La riforma del diritto fallimentare. Principali novità.
Il presente articolo costituisce una breve rassegna delle principali novità introdotte dal d.lgs 5 del 2006. Dopo anni di studi e di proposte rimaste inattuate, si è giunti ad una disciplina organica delle procedure concorsuali. Il quadro che emerge dal recentissimo decreto e dal decreto competitività è quello che vede il risanamento e il recupero del business come imperativi categorici per gli operatori del diritto. Il fallimento e il suo apparato liquidatorio lasciano il posto a procedure sempre più snelle e rapide, in cui dominano il debitore e i creditori. Si privilegia, dunque, l’aspetto negoziale della composizione della crisi, che rende le procedure concorsuali strumenti per la regolamentazione dei rapporti d’impresa sul mercato.
1. Introduzione
Dopo i decreti attuativi del 22 dicembre 2005, il 16 gennaio 2006 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.LGS 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80). Gli addetti ai lavori hanno parlato di una vera e propria “rivoluzione copernicana” (1) che pone finalmente l’Italia “al passo con l’Europa” (2) nella disciplina delle procedure concorsuali.
La riforma, intervenuta dopo diversi tentativi e disorganiche soluzioni legislative, colma una lacuna da tempo avvertita nel panorama giuridico italiano. La necessità di un adeguamento della disciplina italiana alle nuove esigenze del mercato – e soprattutto al contesto europeo – ha fatto sì che negli ultimi anni siano state costituite commissioni ministeriali ad hoc, il cui impegno, tuttavia, non ha mai portato ad una revisione complessiva della materia in questione. Alla luce di queste premesse, ben si comprende come la recentissima riforma sia stata salutata con sollievo dagli operatori del diritto, sebbene non siano mancate critiche per le soluzioni proposte e per le modalità tecniche con cui la nuova disciplina è stata introdotta (3).
Motivo conduttore della riforma è sicuramente l’abbandono della prospettiva “personal-sanzionatoria” che ha caratterizzato il precedente impianto fallimentare, in un’ottica di salvataggio dell’impresa, intesa come valore economico da tutelare (4). Il fallimento, dunque, diventa l’extrema ratio, in un sistema che abbandona i datati aspetti sanzionatori della procedura (salvo quelli strumentali alla stessa) e privilegia la soluzione concordataria, che consente un intervento anticipato sull’impresa in crisi (e non più insolvente) e finalizzato alla ripresa del business e alla sopravvivenza nel mercato del complesso aziendale.
Mira a realizzare le medesime finalità il potenziamento del comitato dei creditori, che abbandona il suo tradizionale ruolo consultivo del giudice delegato per ricoprire una posizione di assoluto rilievo nella procedura concorsuale, con poteri decisionali sottoposti alla mera vigilanza del giudice. La riforma, in sostanza, lascia la gestione del fallimento al debitore e ai creditori, che possono modulare la composizione della crisi, in un contesto in cui l’aspetto giudiziale è piuttosto recessivo.
Ancora, risulta particolarmente rinnovata la figura del curatore, che è ormai il vero “regista” della procedura fallimentare, unitamente al comitato dei creditori.
La riforma, dunque, realizza quanto previsto in sede di delega, adeguandosi ai principi dettati dall’art. 5 della legge 80 (5).
Ovviamente, è ancora prematuro dare un giudizio di validità della disciplina. Senza dubbio, si può già prevedere il risparmio di tempi e lo snellimento delle procedure che deriverà dalla riforma. Ancora, l’abbandono degli aspetti sanzionatori e “infamanti” che caratterizzavano la precedente formulazione delle norme consentiranno un approccio più sereno e – si auspica – più collaborativo da parte del fallito.
Ma non si può negare che il nuovo impianto del fallimento desti qualche perplessità sul piano dell’opportunità delle scelte legislative. Anzitutto, si teme che il ridimensionamento del ruolo del giudice nella gestione della procedura possa determinare il rischio di una soluzione eccessivamente “contrattualistica” della crisi, in cui i poteri forti (e, segnatamente, i creditori) finiscono per detenere la gestione per condizionare l’esito della composizione della crisi. Ancora, tra i primi commentatori della riforma c’è stato qualcuno che ha sollevato l’obiezione di una riforma esageratamente “bancocentrica”, in cui il ruolo dominante del comitato dei creditori sarebbe stato modellato proprio con lo scopo di aumentare il potere delle banche (solitamente i creditori per eccellenza) nello svolgimento della procedura.
