Corte Costituzionale – Sentenza n.  425 – Anno 2005


REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME  DEL  POPOLO  ITALIANO


LA CORTE COSTITUZIONALE


composta dai signori:



  • -Annibale MARINI Presidente

  • -Franco BILE         Giudice

  • -Giovanni Maria FLICK  ”

  • -Francesco AMIRANTE ”

  • -Ugo DE SIERVO           ”

  • -Romano VACCARELLA ”

  • -Paolo MADDALENA      ”

  • -Alfio FINOCCHIARO    ”

  • -Alfonso QUARANTA    ”

  • -Franco GALLO             ”

  • -Luigi MAZZELLA           ”

  • -Gaetano SILVESTRI    ”

  • -Sabino CASSESE         ”

  • -Maria Rita SAULLE      ”

  • -Giuseppe TESAURO   ”

ha pronunciato la seguente


SENTENZA


nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 126-bis, comma 2, e 204-bis, commi 1 e 3, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), articoli rispettivamente introdotti, l’uno, dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214, e, l’altro, dall’art. 4, comma 1-septies, del già menzionato decreto-legge n. 151 del 2003, convertito, con modificazioni, nella legge n. 214 del 2003, promosso con ordinanza del 16 marzo 2004 dal Giudice di pace di Trani, nel procedimento civile vertente tra Tannoja Francesco Paolo e il Comune di Trani, iscritta al n. 895 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale dell’anno 2004.


    Visto l’atto di costituzione di Tannoja Francesco Paolo;


    udito nell’udienza pubblica del 29 novembre 2005 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.


Ritenuto in fatto


    1.— Il Giudice di pace di Trani, con ordinanza del 16 marzo 2004, ha sollevato questione di legittimità costituzionale – per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione – degli artt. 126-bis, comma 2, e 204-bis, commi 1 e 3, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), articoli rispettivamente introdotti, l’uno, dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214, e, l’altro, dall’art. 4, comma 1-septies, del già menzionato decreto-legge n. 151 del 2003, convertito, con modificazioni, nella legge n. 214 del 2003.


    1.1. – Il giudice a quo premette di essere chiamato a giudicare dell’opposizione proposta – a norma del predetto art. 204-bis del codice della strada, e dunque direttamente indirizzata avverso verbale di contestazione di infrazione stradale – da un ricorrente che nega di essersi trovato alla guida del veicolo al momento dell’accertata infrazione, soggiungendo di «non sapere e comunque di non essere in grado di sapere» chi possa aver utilizzato l’autovettura. Sempre in punto descrizione della fattispecie sottoposta al suo giudizio, il rimettente precisa che il predetto ricorrente – dopo aver provveduto, a norma dell’art. 202 del codice della strada, «al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria» in misura ridotta, ma «con salvezza di ripetizione» – «non ha peraltro costituito nei modi di legge la cauzione prevista dall’art. 204-bis, comma 3», del medesimo codice.


    Su tali basi, pertanto, egli sottolinea che – ai sensi del combinato disposto degli artt. 204-bis, comma 1, e 126-bis, comma 2, del codice della strada – l’esito del giudizio a quo dovrebbe consistere nella declaratoria, de plano, della improponibilità dell’opposizione, «avendo il ricorrente provveduto nel termine di legge, e prima del deposito del ricorso, al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria nella misura ridotta consentita, circostanza che si pone come causa ostativa, secondo la legge, non solo all’esame nel merito del ricorso ma alla sua stessa proponibilità». Difatti, alla luce della prima delle disposizioni testé richiamate, «il trasgressore o gli altri soggetti indicati nell’art. 196» del medesimo codice «possono proporre ricorso al giudice di pace competente» solo in quanto «non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta nei casi in cui è consentito», mentre ai sensi della seconda «la contestazione si intende definita» quando, tra le altre ipotesi, «sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa».


    In subordine, il rimettente sottolinea come – ex art. 204-bis, comma 3, del codice della strada – il ricorso sottoposto al suo esame andrebbe comunque dichiarato inammissibile, «non essendo stata costituita la cauzione ivi prevista».


    1.2 – Orbene, ritiene il Giudice di pace di Trani che le norme suddette siano costituzionalmente illegittime.


    1.2.1. – Gli artt. 126-bis, comma 2, e 204-bis, comma 1, «ledono il diritto costituzionale alla tutela giurisdizionale», garantito «a chiunque» dall’art. 24 della Carta fondamentale.


