DECRETO LEGISLATIVO 11 aprile 2006, n.198
Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246.
(pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del 31-05-2006- Suppl. Ordinario n.133
in vigore dal 15/06/2006
)


IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


  Visto l’articolo 87 della Costituzione;
  Visto  l’articolo 6  della  legge 28 novembre 2005, n. 246, recante delega  al  Governo per l’emanazione di un decreto legislativo per il riassetto  delle disposizioni vigenti in materia di pari opportunita’ tra  uomo  e  donna, nel quale devono essere riunite e coordinate tra loro  le  disposizioni vigenti per la prevenzione e rimozione di ogni forma di discriminazione fondata sul sesso, apportando, nei limiti di detto   coordinamento,  le  modifiche  necessarie  per  garantire  la coerenza  logica  e  sistematica  della  normativa,  anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo;
  Vista  la  preliminare  deliberazione  del  Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione dei 24 gennaio 2006;
  Udito  il  parere  del  Consiglio  di Stato, espresso dalla sezione consultiva  per  gli  atti  normativi  nella riunione del 27 febbraio 2006;
  Acquisito   il   parere   della   Conferenza   unificata   di   cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
  Considerato che le competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica non hanno espresso nei termini di legge il prescritto parere;
  Vista  la  deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 6 aprile 2006;
  Sulla  proposta  del Ministro per le pari opportunita’, di concerto con i Ministri per la funzione pubblica, del lavoro e delle politiche sociali, della salute e delle attivita’ produttive;


 E m a n a


il seguente decreto legislativo:


Titolo I
DISPOSIZIONI GENERALI


 Libro I
DISPOSIZIONI PER LA PROMOZIONE DELLE PARI OPPORTUNITA’ TRA UOMO E DONNA


Art. 1.
Divieto di discriminazione tra uomo e donna

(legge 14 marzo 1985, n. 132, articolo 1)



  1. Le disposizioni del presente decreto hanno ad oggetto le misure volte  ad eliminare ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l’esercizio dei diritti umani e delle liberta’ fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo.

Titolo II
ORGANIZZAZIONE PER LA PROMOZIONE DELLE PARI OPPORTUNITA’


Capo I
Politiche di pari opportunita’


Art. 2.
Promozione e coordinamento delle politiche di pari opportunita’

(decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, articolo 5)



  1. Spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri promuovere e coordinare le azioni di Governo volte ad assicurare pari opportunita’,a prevenire e rimuovere le discriminazioni, nonche’ a consentire; l’indirizzo, il coordinamento e il monitoraggio della utilizzazione dei relativi fondi europei.

Capo II
Commissione per le pari opportunita’ fra uomo e donna


Art. 3.
Commissione per le pari opportunita’ fra uomo e donna

(decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 1)



  1. La Commissione per le pari opportunita’ fra uomo e donna, istituita presso il Dipartimento per le pari opportunita’, fornisce al Ministro per le pari opportunita’, che la presiede,consulenza e supporto tecnico-scientifico nell’elaborazionenell’attuazione delle politiche di pari opportunita’ fra uomo e donna, sui provvedimenti di competenza dello Stato, ad esclusione di quelli riferiti alla materia della parita’ fra i sessi nell’accesso al lavoro e sul lavoro; in particolare la Commissione:


    • a) formula proposte al Ministro per l’elaborazione delle modifiche della normativa statale necessarie a rimuovere qualsiasi forma di discriminazione, sia diretta che indiretta, nei confronti delle donne ed a conformare l’ordinamento giuridico al principio di pari opportunita’ fra uomo e donna, fornendo elementi informativi, documentali, tecnici e statistici, utili ai fini della predisposizione degli atti normativi;

    • b) cura la raccolta,l’analisi e l’elaborazione di dati allo scopo di verificare lo stato di attuazione delle politiche di pari opportunita’ nei vari settori della vita politica, economica e sociale e di segnalare le iniziative opportune;

    • c) redige un rapporto annuale per il Ministro sullo stato di attuazione delle politiche di pari opportunita’;

    • d) fornisce consulenza tecnica e scientifica in relazione a specifiche problematiche su richiesta del Ministro o del Dipartimento per le pari opportunita’;

    • e) svolge attivita’ di studio e di ricerca in materia di pari opportunita’ fra uomo e donna.

Art. 4.
Durata e composizione della Commissione

(decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 2)



  1. La Commissione e’ nominata con decreto del Ministro e dura in carica due anni. Essa e’ composta da venticinque componenti di cui:


    • a) undici prescelti nell’ambito delle associazioni e dei movimenti delle donne maggiormente rappresentativi sul piano nazionale;

    • b) quattro prescelti nell’ambito delle organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale;

    • c) quattro prescelti nell’ambito delle organizzazioni imprenditoriali e della cooperazione femminile maggiormente rappresentative sul piano nazionale;

    • d) tre prescelti fra le donne che si siano particolarmente distinte, per riconoscimenti e titoli, in attivita’ scientifiche, letterarie e sociali;

    • e) tre rappresentanti regionali designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

  2. Almeno due volte l’anno,la Commissione si riunisce a composizione allargata, con la partecipazione di un rappresentante di pari opportunita’ per ogni regione e provincia autonoma, anche al fine di acquisire osservazioni, richieste e segnalazioni in merito a questioni che rientrano nell’ambito delle competenze del sistema delle regioni e delle autonomie locali.

Art. 5.
Ufficio di Presidenza della Commissione

(decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 3)



  1. Con il decreto di cui all’articolo 4, comma 1, fra i componenti della Commissione vengono designati il Vicepresidente ed il Segretario che, insieme al Ministro, che lo presiede, costituiscono l’ufficio di presidenza.

  2. Al Vicepresidente spetta la rappresentanza della Commissione, il coordinamento dei lavori e la costante informazione del Ministro circa le iniziative in corso di svolgimento.

Art. 6.
Esperti e consulenti

(decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 4)



  1. La Commissione si avvale, su proposta del Ministro, di esperti, in numero massimo di cinque, su problematiche attinenti la parita’ fra i sessi, e di propri consulenti secondo quanto previsto dall’articolo 29 della legge 23 agosto 1988, n. 400,e dall’articolo 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303.

  2. I consulenti di cui al comma 1 sono scelti fra persone, anche estranee alla pubblica amministrazione, dotate di elevata professionalita’ nelle materie giuridiche, nonche’ nei settori della lotta alle discriminazioni, delle politiche sociali e dell’analisi delle politiche pubbliche.

  3. Nel decreto di conferimento dell’incarico e’ determinato il compenso degli esperti e dei consulenti.

Art. 7.
Segreteria della Commissione

(decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 5)



  1. Per l’espletamento delle proprie attivita’ la Commissione dispone di una propria segreteria nell’ambito del Dipartimento per le pari opportunita’.

Capo III
Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parita’ di trattamento ed uguaglianza

di opportunita’ tra lavoratori elavoratrici.


Art. 8.
Costituzione e componenti

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 5, commi 1, 2, 3, 4, e 7)



  1. Il Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parita’ di trattamento ed uguaglianza di opportunita’ tra lavoratori e lavoratrici, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, promuove, nell’ambito della competenza statale, la rimozione dei comportamenti discriminatori per sesso e di ogni altro ostacolo che limiti di fatto l’uguaglianza fra uomo e donna nell’accesso al lavoro e sul lavoro e la progressione professionale e di carriera.

  2. Il Comitato e’ composto da:


    • a) il Ministro del lavoro e delle politiche sociali o, per sua delega, un Sottosegretario di Stato, con funzioni di presidente;

    • b) cinque componenti designati dalle confederazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale;

    • c) cinque componenti designati dalle confederazioni sindacali dei datori di lavoro dei diversi settori economici, maggiormente rappresentative sul piano nazionale;

    • d) un componente designato unitariamente dalle associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo piu’ rappresentative sul piano nazionale;

    • e) undici componenti designati dalle associazioni e dai movimenti femminili piu’ rappresentativi sul piano nazionale operanti nel campo della parita’ e delle pari opportunita’ nel lavoro;

    • f) la consigliera o il consigliere nazionale di parita’ di cui all’articolo 12, comma 2, del presente decreto.

  3. Partecipano, inoltre, alle riunioni del Comitato, senza diritto di voto:


    • a) sei esperti in materie giuridiche, economiche e sociologiche, con competenze in materia di lavoro;

    • b) cinque rappresentanti, rispettivamente, dei Ministeri dell’istruzione, dell’universita’ e della ricerca, della giustizia, degli affari esteri, delle attivita’ produttive, del Dipartimento per la funzione pubblica;

    • c) cinque dirigenti dei Ministero del lavoro e delle politiche sociali in rappresentanza delle Direzioni generali del mercato del lavoro, della tutela delle condizioni di lavoro, per le politiche previdenziali, per le politiche per l’orientamento e la formazione e per l’innovazione tecnologica.

  4. I componenti del Comitato durano in carica tre anni e sono nominati dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Per ogni componente effettivo e’ nominato un supplente.

  5. Il vicepresidente del Comitato è designato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali nell’ambito dei suoi componenti.

Art. 9.
Convocazione e funzionamento

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 5, commi 5 e 6)



  1. Il Comitato e’ convocato, oltre che su iniziativa del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, quando ne facciano richiesta meta’ piu’ uno dei suoi componenti.

  2. Il Comitato delibera in ordine al proprio funzionamento e a quello del collegio istruttorio e della segreteria tecnica di cui all’articolo 11, nonche’ in ordine alle relative spese.

