La riforma del diritto fallimentare.  Principali novità.
Emanuella Prascina







Sommario



  1. INTRODUZIONE

  2. LE NOVITÀ 


Il presente articolo costituisce una breve rassegna delle principali novità introdotte dal d.lgs 5 del 2006.  Dopo anni di studi e di proposte rimaste inattuate, si è giunti ad una disciplina organica delle procedure concorsuali.  Il quadro che emerge dal recentissimo decreto e dal decreto competitività è quello che vede il risanamento e il recupero del business come imperativi categorici per gli operatori del diritto. Il fallimento e il suo apparato liquidatorio lasciano il posto a procedure sempre più snelle e rapide, in cui dominano il debitore e i creditori.  Si privilegia, dunque, l’aspetto negoziale della composizione della crisi, che rende le procedure concorsuali strumenti per la regolamentazione dei rapporti d’impresa sul mercato. 


1. Introduzione
Dopo i decreti attuativi del 22 dicembre 2005, il 16 gennaio 2006 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il  
D.LGS 9 gennaio 2006, n. 5  (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80).  Gli addetti ai lavori hanno parlato di una vera e propria “rivoluzione copernicana”  (1) che pone finalmente l’Italia “al passo con l’Europa” (2) nella disciplina delle procedure concorsuali. 
La riforma, intervenuta dopo diversi tentativi e disorganiche soluzioni legislative, colma una lacuna da tempo avvertita nel panorama giuridico italiano.  La necessità di un adeguamento della disciplina italiana alle nuove esigenze del mercato – e soprattutto al contesto europeo –  ha fatto sì che negli ultimi anni siano state costituite commissioni ministeriali ad hoc, il cui impegno, tuttavia, non ha mai portato ad una revisione complessiva della materia in questione.  Alla luce di queste premesse, ben si comprende come la recentissima riforma sia stata salutata con sollievo dagli operatori del diritto, sebbene non siano mancate critiche per le soluzioni proposte e per le modalità tecniche con cui la nuova disciplina è stata introdotta (3).
Motivo conduttore della riforma è sicuramente l’abbandono della prospettiva “personal-sanzionatoria” che ha caratterizzato il precedente impianto fallimentare, in un’ottica di salvataggio dell’impresa, intesa come valore economico da tutelare (4).  Il fallimento, dunque, diventa l’extrema ratio, in un sistema che abbandona i datati aspetti sanzionatori della procedura (salvo quelli strumentali alla stessa) e privilegia la soluzione concordataria, che consente un intervento anticipato sull’impresa in crisi (e non più insolvente) e finalizzato alla ripresa del business e alla sopravvivenza nel mercato del complesso aziendale.
Mira a realizzare le medesime finalità il potenziamento del comitato dei creditori, che abbandona il suo tradizionale ruolo consultivo del giudice delegato per ricoprire una posizione di assoluto rilievo nella procedura concorsuale, con poteri decisionali sottoposti alla mera vigilanza del giudice.  La riforma, in sostanza, lascia la gestione del fallimento al debitore e ai creditori, che possono modulare la composizione della crisi, in un contesto in cui l’aspetto giudiziale è piuttosto recessivo.
Ancora, risulta particolarmente rinnovata la figura del curatore, che è ormai il vero “regista” della procedura fallimentare, unitamente al comitato dei creditori.
La riforma, dunque, realizza quanto previsto in sede di delega, adeguandosi ai principi dettati dall’art. 5 della legge 80 (5).
Ovviamente, è ancora prematuro dare un giudizio di validità della disciplina.  Senza dubbio, si può già prevedere il risparmio di tempi e lo snellimento delle procedure che deriverà dalla riforma.  Ancora, l’abbandono degli aspetti sanzionatori e “infamanti” che caratterizzavano la precedente formulazione delle norme consentiranno un approccio più sereno e – si auspica – più collaborativo da parte del fallito.
Ma non si può negare che il nuovo impianto del fallimento desti qualche perplessità sul piano dell’opportunità delle scelte legislative.  Anzitutto, si teme che il ridimensionamento del ruolo del giudice nella gestione della procedura possa determinare il rischio di una soluzione eccessivamente “contrattualistica” della crisi, in cui i poteri forti (e, segnatamente, i creditori) finiscono per detenere la gestione per condizionare l’esito della composizione della crisi.  Ancora, tra i primi commentatori della riforma c’è stato qualcuno che ha sollevato l’obiezione di una riforma esageratamente “bancocentrica”, in cui il ruolo dominante del comitato dei creditori sarebbe stato modellato proprio con lo scopo di aumentare il potere delle banche (solitamente i creditori per eccellenza) nello svolgimento della procedura.