    Essi, infatti, fanno dipendere l’esercizio del diritto di azione da una circostanza puramente fortuita, e segnatamente «dal mero fatto di una scelta tra il pagare nei termini di legge la sanzione» in misura ridotta (ciò che permette di evitare «l’aggravamento economico della stessa», però «subendo la irrogazione della sanzione accessoria», giacché quest’ultima è comunque comminata nell’ipotesi prevista dall’art. 202 del codice della strada) «e il non pagare», evenienza questa che consente una piena tutela (visto che l’eventuale accoglimento dell’opposizione esplica i suoi effetti anche in relazione alle sanzioni amministrative accessorie), ma che espone il ricorrente – quanto alla sanzione principale – al «rischio di un suo eventuale aggravamento in termini economici», ferma oltretutto «restando la irrogazione della eventuale sanzione accessoria nel caso di rigetto dell’opposizione».


    L’illegittimità costituzionale delle disposizioni suddette sarebbe vieppiù evidente ove si consideri che «al mero fatto del pagamento della sanzione» in misura ridotta «non consegue il riconoscimento di fondatezza nel merito e in diritto della contestazione» elevata dalla pubblica amministrazione, essendo evidente che, attivando la procedura ex art. 202 del codice della strada, «il presunto contravventore, o il coobbligato solidale, non fa altro che prevenire ulteriori più onerose conseguenze della contestazione», senza che a tale comportamento possa riconoscersi una volontà abdicativa della tutela giudiziaria. Richiama, sul punto, il rimettente – come termine di paragone – la disciplina prevista per il procedimento “monitorio”, nell’ambito della quale la circostanza che il debitore ingiunto «paghi, dopo la notifica del titolo esecutivo, la somma portata dallo stesso» non per questo comporta che egli sia «impedito dall’opporre l’ingiunzione».


    Il rimettente sottolinea, inoltre, «la conseguenza illogica» derivante – a suo dire – dal sistema delineato dalle norme impugnate. Se in linea generale, infatti, l’alternatività prevista dal codice della strada tra il ricorso al prefetto (art. 203) e il ricorso all’autorità giudiziaria (art. 204-bis) non impedisce che il provvedimento adottato dal primo possa comunque essere sottoposto al sindacato dell’autorità giudiziaria, «nel caso di adempimento tempestivo della prestazione patrimoniale» mediante pagamento in misura ridotta, viceversa, «sono sic et simpliciter impediti» sia il ricorso al giudice che quello al prefetto.


    Sarebbe stato, dunque, «stravolto il previgente regime» (come delineato dalle sentenze di questa Corte n. 311 e n. 255 del 1994), il quale non solo consentiva la possibilità di adire tanto l’autorità prefettizia quanto quella giudiziaria, ma soprattutto escludeva che il ricorso a quest’ultima fosse «sottoposto ad alcuna condizione di procedibilità e/o inammissibilità». Le norme impugnate, per contro, farebbero prevalere «sul diritto costituzionalmente garantito di agire in giudizio una situazione di fatto», e cioè l’espletamento «di una prestazione patrimoniale» (il pagamento in misura ridotta) «che, se non eseguita, porterebbe a più pesanti conseguenze economiche».


    Il denunciato vizio di illegittimità costituzionale risulterebbe, poi, ancor più aggravato in un caso – qual è quello di specie – in cui «il soggetto attinto dalla sanzione nega di essere stato l’autore materiale della violazione», avendo provveduto al pagamento della sanzione in misura ridotta, in quanto risulta, ex art. 196 del codice della strada, «coobbligato solidale per la stessa», intendendo egli, però, egualmente proporre opposizione avverso il verbale di contestazione dell’infrazione per impedire che «gli vengano irrogate le sanzioni accessorie». In questa ipotesi, infatti, la preclusione all’esercizio del diritto di azione – nascente dall’avvenuta oblazione dell’illecito amministrativo – comporta che il coobbligato in solido divenga «per fictio iuris» responsabile della stessa «ad ogni fine», e dunque per l’applicazione «di sanzione amministrativa pecuniaria, sanzione accessoria e decremento di punti».


    1.2.2. – Non minori dubbi, in ordine alla sua conformità alla Costituzione, circondano il comma 3 dell’art. 204-bis, «per la parte in cui prevede che “all’atto del deposito del ricorso, il ricorrente deve versare presso la cancelleria del giudice di pace, a pena di inammissibilità del ricorso, una somma pari alla metà del massimo edittale della sanzione inflitta dall’organo accertatore”».


