TRIBUNALE DI TRANI
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Il Tribunale Penale di Trani, Sezione Prima composta da:
1. dott. Grazia Miccoli Presidente
2. dott. Giovanna de Scisciolo Giudice
3. dott. Maristella Sardone Giudice
ha pronunciato e pubblicato, dando lettura del dispositivo, alla udienza dibattimentale del 17/02/2005 la seguente
S E N T E N Z A
nei confronti di M. V. + 23
I M P U T A T I
A) M.V + 14:
ex art. 416 cod. pen. per essersi associati tra loro in un sodalizio criminoso allo scopo di commettere una serie interminabile di delitti (tra cui quelli indicati nei capi seguenti), utilizzando le strutture organizzative ed aziendali della BPA, e abusando delle funzioni di volta in volta ricoperte da ciascuno nel corso del tempo ( e cioè quali componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale dal 1993 al 1996) strumentalizzando le predette funzioni per favorire i beneficiari di illecite erogazioni di prestiti indicati nei capi seguenti con grave danno all’Istituto di credito;
inoltre in numerosi casi, pur astenendosi formalmente dalle deliberazioni operavano concordemente allo scopo di consentire erogazioni illecite di importi elevatissimi in favore di persone fisiche o giuridiche rispetto alle quali avevano interessi personali derivanti o da vincoli di parentela o da compartecipazione in imprese.
In Andria dal 1993 al 1996
Omissis
B) M.V. + 12 nelle rispettive qualità
art. 134 comma 1° T.U. delle Leggi in materia bancaria e creditizia, art. 40 comma 2° cod. pen. per avere:
omesso di segnalare nelle comunicazioni mensili e trimestrali inviate dalla B. P. A. alla Banca d’Italia nel corso degli anni 1994-1995-1996-1997, crediti in “sofferenza” pari a complessive Lit. (omissis):
– sofferenze maturate sino al 31/12/1993 Lit. ( Omissis)
– “ “ “ al 31/12/1994 Lit. ( Omissis)
– “ “ “ al 31/12/1995 Lit. ( Omissis)
– “ “ “ al 31/12/1994 Lit. ( Omissis)
M G. Omissis
C. G. Omissis
S. G., per avere nella predetta qualità, omesso di segnalare nelle comunicazioni mensili e trimestrali inviate dalla B.P.A. alla Banca d’Italia sofferenze pari a complessive Lit. ( Omissis) importo così suddiviso in base al periodo di maturazione:
– sofferenze maturate sino al 31/12/1993 Lit. ( Omissis)
– “ “ “ al 31/12/1994 Lit. ( Omissis)
– “ “ “ al 31/12/1995 Lit. ( Omissis)
In Andria dal 1993 al 1995
Capo C) qualificato in diritto dal P.M. all’udienza preliminare del 04/07/2002 come violazione degli artt. 2 comma 3° cod. pen. – 134 D. L.vo n. 385/93 in 2638 cod. civ. come modificato dal D. L.vo n. 61/02
D) Art. 136 commi 1° e 3° T.U. L. B. in relazione all’art. 2624 comma 1° ed art. 2631 cod. civ.: il S. G. nella qualità di Consigliere di Amministrazione nonché titolare della ditta individuale esercente l’a. e. usufruito di un affidamento dal medesimo avanzato, relativo all’erogazione di un mutuo ipotecario decennale Lit. ( Omissis), approvato con delibera dal G. di A.
In Andria l’08/06/1995.
Capo D) qualificato dal P.M. all ‘udienza preliminare del 04/07/2002 come violazione degli artt. 2 comma 3° cod. pen. – 116 comma 1° e 2° D. L.vo n. 385/93 in relazione all’art. 2634 comma 1° come modificato dal D. L.vo n. 61/2002; nonché art. 2631 cod. civ. (vecchia formulazione) e art. 2634 cod. civ. come modificato dal D. L.vo n. 61/2002.
