e socialisti sotto il denominatore delle comuni finalità democratiche” (61) non costituisce un ripudio delle teorie mazziniane ma anzi il tentativo, dinanzi alle incombenti ideologie materialistiche, di mantenerle vive.
Bovio, nel 1901, denuncia “la congiura del silenzio, […] segno evidente che la sua persona è ancora più grande della sua Patria” (62).
In realtà dopo il 1870, nel generale mutamento della vita europea, il nome di Mazzini appare vittima della “congiura del silenzio”, irriso da Marx (a sua volta definito da Mazzini “di tempra dominatrice, geloso dell’altrui influenza”) e dai suoi seguaci, ma anche dai liberali che lo relegavano “nel limbo, nobile ma infecondo, dell’ideologia e dell’astrazione” (63). Fu però “più grande della sua patria” perché, proprio mentre in Italia calava l’oblio nel periodo antecedente e successivo alla prima guerra mondiale, Mazzini riscuoteva fortuna sul piano internazionale in Cina e, soprattutto in India, dove la sua influenza è attestata dal fatto che i suoi ritratti aprivano le manifestazioni antibritanniche in ampio anticipo rispetto a Gandhi (64). Non è un caso che nel febbraio del 2005 le celebrazioni abbiano preso avvio proprio in India con un convegno organizzato a Nuova Delhi del titolo Da Mazzini a Gandhi: Risorgimenti a confronto.
Vorrei concludere con una riflessione di Remo Bodei: “Uno dei principali punti di dissenso tra i comunisti del tempo e Mazzini consiste nel fatto che per i primi i proletari non hanno patria, per Mazzini la Patria, quella dei popoli liberi ed uguali e non quella dei re, è l’anello di congiunzione tra la famiglia e l’Umanità per cui non vi è contraddizione tra Patria e Umanità e tra Italia ed Europa, in quanto anche l’Europa è “la leva della libertà” cui sono demandate le sorti del mondo. Il Mazzini lettore di Tocqueville e ammiratore di Lincoln non è disposto ad abbandonare tale missione alla democrazia americana” (65).
Avv. Susanna Pastore
Note
Desidero ringraziare il dott. Luciano Carcereri della Biblioteca Nazionale di Bari e la dott. Lucia Fiore della Biblioteca Comunale di Trani.
Queste pagine costituiscono la rielaborazione della relazione tenuta in occasione degli incontri organizzati a Molfetta (8 ottobre 2005) e a Terlizzi (21 novembre 2005) a cura del Comune di Molfetta, dell’Istituto Nazionale per la Storia del Risorgimento Italiano – Comitato provinciale di Bari, dell’Università Molfettese e del Comune di Terlizzi nell’ambito delle manifestazioni per il bicentenario della nascita di Giuseppe Mazzini.