IL SIMBOLO DEL CROCIFISSO E LA “LAICITA’ RELATIVA” O PONDERATA
di Raffaele Coppola


Perché l’ordinamento inglese può definirsi “laico”, nonostante appaia indissolubilmente legato alla Chiesa anglicana? Perché lo stesso può dirsi dell’ordinamento francese, nonostante la nuova legge riguardante i simboli religiosi (che mortifica la libera espressione individuale della fede dei cittadini)? Perché è tale l’ordinamento federale degli Stati Uniti d’America, nonostante il “pietismo” diffuso nella società civile, ispirato alla tradizione religiosa dei Padri pellegrini?


Perché, principalmente, è “laico” l’ordinamento italiano, nonostante la disciplina dell’insegnamento della religione nella scuola pubblica, l’istituzionalizzazione del servizio di assistenza religiosa (cattolica) nelle Forze Armate e nelle strutture c.d. segreganti, l’efficacia civile delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale?


A questi ed altri interrogativi ha risposto brillantemente il Consiglio di Stato con una recente decisione (13 febbraio 2006 n. 556), riguardante l’affermata compatibilità dell’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche con il principio costituzionale di laicità dello Stato. La decisione è importante giacché conferma un precedente indirizzo, formulato in sede consultiva (Cons. Stato, parere del 27 aprile 1988 n. 63), ponendo un punto fermo, difficilmente eludibile, dopo l’ordinanza della Corte Costituzionale n. 389 del 13 dicembre 2004.


Essa aveva dichiarato inammissibile la questione di legittimità, sollevata dal TAR Veneto (ord. 56/2003), per aver questo impropriamente trasferito su disposizioni di legge, che non dispongono sull’affissione del Crocifisso, una questione concernente, in realtà, norme regolamentari; norme, cioè, prive di forza di legge, sulle quali non può essere invocato un sindacato di costituzionalità o un intervento interpretativo. In parole povere, come ha scritto qualcuno, la Consulta aveva deciso di non decidere, anche se in modo giuridicamente ineccepibile, per evitare di pronunciarsi direttamente sul tema di fondo, per evitare, in termini diversi, di essere “crocifissa” (CECCANTI) da una parte o dall’altra.


Così il TAR per il Veneto è costretto a cambiare registro (in realtà si sente investito di responsabilità dall’eloquente silenzio della Corte Costituzionale) e statuisce, con motivazioni ampie ma non sempre lineari, che a scuola la laicità dello Stato la difende proprio il Crocifisso, che “contiene in nuce quelle idee di tolleranza, eguaglianza e libertà che sono alla base dello Stato laico moderno” (sent. n. 1110/2005).


Nello stesso senso si pronuncia il Consiglio di Stato, con argomentazioni più calibrate e convincenti, che comunque rinviano alle “radici cristiane” della laicità nella nostra società e nella Costituzione italiana. Più a monte, il Consiglio di Stato utilizza un concetto nuovo, elaborato per primo (direi unicamente) da chi scrive in alcuni dei suoi vari interventi, pubblicati nel corso del lungo dibattito sull’esposizione del Crocifisso nei locali pubblici, quindi non solo nelle aule scolastiche, ma altresì, più in generale, in quelle di giustizia, negli uffici dello Stato, nei luoghi di lavoro.


Ringrazio la Rivista della possibilità accordata, al teorizzatore del concetto di “laicità relativa” (che di ciò si tratta), di esporlo brevemente in queste pagine, dopo la notizia del rigetto del ricorso per conflitto tra poteri, relativo al Crocifisso, proposto alla Corte Costituzionale dal giudice Tosti. Più che da una escogitazione dottrinale, il concetto in parola discende dall’analisi delle norme, appunto di quelle norme, fondamentali o meno, che inducono ad interpretare il principio di laicità nel complessivo quadro costituzionale e ordinamentale.


La laicità richiede certamente, ovunque, la distinzione fra la dimensione spirituale e quella temporale, nonché fra gli ordini e le società a cui tali dimensioni sono proprie (il dualismo cristiano di vincoli e di funzioni, che si oppone al noto monismo della concezione islamica), ma, per il resto, è relativa alla specifica organizzazione istituzionale di ciascuno Stato, quindi è essenzialmente storica, legata com’è al divenire di detta organizzazione o corporazione istituzionale.


Se pure esistesse un’idea astratta di laicità (sulla falsariga ad esempio di quella francese, sovente presa a modello), non cesserebbe di essere vero che relativa ne sarebbe comunque l’applicazione, nel senso che il principio di laicità, depurato dalle incrostazioni agnostiche o indifferentistiche, viene ad essere determinato, nelle sue concrete condizioni di utilizzo, con riferimento alla tradizione culturale ed ai costumi di vita di ciascun popolo, così come si sono riversati nei rispettivi ordinamenti giuridici. Ciò è accaduto in ogni Paese interessato, perfino in Francia, dove dalla laicità negativa di impronta rivoluzionaria si è passati, via via, ad una fase più morbida, ad una sorta di laicizzazione del “Dio laico” (MOLTENI), di cui autorevoli osservatori discutono, ravvisando somiglianze o dissomiglianze con la vicenda italiana, dall’Unità ai nostri giorni.


Orbene, non c’è chi non veda come con questo concetto di laicità, che potrebbe denominarsi anche ponderata, non contrasti l’esposizione del Crocifisso nei locali pubblici, il quale viene ad esprimere in chiave simbolica, oltre all’origine cristiana di alcuni valori fondanti espressi dalla nostra Carta costituzionale, il ricordo di un messaggio liberatore ed autenticamente innovativo, che continua a violentare la logica della società umana. Un messaggio che si è abbattuto con così sconvolgente impeto sulla storia del mondo, almeno dell’area convenzionalmente denominata occidentale, da dividerla in due ere: prima della nascita di Cristo – dopo la nascita di Cristo.


Si tratta pertanto di un simbolo atto ad esprimere correttamente, senza chiamare a nuove crociate, valori non solo religiosi ma anche civilmente rilevanti; del più importante simbolo della civiltà e dell’identità dell’Occidente, si identifichino esse o no con il pur esteso orizzonte cristiano. E’ l’unico simbolo a cui è veramente impossibile rinunciare anche perché non offende – se si vuole essere realistici – la libertà e la sensibilità di chi non crede né delle altre confessioni o associazioni religiose, quanto meno nella vigenza di regimi con autentica vocazione democratica.


Conforta il pensiero che il Crocifisso rimane dove è proprio in Italia, nella quale si trova (e risplende) il centro d’irraggiamento del cattolicesimo, che ha raccolto e coltivato l’eredità e la lingua di Roma; che la giurisprudenza abbia seguito (rara evenienza) un orientamento dottrinale; principalmente che questo orientamento, destinato ad essere sempre più studiato ed approfondito, è in sintonia con l’opinione ed il sentire della grande maggioranza degli italiani.


Infatti, secondo un sondaggio dell’Eurispes, realizzato all’inizio del corrente anno, l’80,3% dei cittadini italiani (ma è una stima per difetto) è favorevole all’esposizione del Crocifisso tanto nelle scuole quanto nelle altre istituzioni statali. E’ un dato che occorre tener presente quando si propongono, come non di rado accade, riforme più consone ai propri postulati ideologici che ai reali sentimenti e alla volontà del popolo sovrano, di qualunque popolo ed in ogni parte del globo.



Prof. Avv. Raffaele Coppola
Ordinario di diritto ecclesiastico nell’Università di Bari


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