E) M. V. + 11:
ex art. 646 cod. pen. – 61 n. 11 e n. 7 cod. pen. – 110 cod. pen. per avere, nelle qualità in epigrafe indicate, in concorso e previo concerto con i beneficiari dei prestiti illegittimi di cui al capo che segue, cagionato l’appropriazione indebita da parte di questi ultimi di somme facenti parte del patrimonio della B. P. A., mediante l’erogazione di prestiti in assenza dei requisiti di prestiti per l’affidamento bancario, per un importo complessivo di Lit. ( Omissis) così suddivisi:
– Lit. ( Omissis) a favore del ( Omissis);
– Lit. ( Omissis) a favore del ( Omissis);
– Lit. ( Omissis) a favore del ( Omissis);
– Lit. ( Omissis) a favore del ( Omissis).
In Andria dal 1993 al 1996.
C. G. quale consigliere di amministrazione della BPA, per avere in concorso e previo concerto con i beneficiari dei prestiti illegittimi di cui al capo che segue, cagionato l’appropriazione indebita da parte di questi ultimi di somme facenti parte del patrimonio della B. P. A., mediante l’erogazione di prestiti in assenza dei requisiti richiesti per l’affidamento bancario, per un importo complessivo di Lit. ( Omissis) così suddivisi:
– Lit. ( Omissis) a favore del ( Omissis);
– Lit. ( Omissis) a favore del ( Omissis);
– Lit. ( Omissis) a favore del ( Omissis);
– Lit. ( Omissis) a favore del ( Omissis).
In Andria dal 1993 al 1995.
M. V. + 10:
per avere, nelle qualità in epigrafe indicate, in concorso e previo concerto con i beneficiari dei prestiti illegittimi di cui al capo che segue, cagionato l’appropriazione indebita da parte di questi ultimi di somme facenti parte del patrimonio della B. P. A., mediante l’erogazione di prestiti in assenza dei requisiti richiesti per l’affidamento bancario, per un importo complessivo di Lit. ( Omissis) in favore della ( Omissis)
In Andria nel 1995 – Il tutto causando un danno di rilevante entità alla BPA
F) M.G. + 9:
art. 646 cod. pen. – 61 n. 7 e 11 – 59 comma 2° cod. pen. – 110 cod. pen. per essersi in concorso tra loro e previo accordo con le persone indicate nel campo che precede e delle quali conoscevano il ruolo e le funzioni da costoro rivestite nell’ambito della BPA, indebitamente appropriati percependo illegittimamente erogazioni in proprio favore si somme facenti parte della BPA mediante prestiti concessi in assenza dei requisiti per l’affidamento bancario ed in particolare in favore di ( Omissis) della somma complessiva di Lit. ( Omissis) mediante prestiti concessi in assenza:
– in favore di ( Omissis) titolare dell’omonima ditta individuale esercente a. e. per complessive di Lit. ( Omissis)
– in favore di ( Omissis) amministratore della società ( Omissis). per Lit. ( Omissis);
– in favore dei( Omissis) Amministratore della società( Omissis) per Lit. ( Omissis);
– in favore di ( Omissis) nella qualità di amministratore della ( Omissis) per Lit. ( Omissis).
In Andria dal 1993 al 1996.
– in favore di ( Omissis) per complessive Lit. ( Omissis), il primo quale gestore di fatto e percettore materiale della ( Omissis), la seconda quale garante e percettrice della somma di Lit. ( Omissis) utilizzati per l’estinzione di altra debitoria con la BPA, il terzo quale amministratore unico della( Omissis), tutti in concorso fra di loro.
In Andria il 03/10/1995
PARTI CIVILI:
1) C. E. S.p.A.,
2) A. S.p.A..