Art. 10.
Compiti del Comitato

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 6)



  1. Il Comitato adotta ogni iniziativa utile, nell’ambito delle competenze statali, per il perseguimento delle finalita’ di cui all’articolo 8, comma 1, ed in particolare:


    • a) formula proposte sulle questioni generali relative all’attuazione degli obiettivi della parita’ e delle pari opportunita’, nonche’ per lo sviluppo e il perfezionamento della legislazione vigente che direttamente incide sulle condizioni di lavoro delle donne;

    • b) informa e sensibilizza l’opinione pubblica sulla necessita’ di promuovere le pari opportunita’ per le donne nella formazione e nella
      vita lavorativa;

    • c) formula,entro il 31 maggio di ogni anno,un programma-obiettivo nel quale vengono indicate le tipologie di progetti di azioni positive che intende promuovere, i soggetti ammessi per le singole tipologie ed i criteri di valutazione. Il programma e’ diffuso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;

    • d) esprime, a maggioranza, parere sul finanziamento dei progetti di azioni positive e opera il controllo sui progetti in itinere verificandone la corretta attuazione e l’esito finale;

    • e) elabora codici di comportamento diretti a specificare le regole di condotta conformi alla parita’ e ad individuare le manifestazioni anche indirette delle discriminazioni;

    • f) verifica lo stato di applicazione della legislazione vigente in materia di parita’;

    • g) propone soluzioni alle controversie collettive, anche indirizzando gli interessati all’adozione di progetti di azioni positive per la rimozione delle discriminazioni pregresse o di situazioni di squilibrio nella posizione di uomini e donne in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e della promozione professionale,delle condizioni di lavoro e retributive, stabilendo eventualmente, su proposta del collegio istruttorio, l’entita’ del cofinanziamento di una quota dei costi connessi alla loro attuazione;

    • h) puo’ richiedere alla Direzione provinciale del lavoro di acquisire presso i luoghi di lavoro informazioni sulla situazione occupazionale maschile e femminile, in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e della promozione professionale;

    • i) promuove una adeguata rappresentanza di donne negli organismi pubblici nazionali e locali competenti in materia di lavoro e formazione professionale.

Art. 11.
Collegio istruttorio e segreteria tecnica

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 7)



  1. Per l’istruzione degli atti relativi alla individuazione e alla rimozione delle discriminazioni e per la redazione dei pareri al Comitato di cui all’articolo 8 e alle consigliere e ai consiglieri di parita’, e’ istituito un collegio istruttorio cosi’ composto:


    • a) il vicepresidente del Comitato di cui all’articolo 8, che lo presiede;

    • b) un magistrato designato dal Ministero della giustizia fra quelli addetti alle sezioni lavoro, di legittimita’ o di merito;

    • c) un dirigente del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

    • d) gli esperti di cui all’articolo 8, comma 3, lettera a);

    • e) la consigliera o il consigliere di parita’di cui all’articolo 12.

  2. Ove si renda necessario per le esigenze di ufficio, i componenti di cui alle lettere b) e c) del comma 1, su richiesta del Comitato di cui all’articolo 8, possono essere elevati a due.

  3. Al fine di provvedere alla gestione amministrativa ed al supporto tecnico del Comitato e del collegio istruttorio e’ istituita la segreteria tecnica. Essa ha compiti esecutivi alle dipendenze della presidenza del Comitato ed e’ composta da personale proveniente dalle varie direzioni generali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, coordinato da un dirigente generale del medesimo Ministero. La composizione della segreteria tecnica e’ determinata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Comitato.

  4. Il Comitato e il collegio istruttorio deliberano in ordine alle proprie modalita’ di organizzazione e di funzionamento per lo svolgimento dei loro compiti possono costituire specifici gruppi di lavoro. Il Comitato puo’ deliberare la stipula di convenzioni, nonche’ avvalersi di collaborazioni esterne:


    • a) per l’effettuazione di studi e ricerche;

    • b) per attivita’ funzionali all’esercizio dei propri compiti in materia di progetti di azioni positive previsti dall’articolo 10, comma 1, lettera d).

Capo IV
Consigliere e consiglieri di parita’


Art. 12.
Nomina

(decreto  legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 1, comma 1;articolo 2, commi 1, 3, 4)




  1. A livello nazionale, regionale e provinciale sono nominati una consigliera o un consigliere di parita’. Per ogni consigliera o consigliere si provvede altresi’ alla nomina di un supplente.

  2. La consigliera o il consigliere nazionale di parita’, effettivo e supplente, sono nominati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunita’.

  3. Le consigliere ed i consiglieri di parita’ regionali e provinciali effettivi e supplenti, sono nominati, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunita’, su designazione delle regioni e delle province, sentite le commissioni rispettivamente regionali e provinciali tripartite di cui agli articoli 4 e 6 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, ognuno per i reciproci livelli di competenza, sulla base dei requisiti di cui all’articolo 13, comma 1, e con le procedure previste dal presente articolo.

  4. In caso di mancata designazione dei consiglieri di parita’ regionali e provinciali entro i sessanta giorni successivi alla scadenza del mandato, o di designazione effettuata in assenza dei requisiti richiesti dall’articolo 13, comma 1, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunita’, provvede direttamente alla nomina nei trenta giorni successivi, nel rispetto dei requisiti di cui all’articolo 13, comma 1. A parita’ di requisiti professionali si procede alla designazione e nomina di una consigliera di parita’.

  5. I decreti di nomina del presente articolo, cui va allegato il curriculum professionale della persona nominata, sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.

Art. 13.
Requisiti e attribuzioni

(decreto  legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articoli 1, comma 2, 2,comma 2)



  1. Le  consigliere  e  i  consiglieri  di parita’ devono possedere requisiti  di  specifica  competenza  ed  esperienza  pluriennale  in materia  di  lavoro  femminile,  di  normative  sulla  parita’ e pari opportunita’  nonche’  di  mercato  del  lavoro, comprovati da idonea documentazione.

  2. Le  consigliere  ed  i  consiglieri  di  parita’,  effettivi  e supplenti,   svolgono   funzioni   di   promozione   e  di  controllo dell’attuazione  dei principi di uguaglianza di opportunita’ e di non discriminazione  tra  donne e uomini nel lavoro. Nell’esercizio delle funzioni  loro attribuite, le consigliere ed i consiglieri di parita’ sono  pubblici ufficiali ed hanno  l’obbligo  di  segnalazione all’autorita’  giudiziaria  dei reati di cui vengono a  conoscenza per ragione del loro ufficio.

Art. 14.
Mandato

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 2, comma 5)



  1. Il   mandato  delle  consigliere  e  dei  consiglieri  di  cui all’articolo 12  ha  la  durata di quattro anni ed e’ rinnovabile una sola  volta.  La  procedura di rinnovo si svolge secondo le modalita’ previste dall’articolo 12. Le consigliere ed i consiglieri di parita’ continuano a svolgere le loro funzioni fino alle nuove nomine.

Art. 15.
Compiti e funzioni

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 3)



  1. Le  consigliere  ed i consiglieri di parita’ intraprendono ogni utile  iniziativa,  nell’ambito delle competenze dello Stato, ai fini del  rispetto del principio di non discriminazione e della promozione di  pari  opportunita’  per  lavoratori  e  lavoratrici, svolgendo in particolare i seguenti compiti:


    • a) rilevazione  delle situazioni di squilibrio di genere, al fine di svolgere le  funzioni  promozionali  e  di  garanzia  contro  le discriminazioni previste dal libro III, titolo I;

    • b) promozione  di  progetti  di azioni positive, anche attraverso l’individuazione   delle  risorse  comunitarie,  nazionali  e  locali finalizzate allo scopo;

    • c) promozione della coerenza della programmazione delle politiche di   sviluppo   territoriale   rispetto  agli  indirizzi  comunitari,nazionali e regionali in materia di pari opportunita’;

    • d) sostegno  delle  politiche  attive del lavoro, comprese quelle formative, sotto il profilo della promozione e della realizzazione di pari opportunita’;

    • e) promozione dell’attuazione delle politiche di pari opportunita’ da parte dei soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro;

    • f) collaborazione  con le direzioni regionali e provinciali del lavoro al fine di individuare procedure efficaci di rilevazione delle violazioni  alla normativa in materia di parita’, pari opportunita’ e garanzia  contro  le discriminazioni, anche mediante la progettazione di appositi pacchetti formativi;

    • g) diffusione  della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attivita’  di  informazione e formazione culturale sui problemi delle
      pari opportunita’ e sulle varie forme di discriminazioni;

    • h) verifica  dei  risultati  della  realizzazione dei progetti di azioni positive previsti dagli articoli da 42 a 46;

    • i) collegamento  e  collaborazione  con gli assessorati al lavoro degli enti locali e con organismi di parita’ degli enti locali.

  2. Le consigliere ed i consiglieri di parita’ nazionale, regionali e  provinciali,  effettivi  e  supplenti, sono componenti a tutti gli effetti, rispettivamente,  della  commissione centrale per l’impiego ovvero  del  diverso organismo che ne venga a svolgere, in tutto o in parte,  le  funzioni  a  seguito  del decreto legislativo 23 dicembre 1997,  n. 469, e delle commissioni regionali e provinciali tripartite previste  dagli  articoli 4 e 6 del citato decreto legislativo n. 469 del  1997; essi partecipano altresi’ ai tavoli di partenariato locale ed ai comitati di sorveglianza di cui al regolamento (CE) n. 1260/99, del  Consiglio  del  21 giugno  1999. Le consigliere ed i consiglieri regionali  e provinciali sono inoltre componenti delle commissioni di parita’  del corrispondente livello territoriale, ovvero di organismi diversamente   denominati   che   svolgono   funzioni   analoghe.  La consigliera  o  il  consigliere  nazionale e’ componente del Comitato nazionale e del Collegio istruttorio di cui agli articoli 8 e 11.