2.1. Gli istituti fallimentari del decreto competitività.
Il decreto competitività (6) (d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella l. 14 maggio 2005, n. 80) costituisce il primo stadio della riforma del diritto fallimentare, poi completata con i decreti attuativi del dicembre 2005 e il d.lgs. 5.
Per quanto molti commentatori abbiano criticato l’utilizzo dello strumento decretale, dubitando dell’opportunità di un intervento d’urgenza che precedesse di soli pochi mesi la riforma organica della disciplina, le novità introdotte dal decreto competitività sono di non poco momento.
Anzitutto, viene modificata la disciplina del concordato preventivo (7). Gli aspetti più rilevanti della nuova procedura sono costituiti dai presupposti soggettivi e oggettivi, visto che scompaiono i requisiti di meritevolezza dell’imprenditore e non è più richiesto lo stato di insolvenza (sostituito da una situazione di “crisi” in cui versi l’impresa (8)). Ancora, non è più richiesto il pagamento di almeno il 40% dei creditori chirografari, in quanto “oggetto della proposta può essere qualsiasi accordo con i creditori che assicuri la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma” (9), con l’ulteriore possibilità di suddividere i creditori in classi omogenee.
Anche nel concordato il ruolo del giudice delegato risulta fortemente ridimensionato. Il giudice, infatti, non ha il potere di sindacare nel merito la proposta di concordato, dovendo limitare il proprio intervento al controllo formale sulla regolarità e la completezza dei documenti che corredano la domanda. Egli dovrà, inoltre, provvedere ad omologare il concordato approvato dalla maggioranza dei creditori o, nel caso di più classi, dalla maggioranza di ciascuna classe.
Il concordato, così modificato, sarà, dunque, la procedura per eccellenza del nuovo diritto fallimentare, attesa la sua capacità di intervenire in una fase di “pre-insolvenza” e di evitare il fallimento. Tale circostanza è ancor più probabile laddove si consideri che la riforma ha abolito la procedura di amministrazione controllata, trasferendo le funzioni cui essa era deputata proprio al concordato.
Altra figura modificata in sede decretale è stata quella della revocatoria fallimentare. Prevista per garantire il recupero dei cespiti distratti durante il periodo sospetto, la revocatoria ha mantenuto il suo ruolo di strumento di garanzia del ceto creditorio e di reintegrazione dell’attivo fallimentare.
La riforma ha salvaguardato la distinzione, già presente nella legge del ’42, tra atti anormali (per i quali la conoscenza dello stato di insolvenza è presunta ) e atti normali (nei quali, al contrario, il curatore deve provare l’elemento soggettivo). È stato, invece, ampliato il novero delle esenzioni dalla revocatoria (art. 67, 3° co., l. fall.) ed è stata praticamente dimezzata la durata del periodo sospetto (10).
Il legislatore ha, poi, precisato il concetto di “notevole sproporzione” previsto dalla precedente normativa in relazione agli atti anomali, stabilendo che la differenza tra le obbligazioni e le prestazioni assunte dal fallito e ciò che a lui è stato dato o promesso deve essere di oltre un quarto.
In base a quanto previsto dalla delega della legge 80, il nuovo articolo 69-bis della legge fallimentare prevede che le azioni revocatorie siano soggette ad un termine di decadenza di tre anni dalla dichiarazione di fallimento o comunque di cinque anni dal compimento dell’atto.
Le nuove norme saranno applicabili solo per le revocatorie proposte nell’ambito delle procedure concorsuali iniziate dopo il 17 marzo 2005.
Il decreto competitività ha introdotto anche il nuovo articolo 70, rubricato “Effetti della revocazione”. La norma prevede che chi abbia restituito quanto percepito per effetto della revocatoria è ammesso al passivo per il suo credito, stabilendo condizioni particolari per il pagamento avvenuto tramite intermediario e per gli atti estintivi di rapporti continuativi e reiterati. Viene, in tal modo, abrogato il precedente testo dell’articolo, la cd. presunzione muciana, relativa agli acquisti da parte del coniuge del fallito nel quinquennio anteriore al fallimento.
