L’introduzione della nuova procedura di esdebitazione nel diritto fallimentare italiano.
Emanuella Prascina


Il recentissimo decreto legislativo 5 del 2006, recante la riforma organica delle procedure concorsuali, introduce nell’ordinamento italiano l’istituto dell’esdebitazione, che consente all’imprenditore “meritevole ma sfortunato” di liberarsi dai debiti che residuano alla chiusura del fallimento e di riprendere la sua attività economica senza carichi pregressi (1). 
L’istituto, da tempo applicato nella legislazione statunitense e in altri ordinamenti europei, si pone come incentivo alla collaborazione del debitore sottoposto a procedura concorsuale e come meccanismo premiale che sottolinea il nuovo assetto del fallimento, sempre più connesso al profilo patrimoniale della crisi piuttosto che al profilo sanzionatorio e “infamante”, tipico della previgente disciplina.  L’imprenditore, in ossequio al principio costituzionale che tutela il lavoro, ritorna sul mercato come se non avesse subito la procedura, grazie ad una disciplina che riesce a salvaguardare la situazione di “dissesto incolpevole”.
Sebbene anche questo aspetto della riforma non sia andato esente da critiche, relative, soprattutto, al timore di un effetto “deresponsabilizzante” per l’imprenditore, non vi è dubbio che l’esdebitazione si inserisca a pieno titolo nel nuovo approccio che la scienza commercialistica da tempo ha maturato, specie in ambito fallimentare.
Se, infatti, si intende l’impresa alla maniera del Ferri, ovvero come esercizio dell’attività di impresa, e dunque si abbandona la prospettiva personalistica, cara alla vecchia dottrina civilistica e allo stesso regio decreto 267 del 42  (2),  le procedure concorsuali diventano una modalità che regola i rapporti imprenditoriali nel mercato nel caso in cui l’attività versi in una situazione di criticità.  In tale quadro, si assiste ad una scissione tra la persona che esercita l’impresa e l’impresa stessa.  È quest’ultima l’oggetto della regolazione concorsuale, con la conseguenza che un apparato sanzionatorio come quello della vecchia legge fallimentare perde il suo ruolo strumentale allo svolgimento della procedura.
In sostanza, la riforma vuole essere introdurre un intervento sull’impresa in crisi, relegando il soggetto – imprenditore in una posizione del tutto recessiva.
L’esdebitazione e il suo carattere premiale si pongono, dunque, come aspetti tipici in questa rinnovata prospettiva, unitamente all’eliminazione di tutte le norme che caratterizzavano l’impianto sanzionatorio della precedente disciplina (3)


Passando all’analisi della fattispecie, che ha sostituito il precedente capo sulla riabilitazione del fallito, la riforma ha subordinato l’accesso alla procedura di esdebitazione ad una serie di requisiti.  Anzitutto, la legge consente al solo imprenditore persona fisica di beneficiare della liberazione dai debiti post-fallimentari.  La ragione di siffatto limite risiede nel fatto che solo l’imprenditore persona fisica ha naturalisticamente la possibilità di “sopravvivere” alla liquidazione concorsuale e di recuperare il business.
Accanto a questo requisito soggettivo, si pongono diversi requisiti oggettivi previsti dal nuovo art. 142 l.fall., relativi al comportamento tenuto dall’imprenditore.  La liberazione del debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori rimasti insoddisfatti nel concorso può avvenire solo qualora egli abbia cooperato fattivamente con gli organi della procedura, fornendo le informazioni necessarie allo svolgimento della stessa, evitando ritardi nelle comunicazioni, agendo in maniera corretta nel compimento degli obblighi di legge, non avendo riportato precedenti condanne penali per reati “economici”.  È necessario, inoltre, che non abbia beneficiato di altra esdebitazione negli anni precedenti. 
Interessante sarebbe, a questo punto, cercare di applicare quest’ultimo requisito nelle procedure immediatamente successive all’emanazione del presente decreto.  Ci si chiede, cioè, se l’applicabilità di questo presupposto debba richiedere il trascorrere di un ragionevole lasso di tempo dall’entrata in vigore della riforma, che consenta all’imprenditore di trovarsi nella situazione di essere ammesso per una seconda volta all’esdebitazione, o se, in mancanza, si debba fare riferimento all’ormai abrogato istituto della riabilitazione.  In mancanza di una soluzione giurisprudenziale del quesito, si potrebbe valutare la possibilità di un’interpretazione strettamente letterale della norma.  In tal modo, anche nel caso in cui l’imprenditore fosse fallito nei dieci anni anteriori all’emanazione del decreto e fosse stato riabilitato, egli potrebbe ugualmente accedere all’esdebitazione.  Tale interpretazione sembrerebbe ammissibile, anche perché l’istituto della riabilitazione consentiva all’imprenditore di recuperare le capacità di cui era stato privato con il fallimento, concentrandosi, quindi, sul profilo personale piuttosto che su quello patrimoniale.  La differente natura dei due istituti, dunque, deporrebbe a favore di tale ricostruzione.  La riabilitazione, infatti, interviene dopo anni dalla chiusura del fallimento per ripristinare la posizione dell’imprenditore sul piano soggettivo, sebbene anch’essa concessa sulla base di requisiti di meritevolezza.  L’esdebitazione, al contrario, è un “premio” per l’imprenditore diligente ma sfortunato, che ne sana la posizione patrimoniale nei confronti dei creditori insoddisfatti e ne consente il ritorno “a testa alta” sul mercato.
La norma prosegue indicando un ulteriore limite all’accesso alla procedura, rappresentato dal mancato soddisfacimento, neppure in parte, dei creditori concorsuali.
La relazione al decreto legislativo spiega che l’effetto “sanante” della posizione del debitore si realizza nei confronti di tutti i creditori, anche qualora non si fossero insinuati al passivo.  Ciò è detto per evitare che i creditori non si insinuino al passivo, temendo l’esdebitazione.  L’art. 144, precisa, però, che per i creditori concorsuali non insinuati l’esdebitazione opera “per la sola eccedenza rispetto a quanto i creditori avrebbero avuto diritto di percepire nel concorso.”
L’esdebitazione non opera nei confronti di alcune tipologie di credito, indicate nell’art. 142, penultimo comma, ovvero:
   a) gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti non compresi nel fallimento ai sensi dell’articolo 46;
   b) i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale nonche’ le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti.
A tale elenco si deve aggiungere la previsione dell’ultimo comma, che fa salvi “i diritti vantati dai creditori nei confronti di coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso.”
La dichiarazione di esdebitazione può avvenire d’ufficio, con il decreto di chiusura del fallimento, oppure su richiesta del debitore, mediante ricorso presentato entro un anno dal fallimento.  Il tribunale verificherà la sussistenza dei presupposti per l’ammissione alla procedura e il comportamento tenuto dal fallito, poi, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, dichiara l’inesigibilità dei debiti concorsuali non soddisfatti integralmente dal debitore.  Il decreto di esdebitazione è sottoposto a reclamo ex art. 26 da parte di qualsiasi interessato.