  3. Le  strutture regionali di assistenza tecnica e di monitoraggio di  cui  all’articolo 4, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 23 dicembre   1997,   n.  469,  forniscono  alle  consigliere  ed  ai consiglieri   di   parita’   il  supporto  tecnico  necessario:  alla rilevazione  di  situazioni di squilibrio di genere; all’elaborazione dei dati contenuti nei rapporti sulla situazione del personale di cui all’articolo 46;  alla  promozione  e  alla realizzazione di piani di formazione  e  riqualificazione  professionale;  alla  promozione  di progetti di azioni positive.

  4. Su richiesta delle consigliere e dei consiglieri di parita’, le Direzioni   regionali   e  provinciali  del  lavoro  territorialmente competenti  acquisiscono  nei  luoghi  di  lavoro  informazioni sulla situazione  occupazionale  maschile  e  femminile,  in relazione allo stato  delle assunzioni, della formazione e promozione professionale, delle  retribuzioni, delle condizioni di lavoro, della cessazione del rapporto  di  lavoro,  ed  ogni altro elemento utile, anche in base a specifici criteri di rilevazione indicati nella richiesta.

  5. Entro  il  31 dicembre  di  ogni  anno  le  consigliere  ed  i consiglieri di parita’ regionali e provinciali presentano un rapporto sull’attivita’   svolta   agli   organi  che  hanno  provveduto  alla designazione.  La  consigliera  o  il  consigliere di parita’ che non abbia provveduto alla  presentazione  del  rapporto  o  vi  abbia provveduto  con  un  ritardo superiore a tre mesi decade dall’ufficio con  provvedimento  adottato,  su  segnalazione  dell’organo  che  ha provveduto  alla  designazione,  dal  Ministro  del  lavoro  e  delle politiche   sociali, di  concerto  con  il  Ministro  per  le  pari
    opportunita’.

Art. 16.
Sede e attrezzature

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 5)




  1. L’ufficio  delle  consigliere  e  dei  consiglieri  di  parita’ regionali  e provinciali e’ ubicato rispettivamente presso le regioni e  presso  le province. L’ufficio della consigliera o del consigliere nazionale  di  parita’  e’  ubicato  presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. L’ufficio e’ funzionalmente autonomo, dotato del personale, delle apparecchiature e delle strutture necessarie per lo svolgimento dei suoi compiti. Il personale, la strumentazione e le attrezzature necessari sono assegnati dagli enti presso cui l’ufficio e’ ubicato, nell’ambito delle risorse trasferite ai sensi del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469.


  2. Il  Ministro  del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con  il  Ministro per le pari opportunita’, nell’ambito delle proprie competenze, puo’ predisporre con gli enti territoriali nel cui ambito operano le consigliere ed i consiglieri di parita’ convenzioni quadro allo   scopo   di  definire  le  modalita’  di  organizzazione  e  di funzionamento  dell’ufficio  delle  consigliere  e dei consiglieri di parita’,  nonche’  gli  indirizzi  generali  per  l’espletamento  dei compiti  di  cui  all’articolo 15, comma 1, lettere b), c), d) ed e), come  stipulato con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Art. 17.
Permessi

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 6)



  1. Le  consigliere  ed  i  consiglieri  di  parita’,  nazionale  e regionali  hanno  diritto per l’esercizio delle loro funzioni, ove si tratti  di  lavoratori  dipendenti, ad assentarsi dal posto di lavoro per  un  massimo  di  cinquanta  ore  lavorative mensili medie. Nella medesima  ipotesi  le  consigliere  ed  i  consiglieri provinciali di parita’  hanno  diritto  ad  assentarsi  dal  posto  di lavoro per un massimo  di trenta ore lavorative mensili medie. I permessi di cui al presente comma sono retribuiti.

  2. Le  consigliere  ed  i  consiglieri  regionali e provinciali di parita’   hanno   altresi’  diritto,  ove  si  tratti  di  lavoratori dipendenti,  ad  ulteriori  permessi non retribuiti per i quali viene corrisposta un’indennita’. La misura massima dei permessi e l’importo dell’indennita’   sono  stabiliti  annualmente  dal  decreto  di  cui all’articolo 18,  comma 2.  Ai  fini  dell’esercizio  del  diritto di assentarsi  dal  luogo  di  lavoro  di  cui al comma 1 ed al presente comma,  le  consigliere  ed  i  consiglieri  di  parita’ devono darne comunicazione scritta al datore di lavoro almeno un giorno prima. 

  3. L’onere  di  rimborsare le assenze dal lavoro di cui al comma 1 delle   consigliere   e   dei  consiglieri  di  parita’  regionali  e provinciali,  lavoratori  dipendenti  da privati o da amministrazioni pubbliche,   e’   a  carico  rispettivamente  dell’ente  regionale  e provinciale. A tal fine si impiegano risorse provenienti dal Fondo di cui all’articolo 18. L’ente regionale o provinciale, su richiesta, e’ tenuto a rimborsare al datore di lavoro quanto corrisposto per le ore di effettiva assenza.

  4. Le  consigliere  ed  i  consiglieri  regionali e provinciali di parita’,  lavoratori  autonomi o liberi professionisti, hanno diritto per  l’esercizio  delle  loro funzioni ad un’indennita’ rapportata al numero  complessivo delle ore di effettiva attivita’, entro un limite massimo  determinato  annualmente dal decreto di cui all’articolo 18, comma 2.

  5. La  consigliera  o  il  consigliere  nazionale  di parita’, ove lavoratore  dipendente,  usufruisce  di un numero massimo di permessi non   retribuiti  determinato  annualmente  con  il  decreto  di  cui all’articolo 18,  comma 2,  nonche’  di  un’indennita’  fissata dallo stesso  decreto.  In  alternativa  puo’ richiedere il collocamento in aspettativa  non  retribuita per la durata del mandato, percependo in tal  caso  un’indennita’  complessiva,  a  carico  del  Fondo  di cui all’articolo 18,  determinata  tenendo conto dell’esigenza di ristoro della  retribuzione  perduta e di compenso dell’attivita’ svolta. Ove l’ufficio  di  consigliera  o  consigliere  nazionale  di parita’ sia ricoperto  da  un  lavoratore autonomo o da un libero professionista, spetta al  medesimo  un’indennita’  nella  misura  complessiva annua determinata dal decreto di cui all’articolo 18, comma 2.

Art. 18.
Fondo per l’attivita’ delle consigliere e dei consiglieri di parita’

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 9)



  1. Il  Fondo  nazionale  per  le attivita’ delle consigliere e dei consiglieri   di   parita’   e’   alimentato  dalle  risorse  di  cui all’articolo 47,  comma 1, lettera d), della legge 17 maggio 1999, n. 144,  e  successive modificazioni. Il Fondo e’ destinato a finanziare le  spese relative alle attivita’ della consigliera o del consigliere nazionale  di parita’ e delle consigliere o dei consiglieri regionali e  provinciali  di  parita’,  i  compensi degli esperti eventualmente nominati   ai  sensi  dell’articolo 19,  comma 3,  nonche’  le  spese relative  alle  azioni  in giudizio promosse o sostenute ai sensi del libro III, titolo I, capo III; finanzia altresi’ le spese relative al pagamento di  compensi  per indennita’, rimborsi e remunerazione dei permessi  spettanti  alle  consigliere  ed ai consiglieri di parita’, nonche’  quelle per il funzionamento e le attivita’ della rete di cui all’articolo 19 e per gli eventuali oneri derivanti dalle convenzioni di  cui  all’articolo 16,  comma 2,  diversi  da  quelli  relativi al personale.

  2. Con  decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di  concerto  con  il  Ministro  per le pari opportunita’, sentita la Conferenza  unificata  di  cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto  1997,  n.  281,  le  risorse del Fondo vengono annualmente ripartite  tra  le  diverse  destinazioni,  sulla  base  dei seguenti criteri:


    • a) una  quota  pari  al trenta per cento e’ riservata all’ufficio della  consigliera  o  del  consigliere  nazionale  di  parita’ ed e’ destinata  a  finanziare, oltre alle spese relative alle attivita’ ed ai  compensi  dello  stesso, le spese relative al funzionamento ed ai programmi di attivita’ della rete delle consigliere e dei consiglieri di parita’ di cui all’articolo 19;

    • b) la  restante  quota  del  settanta per cento e’ destinata alle regioni e viene suddivisa tra le stesse sulla base di una proposta di
      riparto  elaborata  dalla  commissione  interministeriale  di  cui al comma 4.

  3. La  ripartizione delle risorse e’ comunque effettuata in base a parametri oggettivi, che tengono conto del numero delle consigliere o dei  consiglieri  provinciali  e  di  indicatori  che  considerano  i differenziali demografici ed occupazionali, di genere e territoriali, nonche’  in  base  alla  capacita’ di spesa dimostrata negli esercizi finanziari precedenti.

  4. Presso  il Ministero del lavoro e delle politiche sociali opera la  commissione interministeriale per la gestione del Fondo di cui al comma 1.   La   commissione  e’  composta  dalla  consigliera  o  dal consigliere  nazionale di parita’ o da un delegato scelto all’interno della  rete  di  cui all’articolo 19, dal vicepresidente del Comitato nazionale di cui all’articolo 8, da un rappresentante della Direzione generale   del   mercato   del  lavoro,  da  tre  rappresentanti  del Dipartimento  per le pari opportunita’ della Presidenza del Consiglio dei  Ministri,  da  un  rappresentante  del Ministero dell’economia e delle  finanze,  da un rappresentante del Dipartimento della funzione pubblica  della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonche’ da tre rappresentanti  della  Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto  legislativo  28 agosto  1997,  n.  281.  Essa  provvede alla proposta  di  riparto tra le regioni della quota di risorse del Fondo ad  esse  assegnata,  nonche’  all’approvazione  dei  progetti  e dei programmi  della  rete  di  cui  all’articolo 19.  L’attivita’  della commissione  non  comporta  oneri  aggiuntivi  a carico della finanza pubblica.