2. Le novità


2.1. Gli istituti fallimentari del decreto competitività.
Il decreto competitività  (6) (d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella l. 14 maggio 2005, n. 80) costituisce il primo stadio della riforma del diritto fallimentare, poi completata con i decreti attuativi del dicembre 2005 e il d.lgs. 5.
Per quanto molti commentatori abbiano criticato l’utilizzo dello strumento decretale, dubitando dell’opportunità di un intervento d’urgenza che precedesse di soli pochi mesi la riforma organica della disciplina, le novità introdotte dal decreto competitività sono di non poco momento.
Anzitutto, viene modificata la disciplina del concordato preventivo (7).  Gli aspetti più rilevanti della nuova procedura sono costituiti dai presupposti soggettivi e oggettivi, visto che scompaiono i requisiti di meritevolezza dell’imprenditore e non è più richiesto lo stato di insolvenza (sostituito da una situazione di “crisi” in cui versi l’impresa (8)).  Ancora, non è più richiesto il pagamento di almeno il 40% dei creditori chirografari, in quanto “oggetto della proposta può essere qualsiasi accordo con i creditori che assicuri la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma”  (9), con l’ulteriore possibilità di suddividere i creditori in classi omogenee.
Anche nel concordato il ruolo del giudice delegato risulta fortemente ridimensionato.  Il giudice, infatti, non ha il potere di sindacare nel merito la proposta di concordato, dovendo limitare il proprio intervento al controllo formale sulla regolarità e la completezza dei documenti che corredano la domanda.  Egli dovrà, inoltre, provvedere ad omologare il concordato approvato dalla maggioranza dei creditori o, nel caso di più classi, dalla maggioranza di ciascuna classe.
Il concordato, così modificato, sarà, dunque, la procedura per eccellenza del nuovo diritto fallimentare, attesa la sua capacità di intervenire in una fase di “pre-insolvenza” e di evitare il fallimento.  Tale circostanza è ancor più probabile laddove si consideri che la riforma ha abolito la procedura di amministrazione controllata, trasferendo le funzioni cui essa era deputata proprio al concordato.
Altra figura modificata in sede decretale è stata quella della revocatoria fallimentare.  Prevista per garantire il recupero dei cespiti distratti durante il periodo sospetto, la revocatoria ha mantenuto il suo ruolo di strumento di garanzia del ceto creditorio e di reintegrazione dell’attivo fallimentare.
La riforma ha salvaguardato la distinzione, già presente nella legge del ’42, tra atti anormali (per i quali la conoscenza dello stato di insolvenza è presunta ) e atti normali (nei quali, al contrario, il curatore deve provare l’elemento soggettivo).  È stato, invece, ampliato il novero delle esenzioni dalla revocatoria (art. 67, 3° co., l. fall.) ed è stata praticamente dimezzata la durata del periodo sospetto (10).
Il legislatore ha, poi, precisato il concetto di “notevole sproporzione” previsto dalla precedente normativa in relazione agli atti anomali, stabilendo che la differenza tra le obbligazioni e le prestazioni assunte dal fallito e ciò che a lui è stato dato o promesso deve essere di oltre un quarto.
In base a quanto previsto dalla delega della legge 80, il nuovo articolo 69-bis della legge fallimentare prevede che le azioni revocatorie siano soggette ad un termine di decadenza di tre anni dalla dichiarazione di fallimento o comunque di cinque anni dal compimento dell’atto.
Le nuove norme saranno applicabili solo per le revocatorie proposte nell’ambito delle procedure concorsuali iniziate dopo il 17 marzo 2005.
Il decreto competitività ha introdotto anche il nuovo articolo 70, rubricato “Effetti della revocazione”.  La norma prevede che chi abbia restituito quanto percepito per effetto della revocatoria è ammesso al passivo per il suo credito, stabilendo condizioni particolari per il pagamento avvenuto tramite intermediario e per gli atti estintivi di rapporti continuativi e reiterati.  Viene, in tal modo, abrogato il precedente testo dell’articolo, la cd. presunzione muciana, relativa agli acquisti da parte del coniuge del fallito nel quinquennio anteriore al fallimento.
Completamente innovativa risulta l’introduzione degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis.  La norma prevede che il debitore possa stipulare tali accordi con i creditori che rappresentino almeno il 60% della totalità.  L’accordo, con la relazione di un esperto circa l’attuabilità dello stesso (con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei), deve essere depositato in tribunale per l’omologazione e pubblicato nel registro delle imprese.
Anche per gli accordi di ristrutturazione, la legge non richiede particolari requisiti di meritevolezza per l’imprenditore, ma è sufficiente lo stato di crisi in cui versi un qualsiasi imprenditore commerciale non piccolo.
Entro 30 giorni dalla pubblicazione, i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione.  La decisione in merito spetta al tribunale che, una volta deciso sulle opposizioni, provvederà ad omologare l’accordo in camera di consiglio con decreto motivato.  È possibile proporre opposizione anche nei confronti del decreto di omologazione, entro 15 giorni dalla pubblicazione nel registro delle imprese.
L’accordo sarà efficace dal giorno della pubblicazione.
Con l’introduzione di questo istituto si cristallizza una tendenza da tempo emersa nella prassi, ovvero quella della soluzione stragiudiziale della crisi d’impresa, che la stessa giurisprudenza di legittimità aveva ritenuto ammissibile (11)