Completamente innovativa risulta l’introduzione degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis. La norma prevede che il debitore possa stipulare tali accordi con i creditori che rappresentino almeno il 60% della totalità. L’accordo, con la relazione di un esperto circa l’attuabilità dello stesso (con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei), deve essere depositato in tribunale per l’omologazione e pubblicato nel registro delle imprese.
Anche per gli accordi di ristrutturazione, la legge non richiede particolari requisiti di meritevolezza per l’imprenditore, ma è sufficiente lo stato di crisi in cui versi un qualsiasi imprenditore commerciale non piccolo.
Entro 30 giorni dalla pubblicazione, i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione. La decisione in merito spetta al tribunale che, una volta deciso sulle opposizioni, provvederà ad omologare l’accordo in camera di consiglio con decreto motivato. È possibile proporre opposizione anche nei confronti del decreto di omologazione, entro 15 giorni dalla pubblicazione nel registro delle imprese.
L’accordo sarà efficace dal giorno della pubblicazione.
Con l’introduzione di questo istituto si cristallizza una tendenza da tempo emersa nella prassi, ovvero quella della soluzione stragiudiziale della crisi d’impresa, che la stessa giurisprudenza di legittimità aveva ritenuto ammissibile (11)
2.3. Il comitato dei creditori, il curatore e il giudice delegato.
Modifiche rilevanti sono quelle che interessano gli organi della procedura. Nell’ottica di un fallimento sempre più rapido e non afflittivo per il debitore, la riforma ha concepito una procedura in cui il ruolo del giudice delegato viene relegato al mero controllo di legittimità degli atti, mentre la gestione della procedura è affidata al comitato dei creditori e al curatore.
È quest’ultimo il vero protagonista della riforma, in quanto eredita molti dei poteri che prima spettavano al giudice ma acquista un ruolo di maggior rilievo rispetto a quello finora ricoperto dall’autorità giudiziaria. In sostanza, il curatore è chiamato a dirigere la procedura sotto la mera vigilanza del giudice delegato.
La riforma ha ampliato le categorie di professionisti che possono esercitare la funzione di curatore fallimentare. I soggetti contemplati sono:
1. avvocati;
2. dottori e ragionieri commercialisti;
3. studi professionali associati;
4. società tra professionisti;
5. amministratori di s.p.a. che abbiano dato prova di capacità imprenditoriali.
Sono, invece, esclusi:
1. il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito;
2. i creditori del fallito e chi ha concorso al dissesto dell’impresa durante i due anni anteriori alla declaratoria di fallimento;
3. chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento.
La nomina avviene con sentenza dichiarativa, ma è possibile la sostituzione su richiesta dell’adunanza dei creditori al giudice.
A parte l’aumento dei poteri strettamente connessi alla direzione della procedura, tra cui quello di nominare direttamente gli avvocati della procedura e quello di compiere gli atti di straordinaria amministrazione (riduzione di crediti, transazioni, compromessi, rinuncia alle liti, ricognizione di diritti di terzi) su autorizzazione del comitato dei creditori, il curatore ha l’importante compito di predisporre un piano di liquidazione nei 60 giorni successivi alla redazione dell’inventario. Il programma viene sottoposto all’esame del comitato dei creditori e all’approvazione del giudice delegato.
Il programma deve contenere tutti gli elementi utili a comprendere i termini e le possibilità di realizzo dell’attivo e la sua approvazione conferisce il potere di compiere tutti gli atti necessari per eseguirlo.
In un quadro siffatto, il comitato dei creditori diventa l’organo di decisione della procedura (12). sostituendo molte delle precedenti competenze del giudice delegato. Nominato dal giudice delegato entro 30 giorni dalla sentenza di fallimento, è il comitato ad autorizzare in moltissimi casi l’operato del curatore, realizzando, così, una stretta collaborazione tra i due organi. Spetta, inoltre, al medesimo organo l’autorizzazione all’azione di responsabilità nei confronti del curatore.