CONCLUSIONI
( Omissis)
MOTIVAZIONE
I. – Premessa.
Il presente processo è stato avviato in seguito alla cognizione delle risultanze di un’ispezione condotta dalla Divisione Vigilanza della Banca d’Italia, nel periodo 5 marzo – 8 agosto 1997, presso la B. P. A. S.c.r.l., all’esito della quale il Ministero del Tesoro ha provveduto, con decreto del 23 ottobre 1997, allo scioglimento degli organi di amministrazione e controllo della suddetta banca, sottoponendo la stessa alla procedura di amministrazione straordinaria ex art. 70, comma 1, lett. a) e b) del D. lgs. n. 385/’93.
Il dibattimento svoltosi dinanzi a questo collegio ha avuto come finalità quella di verificare la fondatezza dell’ipotesi accusatoria cristallizzata nei capi di imputazione riportati in epigrafe, che si è appreso essere residuati dopo una sentenza di proscioglimento ex art. 425 cod. proc. pen. per declaratoria di prescrizione, emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare con riferimento alle imputazioni di false comunicazioni sociali e di omesse comunicazioni alla Banca d’Italia che erano state pure contestate con la richiesta di rinvio a giudizio (1).
Per dar compiuto conto della decisione adottata all’esito del dibattimento, va evidenziato che si procederà preventivamente ad un’analisi dettagliata dell’articolazione relativa allo svolgimento del giudizio, per poi passare alla trattazione di tutte le questioni processuali e di merito oggetto della decisione, secondo un ordine logico – sistematico adattato alla complessità ed articolazione delle vicende analizzate.
In ordine alle scelte metodologiche fatte nella redazione della presente sentenza, va qui precisato che si riporteranno, principalmente nelle note e qualche volta in narrativa, i testi della maggior parte dei principali atti e verbali relativi alle fonti di prova analizzate. Tale scelta, sebbene indubbiamente finisca per appesantire il corpo della motivazione, appare doverosa in una pronunzia complessa come quella di specie, perché consente a chi legge di avere un obiettivo ed immediato riscontro della piattaforma probatoria analizzata e del procedimento logico seguito da questo collegio nella decisione, secondo i canoni richiesti dal nostro ordinamento processuale nell’articolo 546 cod. proc. pen.. ( N. D. R. : tali parti sono state omesse relativamente a quelle non avente oggetto valutazioni ed argomentazioni giuridiche)
II. – Svolgimento del processo.
Con decreto emesso dal Giudice dell’udienza preliminare in data 28 febbraio 2002 è stato disposto il giudizio nei confronti di ( Omissis), imputati dei reati specificati in epigrafe di associazione per delinquere, di omesse comunicazioni alla Banca d’Italia, di inosservanza del divieto di contrarre obbligazioni da parte degli esponenti bancari e di appropriazione indebita aggravata.
IL Giudice dell’udienza preliminare ha motivato il suo decreto nel seguente modo:
<<…. Ritenuto, in via preliminare, che a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 11.4.2002, n.61 il fatto-reato di cui al capo c) delle imputazioni (false comunicazioni alla Banca d’Italia) deve essere inquadrato, come correttamente evidenziato dal P.M. alla odierna udienza preliminare, negli schemi dell’art. 2638 C.C. (ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza), nel testo introdotto dall’art. 1 decreto legislativo n.61 del 2002, dovendosi configurare una continuità normativa tra la previgente disciplina penale avente ad oggetto le false comunicazioni alla Banca d’Italia (art. 134 T.U. leggi in materia bancaria e creditizia) e quella risultante dall’art. 2638 C.C. nuovo testo, a nulla rilevando l’avvenuta abrogazione, ex art.8 decreto legislativo n.61 del 2002 dell’art. 134 T.U. leggi bancarie; che il fatto-reato di cui al capo d) delle imputazioni (art. 136 Testo Unico leggi in materia bancaria e creditizia) è punito attualmente con la pena prevista dall’art. 2634 C.C. nuovo testo (infedeltà patrimoniale), che disciplina anche le situazioni di conflitto di interessi, disciplinate