2.2. La definizione di piccolo imprenditore.  Il rito applicabile.
La riforma ha confermato l’esclusione dal fallimento del piccolo imprenditore, ma ha contribuito a precisare le soglie entro le quali è ammissibile tale esenzione.
L’art. 1 della nuova legge fallimentare stabilisce, infatti, che devono essere considerati piccoli imprenditori gli esercenti un’attività commerciale in forma individuale o collettiva che abbiano fatto investimenti in azienda non superiori a 300mila euro e ricavi lordi non superiori ai 200mila euro in media negli ultimi tre anni o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore.
I limiti indicati nell’art 1 così riformato possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati intervenute nel periodo di riferimento.
Come sottolinea la relazione illustrativa alla riforma, “si è inteso risolvere nel senso dell’esclusione la vexata quaestio concernente la fallibilità delle piccole società commerciali”.
Quanto al rito applicabile, la scelta è nel senso del rito camerale anziché quello ordinario.  Sicuramente, il modello indicato rispecchia l’esigenza, evidenziata in sede di legge delega, di snellire e accelerare le procedure endofallimentari, seppur nel rispetto delle garanzie costituzionali.  La stessa relazione illustrativa afferma che “attraverso la conferma del modello camerale come <<contenitore neutro>> si è, dunque, ritenuto che possano essere utilmente perseguiti diversi obiettivi imposti dalla Costituzione e dalla legge di delegazione: la concentrazione, l’immediatezza e la speditezza del procedimento e la più generale e sempre immanente necessità di <<deflazionare>> la giurisdizione”.