Il presidente del comitato viene designato, a differenza che nel passato, a maggioranza del comitato stesso. Ogni componente ha il diritto di ispezionare scritture contabili e documenti della procedura e di richiedere notizie a curatore e fallito.
Quanto al giudice delegato, non si può negare che le attribuzioni di tale organo siano state ridimensionate dalla riforma
-Dott.ssa Emanuella Prascina-
Note.
- L’espressione è del Ministro della Giustizia Roberto Castelli, in un articolo di A. Signorini pubblicato su “Il Giornale” del 23 dicembre 2005.
- Così si è espresso il presidente dell’ABI Maurizio Sella, nello stesso articolo di cui in nota 1.
- In particolare, gli aspetti critici sottolineati dai primi commentatori della riforma si concentrano essenzialmente sul timore di una riforma cd. “bancocentrica”, atteso il ruolo di prim’ordine rivestito dal comitato dei creditori (nel quale spesso le banche sono la parte maggiormente rappresentativa) e il ridimensionamento dei poteri del giudice delegato, e sull’inutilità di una riforma “a più riprese”, dal decreto competitività del maggio 2005 ai recentissimi decreti attuativi del dicembre 2005.
- Così G. ALESSI, V. DE SENSI, La riforma della legge fallimentare, 2002, disponibile sul sito internet www.archivioceradi.luiss.it.
- In ossequio ai principi dettati dall’art. 5 della legge 80:
- a) modificare la disciplina del fallimento, secondo i seguenti principi:
- 1) semplificare la disciplina attraverso l’estensione dei soggetti esonerati dall’applicabilita’ dell’istituto e l’accelerazione delle procedure applicabili alle controversie in materia;
- 2) ampliare le competenze del comitato dei creditori, consentendo una maggiore partecipazione dell’organo alla gestione della crisi dell’impresa; coordinare i poteri degli altri organi della procedura;
- 3) modificare la disciplina dei requisiti per la nomina a curatore, annoverando tra i soggetti legittimati a ricoprire la carica gli studi professionali associati, le societa’ tra professionisti, nonche’ coloro che abbiano comprovate capacita’ di gestione imprenditoriale;
- 4) modificare la disciplina delle conseguenze personali del fallimento, eliminando le sanzioni personali e prevedendo che le limitazioni alla liberta’ di residenza e di corrispondenza del fallito siano connesse alle sole esigenze della procedura;
- 5) modificare la disciplina degli effetti della revocazione, prevedendo che essi si rivolgano nei confronti dell’effettivo destinatario della prestazione;
- 6) ridurre il termine di decadenza per l’esercizio dell’azione revocatoria;
- 7) modificare la disciplina degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti, ampliando i termini entro i quali il curatore deve manifestare la propria scelta in ordine allo scioglimento dei relativi contratti e prevedendo una disciplina per i patrimoni destinati ad uno specifico affare e per i contratti di locazione finanziaria;
- 8) modificare la disciplina della continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa, ampliando i poteri del comitato dei creditori e del curatore ed introducendo l’obbligo di informativa periodica da parte del curatore al comitato dei creditori sulla gestione provvisoria;
- 9) modificare la disciplina dell’accertamento del passivo, abbreviando i tempi della procedura, semplificando le modalita’ di presentazione delle relative domande di ammissione e prevedendo che in sede di adunanza per l’esame dello stato passivo i creditori possano, a maggioranza dei crediti insinuati, confermare o effettuare nuove designazioni in ordine ai componenti del comitato dei creditori, nonche’ confermare il curatore ovvero richiederne la sostituzione indicando al giudice delegato un nuovo nominativo;
- 10) prevedere che, entro sessanta giorni dalla redazione dell’inventano, il curatore predisponga un programma di liquidazione da sottoporre, previa approvazione del comitato dei creditori, all’autorizzazione del giudice delegato contenente le modalita’ e i termini previsti per la realizzazione dell’attivo, specificando:
- se e’ opportuno disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa o di singoli rami di azienda, anche tramite l’affitto a terzi;
- la sussistenza di proposte di concordato;
- le azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie da esercitare;
- le possibilita’ di cessione unitaria dell’azienda, di singoli rami, di beni o di rapporti giuridici individuabili in blocco;