in precedenza dall’art. 2624 C.C. vecchio testo, richiamato sotto il profilo sanzionatorio dall’art. 134, 3° co. T.U. leggi bancarie; ritenuto, di contro, che appare corretta la qualificazione giuridica dei fatti di cui ai capi e) e f) delle imputazioni, ex artt.110, 646, 61 n.7 e 11 c.p., dovendosi configurare, nel caso di specie, una vera e propria ipotesi di appropriazione indebita, aggravata dall’aver cagionato alla B.P.A. un danno patrimoniale di rilevante gravità e dall’abuso di prestazione d’opera, poiché risulta dagli atti che, attraverso la erogazione dei prestiti concessi in totale assenza dei requisiti per l’affidamento bancario, gli imputati indicati al capo e) delle imputazioni, nelle loro rispettive qualità, agendo in accordo e in collusione con i beneficiari dei prestiti, hanno realizzato “un’arbitraria disposizione di beni della banca a profitto di terzi” (Così, Cass. sez. Un. 28 febbraio 1989, Vita ed altri, che ha ritenuto che è pacificamente configurabile il reato di appropriazione indebita nel caso in cui il dipendente dell’istituto bancario abbia concesso un fido al cliente, violando, in collusione con lo stesso, le norme sugli affidamenti stabilite dagli istituti, in modo da realizzare sostanzialmente un’arbitraria disposizione di beni della banca a profitto di terzi. Se, infatti, l’appropriazione si concreta anche con il dare alla cosa una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che ne giustificano il possesso, ne consegue che, allorquando il dipendente dell’istituto di credito, nel concedere il fido al cliente, travalichi i limiti fissati dalle norme o dalle direttive che regolano gli affidamenti, egli pone in essere una condotta che rientra nella previsione dell’art. 646 c.p. – Ed, invero, sotto il profilo oggettivo, il dipendente bancario, realizzando un’arbitraria attribuzione di beni della banca a favore di terzi, compie un atto di disposizione “uti dominus”, si comporta cioè come se la cosa fosse propria. Qualora, poi, ciò avvenga in collusione con il cliente abusivamente favorito ed al fine di procurargli un ingiusto profitto, si realizza anche l’estremo soggettivo del reato di cui all’art. 646 c.p., che consiste appunto nella volontà di invertire il titolo del possesso per trarre dalla cosa un ingiusto profitto per sé o per altri”). Ne consegue che deve escludersi, in relazione alla condotta contestata ai capi e) ed f) delle imputazioni, la configurabilità del reato di infedeltà patrimoniale, ex art.2634 C.C. nuovo testo, atteso che le operazioni di concessione di prestiti a condizioni illegali si sono risolte nell’effettiva appropriazione di denaro della B.P.A. da parte dei titolari di alcuni gruppi di imprese, posta in essere mediante la consapevole partecipazione dei concedenti e dei concessionari, con beneficio dei soggetti, terzi rispetto ai concedenti; ritenuto, sotto il profilo giuridico, che costituisce orientamento giurisprudenziale, ormai costante, quello secondo cui “in un ordinamento fondato sul principio di legalità, il potere del giudice di definire correttamente il fatto sul quale è chiamato a pronunciarsi è connaturale allo stesso esercizio della giurisdizione, che non tollera limitazioni in ordine all’inquadramento giuridico dei fatti sottopostigli, derivanti dalla richiesta delle parti. Anche il giudice dell’udienza preliminare, pur in mancanza di specifica previsione, può modificare la qualificazione giuridica del fatto in relazione al quale il P.M. ha richiesto il rinvio a giudizio” (Cass. sez. VI, 29.1.1996, Verde; cfr. conforme, per la sussistenza del potere del giudice dell’udienza preliminare di apportare all’impugnazione tutte quelle modifiche e integrazioni che, non incidendo sull’esercizio dell’azione penale, attengono alla qualificazione giuridica del fatto o alla sua descrizione, Cass. sez.II, 5.7.1994, Vizzini; Cass. sez. Un. 19.6.1996, Di Francesco; Cass. sez. I, 1.7.1997, Spilatari; cfr., da ultimo, Cass. sez. I, 5.5.2000, n.3375, Ferrentino); ritenuto che i reati di associazione