  5. Per  la  gestione  del Fondo di cui al comma 1 si applicano, in quanto   compatibili,   le   norme  che  disciplinano  il  Fondo  per l’occupazione.

Art. 19.
Rete nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parita’

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 4, commi 1, 2, 3, 4 e 5)



  1. La  rete  nazionale  delle  consigliere  e  dei  consiglieri di parita’,  coordinata dalla consigliera o dal consigliere nazionale di parita’,  opera al fine di rafforzare le funzioni delle consigliere e dei  consiglieri  di  parita’,  di  accrescere l’efficacia della loro azione,  di consentire lo scambio di informazioni, esperienze e buone prassi.

  2. La  rete  nazionale  si  riunisce  almeno  due  volte l’anno su convocazione   e   sotto   la  presidenza  della  consigliera  o  del consigliere  nazionale;  alle riunioni partecipano il vice presidente del  Comitato  nazionale  di  parita’  di  cui  all’articolo 8,  e un rappresentante designato dal Ministro per le pari opportunita’. 

  3. Per  l’espletamento  dei  propri compiti la rete nazionale puo’ avvalersi, oltre che del Collegio istruttorio di cui all’articolo 11, anche   di  esperte  o  esperti,  nei  settori  di  competenza  delle consigliere e dei consiglieri di parita’, di particolare e comprovata qualificazione  professionale.  L’incarico di esperta o esperto viene conferito   su   indicazione  della  consigliera  o  del  consigliere nazionale   di   parita’  dalla  competente  Direzione  generale  del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

  4. L’entita’  delle risorse necessarie al funzionamento della rete nazionale e all’espletamento dei relativi compiti, e’ determinata con il decreto di cui all’articolo 18, comma 2.

  5. Entro  il 31 marzo di ogni anno la consigliera o il consigliere nazionale  di  parita’  elabora, anche sulla base dei rapporti di cui all’articolo 15,  comma 5, un rapporto al Ministro del lavoro e delle politiche  sociali  e  al  Ministro  per  le  pari opportunita’ sulla propria attivita’ e su quella svolta dalla rete nazionale. Si applica quanto  previsto  nell’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 15 in caso di mancata o ritardata presentazione del rapporto.

Art. 20.
Relazione al Parlamento

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 4, comma 6)



  1. Il  Ministro  del lavoro e delle politiche sociali, anche sulla base  del  rapporto  di  cui  all’articolo 19, comma 5, nonche’ delle indicazioni  fornite  dal  Comitato nazionale di parita’, presenta in Parlamento,  almeno  ogni  due  anni, d’intesa con il Ministro per le pari   opportunita’,   una   relazione  contenente  i  risultati  del monitoraggio  sull’applicazione  della  legislazione  in  materia  di parita’  e  pari  opportunita’  nel  lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del presente decreto.

Capo V
Comitato per l’imprenditoria femminile


Art. 21.
Comitato per l’imprenditoria femminile

(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 10, commi 1, 2, 3)



  1. Presso il Ministero delle attivita’ produttive opera il Comitato per l’imprenditoria femminile composto dal Ministro delle attivita’ produttive o, per sua delega, da un Sottosegretario di Stato, con funzioni di presidente, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, dal Ministro delle politiche agricole e forestali, dal Ministro dell’economia e delle finanze, o da loro delegati; da una rappresentante degli istituti di credito, da una rappresentante per ciascuna delle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale della cooperazione, della piccola industria, del commercio, dell’artigianato, dell’agricoltura, del turismo e dei servizi.

  2. I membri del Comitato sono nominati con decreto del Ministro delle attivita’ produttive, su designazione delle organizzazioni di appartenenza, e restano in carica tre anni. Per ogni membro effettivo viene nominato un supplente.

  3. Il Comitato elegge nel proprio ambito uno o due vicepresidenti; per l’adempimento delle proprie funzioni esso si avvale dei personale e  delle  strutture  messe a disposizione dai Ministeri di cui al comma 1.

Art. 22.
Attivita’ del Comitato per l’imprenditoria femminile

(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 10, commi 4 e 5)



  1. Il Comitato ha compiti di indirizzo e di programmazione generale in ordine agli interventi previsti dal libro III, titolo II; promuove  altresi’     lo     studio, la ricerca e l’informazione sull’imprenditorialita’ femminile.

  2. Per le finalita’ di cui al presente capo il Comitato stabilisce gli  opportuni  collegamenti  con il Servizio centrale per la piccola industria   e   l’artigianato   di   cui   all’articolo 39,  comma 1, lettera a),  della  legge  5 ottobre  1991,  n.  317,  e si avvale di consulenti,  individuati  tra  persone  aventi  specifiche competenze professionali ed esperienze in materia di imprenditoria femminile.

Libro II
PARI OPPORTUNITA’ TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI ETICO-SOCIALI


Titolo I
RAPPORTI TRA CONIUGI


Art. 23.
Pari opportunita’ nei rapporti fra coniugi



  1. La  materia  delle  pari opportunita’ nei rapporti familiari e’ disciplinata dal codice civile.

Titolo II
CONTRASTO ALLA VIOLENZA NELLE RELAZIONI FAMILIARI


Art. 24.
Violenza nelle relazioni familiari



  1. Per  il  contrasto  alla  violenza nelle relazioni familiari si applicano le disposizioni di cui alla legge 4 aprile 2001, n. 154.

Libro III
PARI OPPORTUNITA’ TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI ECONOMICI


Titolo I
PARI OPPORTUNITA’ NEL LAVORO


Capo I
Nozioni di discriminazione


Art. 25.
Discriminazione diretta e indiretta

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 1 e 2)



  1. Costituisce  discriminazione  diretta,  ai  sensi  del presente titolo,  qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole  discriminando  le  lavoratrici  o  i  lavoratori  in ragione  del  loro  sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga.

  2. Si  ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un  comportamento  apparentemente  neutri mettono o possono mettere i lavoratori  di  un  determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio   rispetto   a  lavoratori  dell’altro  sesso,  salvo  che riguardino   requisiti  essenziali  allo  svolgimento  dell’attivita’ lavorativa, purche’ l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

Art. 26.
Molestie e molestie sessuali

(legge  10 aprile  1991,  n.  125,  articolo 4,  commi 2-bis, 2-ter e 2-quater)



  1. Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignita’ di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

  2. Sono,altresi’, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignita’ di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

  3. Gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o delle lavoratrici vittime dei comportamenti di cui ai commi 1 e 2 sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai comportamenti medesimi. Sono considerati, altresi’, discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore di lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parita’ di trattamento tra uomini e donne.

Capo II
Divieti di discriminazione


Art. 27.
Divieti di discriminazione nell’accesso al lavoro

(legge  9 dicembre 1977, n. 903, articolo 1, commi 1, 2, 3 e 4; legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 3)



  1. E’  vietata  qualsiasi  discriminazione  fondata  sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in  qualsiasi  altra  forma,  indipendentemente  dalle  modalita’  di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attivita’, a tutti i livelli della gerarchia professionale.

  2. La  discriminazione  di  cui  al  comma 1  e’  vietata anche se attuata:


    •  a) attraverso   il  riferimento  allo  stato  matrimoniale  o  di famiglia o di gravidanza;

    • b) in  modo  indiretto,  attraverso  meccanismi  di  preselezione ovvero  a  mezzo stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che
      indichi   come   requisito  professionale  l’appartenenza  all’uno  o all’altro sesso.

  3. Il  divieto  di  cui  ai  commi 1  e  2  si  applica anche alle iniziative  in materia di orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento  professionale, per quanto concerne sia l’accesso sia i contenuti, nonche’ all’affiliazione e all’attivita’  in un’organizzazione  di  lavoratori  o datori di lavoro, o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, e alle prestazioni erogate da tali organizzazioni.

  4. Eventuali  deroghe  alle  disposizioni  dei commi 1, 2 e 3 sono ammesse  soltanto  per  mansioni  di  lavoro  particolarmente pesanti individuate attraverso la contrattazione collettiva.

  5. Nei concorsi pubblici e nelle forme di selezione attuate, anche a   mezzo   di  terzi,  da  datori  di  lavoro  privati  e  pubbliche amministrazioni  la  prestazione  richiesta  dev’essere  accompagnata dalle  parole  «dell’uno  o  dell’altro sesso», fatta eccezione per i casi  in cui il riferimento al sesso costituisca requisito essenziale per la natura del lavoro o della prestazione.

  6. Non costituisce discriminazione condizionare all’appartenenza ad un  determinato sesso l’assunzione in attivita’ della moda, dell’arte e dello spettacolo, quando cio’ sia essenziale alla natura del lavoro o della prestazione.

Art. 28.
Divieto di discriminazione retributiva

(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 2)



  1. La   lavoratrice  ha  diritto  alla  stessa  retribuzione  del lavoratore  quando  le  prestazioni  richieste siano uguali o di pari valore.

  2. I  sistemi  di  classificazione  professionale  ai  fini  della determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne.

Art. 29.
Divieti di discriminazione nella prestazione lavorativa e nella carriera

(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 3)



  1. E’  vietata  qualsiasi  discriminazione  fra uomini e donne per quanto  riguarda l’attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella carriera.

