Potestà genitoriale, obblighi vaccinali
Le pronunce in epigrafe, nell’affrontare un tema di grande interesse, quello cioè della potestà genitoria in relazione all’obbligo delle vaccinazioni, si segnalano all’attenzione del lettore poiché offrono certamente lo spunto per una riflessione, riteniamo doverosa, su una problematica vasta, estremamente attuale e dai contorni talvolta drammatici più volte oggetto di accesi dibattiti sia in campo giuridico − dottrinale e giurisprudenziale − sia in quell’altro più propriamente della scienza medica.
I relativi giudizi traggono origine dal duplice reclamo proposto contro i provvedimenti del Tribunale per i minori di Bari, che avevano prescritto ai reclamanti di sottoporre entrambi i loro figli minori alle vaccinazioni obbligatorie, avendo lo stesso ritenuto immotivata l’opposizione dei genitori all’osservanza di tali obblighi di legge, quindi pregiudizievole nei confronti della prole e, come tale, rimediabile dal giudice minorile ai sensi degli artt. 333 e 336 c.c.
Nella specie, si trattava di ragioni, quelle addotte dai genitori a sostegno dell’opposto rifiuto e poste a base del successivo reclamo, di carattere esclusivamente medico-scientifico, avendo questi segnalato, dapprima all’Autorità sanitaria locale e poi in sede giudiziaria, la possibilità concreta dell’insorgenza di danni alla salute dei loro bambini conseguentemente alla somministrazione delle vaccinazioni cui gli stessi avrebbero dovuto sottoporsi, in stretta dipendenza di alcune controindicazioni ai suddetti trattamenti, documentalmente dedotte, e già esistenti nell’ambito della famiglia di appartenenza; circostanze, ad avviso dei reclamanti, tali da costituire serie situazioni di rischio che, per la loro evidenza, imponevano necessariamente la previa effettuazione di specifici accertamenti sanitari volti ad escludere, appunto, eventuali incompatibilità.
L’adìta Corte d’appello, pur riconoscendo la sinteticità delle motivazioni poste a base delle due decisioni del giudice di prime cure, ha tuttavia rigettato con argomentazioni affini ambedue i reclami, ritenendo non dimostrata la dedotta incompatibilità dei minori con le previste vaccinazioni obbligatorie.
Va subito premesso che quella trattata dai giudici baresi costituisce una questione particolarmente complessa e delicata, ed una conferma in tal senso si rinviene nella numerosa serie di pronunce della Corte costituzionale chiamata ad occuparsi, sotto molteplici profili, della materia suddetta; decisioni che, nel confermare innanzitutto la legittimità costituzionale − più volte messa in discussione − delle leggi impositive degli anzidetti obblighi vaccinali, hanno consentito quindi di superare definitivamente i dubbi di volta in volta sollevati da parte dei giudici di merito circa la compatibilità, appunto, dei trattamenti sanitari obbligatori con il precetto costituzionale del diritto alla salute sancito dall’art. 32 Cost.
In materia di interpretazione del predetto art. 32, la Consulta ha, infatti, osservato che tale norma postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo con il coesistente e reciproco diritto di ciascun individuo (1) e con la salute della collettività (2), nonché, nel caso particolare delle vaccinazioni obbligatorie, “con l’interesse del bambino” che esige “tutela anche nei confronti dei genitori che non adempiono ai compiti inerenti alla cura del minore” (3).
Il Giudice costituzionale, inoltre, con la pronuncia 23 giugno 1994, n. 258 (4), nel richiamare espressamente la propria precedente sentenza n. 307/90, ha chiarito che le leggi 6 giugno 1939, n. 891, 5 marzo 1963, n. 292, modificata con L. 20 marzo 1968, n. 419, 4 febbraio 1966, n. 51 e 27 maggio 1991, n. 165, non contrastano con l’art. 32 Cost., purché “il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; vi sia la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili; sia prevista, nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio − ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica − comunque la corresponsione di un equo indennizzo in favore del danneggiato”.
In seguito alla summenzionata sentenza n. 307 del 1990 con cui la Corte costituzionale giungeva alla declaratoria di incostituzionalità della L. 51 del 1966 sull’obbligatorietà della vaccinazione antipoliomelitica, nella parte in cui non prevedeva a carico dello Stato un’equa indennità per il danno derivante da contagio o da altra apprezzabile malattia causalmente riconducibile alla vaccinazione, è intervenuto il legislatore con la L. 25 febbraio 1992, n. 210, recante espressamente la disciplina dell’indennizzo in favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati.
La Consulta ha dunque enunciato, nelle decisioni suindicate, il principio cardine per cui un trattamento sanitario può legittimamente essere imposto, ai sensi dell’art. 32 Cost., solo se sussistono contemporaneamente l’esigenza di tutelare la salute della collettività e quella di tutelare la salute del singolo, chiarendo altresì che un corretto bilanciamento fra la dimensione individuale e collettiva del valore della salute − e lo spirito di solidarietà reciproca fra individuo e collettività che è alla base dell’imposizione del trattamento sanitario − implica il riconoscimento di un equo ristoro in favore di chi − obbligato a sottoporsi ad un trattamento sanitario che importi un rischio specifico, o prestando la relativa assistenza − subisca, per l’avverarsi del rischio, un danno ulteriore rispetto alle conseguenze normalmente proprie (e quindi tollerabili) di ogni intervento sanitario.
Un ristoro, quest’ultimo, dovuto per il semplice fatto obiettivo e incolpevole dell’aver subìto un pregiudizio non evitabile, in un’occasione dalla quale la collettività nel suo complesso trae un beneficio, e che deriva, quindi, dall’inderogabile dovere di solidarietà che, in questi casi, incombe sulla collettività stessa e, per essa, sullo Stato.
Parallelamente a tale tutela risarcitoria, ha infine stabilito il Giudice delle leggi, si pone quell’altra di natura aquilianaex art. 2043 c.c., la quale prescinde dalla ricorrenza di un danno patrimoniale quando la lesione incida, come nella fattispecie in esame, sul contenuto di un diritto fondamentale, e trova applicazione in caso di un comportamento colpevole e, cioè, tutte le volte che le concrete forme di attuazione della legge impositiva del trattamento o di esecuzione materiale di esso non siano accompagnate dalle cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l’arte prescrivono in relazione alla sua natura (5).
Lo stesso Giudice costituzionale è successivamente intervenuto con la pronuncia 18 aprile 1996, n. 118 (6) dichiarando l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 32 Cost. e per contrasto con la sentenza n. 307 del 90, degli artt. 2, 2° comma, e 3, 7° comma, L. 25 febbraio 1992, n. 210, nella parte in cui escludevano, per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell’evento prima dell’entrata in vigore della predetta legge e l’ottenimento della prestazione determinata a norma della stessa, il diritto (fuori delle ipotesi dell’art. 2043 c.c.) a un equo indennizzo a carico dello Stato per le menomazioni riportate a causa di vaccinazione obbligatoria antipoliomelitica da quanti vi si fossero sottoposti e da quanti avessero prestato ai primi assistenza personale diretta (7).
Inoltre, con sentenza 26 febbraio 1998, n. 27 (8), la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 2 e 32 Cost., dell’art. 1, 1° comma, L. 210 del 1992, nella parte in cui non prevedeva il diritto all’indennizzo, alle condizioni ivi stabilite, di coloro che si fossero sottoposti a vaccinazione antipoliomelitica nel periodo in cui era in vigore la L. 30 luglio 1959, n. 695 (Provvedimenti per rendere integrale la vaccinazione antipoliomielitica), cioè quando la vaccinazione, benché incentivata, non era ancora obbligatoria.