Sebbene sia espressione del favor per l’iniziativa economica e per il lavoro dell’imprenditore, l’istituto è stato oggetto di accese critiche.  Dall’introduzione della procedura in tema, spesso si è accusato il legislatore di aver deresponsabilizzato l’imprenditore che, ormai alleggerito dagli aspetti sanzionatori del fallimento e liberato dal rischio di aggressioni successive al fallimento da parte dei creditori insoddisfatti, si troverebbe ad agire indiscriminatamente nel mercato, con inevitabili danni per l’economia in genere e per la certezza e la serietà dei traffici commerciali.
Le obiezioni non convincono perché sembrano tutte mosse dalla vecchia concezione del diritto commerciale, cui si faceva riferimento in apertura.  Oggetto della procedura è l’impresa intesa come entità economica.  Sanzionare l’imprenditore e perseverare in un’ottica inutilmente affittiva non produce alcun effetto ai fini del buon esito della procedura.  Il meccanismo dell’esdebitazione mira, al contrario, ad incentivare “l’emersione della crisi e la correttezza comportamentale”  (4) e a consentire un ritorno in attività del fallito che, in molti casi, non è responsabile del dissesto dell’impresa.
Il limite, piuttosto, deve consistere nell’attenta analisi dei parametri di concessione del beneficio, affinché l’esdebitazione possa diffondersi in maniera sì capillare, ma non indiscriminata.
Sarà, poi, l’applicazione pratica e l’indispensabile limatura giurisprudenziale a fare dell’istituto recentemente introdotto uno strumento di incentivo e di tutela dell’attività d’impresa, che resterà comunque sottoposta al suo fisiologico rischio, ovvero quello della perdita del capitale investito (5), ma che non coinvolgerà nel suo dissesto – ove ciò fosse possibile in base ai requisiti indicati – l’imprenditore.


-Dott.ssa Emanuella Prascina-


Note.



  1. Si riporta il testo degli articoli oggetto di esame.


    • Capo IX
      Della esdebitazione
      Art. 142 (Esdebitazione).
      – Il fallito persona fisica e’ ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti a condizione che:
      1) abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni;
      2) non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura;
      3) non abbia violato le disposizioni di cui all’articolo 48;
      4) non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta;
      5) non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito;
      6) non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione. Se e’ in corso il procedimento penale per uno di tali reati, il tribunale sospende il procedimento fino all’esito di quello penale.
      L’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali.
      Restano esclusi dall’esdebitazione:
      c) gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti non compresi nel fallimento ai sensi dell’articolo 46;
      d) i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale nonche’ le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti.
      Sono salvi i diritti vantati dai creditori nei confronti di coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso.
      Art. 143 (Procedimento di esdebitazione). – Il tribunale, con il decreto di chiusura del fallimento o su ricorso del debitore presentato entro l’anno successivo, verificate le condizioni di cui all’articolo 142 e tenuto altresì conto dei comportamenti collaborativi del medesimo, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dichiara inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente.
      Contro il decreto che provvede sul ricorso, il debitore, i creditori non integralmente soddisfatti, il pubblico ministero e qualunque interessato possono proporre reclamo a norma dell’articolo 26.
      Art. 144 (Esdebitazione per i crediti concorsuali non concorrenti). – Il decreto di accoglimento della domanda di esdebitazione produce effetti anche nei confronti dei creditori anteriori alla apertura della procedura di liquidazione che non hanno presentato la domanda di ammissione al passivo; in tale caso, l’esdebitazione opera per la sola eccedenza rispetto a quanto i creditori avrebbero avuto diritto di percepire nel concorso.».

  2. Il vecchio impianto della legge fallimentare, infatti, articolava la disciplina sulla persona dell’imprenditore, sia come attore della procedura sia – e soprattutto – come “vittima”, attesa la massiccia presenza di sanzioni personali per il fallito che la riforma ha eliminato.

  3. La riforma ha completamente rinnovato la disciplina delle conseguenze personali del fallimento, in particolare per quanto riguarda la corrispondenza diretta al fallito, l’obbligo di residenza, il pubblico registro dei falliti e le incapacità connesse alla procedura.

  4. Così si legge in un articolo di Civinini, Marini, Menditto, Salmè e Salvi, Parere sulla riforma del diritto fallimentare.  Disponibile sul sito internet www.magistraturademocratica.it

  5. MICOSSI S., Fallimento: una legge sulla strada giusta.  Disponibile sul sito internet www.lkv.it