Art. 30.
Divieti di discriminazione nell’accesso alle prestazioni previdenziali

(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articoli 4, 9, 10, 11 e 12)



  1. Le  lavoratrici,  anche  se  in possesso dei requisiti per aver diritto  alla  pensione  di vecchiaia, possono optare di continuare a prestare  la  loro opera fino agli stessi limiti di eta’ previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali, previa  comunicazione  al  datore di lavoro da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia.

  2. Nell’ipotesi di cui al comma 1 si applicano alle lavoratrici le disposizioni  della  legge  15 luglio  1966,  n.  604,  e  successive modificazioni, in deroga all’articolo 11 della legge stessa.

  3. Gli   assegni   familiari,   le  aggiunte  di  famiglia  e  le maggiorazioni  delle  pensioni  per familiari a carico possono essere corrisposti, in alternativa, alla donna lavoratrice o pensionata alle stesse  condizioni e con gli stessi limiti previsti per il lavoratore o  pensionato.  Nel  caso  di  richiesta  di  entrambi i genitori gli assegni  familiari,  le aggiunte di famiglia e le maggiorazioni delle pensioni  per  familiari  a  carico  debbono  essere  corrisposti  al genitore con il quale il figlio convive.

  4. Le   prestazioni  ai  superstiti,  erogate  dall’assicurazione generale   obbligatoria,   per   l’invalidita’,  la  vecchiaia  ed  i superstiti,  gestita  dal Fondo pensioni per i lavoratori dipendenti, sono   estese,   alle   stesse  condizioni  previste  per  la  moglie dell’assicurato  o  del pensionato, al marito dell’assicurata o della pensionata.

  5. La disposizione di cui al comma 4 si applica anche ai dipendenti dello   Stato  e  di  altri  enti  pubblici  nonche’  in  materia di trattamenti pensionistici sostitutivi ed integrativi dell’assicurazione generale   obbligatoria  per  l’invalidita’,  la vecchiaia  ed  i  superstiti  e  di  trattamenti  a  carico di fondi, gestioni  ed  enti  istituiti  per lavoratori dipendenti da datori di lavoro esclusi od esonerati dall’obbligo dell’assicurazione medesima, per lavoratori autonomi e per liberi professionisti.

  6. Le  prestazioni  ai  superstiti  previste dal testo unico delle disposizioni  per  l’assicurazione  obbligatoria contro gli infortuni sul  lavoro  e  le  malattie professionali, approvato con decreto del Presidente  della  Repubblica  30 giugno 1965, n. 1124, e della legge 5 maggio  1976,  n. 248, sono estese alle stesse condizioni stabilite per la moglie del lavoratore al marito della lavoratrice.

Art. 31.
Divieti di discriminazione nell’accesso agli impieghi pubblici

(legge 9 febbraio 1963, n. 66, articolo 1, comma 1;
legge 13 dicembre 1986, n. 874, articoli 1 e 2)



  1. La  donna  puo’  accedere  a  tutte  le cariche, professioni ed impieghi  pubblici,  nei  vari  ruoli,  carriere  e  categorie, senza limitazione  di  mansioni  e  di  svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge.

  2. L’altezza   delle   persone   non   costituisce   motivo   di discriminazione   nell’accesso  a  cariche,  professioni  e  impieghi pubblici  ad  eccezione  dei casi in cui riguardino quelle mansioni e qualifiche speciali, per le quali e’ necessario definire un limite di altezza  e  la  misura  di  detto  limite,  indicate  con decreto del Presidente   del   Consiglio   dei   Ministri,   sentiti  i  Ministri interessati,  le  organizzazioni  sindacali piu’ rappresentative e la Commissione  per  la  parita’  tra  uomo  e  donna,  fatte  salve  le specifiche  disposizioni  relative  al Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

Art. 32.
Divieti di discriminazione nell’arruolamento nelle forze armate e nei corpi speciali

(decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, articolo 1)



  1. Le  Forze  armate  ed  il  Corpo  della  guardia  di finanza si avvalgono,  per  l’espletamento  dei  propri  compiti,  di  personale maschile e femminile.

Art. 33.
Divieti  di discriminazione nel reclutamento nelle Forze armate
e nel Corpo della guardia di finanza

(decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, articolo 2)



  1. Il  reclutamento  del  personale militare femminile delle Forze armate  e  del  Corpo  della guardia di finanza e’ effettuato su base volontaria secondo le disposizioni vigenti per il personale maschile, salvo  quanto  previsto per l’accertamento dell’idoneita’ al servizio militare  del  personale femminile dai decreti di cui all’articolo 1, comma 5,  della  legge  20 ottobre  1999, n. 380, e salve le aliquote d’ingresso eventualmente previste, in via eccezionale, con il decreto adottato ai sensi della legge medesima.

  2. Il  personale  femminile  che  frequenta i corsi regolari delle accademie  e  delle scuole allievi marescialli e allievi sergenti e i corsi  di  formazione  iniziale  degli  istituti e delle scuole delle Forze  armate, dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza,  nonche’ il personale femminile volontario di truppa in fase di  addestramento  e  specializzazione  iniziale, e’ posto in licenza straordinaria   per   maternita’   a  decorrere  dalla  presentazione all’amministrazione  della  certificazione  attestante  lo  stato  di gravidanza,  fino  all’inizio del periodo di congedo di maternita’ di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Il periodo  di  assenza  del servizio trascorso in licenza straordinaria per  maternita’  non  e’ computato nel limite massimo previsto per le licenze straordinarie.

  3. Il  personale  femminile  che  frequenta i corsi regolari delle accademie  e  delle scuole allievi marescialli e allievi sergenti e i corsi  di  formazione  iniziale  degli  istituti e delle scuole delle Forze  armate, dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza,  posto  in licenza straordinaria per maternita’ ai sensi del comma 2,  puo’  chiedere  di  proseguire  il  periodo  formativo  con esenzione  di qualsiasi attivita’ fisica, fino all’inizio del periodo del   congedo  di  maternita’  di  cui  all’articolo 16  del  decreto legislativo  26 marzo  2001,  n. 151. L’accoglimento della domanda e’ disposto  dal  Comandante  di  corpo,  in  relazione  agli  obiettivi didattici  da  conseguire  e previo parere del dirigente del servizio sanitario dell’istituto di formazione.  

  4. La  licenza  straordinaria  per maternita’ di cui al comma 3 e’ assimilata  ai  casi di estensione del divieto di adibire le donne al lavoro  previsti  dall’articolo 17,  comma 2, lettera c), del decreto legislativo  26 marzo  2001,  n.  151.  Al  personale  femminile, nel predetto  periodo  di assenza, e’ attribuito il trattamento economico di cui all’articolo 22 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ovvero,  qualora  piu’ favorevole, quello stabilito dai provvedimenti previsti  dall’articolo 2,  commi 1  e  2,  del  decreto  legislativo 12 maggio 1995, n. 195.

  5. Il personale militare femminile appartenente alle Forze armate, all’Arma  dei  carabinieri  e  alla  Guardia di finanza che, ai sensi degli  articoli 16  e 17 del decreto legislativo n. 151 del 2001, non possa  frequentare  i  corsi  previsti  dalle  relative  normative di settore,  e’  rinviato  al primo corso utile successivo e, qualora lo superi  con  esito  favorevole, assume l’anzianita’ relativa al corso originario di appartenenza.

Art. 34.
Divieto di discriminazione nelle carriere militari

(decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, articoli 3, 4 e 5)



  1. Lo   stato  giuridico  del  personale  militare  femminile  e’ disciplinato  dalle  disposizioni  vigenti  per il personale militare maschile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza.  

  2. L’avanzamento  del personale militare femminile e’ disciplinato  dalle  disposizioni  vigenti per il personale militare maschile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza. 

  3. Le  amministrazioni  interessate  disciplinano  gli  specifici ordinamenti  dei  corsi presso le accademie, gli istituti e le scuole di  formazione  in  relazione  all’ammissione  ai  corsi  stessi  del personale femminile.

Art. 35.
Divieto di licenziamento per causa di matrimonio

(legge 9 gennaio 1963, n. 7, articoli 1, 2 e 6)



  1. Le  clausole  di  qualsiasi  genere,  contenute  nei  contratti individuali e collettivi, o in regolamenti, che prevedano comunque la risoluzione  del  rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio sono nulle e si hanno per non apposte.

  2. Del  pari  nulli  sono  i  licenziamenti  attuati  a  causa  di matrimonio.

  3. Salvo   quanto   previsto  dal  comma 5,  si  presume  che  il licenziamento  della  dipendente nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione,  a  un  anno  dopo  la  celebrazione  stessa, sia stato disposto per causa di matrimonio.

  4. Sono  nulle  le  dimissioni  presentate  dalla  lavoratrice nel periodo  di cui al comma 3, salvo che siano dalla medesima confermate entro un mese alla Direzione provinciale del lavoro.

  5. Al  datore  di  lavoro  e’  data  facolta’  di  provare  che il licenziamento  della  lavoratrice,  avvenuto  nel  periodo  di cui al comma 3,  e’  stato  effettuato non a causa di matrimonio, ma per una delle seguenti ipotesi:


    • a) colpa  grave  da  parte  della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;

    • b) cessazione dell’attivita’ dell’azienda cui essa e’ addetta;

    • c) ultimazione  della  prestazione per la quale la lavoratrice e’ stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.

  6. Con il provvedimento che dichiara la nullita’ dei licenziamenti di  cui  ai commi 1, 2, 3 e 4 e’ disposta la corresponsione, a favore della  lavoratrice allontanata dal lavoro, della retribuzione globale di fatto sino al giorno della riammissione in servizio.

  7. La lavoratrice che, invitata a riassumere servizio, dichiari di recedere  dal  contratto,  ha  diritto al trattamento previsto per le dimissioni  per  giusta causa, ferma restando la corresponsione della retribuzione fino alla data del recesso.