2.3. Il comitato dei creditori, il curatore e il giudice delegato.
Modifiche rilevanti sono quelle che interessano gli organi della procedura.  Nell’ottica di un fallimento sempre più rapido e non afflittivo per il debitore, la riforma ha concepito una procedura in cui il ruolo del giudice delegato viene relegato al mero controllo di legittimità degli atti, mentre la gestione della procedura è affidata al comitato dei creditori e al curatore.
È quest’ultimo il vero protagonista della riforma, in quanto eredita molti dei poteri che prima spettavano al giudice ma acquista un ruolo di maggior rilievo rispetto a quello finora ricoperto dall’autorità giudiziaria.  In sostanza, il curatore è chiamato a dirigere la procedura sotto la mera vigilanza del giudice delegato.
La riforma ha ampliato le categorie di professionisti che possono esercitare la funzione di curatore fallimentare.  I soggetti contemplati sono:
   1. avvocati;
   2. dottori e ragionieri commercialisti;
   3. studi professionali associati;
   4. società tra professionisti;
   5. amministratori di s.p.a. che abbiano dato prova di capacità imprenditoriali.
Sono, invece, esclusi:
   1. il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito;
   2. i creditori del fallito e chi ha concorso al dissesto dell’impresa durante i due anni anteriori alla declaratoria di fallimento;
   3. chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento.
La nomina avviene con sentenza dichiarativa, ma è possibile la sostituzione su richiesta dell’adunanza dei creditori al giudice.
A parte l’aumento dei poteri strettamente connessi alla direzione della procedura, tra cui quello di nominare direttamente gli avvocati della procedura e quello di compiere gli atti di straordinaria amministrazione (riduzione di crediti, transazioni, compromessi, rinuncia alle liti, ricognizione di diritti di terzi) su autorizzazione del comitato dei creditori, il curatore ha l’importante compito di predisporre un piano di liquidazione nei 60 giorni successivi alla redazione dell’inventario.  Il programma viene sottoposto all’esame del comitato dei creditori e all’approvazione del giudice delegato.
Il programma deve contenere tutti gli elementi utili a comprendere i termini e le possibilità di realizzo dell’attivo e la sua approvazione conferisce il potere di compiere tutti gli atti necessari per eseguirlo.
In un quadro siffatto, il comitato dei creditori diventa l’organo di decisione della procedura
(12). sostituendo molte delle precedenti competenze del giudice delegato. Nominato dal giudice delegato entro 30 giorni dalla sentenza di fallimento, è il comitato ad autorizzare in moltissimi casi l’operato del curatore, realizzando, così, una stretta collaborazione tra i due organi.  Spetta, inoltre, al medesimo organo l’autorizzazione all’azione di responsabilità nei confronti del curatore.
Il presidente del comitato viene designato, a differenza che nel passato, a maggioranza del comitato stesso.  Ogni componente ha il diritto di ispezionare scritture contabili e documenti della procedura e di richiedere notizie a curatore e fallito.
Quanto al giudice delegato, non si può negare che le attribuzioni di tale organo siano state ridimensionate dalla riforma (13) Se, infatti, la gestione e le decisioni spettano rispettivamente a curatore e comitato dei creditori, il ruolo del giudice si limita ad una vigilanza e controllo sull’operato di questi ultimi. 