    Esso, difatti, introduce un limite al diritto costituzionale di azione tutelato dall’art. 24 della Costituzione, che ricorda molto da vicino nella sua struttura e nelle sue finalità la cautio pro expensis già dichiarata incostituzionale con sentenza n. 67 del 1960. Tale disposizione, inoltre, «pare porsi in contrasto anche con l’art. 3 della Costituzione», palesando «come condizioni personali di ordine economico possano rendere se non impossibile certamente estremamente gravosa la tutela giurisdizionale» nei confronti della pubblica amministrazione.


    1.3. –  Su tali basi, quindi, il giudice a quo ha concluso – non senza previamente precisare come la rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale discenda dal fatto che la controversia sottoposta al suo esame «non può essere conosciuta e decisa nel merito, per nessun suo profilo, se non previa eliminazione delle norme denunziate», atteso che «allo stato» le stesse «impongono al giudicante di dichiarare improponibile ed inammissibile il ricorso» – affinché questa Corte dichiari l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, «degli artt. 204» (recte: 204-bis), «commi 1 e 3 e 126-bis, comma 2» del codice della strada, «nelle parti in cui dispongono la improponibilità e la inammissibilità della opposizione» al Giudice di pace.


Considerato in diritto


    1.— Il Giudice di pace di Trani, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato una duplice questione di legittimità costituzionale – per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione – degli artt. 126-bis, comma 2, e 204-bis, commi 1 e 3, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), articoli rispettivamente introdotti, l’uno, dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214, e, l’altro, dall’art. 4, comma 1-septies, del già menzionato decreto-legge n. 151 del 2003, convertito, con modificazioni, nella legge n. 214 del 2003.


    2.— Il rimettente premette che, ai sensi delle disposizioni impugnate, l’esito del giudizio a quo – avente ad oggetto opposizione proposta avverso verbale di contestazione di infrazione stradale, ex art. 204-bis del codice della strada – dovrebbe consistere nella declaratoria, de plano, di improponibilità dell’azione esperita.


    Egli sottolinea, in primo luogo, come il ricorrente abbia «provveduto nel termine di legge, e prima del deposito del ricorso, al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria nella misura ridotta consentita, circostanza che si pone come causa ostativa, secondo la legge, non solo all’esame nel merito del ricorso ma alla sua stessa proponibilità». Così come, infatti, l’impugnato art. 126-bis, comma 2, stabilisce che la «contestazione si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione pecuniaria», il successivo art. 204-bis, comma 1, sancisce simmetricamente che «il trasgressore o gli altri soggetti indicati nell’art. 196» del medesimo codice della strada (vale a dire i coobbligati per la sanzione pecuniaria) «possono proporre ricorso al giudice di pace competente» solo in quanto «non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta nei casi in cui è consentito».


    In subordine, poi, il rimettente sottolinea come – ex art. 204-bis, comma 3, del codice della strada – il ricorso sottoposto al suo esame vada comunque dichiarato inammissibile, «non essendo stata costituita la cauzione ivi prevista».


    Reputando, dunque, in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione tale doppia preclusione alla possibilità di conoscere – nel merito – l’opposizione sottoposta al suo esame, il giudice a quo ha censurato tanto il combinato disposto degli artt. 126-bis, comma 2, e 204-bis, comma 1, del codice della strada, quanto il comma 3 dell’articolo da ultimo menzionato.


    3.— Nessuna delle questioni sollevate può essere accolta.


    3.1.— In relazione alla questione concernente il comma 3 dell’art. 204-bis, deve osservarsi come questa Corte abbia già dichiarato la illegittimità costituzionale di tale disposizione.


    Nel ribadire che il principio secondo cui «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi» è destinato a «trovare attuazione uguale per tutti, indipendentemente da ogni differenza di condizioni personali e sociali», la Corte ha osservato come, proprio alla luce di tale principio, debba ritenersi «che l’imposizione dell’onere economico di cui all’art. 204-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 finisca con il pregiudicare l’esercizio di diritti che l’art. 24 della Costituzione proclama inviolabili, considerato che il mancato versamento comporta un effetto preclusivo dello svolgimento del giudizio, incidendo direttamente sull’ammissibilità dell’azione esperita» (sentenza n. 114 del 2004).


    Pertanto, l’avvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale del comma 3 dell’art. 204-bis del codice della strada preclude al giudice a quo di farne applicazione alla fattispecie sottoposta al suo esame, ciò che rende la corrispondente questione di costituzionalità manifestamente inammissibile.