Ancora con riferimento alla L. 210 del 1992, va segnalata di recente, tra le altre, Corte cost. 16 ottobre 2000, n. 423 (9), che ha dichiarato: a) l’incostituzionalità, per contrasto con gli artt. 2, 3, 1° comma, e 32 Cost., dell’art. 1, 1° comma, della anzidetta legge, nella parte in cui non prevedeva il diritto all’indennizzo, alle condizioni ivi stabilite, di coloro che si fossero sottoposti a vaccinazione antiepatite B, a partire dall’anno 1983; b) la non fondatezza, in riferimento agli artt. 2 e 38 Cost., della questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3° comma, e 2, 1° e 2° comma, della stessa legge, nella parte in cui, nel quantificare l’indennizzo dovuto a coloro che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali, non prevedono la liquidazione, sia pure in misura ridotta, del danno biologico subito a seguito di emotrasfusione; c) la non fondatezza, in riferimento agli art. 3 e 32 Cost., della questione di legittimità costituzionale degli art. 1 e 2, L. 210 del 1992 (come integrati dall’art. 1, 2° comma, L. 25 luglio 1997, n. 238), nella parte in cui escludono i soggetti che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali dal diritto all’assegno una tantum per il periodo compreso tra il manifestarsi dell’evento dannoso e l’ottenimento dell’indennizzo previsto dalla legge (10).
Per concludere questa nostra rapida ricostruzione della più rilevante giurisprudenza costituzionale in tema di danno alla salute derivante da vaccinazioni obbligatorie, si accenna, infine, che ancor più di recente la Corte è tornata nuovamente a pronunciarsi, con sentenza 6 marzo 2002, n. 38 (11), sulla questione di costituzionalità, sollevata dal Tribunale di Camerino con ordinanza 8 maggio 2000, degli artt. 2, 7° comma, e 4, 4° comma, della ridetta L. 25 febbraio 1992, n. 210, come integrata dall’art. 1, 2° comma, della L. 25 luglio 1997, n. 238 (Modifiche ed integrazioni alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in materia di indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati), in relazione agli artt. 2, 3 e 32 della Cost., nella parte in cui non prevedono che ai danneggiati in modo gravissimo da vaccinazione antipolio sia corrisposto anche l’assegno di “superinvalidità” previsto in favore degli invalidi per cause belliche o di servizio connesso alla guerra e di cui alla tabella E allegata al d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834 (Definitivo riordinamento delle pensioni di guerra, in attuazione della delega prevista dall’art. 1 della L. 23 settembre 1981, n. 533); nonché nella parte in cui non consentono, nel caso di danno alla salute derivante da vaccinazione obbligatoria antipolio, alla competente commissione medica ospedaliera di applicare al danneggiato la medesima tabella E.
La Consulta, nel dichiarare infondata la suddetta questione, ha respinto la tesi sostenuta dal tribunale rimettente della disparità trattamentale tra le due situazioni richiamate, rimarcando al contempo l’eterogeneità dei sistemi normativi messi a confronto, e la evidente erroneità delle argomentazioni svolte a sostegno dallo stesso giudice a quo secondo cui, in ragione della centralità del diritto individuale alla salute nella materia in esame, non sarebbero rilevanti le cause del danno inferto alla salute e la loro incidenza statistica, ma unicamente l’entità del danno subìto, talché a parità di pregiudizio, pari dovrebbe essere l’intervento indennitario dello Stato a favore del danneggiato.
Ragionando in tali termini e, cioè, dando rilievo solo all’effetto e non alle possibili cause, ha argomentato la Corte, da un lato si giungerebbe addirittura a concludere − ben al di là della estensione di un singolo aspetto di una disciplina a un’altra − per la necessità sul piano costituzionale di un’unica disciplina di “risarcimento solidale” del danno alla salute da parte della collettività, quale che sia la ragione che chiama in causa anche un interesse collettivo che ha determinato la necessaria esposizione a rischio della salute individuale; dall’altro si trascurerebbe di considerare che l’intervento pubblico in questione deriva, dal punto di vista costituzionale, da un obbligo dello Stato non strettamente commisurato al danno subìto, un obbligo cioè di solidarietà sociale nei confronti di coloro che hanno esposto la loro salute a un rischio, nell’interesse non solo loro proprio, ma anche dell’intera collettività.
Trattasi, quindi, ha concluso la Consulta, non di un risarcimento dovuto per la lesione di un diritto, nel qual caso non avrebbero spiegato rilevanza alcuna, ai fini della determinazione quantitativa del risarcimento, le cause della lesione, bensì dell’adempimento di un dovere di solidarietà, tale per cui è naturale che il legislatore possa intervenire traducendo in norma detto dovere, a seconda dei casi, in maniera e misura variabile in rapporto alle circostanze in cui il danno alla salute si è determinato e, quindi, con misure indennitarie differenti le une dalle altre.
Tornando alla disciplina apprestata dalle leggi impositive degli obblighi vaccinali, la questione di legittimità costituzionale che, invece, maggiormente rileva ai fini della problematica che ci occupa è quella che ha interessato in particolare la L. 51 del 1966 e sollevata dalla Sezione Minorenni della Corte d’Appello di Trento, in relazione agli artt. 32 (diritto alla salute) e 34 (diritto all’istruzione) Cost. nella parte in cui detta legge prevede, in caso di mancato adempimento dell’obbligo di vaccinazione da parte dei genitori, come unica sanzione la pena pecuniaria, non disponendo, invece, la coercibilità del trattamento sanitario obbligatorio.
La Corte costituzionale, con la nota pronuncia 27 marzo 1992, n. 132, ha dichiarato l’infondatezza della suddetta questione, affermando che la previsione di sanzioni amministrative, nel caso di inadempimento degli obblighi vaccinali da parte dei genitori, non preclude al giudice di intervenire ex artt. 333 e 336 c.c., adottando provvedimenti che assicurino la vaccinazione, in sostituzione di chi non adempie, tenuto conto che gli interventi previsti da tali norme non hanno natura sanzionatoria e non potendosi, quindi, richiamare il principio di specialità.
La decisione della Consulta ha rimarcato, altresì, l’inconferenza del richiamo fatto dal giudice a quo all’art. 13 Cost., non configurandosi la vaccinazione o qualunque altro trattamento sanitario attuato nei confronti del bambino non ancora capace di intendere e volere, quale trattamento coattivo né quando sia attuata dai genitori o su loro richiesta, né quando sia disposta, in loro sostituzione ed anche contro la loro volontà, dal giudice.
Né, peraltro, ha infine osservato il Giudice delle leggi, è ravvisabile in tali ultime ipotesi, una restrizione della libertà personale dei genitori stessi, essendo la potestà genitoriale nei confronti dei figli costituzionalmente riconosciuta non come loro libertà personale, ma come diritto-dovere che trova nell’interesse di questi la sua ratio ed il suo limite e, quindi, superabile, ove si ponga in modo pregiudizievole verso gli stessi, attraverso l’intervento ablativo o limitativo dell’autorità giudiziaria.
A tale insegnamento si è allineata la giurisprudenza pressoché maggioritaria di merito, la quale ha più volte ribadito la legittimità dell’intervento del Tribunale dei minori, volto ad affievolire l’esercizio della potestà genitoria (limitatamente alla questione delle vaccinazioni) in tutte quelle ipotesi di immotivato e pregiudizievole rifiuto da parte dei genitori di sottoporre i propri figli ai suddetti trattamenti.