2.4. L’abbandono degli aspetti sanzionatori della procedura.  L’esdebitazione.
L’istituto dell’esdebitazione è uno degli aspetti più innovativi della riforma.  Tale beneficio, che rispecchia le moderne tendenze della riflessione fallimentarista, consente al fallito persona fisica, che nella nuova disciplina recupera i diritti civili, di essere liberato completamente dai debiti residui nei confronti dei creditori non soddisfatti a condizione che:
   1. abbia cooperato fattivamente con gli organi della procedura;
   2. non abbia ritardato o contribuito a ritardare la procedura stessa;
   3. non abbia violato le disposizioni della legge fallimentare relative alla corrispondenza diretta al fallito;
   4. non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta;
   5. non abbia distratto l’attivo o esposto passività inesistenti, cagionato o aggravato il dissesto, rendendo difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento d’affari o fatto ricorso abusivo al credito;
   6. non abbia subito condanne penali per reati di bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio e altri delitti in connessione con l’esercizio di attività d’impresa, salvo intervenuta riabilitazione.
In ogni caso, il fallito non potrà essere ammesso al beneficio qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali.
Sono esclusi dall’esdebitazione i debiti alimentari e le obbligazioni derivanti dai rapporti non compresi nel fallimento ex art. 46, nonché i debiti per il risarcimento danni da illecito extracontrattuale e le sanzioni pecuniarie che non siano accessorie ai debiti estinti.
Sono salvi i diritti vantati dai creditori nei confronti di coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso.
L’ammissione al beneficio è dichiarata dal tribunale con il decreto di chiusura del fallimento o su richiesta del fallito entro un anno dalla dichiarazione di fallimento.  È ammesso il reclamo dei creditori insoddisfatti.
Interessante è la norma del nuovo art. 144, la quale prevede che il decreto di esdebitazione produce effetti anche nei confronti dei creditori anteriori alla procedura di liquidazione che non hanno fatto richiesta di ammissione al passivo.  “In tal caso, l’esdebitazione opera per la sola eccedenza rispetto a quanto i creditori avrebbero avuto diritto di percepire nel concorso”.
L’introduzione dell’istituto dimostra l’abbandono delle prospettive sanzionatorie del fallimento e “premia” il fallito che abbia dato prova di un comportamento corretto e collaborativi nei confronti della procedura.  È evidente il tentativo di separare la persona dall’impresa e di considerare quest’ultima come entità economica piuttosto che come “appendice” dell’imprenditore persona fisica.


2.5. Patrimoni e finanziamenti destinati.  Effetti del fallimento della società.
La riforma prevede anche la disciplina degli effetti del fallimento della società su eventuali patrimoni e finanziamenti destinati.
L’introduzione di queste due figure  – con la riforma del diritto societario del 2003 – aveva evidenziato numerose difficoltà di coordinamento con la disciplina fallimentare.  Difficoltà rappresentate non solo dalla problematica configurazione di una procedura concorsuale autonoma per i patrimoni destinati (sostenuta da autorevole dottrina), ma anche dall’esigenza di completare la lacunosa disciplina codicistica relativa agli effetti del fallimento della società sulle entità patrimoniali separate e sui finanziamenti destinati.
La riforma del diritto fallimentare risponde, parzialmente, alle domande emerse tra gli operatori del diritto, offrendo valida soluzione per la tematica degli effetti del fallimento della società su patrimoni e finanziamenti destinati.  Delude, invece, la mancanza di una disciplina del fallimento autonomo dell’entità patrimoniale separata.
Quanto agli effetti sui patrimoni destinati, la riforma introduce l’art. 155, in base al quale è previsto che, in caso di fallimento della società, il curatore provvederà all’amministrazione del patrimonio destinato con gestione separata.  Il curatore potrà cedere a terzi il patrimonio, al fine di salvaguardarne la funzione produttiva.  Qualora ciò non fosse possibile, il curatore provvederà alla liquidazione del patrimonio secondo le regole della liquidazione societaria.  Il corrispettivo della cessione o il residuo attivo della liquidazione sono acquisiti all’attivo fallimentare.
Il curatore, inoltre, dovrà provvedere alla liquidazione del patrimonio qualora, a seguito del fallimento della società o durante la gestione separata, questo risulti incapiente.  I creditori particolari del patrimonio potranno presentare domanda di insinuazione al passivo del fallimento della società nei casi di responsabilità sussidiaria o illimitata secondo l’art. 2447-quinquies, 3° e 4° co., c.c..
In caso di violazione delle regole di separatezza, il curatore può agire in responsabilità nei confronti degli amministratori e dei componenti degli organi di controllo.
La regolamentazione degli effetti del fallimento nei confronti dei finanziamenti destinati è contenuta nella sezione relativa ai rapporti giuridici pendenti, attesa la natura contrattuale della figura introdotta dalla riforma societaria.
L’art. 72-ter prevede che, qualora la realizzazione o la continuazione dell’operazione sia impedita dal fallimento della società, il contratto di finanziamento si scioglie.  In mancanza, il curatore può decidere di subentrare nel contratto oppure il giudice delegato, su richiesta del finanziatore  e sentito il comitato dei creditori, può autorizzare il finanziatore alla continuazione o alla realizzazione dell’operazione, fermo restando il diritto di questi ad insinuarsi al passivo in via chirografaria per eventuali crediti residui.
La norma fa salva, poi, l’applicabilità delle norme del codice relative agli effetti del fallimento della società sul finanziamento.
Ancora, il decreto 5 prevede un’ulteriore norma relativa ai patrimoni destinati.  L’introduzione dell’art. 67-bis prevede che gli atti che incidono su un patrimonio destinato possano essere revocati quando pregiudicano il patrimonio della società.  Presupposto soggettivo dell’azione è dato dalla conoscenza dello stato di insolvenza della società.  La norma, per quanto manifesti l’attenzione alle tematiche della separazione patrimoniale in un campo delicato quale quello dei patrimoni destinati, in realtà sembra non tener presente la modalità in cui operano i nuovi strumenti della riforma societaria.
Senza dubbio è ammissibile che il congegno della separazione patrimoniale sia modulato nel senso di lasciare una responsabilità residua in capo alla società.  In tal caso, la cautela espressa dalla norma del 67-bis costituisce un valido schermo per la società, che può, così, tutelarsi da atti che potrebbero incidere sulla sua situazione patrimoniale, distraendo cespiti dalla tutela dei creditori sociali.
Ma, nel caso in cui il meccanismo di separazione sia stato costruito in modo tale che in capo alla società non residui responsabilità, non si comprende il senso della norma di cui trattasi.
Sarebbe stata opportuno, dunque, inserire una precisazione nella norma, in cui si faceva presente che l’operatività della revocatoria era limitata ai casi in cui residui una responsabilità in capo alla società, o perché così è stabilito nell’atto costitutivo del patrimonio o perché si siano verificati i casi in cui il codice civile riconosce un coinvolgimento sul piano patrimoniale della società.