per delinquere, di false comunicazioni alla Banca d’Italia, di obbligazioni contratte dagli esponenti bancari e di appropriazione indebita aggravata, ex art. 61 n.7, 11 c.p. – circostanza, quest’ultima, applicabile ex art. 59, 2° co. c.p., anche ai beneficiari delle illegittime erogazioni (compartecipi nel reato), poiché da costoro conosciuta, con conseguente procedibilità d’ufficio del reato indicato – contestati agli imputati, nella qualità indicata nei capi d’imputazione trovano fondamento nella relazione ispettiva della Divisione Vigilanza della Banca d’Italia, che nel periodo compreso tra il 5.3.1997 e l’8.8.1997 ha sottoposto ad ispezione la B. P. A.; nelle informazioni rese nel corso delle indagini dinanzi al P.M., in data 25.9.1997 e 23.12.1999 e dinanzi alla Polizia Tributaria di Bari, in data 3.6.1998, dall’ispettore A. C., il quale ha confermato le risultanze della ispezione, evidenziando che il presidente, il direttore generale, i componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale erano consapevoli della “grave situazione” contabile in cui versava l’istituto e che ad alcuni gruppi di imprese ( Omissis) erano state effettuate concessioni di credito, nonostante fossero sussistenti indici rilevatori “di una grave situazione di squilibrio economico-finanziario” delle imprese appartenenti a ciascun gruppo, circostanza che imponeva, in applicazione della normativa di vigilanza, di classificare i crediti vantati nei confronti dei predetti gruppi, come “sofferenze”; nelle risultanze dell’attività di accesso compiuta presso la B.P.A. dalla Direzione Investigativa Antimafia di Bari, condensate nella relazione redatta nel mese di aprile del 1997, con gli atti allegati; nelle risultanze delle indagini svolte, su delega del P.M., dalla Polizia Tributaria di Bari e dal Nucleo Speciale di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Roma; nella relazione di consulenza tecnico-contabile, affidata dal P.M. al dott. M. S., depositata in data 22.6.1999 e nella relazione integrativa, depositata 14.12.1999, con riferimento alla evoluzione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria delle imprese del ( Omissis) che riscontrano la prospettazione accusatoria, supportandola con elementi probatori convincenti e tali da consentire di formulare una previsione di seria probabilità che il P.M. ottenga, all’esito del dibattimento, un giudizio di responsabilità degli imputati in ordine ai reati agli stessi contestati; ritenuto, contrariamente a quanto dedotto dai difensori degli imputati, che l’articolato sistema di illecite concessioni di credito, per somme ingenti, in assenza dei requisiti richiesti per l’affidamento bancario, in favore di alcuni gruppi di imprese ( Omissis) – attraverso la sistematica strumentalizzazione delle funzioni da parte dei componenti degli organi di amministrazione, direzione e controllo della B.P.A., accertato nel corso dell’ispezione effettuata dalla Banca d’Italia e confermato dalle risultanze delle indagini svolte dal P.M. – attesta che esso non è stato frutto di accordi presi di volta in volta, ma costituisce il risultato di un preciso accordo criminoso, fondato sulle sistematica sottovalutazione dei rischi, senza considerare l’effettiva situazione finanziaria dei beneficiari del fido e le connesse capacità di rimborso, con classificazione dei crediti in “sofferenza” come crediti “incagliati” e “normali”, al fine di ostacolare l’attività di Vigilanza, con falsificazione dei bilanci e delle note integrative, con omessa imputazione al conto economico dei bilanci delle svalutazioni per perdite, con la conseguente determinazione di utili di esercizio inesistenti, successivamente distribuiti, sistema, realizzato dal 1993 al 1996 con il contributo dei compartecipi, in modo da far apparire una gestione corretta all’apparenza, in vista del fine ultimo dell’associazione, rappresentato dalle concessioni di credito, in conclamata assenza dei requisiti richiesti, in favore di gruppi di imprese, rispetto alle quali i