In particolare è stato affermato che “il d.l. 8 marzo 1994, n. 164 ha fatto venir meno la possibilità della coercizione fisica per somministrare al minore la vaccinazione obbligatoria, ma non ha abolito l’obbligatorietà della stessa, che è confermata dall’operatività delle sanzioni previste a carico dei soggetti tenuti a provvedere a che i minori siano vaccinati e dalla responsabilità dei medesimi per ogni effetto dannoso subito dal minore o dai terzi in caso di evasione dell’obbligo; l’obbligo di provvedere tempestivamente alla vaccinazione imposta nell’interesse privato e pubblico costituisce, peraltro, una specificazione dei diritti/doveri parentali ex art. 30 Cost. e 147 c.c.” (12).
Si è rilevato, quindi, come sia proprio la sussistenza di un pregiudizio per il minore a fondare e giustificare il provvedimento di cui all’art. 333 c.c. con il quale si riconosce, nel caso concreto, la illegittimità del comportamento dei genitori compromettente nei fatti, anche al di là delle buone intenzioni, l’interesse del figlio ad essere immunizzato (13).
Per quanto concerne ora i casi esaminati dai decreti in rassegna, va innanzitutto rilevato che tali decisioni si pongono sostanzialmente in sintonia con il citato indirizzo della Corte costituzionale del ’92, ammettendo anch’esse l’applicabilità alla fattispeciede qua loquitur degli artt. 333 e 336 c.c.
I giudici baresi, inoltre, a sostegno delle proprie conclusioni, richiamano, aderendovi, i principi enunciati dalla Suprema Corte espressasi in materia, ed in particolare Cass. 8 febbraio 1994, n. 1265 (14) e Cass. 4 marzo 1996, n. 1653 (15), constatando come dette pronunce abbiano tassativamente ritenuto condizione necessaria ed idonea a giustificare l’opposizione da parte dei genitori alle vaccinazioni obbligatorie del figlio, la dedotta esistenza nel caso specifico di un pericolo per la salute del minore stesso eziologicamente collegato all’effettuazione delle predette vaccinazioni, in dipendenza di una particolare situazione sanitaria del soggetto.
Al riguardo, va puntualizzato che la Corte di legittimità, lungi dall’esaminare le concrete questioni di merito sottese ai ricorsi di volta in volta proposti dinanzi ad essa, ha, in realtà, soltanto ribadito a più riprese un principio interpretativo ormai consolidato e dalla stessa già in precedenza affermato, secondo il quale i provvedimenti modificativi, ablativi o restitutivi della potestà dei genitori, emessi dalla Corte d’appello su reclamo contro i decreti pronunciati dal giudice minorile a norma dell’art. 333 c.c., chiudono un procedimento di volontaria giurisdizione, non contenziosa, e sono insuscettibili di acquistare autorità di giudicato, in quanto sempre astrattamente modificabili e revocabili, ai sensi del citato articolo, ultimo comma, a tutela e nell’interesse del minore; detti provvedimenti, ha chiarito la S.C., non avendo carattere decisorio, non sono ricorribili per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost (16).
Si impone, invece, in maniera più pregnante ed al di là dei principi generali sanciti in materia dai giudici di Cassazione, una considerazione di fondo che non può, a nostro avviso, essere trascurata, e cioè che, se da una parte è pacifico che il giudice minorile possa legittimamente intervenire ai sensi degli artt. 333 e 336 c.c., in tema di vaccinazioni obbligatorie, per adottare i provvedimenti che ritenga più convenienti nell’interesse del minore, è altrettanto vero, dall’altra, che un momento sicuramente importante, oltre che delicato, nell’ambito del procedimento di volontaria giurisdizione venutosi ad instaurare, è costituito dalla verifica della sussistenza o meno delle ragioni concrete che giustifichino, nel caso specifico, l’opposizione dei genitori agli obblighi vaccinali del proprio figlio.
Intendiamo, in sostanza, porre l’accento sulla necessità di discernere nettamente le ipotesi − come, a ben vedere, la gran parte di quelle giunte sino all’esame della Suprema Corte − in cui ci si limiti da parte dei genitori, nell’opporsi ai suddetti trattamenti, ad eccepire esclusivamente l’assenza e la mancata prova dell’effettività di un pregiudizio che possa il minore subìre per effetto della condotta omissiva degli stessi, o comunque ci si limiti genericamente ad esprimere la convinzione di una astratta e potenziale dannosità delle vaccinazioni obbligatorie, da quelle altre ipotesi in cui, invece, il rifiuto sia motivato dalla dedotta esistenza di specifici rischi di danni alla salute del minore che possano derivare dalla sottoposizione alle anzidette vaccinazioni, in dipendenza di un particolare stato immunitario proprio di quest’ultimo o, comunque, della esistenza acclarata nell’ambito della famiglia di provenienza di patologie gravi a tal punto da far insorgere il sospetto anche minimo, ma pur sempre legittimo, della pericolosità nel caso concreto di tali trattamenti preventivi.
Orbene, a parere di chi scrive, in questo secondo caso, considerata l’estrema delicatezza ed importanza della materia in oggetto e con la quale l’autorità giudiziaria si trova ad avere a che fare, prima di giungere alla definitiva conclusione che una condotta omissiva o ricalcitrante da parte dei genitori sia senz’altro da reputarsi pregiudizievole per il minore, sarebbe opportuno, se non doveroso, accertare la reale fondatezza o meno delle motivazioni addotte da questi a sostegno del loro rifiuto, al fine appunto di scongiurare con certezza la possibilità di un pericolo attuale o futuro per la salute del soggetto in conseguenza della somministrazione delle prescritte vaccinazioni obbligatorie.
Quanto sin qui affermato trova, del resto, una visibile rispondenza nelle argomentazioni più attente di alcuni dei giudici di merito che più volte sono stati chiamati a dirimere i contrasti, dai toni talvolta molto aspri, insorti tra le autorità sanitarie da una parte ed i genitori dissenzienti dall’altra.
Se, infatti, più volte in giurisprudenza si è ribadita la necessità, da noi assolutamente condivisa, che, in presenza di un rifiuto da parte dei genitori di ottemperare agli obblighi vaccinali, tale opposizione, perché possa essere presa nella giusta considerazione, sia supportata da concrete controindicazioni al trattamento sanitario previsto dalla legge che siano specificamente documentate, non va tuttavia trascurato il rilievo, che a ben vedere emerge dalle pronunce degli stessi giudici aditi, attribuito alla opportunità della previa effettuazione, da parte delle autorità sanitarie competenti, di specifici accertamenti medici, finalizzati appunto a riscontrare, nel caso specifico, la presenza o meno di eventuali cause ostative alle suddette vaccinazioni e, quindi, ad escludere il pericolo di seri danni alla salute conseguenti alla loro somministrazione.
In tal senso si è pronunciata, ad esempio, App. Perugia 13 dicembre 1996 (17), che ha sottolineato la circostanza che “l’eventualità, prospettata dai genitori, che le vaccinazioni cui il minore deve essere sottoposto rischino di provocare seri danni alla salute di quest’ultimo, deve essere accertata dalle autorità sanitarie competenti”; ha chiarito, ancora, tale giudice di merito che “in mancanza di un siffatto accertamento si deve ritenere insussistente qualsivoglia comportamento pregiudizievole dei genitori che si rifiutino si sottoporre il figlio minore alle vaccinazioni obbligatorie”.
Si tratta di un indirizzo, in realtà, già tracciato in precedenza da parte della stessa giurisprudenza di merito ed, in particolare, da App. Venezia 26 ottobre 1992 (18), ove si fa soltanto obbligo ai genitori esercenti la potestà parentale di presentare il proprio figlio minore alle autorità sanitarie per gli accertamenti immunologici, richiesti dalla particolarità del caso, al fine dell’eventuale assoggettamento del medesimo alla vaccinazione obbligatoria.