  8. A tale scopo il recesso deve essere esercitato entro il termine di dieci giorni dal ricevimento dell’invito.

  9. Le  disposizioni  precedenti  si applicano sia alle lavoratrici dipendenti  da  imprese  private  di qualsiasi genere, escluse quelle addette  ai servizi familiari e domestici, sia a quelle dipendenti da enti  pubblici,  salve  le clausole di miglior favore previste per le lavoratrici nei contratti collettivi ed individuali di lavoro e nelle disposizioni legislative e regolamentari.

Capo III
Tutela giudiziaria


Art. 36.
Legittimazione processuale

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 4 e 5)



  1. Chi  intende  agire  in  giudizio  per  la  dichiarazione delle discriminazioni  ai sensi dell’articolo 25 e non ritiene di avvalersi delle  procedure  di conciliazione previste dai contratti collettivi, puo’  promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell’articolo 410    del   codice   di   procedura   civile   o,   rispettivamente, dell’articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche tramite  la  consigliera  o  il  consigliere di parita’ provinciale o regionale territorialmente competente.

  2. Ferme  restando  le  azioni in giudizio di cui all’articolo 37, commi 2  e 4, le consigliere o i consiglieri di parita’ provinciali e regionali  competenti  per  territorio  hanno  facolta’  di ricorrere innanzi  al  tribunale  in  funzione  di  giudice del lavoro o, per i rapporti    sottoposti   alla   sua   giurisdizione,   al   tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti, su delega della persona  che  vi  ha  interesse,  ovvero  di  intervenire nei giudizi promossi dalla medesima.

Art. 37.
Legittimazione processuale a tutela di piu’ soggetti

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 7, 8, 9, 10 e 11)



  1. Qualora  le consigliere o i consiglieri di parita’ regionali e, nei  casi  di  rilevanza  nazionale,  la consigliera o il consigliere nazionale   rilevino  l’esistenza  di  atti,  patti  o  comportamenti discriminatori  diretti  o  indiretti  di carattere collettivo, anche quando  non  siano  individuabili  in  modo  immediato  e  diretto le lavoratrici  o  i  lavoratori  lesi  dalle  discriminazioni, prima di promuovere  l’azione  in  giudizio  ai sensi dei commi 2 e 4, possono chiedere  all’autore della discriminazione di predisporre un piano di rimozione  delle  discriminazioni  accertate  entro  un  termine  non superiore  a  centoventi giorni, sentite, nel caso di discriminazione posta  in  essere da un datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali  ovvero,  in loro mancanza, le associazioni locali aderenti alle  organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale.  Se  il  piano  e’ considerato idoneo alla rimozione delle discriminazioni,  la consigliera o il consigliere di parita’ promuove il  tentativo  di  conciliazione  ed  il  relativo  verbale, in copia autenticata,  acquista  forza  di  titolo  esecutivo  con decreto del tribunale in funzione di giudice del lavoro.

  2. Con riguardo alle discriminazioni di carattere collettivo di cui al  comma 1,  le  consigliere o i consiglieri di parita’, qualora non ritengano  di  avvalersi  della  procedura di conciliazione di cui al medesimo  comma o  in  caso  di  esito negativo della stessa, possono proporre  ricorso  davanti  al  tribunale  in funzione di giudice del lavoro  o  al  tribunale  amministrativo  regionale  territorialmente competenti.

  3. Il giudice, nella sentenza che accerta le discriminazioni sulla base del ricorso presentato ai sensi del comma 2, oltre a provvedere, se  richiesto,  al  risarcimento  del  danno  anche non patrimoniale, ordina  all’autore  della  discriminazione  di  definire  un piano di rimozione  delle  discriminazioni  accertate,  sentite,  nel  caso si tratti  di  datore  di  lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali ovvero,   in  loro  mancanza,  gli  organismi  locali  aderenti  alle organizzazioni  sindacali  di  categoria maggiormente rappresentative sul  piano  nazionale,  nonche’  la  consigliera  o il consigliere di parita’  regionale  competente  per  territorio o la consigliera o il consigliere  nazionale.  Nella  sentenza  il giudice fissa i criteri, anche   temporali,   da  osservarsi  ai  fini  della  definizione  ed attuazione del piano.

  4. Ferma  restando l’azione di cui al comma 2, la consigliera o il consigliere regionale e nazionale di parita’ possono proporre ricorso in  via  d’urgenza  davanti  al  tribunale in funzione di giudice del lavoro  o  al  tribunale  amministrativo  regionale  territorialmente competenti. Il giudice adito, nei due giorni successivi, convocate le parti  e  assunte  sommarie  informazioni, ove ritenga sussistente la violazione  di  cui al ricorso, con decreto motivato e immediatamente esecutivo oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche  non  patrimoniale,  nei  limiti  della  prova  fornita, ordina all’autore  della  discriminazione  la  cessazione  del comportamento pregiudizievole  e adotta ogni altro provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti delle discriminazioni accertate, ivi compreso l’ordine di definizione  ed  attuazione  da parte del responsabile di un piano di rimozione  delle  medesime.  Si applicano in tal caso le disposizioni del  comma 3.  Contro  il  decreto  e’ ammessa, entro quindici giorni dalla  comunicazione  alle  parti,  opposizione  avanti alla medesima autorita’  giudiziaria  territorialmente  competente,  che decide con sentenza immediatamente esecutiva.

  5. L’inottemperanza alla sentenza di cui al comma 3, al decreto di cui  al  comma 4 o alla sentenza pronunciata nel relativo giudizio di opposizione  e’ punita con le pene di cui all’artico1o 650 del codice penale  e  comporta altresi’ il pagamento di una somma di 51 euro per ogni  giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento da versarsi al  Fondo  di  cui  all’articolo 18  e  la revoca dei benefici di cui all’articolo 41, comma 1.

Art. 38.
Provvedimento avverso le discriminazioni

(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 15; legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 13)



  1. Qualora vengano posti in essere comportamenti diretti a violare le  disposizioni  di cui all’articolo 27, commi 1, 2, 3 e 4, e di cui all’articolo 5  della  legge  9 dicembre 1977, n. 903, su ricorso del lavoratore  o  per  sua delega delle organizzazioni sindacali o della consigliera  o  del  consigliere  di  parita’ provinciale o regionale territorialmente  competente, il tribunale in funzione di giudice del lavoro del luogo ove e’ avvenuto il comportamento denunziato, nei due giorni   successivi,   convocate   le   parti   e   assunte  sommarie informazioni, se ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale,  nei  limiti della prova fornita, ordina all’autore del comportamento  denunciato,  con  decreto  motivato  ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozionedegli effetti.

  2. L’efficacia esecutiva del decreto non puo’ essere revocata fino alla  sentenza  con cui il giudice definisce il giudizio instaurato a norma del comma seguente.

  3. Contro  il  decreto  e’  ammessa  entro  quindici  giorni dalla comunicazione  alle  parti  opposizione davanti al giudice che decide con  sentenza  immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile.  

  4. L’inottemperanza  al  decreto  di  cui  al  primo  comma o alla sentenza  pronunciata  nel giudizio di opposizione e’ punita ai sensi dell’articolo 650 del codice penale.

  5. Ove  le  violazioni di cui al primo comma riguardino dipendenti pubblici  si  applicano  le  norme previste in materia di sospensione dell’atto  dall’articolo 21,  ultimo  comma,  della  legge 6 dicembre 1971, n. 1034.

  6. Ferma  restando  l’azione  ordinaria, le disposizioni di cui ai commi da  1 a 5 si applicano in tutti i casi di azione individuale in giudizio  promossa  dalla  persona  che  vi  abbia interesse o su sua delega  da  un’organizzazione  sindacale  o  dalla  consigliera o dal consigliere provinciale o regionale di parita’.

Art. 39.
Ricorso in via d’urgenza

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 14)



  1. Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione previsto dall’articolo 410  del  codice  di  procedura  civile non preclude la concessione dei provvedimenti di cui agli articoli 37, comma 4, e 38.

Art. 40.
Onere della prova

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 6)



  1. Quando  il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da  dati  di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi,   all’assegnazione   di   mansioni   e   qualifiche,  ai trasferimenti,  alla  progressione  in  carriera ed ai licenziamenti, idonei  a  fondare,  in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza  di  atti,  patti  o  comportamenti  discriminatori in ragione   del   sesso,   spetta  al  convenuto  l’onere  della  prova sull’insussistenza della discriminazione.

Art. 41.
Adempimenti amministrativi e sanzioni

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 12; legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 16, comma 1)



  1. Ogni accertamento di atti, patti o comportamenti discriminatori ai sensi degli articoli 25 e 26, posti in essere da soggetti ai quali siano  stati  accordati  benefici  ai sensi delle vigenti leggi dello Stato,  ovvero  che  abbiano stipulato contratti di appalto attinenti all’esecuzione  di  opere  pubbliche,  di  servizi o forniture, viene comunicato  immediatamente  dalla  direzione  provinciale  del lavoro territorialmente competente ai Ministri nelle cui amministrazioni sia stata  disposta  la  concessione del beneficio o dell’appalto. Questi adottano le opportune determinazioni, ivi compresa, se necessario, la revoca  del  beneficio e, nei casi piu’ gravi o nel caso di recidiva, possono  decidere  l’esclusione  del  responsabile  per un periodo di tempo   fino  a  due  anni  da  qualsiasi  ulteriore  concessione  di agevolazioni  finanziarie  o  creditizie ovvero da qualsiasi appalto. Tale  disposizione  si applica anche quando si tratti di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero di appalti concessi da enti pubblici,
    ai quali la direzione provinciale del lavoro comunica direttamente la discriminazione  accertata per l’adozione delle sanzioni previste. Le disposizioni  del  presente  comma non si applicano nel caso  sia raggiunta  una  conciliazione  ai sensi degli articoli 36, comma 1, e 37, comma 1.