singoli associati avevano interessi personali, derivanti da vincoli di parentela o da compartecipazioni; ritenuto pacifico che per configurare il reato di associazione, “non è necessario che il vincolo associativo assuma carattere di assoluta stabilità, essendo sufficiente che esso non sia “a priori” e programmaticamente circoscritto alla consumazione di uno o più delitti predeterminati, atteso che l’elemento temporale insito nella nozione stessa di stabilità del vincolo associativo non va inteso come necessario protrarsi del legame criminale, essendo, per contro, sufficiente ad integrare l’elemento oggettivo del reato una partecipazione all’associazione anche limitata ad un breve periodo” (Cass.sez. V, 28.6.2000, Buscicchio); ritenuto, sotto il profilo, che “il criterio distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso esterno di persone nel reato continuato va individuato nel carattere dell’accordo criminoso che, nella seconda ipotesi, si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati determinati (eventualmente ispirati da un medesimo disegno criminoso, che tutti comprenda o preveda), con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo dei correi; mentre, nella prima, l’accordo criminoso risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, ciascuno dei quali ha la costante consapevolezza di essere associato all’attuazione del programma criminoso, anche indipendentemente e al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati” (Cass.sez. V, 20.1.1999, Stolder; cfr. conforme, fra le altre, Cass. sez. I, 5.5.1995, Correnti e altri; Cass. sez. I, 5.12.1994, Semeraro); ritenuto, in presenza degli elementi indicati e, in particolare, degli elementi documentali sottoposti ai rilievi ispettivi della Banca d’Italia, che anche la ricostruzione dei rapporti creditizi tra i gruppi ( Omissis) e la B.P.A., merita un approfondimento dibattimentale, dovendosi escludere, alla stregua della ricostruzione effettuata nelle memorie difensive e nelle consulenze prodotte nell’interesse dei predetti imputati, che si possa pervenire, per alcuno dei reati indicati in epigrafe, alla pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere, neppure con declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, ai sensi dell’art. 425, 2° co. c.p.p., attesa la particolare gravità delle condotte e valutata, altresì, la entità ingente dei prestiti concessi, in assenza dei requisiti per l’affidamento bancario;….>>.
Sono state depositate liste ex art. 468 cod. proc. pen. solo dal Pubblico Ministero e dalla difesa degli imputati ( Omissis).
All’udienza del 15 ottobre 2002 si sono costituite parti civili, solo nei confronti degli imputati ( Omissis), la ( Omissis) (2) e il ( Omissis) (3), in persona dei loro rispettivi legali rappresentanti.
Sono state poste dalle difese degli imputati eccezioni in ordine all’ammissibilità della costituzione delle parti civili e alla nullità del decreto con il quale è stato disposto il giudizio.
Su tutte le questioni il collegio ha deciso con ordinanza pronunziata in udienza (4).
Dichiarata l’apertura del dibattimento le parti hanno formulato le loro richieste istruttorie.
Le difese degli imputati hanno eccepito l’inammissibilità della lista dei testi depositata dal Pubblico Ministero per inosservanza del termine indicato dall’art. 468 cod. proc. pen..
Con ordinanza ex art. 495 cod. proc. pen. il collegio ha accolto la suddetta eccezione, dichiarando l’inammissibilità della lista dei testi depositata dal Pubblico Ministero, e ha deciso sulle altre richieste istruttorie formulate dalle parti (5) .
Su sollecitazione della difesa dell’imputato ( Omissis) sono state acquisite delle memorie e della documentazione già prodotte all’udienza preliminare e contenute nel fascicolo del Pubblico Ministero.
All’udienza del 18 febbraio 2003 il Pubblico Ministero ha depositato una memoria ex art. 121 cod. proc. pen., ha prodotto corposa documentazione (6) ed ha sollecitato una perizia tecnico – contabile ex art. 508 cod. proc. pen..