A suffragare ulteriormente l’assunto da noi sin qui sostenuto, vale la circostanza che la Corte veneziana, nella fattispecie ad essa sottoposta, nonostante la stessa consulenza medica prodotta dai coniugi nel giudizio di primo grado si fosse rivelata sfavorevole ad essi, avendo riconosciuto la mancanza di elementi idonei a dimostrare l’invocato nesso di causalità tra le vaccinazioni e le segnalate patologie di alcuni loro congiunti, ha tuttavia, pur nella conferma del decreto di prime cure, disposto che, ai fini della verifica della mancanza di eventuali incompatibilità o di cause che consigliassero la procrastinazione delle vaccinazioni o la loro effettuazione con metodiche particolari, fosse anche eseguita una indagine immunologica completa specificamente finalizzata ad accertare la normale reattività della minore.
Condividendo il ragionamento seguito dalle Corti di merito suindicate, riteniamo prudente e doveroso nell’interesse del minore stesso che l’autorità giudiziaria adìta, di fronte ad un rifiuto dei genitori di ottemperare agli obblighi vaccinali di legge, il quale non sia aprioristicamente ed immotivatamente manifestato o non si fondi semplicemente su mere argomentazioni ideologiche, quali il rifiuto generale della medicina ufficiale o, ancora, l’astratta convinzione che un regime di vita “naturale” abbia sufficienti capacità preventive, provveda alla individuazione degli specifici accertamenti medici preventivi che, nel caso concreto, si rendano necessari al fine di verificare la presenza di eventuali incompatibilità del soggetto con le prescritte vaccinazioni, tali per cui sia senz’altro da escludersi la sottoposizione a detti trattamenti obbligatori o ne sia comunque consigliabile una somministrazione con tempi e modalità particolari.
Quanto precede ci induce, pertanto, a dissentire dall’iter argomentativo seguito dalla Corte barese per pervenire alla conclusione della conferma del provvedimento di primo grado, il quale aveva prescritto ai genitori reclamanti di sottoporre la figlia minore alle vaccinazioni per legge obbligatorie, limitandosi soltanto ad impegnare il Servizio Sociale alla segnalazione di eventuali comportamenti pregiudizievoli per la minore stessa.
Nel caso di specie, i coniugi lamentavano la violazione da parte della AUSL competente degli obblighi di informazione di cui alla L. 210 del 1992 (19), avendo essi invano cercato di ottenere notizie corrette sull’uso dei vaccini, sui possibili rischi e complicanze, nonché richiesto l’effettuazione da parte degli uffici sanitari competenti di test prevaccinali sulla minore che accertassero eventuali incompatibilità.
La Corte adìta, a fronte di una copiosa documentazione scientifica prodotta in giudizio dai reclamanti ed attestante una notevole serie di rischi correlati alle prescritte vaccinazioni e, soprattutto, a fronte della segnalazione di alcune specifiche patologie, anch’esse documentate, da cui erano affetti alcuni loro congiunti e costituenti possibili controindicazioni ai suddetti trattamenti sanitari, come tali, fonte di specifici rischi per la salute della stessa minore, ha rigettato il proposto duplice reclamo, ritenendo non sufficientemente provata da parte dei genitori la soggettiva incompatibilità con le vaccinazioni predette, né ravvisando la necessità, nella specie, della previa effettuazione di tests medici preliminari, non essendo questi, peraltro, neppure previsti dalla normativa in materia.
Non appare, per la verità, convincente né particolarmente rassicurante, il richiamo fatto dai giudici d’appello nella seconda e più recente pronuncia al “rapporto costi-benefici” di tali trattamenti sanitari obbligatori che, stando alla relazione prodotta dai responsabili dell’ufficio vaccinazioni e del servizio igiene e sanità pubblica, evidenzierebbe una preminenza dei benefici nella prevenzione di gravi malattie infettive rispetto, invece, al numero “statisticamente” basso degli eventi collaterali secondari pur descritti e segnalati nella letteratura scientifica ricollegabili alla esecuzione dei suddetti trattamenti, e tale da non poter inficiare, a detta dei giudicanti, la sicurezza ed efficacia delle vaccinazioni stesse.
5. L’importante monito espresso dal Giudice delle leggi nella sentenza 23 giugno 1994, n. 258.
A tal proposito, ci sembra non irrilevante rammentare ancora la già citata sentenza della Corte costituzionale, pur dagli stessi giudici baresi menzionata nel decreto in commento, e cioè la n. 258 del 23 giugno 1994.
Se è vero che la suddetta sentenza ha dichiarato inammissibile, implicando scelte discrezionali riservate al legislatore, la questione di costituzionalità delle leggi impositive dei trattamenti sanitari obbligatori, nella parte in cui non prevedono accertamenti preventivi volti alla verifica della sussistenza di eventuali controindicazioni alla vaccinazione, nonché alla specificazione dei tipi di accertamenti che debbono a tal fine compiersi, in riferimento all’art. 32 Cost., è altrettanto vero e significativo che essa contiene un esplicito richiamo dell’attenzione del legislatore sul problema de quo, “affinché, ferma la obbligatorietà generalizzata delle vaccinazioni ritenute necessarie alla luce delle conoscenze mediche, siano individuati e siano prescritti in termini normativi, specifici e puntuali, ma sempre entro limiti di compatibilità con le sottolineate esigenze di generalizzata vaccinazione, gli accertamenti preventivi idonei a prevedere ed a prevenire i possibili rischi di complicanze”.
Soffermandoci brevemente sulla predetta questione di costituzionalità, giova precisare per una maggiore completezza espositiva e, soprattutto, ai fini di una più compiuta ricostruzione dei termini esatti della stessa questione, che nella specie, nel denunciare in particolare la L. 27 maggio 1991, n. 165 (sull'”obbligatorietà della vaccinazione contro l’epatite virale B”), era stata lamentata, da parte del Pretore di Bassano del Grappa con ordinanza dell’11 gennaio 1994 (20), la mancata previsione in essa di accertamenti diagnostici preventivi idonei ad individuare possibili controindicazioni alla somministrazione di vaccini e, quindi, idonei, se non ad eliminare, comunque a ridurre il rischio di complicanze concretantesi in menomazioni dell’integrità psico-fisica.
In ragione di tale lacuna il Giudice di merito sosteneva, pertanto, un contrasto della suddetta normativa, oltreché delle altre leggi impositive di obblighi vaccinali anch’esse ritenute carenti, con il precetto costituzionale dell’art. 32 sotto il profilo della violazione:
a) della riserva sia pur relativa di legge di cui al 2° comma di tale norma e che imporrebbe necessariamente “in una materia così delicata come quella in questione, in cui è in gioco il diritto primario ed assoluto alla salute”, la previsione appunto dell’esecuzione di tests diagnostici preventivi, tanto più ove si consideri che, “in assenza di qualsiasi direttiva e specificazione sul punto, la discrezionalità dell’autorità sanitaria, sul se procedere all’accertamento di eventuali controindicazioni e sulla scelta di accertamento da compiersi, non appare in alcun modo circoscritta, come è necessario allorquando si verte in tema di diritti fondamentali della persona costituzionalmente protetti”;
b) del diritto alla salute del soggetto passivo, inteso, quindi nella sua dimensione individuale, nonché del principio del rispetto della persona umana sancito nel secondo comma del citata norma costituzionale, il quale implicherebbe l’attuazione delle vaccinazioni obbligatorie, per quanto possibile, attraverso la ricerca del consenso e della partecipazione sia del minore tenuto a sottoporvisi sia dei genitori del medesimo, e nella cui direzione, ad avviso del Pretore, assumerebbe un ruolo essenziale (in aggiunta ad una corretta informazione sulle vaccinazioni ed il loro rischi) la esecuzione degli anzidetti accertamenti diagnostici preventivi.