-Dott.ssa Emanuella Prascina-


Note.



  1. L’espressione è del Ministro della Giustizia Roberto Castelli, in un articolo di A. Signorini pubblicato su “Il Giornale” del 23 dicembre 2005.

  2. Così si è espresso il presidente dell’ABI Maurizio Sella, nello stesso articolo di cui in nota 1.

  3. In particolare, gli aspetti critici sottolineati dai primi commentatori della riforma si concentrano essenzialmente sul timore di una riforma cd. “bancocentrica”, atteso il ruolo di prim’ordine rivestito dal comitato dei creditori (nel quale spesso le banche sono la parte maggiormente rappresentativa) e il ridimensionamento dei poteri del giudice delegato, e sull’inutilità di una riforma “a più riprese”, dal decreto competitività del maggio 2005 ai recentissimi decreti attuativi del dicembre 2005.

  4. Così G. ALESSI, V. DE SENSI, La riforma della legge fallimentare, 2002, disponibile sul sito internet www.archivioceradi.luiss.it

  5. In ossequio ai principi dettati dall’art. 5 della legge 80:


    •  a) modificare la disciplina del fallimento, secondo i seguenti principi:


      • 1)    semplificare    la    disciplina   attraverso l’estensione  dei  soggetti  esonerati  dall’applicabilita’ dell’istituto e l’accelerazione delle procedure applicabili alle controversie in materia;

      • 2)   ampliare   le   competenze  del  comitato  dei creditori,    consentendo   una   maggiore   partecipazione  dell’organo   alla   gestione   della  crisi  dell’impresa; coordinare i poteri degli altri organi della procedura;

      • 3)  modificare  la  disciplina dei requisiti per la nomina a curatore, annoverando tra i soggetti legittimati a ricoprire  la  carica gli studi professionali associati, le societa’  tra  professionisti,  nonche’  coloro che abbiano comprovate capacita’ di gestione imprenditoriale;