    3.2.— La questione relativa agli artt. 126-bis, comma 2, e 204-bis, comma 1, del codice della strada non è fondata.


    3.2.1.— La censura del Giudice di pace di Trani, come si è precisato, investe le disposizioni de quibus in quanto esse condizionerebbero l’esercizio del diritto di azione ad una circostanza puramente fortuita.


    Il diritto alla tutela giurisdizionale dipenderebbe, difatti, secondo il rimettente, dal «mero fatto di una scelta tra il pagare nei termini di legge la sanzione» in misura ridotta (ciò che permette di evitare «l’aggravamento economico della stessa», però «subendo la irrogazione della sanzione accessoria») «e il non pagare»; evenienza questa che se consente una piena tutela, visto che l’eventuale accoglimento dell’opposizione esplica i suoi effetti anche in relazione alle sanzioni amministrative accessorie, espone tuttavia il ricorrente, quanto alla sanzione pecuniaria, al «rischio di un suo eventuale aggravamento in termini economici».


    3.2.2.— Questa Corte già in passato è stata chiamata a porre a raffronto la situazione del soggetto che si avvalga della facoltà di effettuare il pagamento in misura ridotta e quella di colui che, invece, preferisca agire in giudizio per ottenere l’annullamento della sanzione inflittagli.


    La Corte, in particolare, ha affermato – nel premettere, circa la natura e le finalità proprie dell’istituto di cui all’art. 202 del codice della strada, che «il beneficio predetto è offerto al contravventore in funzione deflattiva dei procedimenti contenziosi, sia amministrativi che giurisdizionali, alla pari di analoghi istituti presenti in altre discipline processuali» – che «proprio in ragione delle finalità deflattive perseguite dall’istituto del pagamento in misura ridotta, la situazione di chi non si avvale del rimedio del gravame per lucrare il beneficio è diversa da quella di chi si avvale del rimedio» (ordinanza n. 350 del 1994).


    Tali rilievi – che vanno ribaditi anche nel caso in esame – escludono, pertanto, che possa ritenersi fondata la censura di violazione dell’art. 3 della Costituzione.


    Quanto, poi, alla dedotta violazione anche dell’art. 24 della Carta fondamentale, deve osservarsi come la scelta tra pagare in misura ridotta (e cioè la somma pari al minimo edittale della sanzione pecuniaria prevista per l’infrazione) ed impugnare invece il verbale, costituisca il risultato di una libera determinazione dell’interessato, il quale non subisce condizionamenti di sorta, considerato che, qualora opti per l’esercizio del diritto di azione, non per questo è destinato, necessariamente, a subire un aggravamento della sanzione pecuniaria. In caso di rigetto dell’opposizione, difatti, non è preclusa al Giudice di pace, «nella sua discrezionalità ed ove ne ricorrano le condizioni», la possibilità di determinare l’entità della sanzione pecuniaria – come già sottolineato in passato da questa Corte (con le ordinanze n. 350 e n. 67 del 1994) – «nel minimo previsto, cioè nella misura corrispondente a quella “ridotta” di cui all’art. 202 del nuovo codice della strada». Il giudicante, in realtà, è tenuto a rispettare unicamente (ex art. 204-bis, comma 7, del citato codice) il divieto di applicare una sanzione inferiore al minimo edittale, ma non anche in misura pari al suddetto minimo.


    In definitiva, deve ritenersi che il carattere meramente accidentale – e non necessitato – della irrogazione della sanzione pecuniaria in misura superiore al minimo edittale non rappresenti un’apprezzabile remora ad adire le vie giudiziali, sicché può escludersi che la norma censurata sia in contrasto con l’art. 24 della Costituzione.


    per questi motivi


    LA CORTE COSTITUZIONALE


    dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 204-bis, comma 3, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 4, comma 1-septies, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214, questione sollevata – in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione – dal Giudice di pace di Trani, con l’ordinanza di cui in epigrafe;


    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 126-bis, comma 2, e 204-bis, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), articoli rispettivamente introdotti dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge n. 151 del 2003, convertito, con modificazioni, nella legge n. 214 del 2003, e dall’art. 4, comma 1-septies, del già menzionato decreto-legge n. 151 del 2003, convertito, con modificazioni, nella legge n. 214 del 2003, questione sollevata – in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione – dal medesimo Giudice di pace, con l’ordinanza di cui in epigrafe.


    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 2005.


F.to:


Annibale MARINI, Presidente


Alfonso QUARANTA, Redattore


Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere


Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2005


Il Direttore della Cancelleria


F.to: DI PAOLA