Richiamando i principi espressi dalla Corte costituzionale con la già citata sentenza n. 307 del 1990, osservava, ancora, il Giudice di merito nella stessa ordinanza, che il rilievo costituzionale della salute inteso come interesse della collettività, non potesse reputarsi da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria, sì esigendo tale rilievo che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, con conseguente compressione della propria autodeterminazione, ad un dato trattamento sanitario, anche se implicante un rischio specifico, ma non postulando il medesimo il sacrificio della salute del singolo per la tutela di quella degli altri.
Ancora in argomento, occorre tuttavia ricordare che si registra già in precedenza un provvedimento della Corte d’Appello di Torino (decr. 3 ottobre 1992 (21)) − menzionato dai giudici baresi nella decisione in rassegna − la quale, conformemente alle conclusioni cui è successivamente pervenuta la Consulta nella sentenza poc’anzi richiamata, si è pronunciata nel senso della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, con riguardo agli artt. 3 e 32 Cost., della L. 180/1978, nella parte in cui non prevede l’obbligatorietà di indagini preventive sul soggetto vaccinando, al fine di evitare incidenti vaccinali o, comunque, rischi per la salute.
In senso nettamente opposto all’opinione espressa dal Pretore di Bassano del Grappa nella succitata ordinanza, il quale aveva altresì evidenziato come “una tutela meramente risarcitoria del diritto alla salute non potesse ancora reputarsi sufficiente”, atteso il “carattere assoluto, prioritario e non monetizzabile della situazione in esame”, e che imponeva quindi la necessità di assicurare un’effettiva ed efficace tutela da ricercare inevitabilmente in strumenti di tipo preventivo, tale Corte sostiene, invece, che “per quanto concerne il rischio in sé derivante dalle vaccinazioni, esso non sia eliminabile a priori, come non lo è in rapporto a qualsiasi intervento medico, poiché in ordine ai suddetti trattamenti mancherebbero tests specifici in grado di fornire dati sicuri”, con la conseguenza della impraticabilità di un accertamento preventivo delle possibili reazioni del soggetto.
Ciononostante, ci sembra che effetti confortanti dell’importante monito espresso dal Giudice delle leggi nella sentenza del 1994 siano a ben vedere intravedibili nella giurisprudenza di merito più recente, in particolare in un’inedita pronuncia (App. Ancona 16 aprile 1998) che, sebbene disattenda il principio fondamentale sancito in materia dalla Consulta del 1992, ritenendo che la mancanza di coercibilità per legge delle vaccinazioni obbligatorie impedisca l’intervento dell’autorità giudiziaria minorile, sostiene, a nostro avviso efficacemente, la necessità, ancor prima che il comportamento omissivo dei genitori opponenti sia giudicato pregiudizievole degli interessi della prole, quantomeno dell’espletamento di una consulenza tecnica volta ad accertare non solo che le vaccinazioni siano gli unici mezzi necessari ed appropriati per escludere l’insorgenza di malattie, ma che esse non abbiano alcuna possibilità di arrecare un pericolo attuale e futuro al vaccinando.
Osserva ancora tale Corte d’appello che, in considerazione delle complessità e delle difficoltà che caratterizzano una materia così delicata come quella di specie, troppo semplicistica sarebbe la soluzione di imporre le vaccinazioni obbligatorie “delegando la USL a provvedervi previa una generica verifica di eventuali incompatibilità alla stregua della regola dell’arte medica e delle circolari in materia” (22).
Sulla medesima scia di tale linea di pensiero, a nostro parere caratterizzata da una maggiore attenzione e rivalutazione del diritto alla salute inteso soprattutto come fondamentale diritto del singolo, pare collocarsi un successivo intervento, nella materia de qua, ancora una volta da parte di un giudice di merito; si tratta di Pret. Brescia 29 marzo 1999 (23) (data delib.) che, nel decidere in ordine ad un’opposizione − nella specie accolta − proposta dai genitori avverso la sanzione amministrativa comminata loro dall’autorità sanitaria locale per la mancata vaccinazione del proprio figlio, svolge in motivazione alcune utili considerazioni sul tema del diritto alla salute in relazione all’obbligo delle vaccinazioni.
Non di scarso rilievo è, infatti, l’attenzione esplicitamente rivolta da parte di tale giudice di merito al monito espresso dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 258 del 1994, nonché la menzione di alcuni dei più importanti studi scientifici eseguiti in materia, in ambito sia nazionale che internazionale, e che hanno affrontato la questione dei danni e degli effetti negativi, a medio e lungo termine, conseguenti alla somministrazione delle vaccinazioni, rimarcando l’opportunità della previa effettuazione di specifici e completi accertamenti sul soggetto vaccinando.
L’anzidetto provvedimento sottolinea, inoltre, la necessità che il personale sanitario, prima di effettuare una vaccinazione, esamini lo stato di salute generale del bambino, anche richiedendo ai genitori informazioni volte ad evidenziare eventuali situazioni di probabile predisposizione a complicanze da vaccino, o ad accertare una semplice controindicazione ad effettuare la profilassi vaccinale in un particolare e determinato periodo.
Per concludere, va segnalato un ulteriore orientamento di merito, alquanto discutibile e, per la verità, fino a qualche tempo fa isolato, che si pone in netto contrasto − motivando differentemente da App. Ancona 16 aprile 1998 già cit. − con l’indirizzo tracciato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza del 1992, e secondo il quale la violazione dell’obbligo da parte degli esercenti la potestà genitoria o tutoria di sottoporre il minore alle vaccinazioni obbligatorie giustifica, ai sensi dell’art. 33 L. 833 del 1978, l’intervento dell’amministrazione sanitaria in via coercitiva, non spettando al Tribunale dei minori alcun sindacato sul comportamento omissivo o rifiutante dei genitori in ordine alla vaccinazione obbligatoria, e ciò in virtù del fatto che la legge, nel sancire l’obbligatorietà delle stesse vaccinazioni, esclude la potestà di rifiutarle (24).
Tale orientamento, fortemente contrastante anche con la prevalente dottrina (25), è stato di recente fatto proprio altresì da Trib. Messina 28 marzo 2000 (26), in cui si ribadisce un vero e proprio difetto di giurisdizione del Tribunale per i minorenni in materia di vaccinazioni obbligatorie, in quanto mancherebbe il presupposto logico-giuridico per l’intervento della autorità giudiziaria minorile, e cioè un comportamento espressivo della potestà genitoriale e, conseguentemente, sindacabile da quest’ultima.
Ciò, in considerazione del fatto che, ad avviso di tale giudice di merito, il comportamento richiesto ai genitori esercenti la potestà si traduce in un puro e semplice obbligo giuridico, per la cui realizzazione i genitori non esercitano alcun potere decisionale in ordine né all’an né al quomodo della somministrazione dei vaccini, essendo stato tale potere riservato dal legislatore in via esclusiva all’Amministrazione sanitaria locale.
Ad ulteriore sostegno del principio suesposto, si allega inoltre, in tale decisione, la netta divergenza che esisterebbe tra l’ipotesi in esame e quella del genitore che, invece, si rifiuti di controllare la frequentazione da parte del figlio della scuola dell’obbligo, realizzandosi, in questa seconda ipotesi, l’adempimento del suddetto obbligo del genitore proprio attraverso l’esercizio di quei poteri che caratterizzano la potestà genitoriale, ed avendo il legislatore lasciato un certo margine decisionale al genitore stesso sul modo in cui ottemperarvi, eventualmente sindacabile dal giudice minorile.