  2. L’inosservanza  delle disposizioni contenute negli articoli 27, commi 1,  2  e  3,  28,  29,  30,  commi 1,  2,  3 e 4, e’ punita con l’ammenda da 103 euro a 516 euro.

Capo IV
Promozione delle pari opportunita’


Art. 42.
Adozione e finalita’ delle azioni positive

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 1, commi 1 e 2)



  1. Le  azioni positive, consistenti in misure volte alla rimozione degli  ostacoli  che  di  fatto  impediscono la realizzazione di pari opportunita’,  nell’ambito  della  competenza statale, sono dirette a favorire   l’occupazione   femminile   e   realizzate   l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro.

  2. Le  azioni  positive  di cui al comma 1 hanno in particolare lo scopo di:


    • a) eliminare   le   disparita’   nella  formazione  scolastica  e professionale,   nell’accesso   al   lavoro,  nella  progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilita’;

    • b) favorire  la diversificazione delle scelte professionali delle donne   in   particolare   attraverso   l’orientamento  scolastico  e professionale e gli strumenti della formazione;

    • c) favorire  l’accesso  al  lavoro  autonomo  e  alla  formazione imprenditoriale  e  la qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici;

    • d) superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che provocano effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti   con   pregiudizio   nella  formazione,  nell’avanzamento professionale  e  di  carriera  ovvero  nel  trattamento  economico e retributivo;

    • e) promuovere  l’inserimento  delle  donne  nelle  attivita’, nei settori   professionali   e nei livelli nei quali esse  sono sottorappresentate  e  in  particolare  nei  settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilita’;

    • f) favorire,  anche  mediante  una  diversa  organizzazione del lavoro,  delle  condizioni  e  del  tempo di lavoro, l’equilibrio tra responsabilita’ familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilita’ tra i due sessi.

Art. 43.
Promozione delle azioni positive

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 1, comma 3)



  1. Le  azioni  positive  di  cui  all’articolo 42  possono  essere promosse dal Comitato di cui all’articolo 8 e dalle consigliere e dai consiglieri  di  parita’  di  cui  all’articolo 12, dai centri per la parita’  e  le  pari  opportunita’  a  livello  nazionale,  locale  e aziendale,  comunque  denominati,  dai  datori  di  lavoro pubblici e privati, dai centri di formazione professionale, delle organizzazioni sindacali   nazionali   e   territoriali,  anche  su  proposta  delle rappresentanze  sindacali aziendali o degli organismi rappresentativi del personale di cui all’articolo 42 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Art. 44.
Finanziamento

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 2, commi 1, 2, 4 e 5)



  1. A partire dal 1° ottobre ed entro il 30 novembre di ogni anno, i datori   di  lavoro  pubblici  e  privati,  i  centri  di  formazione professionale   accreditati,   le   associazioni,  le  organizzazioni sindacali  nazionali  e  territoriali possono richiedere al Ministero del  lavoro  e  delle politiche sociali di essere ammessi al rimborso totale  o  parziale  di  oneri  finanziari connessi all’attuazione di progetti di azioni positive presentati in base al programma-obiettivo di cui all’articolo 10, comma 1, lettera c).

  2. Il  Ministro  del  lavoro e delle politiche sociali, sentito il Comitato di cui all’articolo 8, ammette i progetti di azioni positive al  beneficio  di  cui  al  comma 1  e,  con lo stesso provvedimento, autorizza  le  relative  spese.  L’attuazione  dei progetti di cui al comma 1,  deve  comunque  avere  inizio  entro  due mesi dal rilascio dell’autorizzazione.

  3. I  progetti  di  azioni  concordate dai datori di lavoro con le organizzazioni   sindacali  maggiormente  rappresentative  sul  piano nazionale  hanno  precedenza  nell’accesso  al  beneficio  di  cui al comma 1.

  4. L’accesso  ai  fondi comunitari destinati alla realizzazione di programmi  o  progetti  di azioni positive, ad eccezione di quelli di cui  all’articolo 45,  e’  subordinato  al parere del Comitato di cui all’articolo 8.

Art. 45.
Finanziamento delle azioni positive realizzate mediante la formazione professionale

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 3)



  1. Al  finanziamento  dei  progetti  di  formazione finalizzati al perseguimento   dell’obiettivo   di   cui  all’articolo 42,  comma 1, autorizzati  secondo le procedure previste dagli articoli 25, 26 e 27 della  legge 21 dicembre 1978, n. 845, ed approvati dal Fondo sociale europeo,  e’  destinata  una  quota  del Fondo di rotazione istituito dall’articolo 25  della  stessa  legge,  determinata  annualmente con deliberazione  del  Comitato  interministeriale per la programmazione economica.

  2. La  finalizzazione  dei progetti di formazione al perseguimento dell’obiettivo  di  cui  all’articolo 42,  comma 1,  viene accertata, entro  il 31 marzo dell’anno in cui l’iniziativa deve essere attuata, dalla  commissione  regionale  per  l’impiego. Scaduto il termine, al predetto accertamento provvede il Comitato di cui all’articolo 8.

  3. La  quota del Fondo di rotazione di cui al comma 1 e’ ripartita tra  le  regioni in misura proporzionale all’ammontare dei contributi richiesti per i progetti approvati.

Art. 46.
Rapporto sulla situazione del personale

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 9, commi 1, 2, 3 e 4)



  1. Le  aziende  pubbliche  e  private  che  occupano  oltre  cento dipendenti  sono  tenute  a redigere un rapporto almeno ogni due anni sulla  situazione  del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni   ed   in  relazione  allo  stato  di  assunzioni,  della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di  categoria  o  di  qualifica,  di  altri  fenomeni  di  mobilita’, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei    prepensionamenti    e    pensionamenti,   della   retribuzione effettivamente corrisposta.

  2. Il  rapporto di cui al comma 1 e’ trasmesso alle rappresentanze sindacali  aziendali e alla consigliera e al consigliere regionale di parita’.

  3. Il rapporto e’ redatto in conformita’ alle indicazioni definite nell’ambito  delle  specificazioni di cui al comma 1 dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto.

  4. Qualora,  nei  termini prescritti, le aziende di cui al comma 1 non  trasmettano  il  rapporto,  la  Direzione  regionale del lavoro, previa segnalazione dei soggetti di cui al comma 2, invita le aziende stesse  a provvedere entro sessanta giorni. In caso di inottemperanza si  applicano  le  sanzioni  di  cui  all’articolo 11 del decreto del Presidente  della  Repubblica  19 marzo  1955,  n. 520. Nei casi piu’ gravi  puo’  essere  disposta la sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall’azienda.

Art. 47.
Richieste  di rimborso degli oneri finanziari connessi all’attuazione di progetti di azioni positive

 (decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 10, comma 1)



  1. Il  Ministro  del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con   i   Ministri   dell’economia  e  delle  finanze  e  delle  pari opportunita’  e  su  indicazione  del Comitato di cui all’articolo 8, determina,  con apposito decreto, eventuali modifiche nelle modalita’ di  presentazione  delle  richieste  di cui all’articolo 45, comma 1, nelle  procedure  di valutazione di verifica e di erogazione, nonche’ nei  requisiti  di  onorabilita’  che  i  soggetti richiedenti devono possedere.

  2. La  mancata  attuazione  del progetto comporta la decadenza dal beneficio  e la restituzione delle somme eventualmente gia’ riscosse.
    In caso di attuazione parziale, la decadenza opera limitatamente alla parte  non  attuata,  la  cui  valutazione  e’  effettuata in base ai criteri determinati dal decreto di cui al comma 1.

Art. 48.
Azioni positive nelle pubbliche amministrazioni

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 7, comma 5)



  1. Ai  sensi  degli articoli 1, comma 1, lettera c), 7, comma 1, e 57,  comma 1,  del  decreto  legislativo  30 marzo  2001,  n. 165, le amministrazioni  dello  Stato,  anche  ad  ordinamento  autonomo,  le province,  i  comuni e gli altri enti pubblici non economici, sentiti gli organismi di rappresentanza previsti dall’articolo 42 del decreto legislativo   30 marzo   2001,   n.   165  ovvero,  in  mancanza,  le organizzazioni  rappresentative  nell’ambito del comparto e dell’area di  interesse,  sentito  inoltre,  in  relazione alla sfera operativa della  rispettiva attivita’, il Comitato di cui all’articolo 10, e la consigliera o il consigliere nazionale di parita’, ovvero il Comitato per   le  pari  opportunita’  eventualmente  previsto  dal  contratto collettivo   e   la   consigliera   o   il   consigliere  di  parita’ territorialmente  competente,  predispongono piani di azioni positive tendenti  ad  assicurare,  nel  loro  ambito rispettivo, la rimozione degli  ostacoli  che, di fatto, impediscono la piena realizzazione di
    pari  opportunita’  di  lavoro e nel lavoro tra uomini e donne. Detti piani,  fra  l’altro, al fine di promuovere l’inserimento delle donne nei   settori  e  nei  livelli  professionali  nei  quali  esse  sono sottorappresentate,  ai  sensi dell’articolo 42, comma 2, lettera d), favoriscono  il riequilibrio della presenza femminile nelle attivita’ e  nelle posizioni gerarchiche ove sussiste un divario fra generi non inferiore a due terzi.
      A   tale   scopo,  in  occasione  tanto  di  assunzioni  quanto  di promozioni, a  fronte  di  analoga  qualificazione  e  preparazione professionale  tra candidati di sesso diverso, l’eventuale scelta del candidato  di  sesso  maschile  e’  accompagnata  da  un’esplicita ed adeguata  motivazione.  I  piani  di  cui  al presente articolo hanno durata   triennale.   In  caso  di  mancato  adempimento  si  applica l’articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.  