      • 4)   modificare  la  disciplina  delle  conseguenze personali  del fallimento, eliminando le sanzioni personali  e  prevedendo che le  limitazioni alla liberta’ di residenza e  di  corrispondenza  del fallito siano connesse alle sole esigenze della procedura;

      • 5)  modificare  la  disciplina  degli effetti della  revocazione, prevedendo che essi si rivolgano nei confronti  dell’effettivo destinatario della prestazione;

      • 6)  ridurre il termine di decadenza per l’esercizio dell’azione revocatoria;

      • 7)  modificare  la  disciplina  degli  effetti  del fallimento  sui  rapporti  giuridici  pendenti, ampliando i termini  entro  i  quali  il  curatore  deve manifestare la propria  scelta  in  ordine  allo scioglimento dei relativi contratti  e  prevedendo  una  disciplina  per  i patrimoni  destinati  ad  uno  specifico  affare  e per i contratti di  locazione finanziaria;

      • 8)  modificare  la  disciplina  della continuazione temporanea  dell’esercizio dell’impresa, ampliando i poteri del  comitato  dei creditori e del curatore ed introducendo l’obbligo di informativa periodica da parte del curatore al comitato dei creditori sulla gestione provvisoria;

      • 9)  modificare  la disciplina dell’accertamento del passivo, abbreviando i tempi della procedura, semplificando le  modalita’  di  presentazione  delle relative domande di ammissione e prevedendo che in sede di adunanza per l’esame  dello  stato passivo i creditori possano, a maggioranza dei crediti    insinuati,   confermare   o   effettuare   nuove  designazioni  in  ordine  ai  componenti  del  comitato dei creditori,    nonche’   confermare   il   curatore   ovvero  richiederne  la  sostituzione indicando al giudice delegato  un nuovo nominativo;

      • 10)  prevedere  che,  entro  sessanta  giorni dalla  redazione   dell’inventano,   il  curatore  predisponga  un  programma di liquidazione   da   sottoporre,   previa approvazione del comitato dei creditori, all’autorizzazione  del  giudice  delegato  contenente le modalita’ e i termini previsti per la realizzazione dell’attivo, specificando:


        1. se   e’  opportuno  disporre  l’esercizio  provvisorio  dell’impresa  o  di  singoli  rami di azienda, anche tramite l’affitto a terzi;

        2. la sussistenza di proposte di concordato;

        3. le  azioni  risarcitorie,  recuperatorie o revocatorie da esercitare;

        4. le   possibilita’  di  cessione  unitaria  dell’azienda,  di  singoli  rami,  di  beni  o  di rapporti giuridici individuabili in blocco;

        5. le  condizioni  della  vendita dei singoli  cespiti,  e che il comitato dei creditori possa proporre al curatore modifiche al programma  presentato,  prima  di procedere  alla  sua  votazione,  e  che l’approvazione de  programma   sia   subordinata  all’esito  favorevole  della  votazione, da parte del comitato dei creditori;

      • 11)  modificare  la  disciplina  della ripartizione  dell’attivo,   abbreviando   i   tempi  della  procedura  e semplificando gli adempimenti connessi;

      • 12)   modificare   la   disciplina  del  concordato fallimentare,   accelerando   i  tempi  della  procedura  e prevedendo l’eventuale suddivisione dei creditori in classi che   tengano  conto  della  posizione  giuridica  e  degli  interessi  omogenei  delle  varie  categorie  di creditori, nonche’   trattamenti   differenziati   per   i   creditori appartenenti a classi diverse; disciplinare le modalita’ di voto per classi, prevedendo che non abbiano diritto di voto i  creditori muniti di privilegio, pegno ed ipoteca, a meno  che dichiarino di rinunciare al privilegio; disciplinare le modalita’   di  approvazione  del  concordato,  modificando altresi’  la  disciplina  delle  impugnazioni  al  fine  di
         garantire una maggiore celerita’ dei relativi procedimenti;