Con riferimento alla fattispecie delle vaccinazioni obbligatorie, la voluntas legis manifestantesi nel carattere coattivo del trattamento annullerebbe completamente, secondo il giudice messinese, la volontà del genitore, “il quale non può opporre alcuna resistenza, poiché il proprio potere di tutela del minore da aggressioni provenienti dall’esterno (che caratterizza la potestà genitoriale) è stato, questa volta, compresso aprioristicamente dal legislatore, il quale sulla base di una presunzione relativa, superabile soltanto da una valutazione rientrante nella discrezionalità tecnica dell’Amministrazione sanitaria locale…, ha ritenuto necessario sottoporre il minore ad un determinato trattamento sanitario”(27).
Riguardo all’indirizzo testé riportato, si è acutamente osservato in dottrina che la facoltà riconosciuta dallo stesso art. 33, 7° comma, L. 833 del 1978 a chiunque (e dunque ai genitori) di rivolgere al sindaco richiesta di revoca o di modifica del provvedimento con il quale sia stato disposto o prolungato il trattamento sanitario obbligatorio, contraddice palesemente l’affermazione che in tale materia sia nulla la volontà di chi rappresenta il minore.
Nel rimarcare l’inesistenza di un “cieco automatismo” tra diniego di vaccinazione e pregiudizio del minore, si è altresì sostenuto che le relative valutazioni sull’opportunità o meno del trattamento sanitario non devono essere riconosciute alla sola autorità amministrativa (28).
Intendiamo concludere queste nostre osservazioni rammentando il dolorosissimo fatto di cronaca che ha, purtroppo, di recente occupato le pagine di diversi quotidiani (29), quello cioè del bimbo di Varese rimasto paralizzato all’età di cinque mesi e mezzo poco dopo essere stato vaccinato nel 1997 con la comunissima trivalente (antipolio, antitetanica, antiepatite B) obbligatoria per legge.
Al termine di cinque anni di indagini, il Ministero della Salute, dando torto alla Commissione medica ospedaliera di Milano − che, invece, tre anni fa, escludendo qualsiasi nesso tra la vaccinazione e l’invalidità del bimbo, aveva negato la possibilità di risarcimenti − ed accogliendo la tesi della famiglia alla quale è stata assegnato un indennizzo di oltre 35.000 euro ed una pensione annua di invalidità di quasi 7.500 euro, ha riconosciuto che la paralisi e lo stato quasi vegetativo nel quale versa il bambino (che sin dalla nascita tra l’altro aveva sofferto di “problemi respiratori e tremori”) possano essere stati causati dalla somministrazione della vaccinazione antipolio.
La famiglia del bimbo ha oggi avviato un’azione civile contro lo stesso Ministero della Salute, chiedendo un risarcimento dei danni morali patiti a causa di una vicenda il cui epilogo, tuttavia, resta tragico ed inaccettabile.
Avv. Antonio De Simone
Note
- Cfr. Corte cost. 2 giugno 1994, n. 218, in Foro it., 1995, I, c. 46, con nota di IZZO, Un difficile test per la Consulta: l’Aids, le leggi ed i giudici fiduciosi.
- Cfr. Corte cost. 22 giugno 1990, n. 307, in Foro it., 1990, I, c. 2694, con nota di richiami ed osservazioni di PRINCIGALLI, Tutela della salute e vaccinazioni a rischio, e di PONZANELLI, Lesione da vaccino antipolio: che lo Stato paghi l’indennizzo!, e in Corr. giur., 1990, 1018, con nota di NESPOR, Tutela della salute e legittimità dell’imposizione di un trattamento sanitario; nonché in Giust. civ., 1990, I, p. 2496.
- Cfr. Corte cost. 27 marzo 1992, n. 132, in Giust. civ., 1992, I, p. 1670, e in Giur. cost., 1992, p. 1108; nonché in Cons. Stato, 1992, II, p. 449.
- In Foro it., 1995, I, c. 1451; in Giust. civ., 1994, I, p. 2708; in Dir. fam. pers., 1994, p. 1184; in Giur. cost., 1994, p. 2097; in Riv. giur. pol. loc., 1995, p. 735.
- Cfr. ancora Corte cost. 23 giugno 1994, n. 258, cit. e Corte cost. 22 giugno 1990, n. 307, cit. In tema di indennizzo ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati, di cui alla L. 210 del 1992, è intervenuta recentemente anche la Corte di cassazione, con sentenza 21 ottobre 2000, n. 13923 (in Mass. Giust. civ., 2000, p. 2160), chiarendo che esso ha natura non già risarcitoria, bensì assistenziale in senso lato, riconducibile agli artt. 2 e 32 Cost. ed alle prestazioni poste a carico dello Stato sociale in ragione del dovere di solidarietà sociale, tant’è che esso è alternativo alla pretesa risarcitoria volta ad ottenere l’integrale risarcimento dei danni sofferti in conseguenza del contagio, ove sussista una colpa delle strutture del S.s.n.
- In Giust. civ., 1996, I, p. 1879; in Foro it., 1996, I, c. 2326, con nota di PONZANELLI, “Pochi, ma da sempre”: la disciplina sull’indennizzo per il danno da vaccinazione, trasfusione o assunzione di emoderivati al primo vaglio di costituzionalità; in Giur. cost., 1996, p. 1006, con nota di ALGOSTINO, I possibili confini del dovere alla salute, ibidem, p. 3209 ss.; in Resp. civ. prev., 1996, p. 576, con nota di CASSELLA, Illegittimi i limiti temporali all’indennizzo a titolo di solidarietà, in assenza di responsabilità; in Danno resp., 1996, p. 573, con nota di COMANDÉ, Diritto alla salute tra sicurezza sociale e responsabilità civile.
- Dando seguito a questa pronuncia, il legislatore è intervenuto, con la L. 25 luglio 1997, n. 238 (Modifiche ed integrazioni alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in materia di indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati), prevedendo, per i soggetti che abbiano contratto le menomazioni considerate nella cit. L. 210 del 1992 a seguito di vaccinazioni antipoliomelitiche obbligatorie anteriormente alla legge stessa, la corresponsione di un assegno una tantum pari − per ciascun anno compreso tra l’evento dannoso e l’ottenimento della prestazione definitiva − al 30% dell’indennizzo quale stabilito (“a regime”) dalla stessa legge del 1992, con esclusione di interessi legali e rivalutazione
- In Foro it., 1998, I, c. 1370, con nota di PONZANELLI, La misura dell’indennizzo per le “vittime” di vaccinazioni obbligatorie: il nuovo intervento della Corte costituzionale; in Giur. it., 1998, p. 1479, con nota di ALGOSTINO, Salute dell’individuo e salute della collettività: il diritto all’indennizzo anche nel caso di vaccinazioni antipoliomelitiche non obbligatorie; in Danno resp., 1998, p. 429, con nota di COMANDÉ, Il diritto alla salute, la trilogia costituzionale ed i limiti di bilancio: ancora sulla l. n. 210 del 1992 e sulla sua rilevanza sistematica; in Resp. civ. prev., 1998, p. 1349, con nota di CARANTA, Danni da vaccinazione e responsabilità dello Stato; in Giur. cost., 1998, p. 148, con nota di CHESSA, La misura minima essenziale dei diritti sociali: problemi e implicazioni di un difficile bilanciamento; in Rass. avv. Stato, 1998, I, p. 6, con nota di PALMIERI, Breve nota in tema di indennizzo per lesione da vaccinazione obbligatoria antipolio.
- In Giust. civ., 2001, I, p. 306; in Foro it., 2001, I, c. 4, con nota di PONZANELLI, Responsabilità civile e sicurezza sociale: un decennio “tribolato”; in Riv. giur. lav., 2001, II, p. 230, con nota di MAZZIOTTI.