- le condizioni della vendita dei singoli cespiti, e che il comitato dei creditori possa proporre al curatore modifiche al programma presentato, prima di procedere alla sua votazione, e che l’approvazione de programma sia subordinata all’esito favorevole della votazione, da parte del comitato dei creditori;
- 11) modificare la disciplina della ripartizione dell’attivo, abbreviando i tempi della procedura e semplificando gli adempimenti connessi;
- 12) modificare la disciplina del concordato fallimentare, accelerando i tempi della procedura e prevedendo l’eventuale suddivisione dei creditori in classi che tengano conto della posizione giuridica e degli interessi omogenei delle varie categorie di creditori, nonche’ trattamenti differenziati per i creditori appartenenti a classi diverse; disciplinare le modalita’ di voto per classi, prevedendo che non abbiano diritto di voto i creditori muniti di privilegio, pegno ed ipoteca, a meno che dichiarino di rinunciare al privilegio; disciplinare le modalita’ di approvazione del concordato, modificando altresi’ la disciplina delle impugnazioni al fine di
garantire una maggiore celerita’ dei relativi procedimenti; - 13) introdurre la disciplina dell’esdebitazione e disciplinare il relativo procedimento, prevedendo che essa consista nella liberazione del debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti qualora:
- abbia cooperato con gli organi della procedura fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo e al proficuo svolgimento delle operazioni;
- non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare la procedura;
- non abbia violato le disposizioni di cui alla gestione della propria corrispondenza;
- non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta;
- non abbia distratto l’attivo o esposto passivita’ insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito;
- non sia stato condannato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attivita’ d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione;
- 14) abrogare la disciplina del procedimento sommario;
- b) prevedere l’abrogazione dell’amministrazione controllata;
- c) prevedere che i crediti di rivalsa verso il cessionario previsti dalle norme relative all’imposta sul valore aggiunto, se relativi alla cessione di beni mobili, abbiano privilegio sulla generalita’ dei mobili del debitore con lo stesso grado del privilegio generale di cui agli articoli 2752 e 2753 del codice civile, cui tuttavia e’ posposto.».
- S. BUTERA, La miniriforma del diritto fallimentare, 2005. Disponibile sul sito internet www.archivioceradi.luiss.it.
- Per il nuovo concordato si veda diffusamente S. AMBROSINI, P.G. DEMARCHI, Il nuovo concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, 2005; S. BUTERA, op. cit.; M.R. GROSSI, la riforma della legge fallimentare, Milano, 2005.
- La nozione di crisi non viene definita nel testo di legge e sarà, senza dubbio, chiarita dall’opera del giudice. In attesa di un consolidato orientamento giurisprudenziale, si può ritenere che la crisi sia una situazione di difficoltà dell’impresa anteriore allo stato d’insolvenza, ovvero quello stato di incapacità dell’imprenditore di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni. La crisi è, in sostanza, una situazione ancora recuperabile che, secondo la definizione data dalla Commissione Trevisanato (febbraio 2005) consisterebbe nella “situazione patrimoniale, economica o finanziaria in cui si trova l’impresa, tale da determinare il rischio di insolvenza”.
- S. BUTERA, op. cit..
- Il legislatore ha portato a un anno il periodo sospetto per gli atti anormali e a sei mesi per gli altri.
- Cfr. Cass. 18 marzo 1979, in Giust. civ., 1979, I, 951.
- Importante è il ruolo svolto nelle decisioni relative alla continuazione dell’impresa.
- L’unico profilo degno di rilievo è il ruolo svolto nell’affitto dell’azienda. A tal proposito, si deve segnalare l’introduzione dell’art. 80-bis (Contratto di affitto d’azienda), il quale prevede che “Il fallimento non e’ causa di scioglimento del contratto di affitto d’azienda, ma entrambe le parti possono recedere entro sessanta giorni, corrispondendo alla controparte un equo indennizzo, che, nel dissenso tra le parti, e’ determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati. L’indennizzo dovuto dalla curatela e’ regolato dall’articolo 111, primo comma, n. 1).».