  2. Resta   fermo   quanto   disposto   dall’articolo 57,  decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Art. 49.
Azioni positive nel settore radiotelevisivo

(legge 6 agosto 1990, n. 223, articolo 11)



  1. La  concessionaria  pubblica  e  i concessionari privati per la radiodiffusione  sonora  o televisiva in ambito nazionale, promuovono azioni positive volte ad eliminare condizioni di disparita’ tra i due sessi  in  sede  di  assunzioni,  organizzazione  e distribuzione del lavoro, nonche’ di assegnazione di posti di responsabilita’.

  2. I  concessionari  di cui al comma 1 redigono, ogni due anni, un rapporto  sulla  situazione  del  personale  maschile  e femminile in relazione  allo  stato  delle  assunzioni,  della  formazione,  della promozione professionale, dei livelli e della remunerazione effettiva da  trasmettere  alla Commissione per le pari opportunita’ fra uomo e donna di cui al libro I, titolo II, capo II.

Art. 50.
Misure a sostegno della flessibilita’ di orario



  1. Le misure a sostegno della flessibilita’ di orario, finalizzate a  promuovere  e incentivare forme di articolazione della prestazione lavorativa  volte  a  conciliare  tempo  di  vita  e  di lavoro, sono disciplinate dall’articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53.

Capo V
Tutela e sostegno della maternita’ e paternita’


Art. 51.
Tutela e sostegno della maternita’ e paternita’



  1. La  tutela  ed  il  sostegno  della  maternita’ e paternita’ e’ disciplinata dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.

Titolo II
PARI OPPORTUNITA’ NELL’ESERCIZIO DELL’ATTIVITA’ D’IMPRESA


Capo I

Azioni positive per l’imprenditoria femminile


Art. 52.
Principi in materia di azioni positive per l’imprenditoria femminile

(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 1, commi 1 e 2)



  1. Il  presente capo indica i principi generali volti a promuovere l’uguaglianza  sostanziale  e le pari opportunita’ tra uomini e donne nell’attivita’  economica  e  imprenditoriale,  e,  in particolare, i principi diretti a:


    • a) favorire   la   creazione  e  lo  sviluppo  dell’imprenditoria femminile, anche in forma cooperativa;

    • b) promuovere  la  formazione  imprenditoriale  e  qualificare la professionalita’ delle donne imprenditrici;

    • c) agevolare l’accesso al credito per le imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile;

    • d) favorire la qualificazione imprenditoriale e la gestione delle imprese familiari da parte delle donne;

    • e) promuovere   la  presenza  delle  imprese  a  conduzione  o  a prevalente  partecipazione femminile nei comparti piu’ innovativi dei
      diversi settori produttivi.

Art. 53.
Principi in materia di beneficiari delle azioni positive

(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 2, comma 1)



  1. I  principi  in  materia di azioni positive per l’imprenditoria femminile si rivolgono ai seguenti soggetti:


    • a) le  societa’  cooperative e le societa’ di persone, costituite in  misura  non  inferiore  al  60 per cento da donne, le societa’ di capitali  le  cui  quote  di  partecipazione  spettino  in misura non inferiore  ai  due  terzi  a  donne e i cui organi di amministrazione siano  costituiti per almeno i due terzi da donne, nonche’ le imprese individuali gestite da donne, che operino nei settori dell’industria, dell’artigianato,  dell’agricoltura, del commercio, del turismo e dei servizi;

    • b) le  imprese,  o i loro consorzi, le associazioni, gli enti, le societa’   di  promozione  imprenditoriale  anche  a  capitale  misto pubblico e privato, i centri di formazione e gli ordini professionali che  promuovono  corsi  di  formazione  imprenditoriale  o servizi di consulenza  e  di  assistenza tecnica e manageriale riservati per una quota non inferiore al settanta per cento a donne.

Art. 54.
Fondo nazionale per l’imprenditoria femminile

(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 3, comma 1)



  1. A   valere  sulle  disponibilita’  del  Fondo,  istituito  con l’articolo 3,  comma 1,  della  legge  25 febbraio  1992, n. 215, con apposito capitolo nello stato di previsione della spesa del Ministero delle  attivita’  produttive,  possono  essere  concesse  ai soggetti indicati  all’articolo 53,  comma 1,  lettera a),  nel  rispetto  dei principi   fondamentali   dell’ordinamento   anche   comunitario,  le agevolazioni previste dalla disciplina vigente:


    • a) per  impianti  ed  attrezzature  sostenute  per  l’avvio o per l’acquisto  di  attivita’ commerciali e turistiche o di attivita’ nel settore   dell’industria,   dell’artigianato,  del  commercio  o  dei servizi,  nonche’  per i progetti aziendali connessi all’introduzione di  qualificazione  e  di  innovazione  di  prodotto,  tecnologica od organizzativa;

    • b) per  l’acquisizione di servizi  destinati all’aumento della  produttivita’,  all’innovazione organizzativa, al trasferimento delle tecnologie,  alla  ricerca  di  nuovi mercati per il collocamento dei prodotti,  all’acquisizione  di  nuove  tecniche  di  produzione,  di gestione e di commercializzazione, nonche’ per lo sviluppo di sistemi di qualita’.

  2. Ai soggetti di cui all’articolo 53, comma 1, lettera b), possono essere  concesse agevolazioni per le spese sostenute per le attivita’ ivi previste.

Art. 55.
Relazione al Parlamento

(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 11)



  1. Il  Ministro  delle  attivita’  produttive verifica lo stato di attuazione  dei  principi di cui al presente capo, presentando a tale fine una relazione annuale al Parlamento.

Libro IV
PARI OPPORTUNITA’ TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI CIVILI E POLITICI


Titolo I
PARI OPPORTUNITA’ NELL’ACCESSO ALLE CARICHE ELETTIVE


Capo I
Elezione dei membri del Parlamento europeo


Art. 56.
Pari  opportunita’  nell’accesso alla carica di membro del Parlamento europeo

(legge 8 aprile 2004, n. 90, articolo 3)



  1. Nell’insieme  delle  liste  circoscrizionali aventi un medesimo contrassegno,  nelle  prime  due  elezioni  dei membri del Parlamento europeo  spettanti  all’Italia,  successive  alla  data di entrata in vigore  della  legge 8 aprile 2004, n. 90, nessuno dei due sessi puo’ essere  rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati; ai  fini  del computo sono escluse le candidature plurime; in caso di quoziente   frazionario   si  procede  all’arrotondamento  all’unita’ prossima.

  2. Per  i movimenti e i partiti politici presentatori di liste che non  abbiano  rispettato  la proporzione di cui al comma 1, l’importo del rimborso per le spese elettorali di cui alla legge 3 giugno 1999, n.  157,  e’  ridotto,  fino  ad  un  massimo  della meta’, in misura direttamente proporzionale al numero dei candidati in piu’ rispetto a quello  massimo  consentito.  Sono,  comunque, inammissibili le liste circoscrizionali  composte  da piu’ di un candidato che non prevedono la presenza di candidati di entrambi i sessi.

  3. La  somma  eventualmente  derivante  dalla  riduzione di cui al comma 2  e’  erogata  ai  partiti  o  gruppi politici organizzati che abbiano  avuto  proclamata  eletta,  ai  sensi dell’articolo 22 della legge  24 gennaio  1979, n. 18, e successive modificazioni, una quota superiore ad un terzo di candidati di entrambi i sessi. Tale somma e’ ripartita in misura proporzionale ai voti ottenuti da ciascun partito o gruppo politico organizzato.

Art. 57.
Disposizioni abrogate



  1. Sono abrogate le seguenti disposizioni:


    • a) la legge 9 gennaio 1963, n. 7;

    • b) l’articolo 1 della legge 9 febbraio 1963, n. 66;

    • c) gli  articoli 1,  2,  3,  4,  9, 10, 11, 12, 15 e 16, comma 1, della legge 9 dicembre 1977, n. 903;

    • d) gli articoli 1 e 2 della legge 13 dicembre 1986, n. 874;

    • e) l’articolo 11 della legge 6 agosto 1990, n. 223;

    • f) la    legge    10 aprile    1991,   n.   125,   ad   eccezione dell’articolo 11;

    • g) la   legge  25 febbraio  1992,  n.  215,  ad  eccezione  degli articoli 10, comma 6, 12 e 13;

    • h) l’articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303;

    • i) il decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24;

    • l) il  decreto  legislativo  23 maggio 2000, n. 196, ad eccezione dell’articolo 10, comma 4;

    • m) il  decreto  legislativo  31 luglio 2003, n. 226, ad eccezione degli articoli 6, comma 2, e 7, comma 1;

    • n) l’articolo 3 della legge 8 aprile 2004, n. 90.

Art. 58.
Disposizioni finanziarie



  1. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara’ inserito nella  Raccolta  ufficiale  degli  atti  normativi  della  Repubblica italiana.


E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.


Dato a Roma, addi’ 11 aprile 2006


CIAMPI


Berlusconi,  Presidente  del  Consiglio dei Ministri
Prestigiacomo,  Ministro  per  le  pari opportunita’
Baccini,   Ministro   per  la  funzione pubblica
Maroni,  Ministro  del  lavoro  e delle politiche sociali
Berlusconi,  Ministro  della salute (ad interim)
Scajola,   Ministro   delle   attivita’ produttive
Visto, il Guardasigilli: Castelli