- Questione analoga a quest’ultima era stata già sollevata in precedenza da Pret. Milano 29 luglio 1998, e dichiarata infondata da Corte cost. 22 giugno 2000, n. 226 (in Giur. cost., 2002, p. 1773; in Giust. civ., 2000, I, p. 2800; in Corr. giur., 2000, p. 1101; in Foro it., 2001, I, c. 5, con nota già cit. di PONZANELLI, Responsabilità civile e sicurezza sociale: un decennio “tribolato”; in Riv. giur. lav., 2001, II, p. 229, con nota già cit. di MAZZIOTTI). Da parte del giudice a quo si sosteneva l’assimilabilità della situazione di coloro che si sottopongano ad un trattamento sanitario, ricevendone un danno irrimediabile alla salute, in conseguenza di un obbligo legale, alla situazione di coloro i quali, come gli emofilici, sono necessitati, in mancanza di alternative terapeutiche, senza possibilità di scelta, a sottoporsi a somministrazioni di sangue ed emoderivati, pena il decorso infausto della loro malattia. Si osservava, inoltre, che la necessità del ricorso alla terapia ematica, stante un rischio per la vita, avrebbe potuto ritenersi perfino più cogente che nel caso di trattamento sanitario imposto ex lege, la cui violazione comporta la mera comminazione di una sanzione giuridica. Il Tribunale rimettente concludeva, quindi, ricordando che la stessa Corte costituzionale, con la pronuncia n. 27 del 1998 cit., non ha inteso attribuire valore dirimente all’esistenza di un obbligo legale avendo affermato, invece, il diritto all’indennizzo non necessariamente in presenza di tale obbligo ma anche nell’ipotesi in cui il trattamento terapeutico, non (ancora) reso obbligatorio, fosse oggetto di una specifica politica sanitaria di promozione. La Consulta, con la sentenza summenzionata, nel dichiarare l’infondatezza di tale questione di costituzionalità, ha evidenziato che tali argomentazioni esulano dalla ratio costituzionale del diritto all’equo indennizzo riconosciuto in base agli art. 32 e 2 Cost., rilevando, invece, l’esistenza di un interesse pubblico alla promozione della salute collettiva tramite il trattamento sanitario, il quale, per conseguenza, viene (e può essere) dalla legge assunto ad oggetto di obbligo legale. La giurisprudenza costituzionale richiamata dal giudice rimettente, ha proseguito la Corte, è ferma nell’individuare in questo interesse collettivo una volta assunto dal legislatore a ragione dell’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio o di una politica incentivante, e non nell’obbligatorietà in quanto tale del trattamento, il fondamento dell’obbligo generale di solidarietà nei confronti di quanti, sottomettendosi al trattamento, vengono a soffrire di un pregiudizio alla loro salute. È dunque l’interesse collettivo alla salute la ragione determinante del diritto all’indennizzo.
Per un esame approfondito, invece, della precedente giurisprudenza costituzionale sulla materia, si vedano altresì Corte cost. 24 gennaio 1983, n. 4, in Rep. Foro it., 1983, voce Sanità pubblica, relativa alla questione di legittimità costituzionale sollevata da Pret. Orvieto 13 luglio 1978, ivi, 1979, voce Sanità pubblica, sull’obbligo di rivaccinazioni antivaiolo; nonché Corte cost. 13 maggio 1983, n. 142, in Foro it., 1983, I, c. 2656, con nota di PARODI GIUSINO, Trattamenti sanitari obbligatori, libertà di coscienza e rispetto della persona umana, relativa alla questione di legittimità costituzionale sollevata da Pret. Alba 14 aprile 1980, ivi, 1981, I, c. 598, sull’obbligo di vaccinazioni antipoliomelitica ed antitetanica. In entrambi i casi, la Consulta ha dichiarato inammissibili le questioni rinviando gli atti ai giudici rimettenti per la sopravvenienza di una nuova norma abrogatrice delle fattispecie interessate, e cioè, rispettivamente, della L. 6 agosto 1981, n. 457 che ha abrogato l’art. 266 T.U. leggi sanitarie, e della L. 24 novembre 1981, n. 689 recante modifiche al sistema penale. Si veda, inoltre, Corte cost. 2 febbraio 1988, n. 134, in Giur. cost., 1988, I, p. 459, che rilevando il carattere sostanzialmente “metagiuridico” delle affermazioni del giudice a quo ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità, sollevata da Pret. Torino 19 maggio 1987, ivi, 1987, II, 2, p. 960, degli artt. 1 e 3 L. 51/66, in riferimento all’art. 32 Cost., nella parte in cui, sanzionando l’inosservanza dell’obbligo di procedere alla vaccinazione antipolio, non prevedono la possibilità della obiezione di coscienza, estrinsecatasi in rifiuto informato e motivato.
In dottrina, tra le molte trattazioni esistenti sul tema dell’obiezione di coscienza, cfr. CONSORTI, “Obiezione di coscienza” al servizio militare, obiezione fiscale e alle vaccinazioni obbligatorie nella più recente giurisprudenza, in Quad. dir. polit. eccl., 1993, p. 632 ss., partic. p. 650 ss., il quale, in relazione alle pronunce della Corte costituzionale sopra richiamate, rileva come le fattispecie sottoposte al vaglio della stessa Corte, sebbene spesso considerate dalla dottrina come ipotesi di obiezione di coscienza, non integrano in realtà “una disobbedienza per motivi di coscienza alla norma statale che imponga obbligatoriamente un certo comportamento a carico dell’individuo, giacché da una parte le ipotesi ordinarie di trattamenti sanitari obbligatori si riducono alle vaccinazioni, e, dall’altra parte, la natura delle ragioni addotte è spesso di tipo medico-scientifico, il che costringerebbe ad allargare a dismisura il concetto di coscienza, considerandolo non solo in senso etico-morale, ma frutto delle più disparate convinzioni individuali”. Sottolinea ancora l’autore che “in questo modo si fonderebbe l’obiezione di coscienza non sul rispetto della propria coscienza obbligata ad agire contra legem in nome di una legge superiore oggettiva, quanto piuttosto su singole valutazioni personali, in definitiva sull’arbitrio”. - In Giust. civ., 2002, I, p. 862.
- Trib. min. Venezia (decr.) 10 maggio 1994, in Dir. fam. pers., 1995, p. 217.
- Cfr. ancora, in motivazione, Trib. min. Venezia (decr.) 10 maggio 1994, cit., ove si puntualizza altresì che, con l’adozione da parte del giudice minorile dei provvedimenti a norma dell’art. 333 c.c., non si realizza alcun trattamento sanitario coattivo, consentendo la limitazione della potestà dei genitori (limitatamente alla questione delle vaccinazioni) alla Autorità sanitaria di superarne l’opposizione e di praticare la vaccinazione stessa con modalità non coercitive. Per completezza d’informazione del lettore, va aggiunto che il pregiudizio, cui il citato decreto fa riferimento in motivazione, del diritto allo studio che deriverebbe dalla inottemperanza agli obblighi vaccinali, oggi non costituisce più un problema grazie al d.P.R. 26 gennaio 1999, n. 355, il quale all’art. unico, n. 2, ha stabilito che la mancata certificazione relativa alle vaccinazioni e rivaccinazioni obbligatorie non comporta il rifiuto di ammissione dell’alunno alla scuola dell’obbligo o agli esami.