      • 13)  introdurre  la disciplina dell’esdebitazione e disciplinare  il relativo procedimento, prevedendo che essa consista  nella liberazione del debitore persona fisica dai debiti  residui nei confronti dei creditori concorsuali non  soddisfatti qualora:


        1. abbia  cooperato  con  gli  organi  della  procedura    fornendo    tutte   le   informazioni   e   la documentazione  utile all’accertamento  del  passivo  e al proficuo svolgimento delle operazioni;

        2. non  abbia  in  alcun  modo  ritardato  o  contribuito a ritardare la procedura;

        3. non  abbia  violato le disposizioni di cui  alla gestione della propria corrispondenza;

        4. non    abbia    beneficiato   di   altra  esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta;

        5. non  abbia  distratto  l’attivo  o esposto  passivita’ insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo   gravemente difficoltosa  la  ricostruzione  del patrimonio  e  del  movimento  degli affari o fatto ricorso abusivo al credito;

        6. non  sia  stato  condannato per bancarotta  fraudolenta  o  per  delitti  contro  l’economia  pubblica,  l’industria e il  commercio,  e altri delitti compiuti in  connessione con l’esercizio dell’attivita’ d’impresa, salvo  che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione;

      • 14)   abrogare   la   disciplina  del  procedimento  sommario; 

    • b) prevedere    l’abrogazione    dell’amministrazione  controllata;

    • c) prevedere  che  i  crediti  di  rivalsa  verso  il cessionario  previsti  dalle norme relative all’imposta sul  valore  aggiunto, se relativi alla cessione di beni mobili, abbiano   privilegio   sulla  generalita’  dei  mobili  del  debitore con lo stesso grado del privilegio generale di cui agli  articoli 2752  e 2753 del codice civile, cui tuttavia e’ posposto.». 

  6. S. BUTERA, La miniriforma del diritto fallimentare, 2005.  Disponibile sul sito internet www.archivioceradi.luiss.it.

  7. Per il nuovo concordato si veda diffusamente S. AMBROSINI, P.G. DEMARCHI, Il nuovo concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti,  Milano, 2005;  S. BUTERA, op. cit.;  M.R. GROSSI, la riforma della legge fallimentare,  Milano, 2005.

  8. La nozione di crisi non viene definita nel testo di legge e sarà, senza dubbio, chiarita dall’opera del giudice.  In attesa di un consolidato orientamento giurisprudenziale, si può ritenere che la crisi sia una situazione di difficoltà dell’impresa anteriore allo stato d’insolvenza, ovvero quello stato di incapacità dell’imprenditore di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni.  La crisi è, in sostanza, una situazione ancora recuperabile che, secondo la definizione data dalla Commissione Trevisanato (febbraio 2005) consisterebbe nella “situazione patrimoniale, economica o finanziaria in cui si trova l’impresa, tale da determinare il rischio di insolvenza”.   

  9. S. BUTERA, op. cit..

  10. Il legislatore ha portato a un anno il periodo sospetto per gli atti anormali e a sei mesi per gli altri.

  11. Cfr. Cass. 18 marzo 1979, in Giust. civ., 1979, I, 951.

  12. Importante è il ruolo svolto nelle decisioni relative alla continuazione dell’impresa.

  13. L’unico profilo degno di rilievo è il ruolo svolto nell’affitto dell’azienda.  A tal proposito, si deve segnalare l’introduzione dell’art. 80-bis (Contratto di affitto d’azienda), il quale prevede che “Il fallimento non e’  causa  di scioglimento  del  contratto  di affitto d’azienda, ma entrambe   le   parti   possono   recedere   entro  sessanta  giorni, corrispondendo alla controparte un equo indennizzo, che, nel dissenso tra  le  parti,  e’  determinato  dal  giudice  delegato, sentiti gli interessati.   L’indennizzo   dovuto   dalla   curatela  e’  regolato dall’articolo 111, primo comma, n. 1).».