Più di recente, ancora nel senso della ammissibilità in materia dell’intervento del giudice minorile ai sensi degli artt. 333 e 336 c.c., si vedano App. Perugia 5 marzo 1998 e App. Perugia 21 giugno 1997, in Rass. giur. Umbra, 1998, p. 665; Cons. St., sez. II, 2 luglio 1997, n. 2021, in Cons. Stato, 1998, I, p. 731, ove si puntualizza che i provvedimenti adottati dal giudice minorile nell’interesse del minore non debbono necessariamente condurre alla vaccinazione; cfr. Trib. min. Perugia 20 giugno 1996, in Rass. giur. umbra, 1996, p. 630, sulla necessità, ai fini di una valida opposizione, che i rischi prospettati dai genitori siano diversi da quelli normalmente possibili; App. Torino 12 ottobre 1993, in Dir. fam. pers., 1994, p. 623; Trib. min. Venezia 18 ottobre 1993, in Gius, 1994, fasc. 17, p. 91, con nota di FELLAH. - In Giur. it., 1995, I, c. 303, con nota di FELLAH, Potestà dei genitori e vaccinazioni obbligatorie; nonché in Dir. fam. pers., 1994, p. 871.
- In Fam. dir., 1996, p. 368.
- Sempre in argomento, si veda, da ultimo, Cass., sez. un., 25 gennaio 2002, n. 911, in Foro it., 2002, I, c. 1007, con nota di MALTESE, Decreti camerali incidenti sulla “patria potestas”. Regime attuale di revoca e proposte di riforma. Con tale sentenza la Suprema Corte, ribaltando quanto in precedenza statuito dalle sezioni unite 9 gennaio 2001, n. 1 (inMass. Foro it., p. 1305, nonché in Fam. dir., 2001, p. 282, con nota di CIVININI, Ricorso straordinario per cassazione e provvedimenti a tutela del minore), le quali avevano risolto in senso affermativo la questione della proponibilità del ricorso per cassazione nei confronti dei provvedimenti emessi in via provvisoria ed urgente ai sensi dell’art. 333 c.c., “in quanto incidenti su posizioni di diritto soggettivo in conflitto”, ha affermato, così tornando all’orientamento tradizionale avviato da Cass., sez. un., 23 ottobre 1986, n. 6220 (in Foro it., 1987, I, c. 3278; in Dir. fam. pers., 1987, p. 121; in Giur. it., 1987, I, 1, c. 1616; nonché in Giust. civ., 1987, I, p. 903), “l’inammissibilità del ricorso per cassazione avverso il decreto emanato in sede di reclamo, col quale la corte d’appello, nell’assumere provvedimenti ablativi o modificativi della potestà dei genitori naturali, affermi o neghi la giurisdizione del giudice italiano nei confronti dello straniero, trattandosi di provvedimenti modificabili e revocabili in ogni tempo, privi di natura decisoria e inidonei a risolvere la questione di giurisdizione con effetti vincolanti al di fuori del procedimento nel quale vengono resi”.
- In Rass. giur. umbra, 1997, p. 17.
- Tale inedito decreto è stato impugnato dinanzi alla Corte di cassazione la quale, con sentenza 28 marzo 1994, n. 3009 (in Riv. it. med. leg., 1997, p. 797, nonché in Dir. fam. pers., 1996, p. 56), ne ha dichiarato la non ricorribilità ex art. 111 Cost.
- L’art. 7 di tale disciplina normativa recita testualmente: 1. Ai fini della prevenzione delle complicanze causate da vaccinazioni, le unità sanitarie locali predispongono e attuano, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, progetti di informazione rivolti alla popolazione e in particolare ai donatori e ai soggetti riceventi materiali biologici umani, alle persone da vaccinare e alle persone a contatto. 2. I progetti di cui al comma 1 assicurano una corretta informazione sull’uso dei vaccini, sui possibili rischi e complicanze, sui metodi di prevenzione e sono prioritariamente rivolti ai genitori, alle scuole ed alle comunità in genere. 3. Le regioni, attraverso le unità sanitarie locali, curano la raccolta dei dati conoscitivi sulle complicanze da vaccino, anche al fine di adeguare a tali dati i progetti di informazione e i metodi di prevenzione.
- In Dir. fam. pers., 1994, p. 534.
- In Dir. fam. pers., 1993, p. 571, con nota di DOGLIOTTI, Potestà dei genitori, vaccinazioni obbligatorie, procedimento ex art. 333 c.c.
- In dottrina, per alcune interessanti considerazioni sul tema dell’acquisizione del “consenso informato”, si veda CINQUETTI e MARIGO, Inosservanza dell’obbligo vaccinale in età pediatrica: procedure, sanzioni e tutela del minore, in Riv. it. med. leg., 1994, p. 575, ove si sottolinea l’opportunità in taluni casi, ai fini del superamento del fenomeno dell’avversione nei confronti dell’obbligo vaccinale, di un sereno colloquio tendente appunto a rimuovere incertezze e timori da parte dei genitori, o di una visita domiciliare eseguita da figure professionali sanitarie e sociali, adeguatamente preparate all’approccio alle famiglie, o, ancora, di un collegamento tra il medico responsabile del Servizio Vaccinale ed il pediatra curante o il medico di famiglia. Gli autori, nel richiamare l’espressa previsione contenuta nella Circolare Ministero Sanità 9 del 1991 “Norme per la esecuzione delle vaccinazioni” e nella Circolare Ministero Sanità 20 del 1991 applicativa della L. 165 del 1991, dell’obbligo di valutare attentamente eventuali controindicazioni temporanee o permanenti, generali o specifiche, alle vaccinazioni, evidenziano, altresì, come rimedi necessari ed efficaci, al fine di fugare ogni tipo di perplessità, possano rivelarsi una visita specialistica od una consulenza di esperti immunologi o infettivologi cui sottoporre il minore.
- Il provvedimento è reperibile in extenso sul sito Internet http://www.e-alternativemedecine.com., nel quale si veda, in senso conforme, anche Giud. di Pace di Chiari (BS) n. 23/2000.
- Cfr. Trib. Bologna 20 gennaio 1994, in Gius, 1994, fasc. 17, p. 85; Trib. Bologna 25 gennaio 1994, in Dir. fam. pers., 1994, p. 1292.
- Si veda, tra gli altri, FELLAH, Potestà dei genitori e vaccinazioni obbligatorie, nota a Cass. 8 febbraio 1994, n. 1265 già cit., in Giur. it., 1995, I, c. 303.
- In Dir. fam. pers., 2000, p. 1181.
- Tale orientamento è stato ancor più di recente accolto da Trib. Lecce, sez. min., 21 dicembre 2001, in Gius., 2003, fasc. 4, p. 496, secondo cui “la dolosa inottemperanza dei genitori agli obblighi legali di vaccinazione dei figli non configura condotta pregiudizievole ai sensi dell’art. 333 c.c., come tale idonea a legittimare l’intervento del tribunale dei minorenni, sussistendo in materia la competenza esclusiva dell’autorità sanitaria”.
- Cfr. ancora FELLAH, op. ult. cit., p. 308.
- Si veda Corriere della Sera 30 aprile 2002. Sempre più frequenti sono i casi analoghi alla vicenda raccontata che si impongono tristemente all’attenzione dell’opinione pubblica e della stampa nazionale, causando e diffondendo comprensibilmente un senso profondo di sgomento in tutto il paese; tra questi si annoverano, ancor più di recente, la drammatica vicenda della bimba comasca affetta da encefalite post-vaccina, e quella (riportata da La Stampa e da il Resto del Carlino entrambi del 13 luglio 2002) che ha colpito una famiglia di San Giovanni in Croce, in provincia di Cremona, la cui figlia di quattro anni è di fatto immobilizzata da anni in seguito, si sospetta, alla somministrazione delle vaccinazioni obbligatorie.