La difesa della parte civile C. E. si è associata alla richiesta del Pubblico Ministero e ha prodotto della documentazione (7).
Anche la difesa dell’imputato P. B. si è associata alla richiesta del Pubblico Ministero, ha depositato una memoria e ha chiesto l’acquisizione di documentazione (8).
Le altre difese degli imputati si sono opposte alle richieste del Pubblico Ministero, chiedendo comunque termine per analizzare la documentazione prodotta.
Concesso il richiesto termine, all’udienza del 10 giugno 2003 la difesa di P. B. ha prodotto ulteriore documentazione, chiedendo anche l’ammissione di testi ex art. 507 cod. proc. pen. (9).
Le altre difese hanno formulato le loro osservazioni sulle produzioni documentali e il collegio ha deciso con ordinanza letta in udienza (10).
All’udienza del 24 febbraio 2004 è stata disposta la rinnovazione del dibattimento in ragione del mutamento della composizione del collegio e, confermate le ordinanze istruttorie già emesse in precedenza, avendo la difesa avv. U. O. rinunziato all’esame dei consulenti indicati nella lista ex art. 468 cod. proc. pen., il collegio ha disposto l’esame di testi e consulenti ex art. 507 cod. proc. pen. (11).
All’udienza del 20 maggio 2004 è stata disposta nuovamente la rinnovazione del dibattimento, sempre in ragione del mutamento della composizione collegiale del Tribunale. Le parti si sono riportate alle richieste già formulate. La difesa dell’imputato C. M. ha prodotto ulteriore documentazione e il collegio ha emesso una nuova ordinanza istruttoria (12).
Le difese di alcuni imputati hanno chiesto la revoca dell’ordinanza ex art. 507 cod. proc. pen. e sulle questioni poste dalle parti il collegio ha emesso una nuova ordinanza (13)
E’ stato quindi esaminato il primo teste, A. C., all’epoca funzionario dell’Ispettorato Centrale della Vigilanza presso la Banca d’Italia, il quale ha riferito in ordine all’ispezione effettuata tra il 5 marzo e l’otto agosto 1997 presso la B. P. A. (14).
E’ stato poi esaminato il teste G. G., commissario straordinario della B. P. A., nominato dalla Banca d’Italia dopo l’ispezione effettuata nel 1997. Il Pubblico Ministero ha chiesto, con il consenso delle parti, che fosse acquisito il verbale delle dichiarazioni già rese dal suddetto teste durante le indagini preliminari e l’esame dibattimentale si è svolto sulla base delle domande formulate dalle difese degli imputati (15).
Il teste G. O., l’altro commissario straordinario della B. P. A., con il consenso della parti si è limitato a confermare le dichiarazioni già rese durante le indagini preliminari e riportate nel verbale prodotto dal Pubblico Ministero in seguito a patteggiamento sulla prova.
All’udienza dell’8 giugno 2004 è stato esaminato il consulente del Pubblico Ministero, il dott. M. S. (16). E’ stata acquisita la relazione scritta redatta dal suddetto consulente (17).
La difesa dell’imputato P. B. ha prodotto una memoria ed ulteriore documentazione.
All’udienza del 20 settembre 2004 le parti hanno concordato l’acquisizione di una lettera a firma del teste D. T. F., chiedendo la revoca dell’ordinanza ammissiva del suo esame. Tale richiesta è stata rigettata (18).
E’ stato quindi esaminato il teste D. G., maresciallo della Guardia di Finanza, e all’esito il Pubblico Ministero ha richiesto l’acquisizione di due informative di reato per la loro utilizzabilità nelle parti contenenti attività ricognitiva di documenti e dati contabili. Le difese hanno espresso il consenso all’acquisizione e il collegio ha disposto di conseguenza, revocando l’ordinanza ammissiva dell’esame del teste S. G..
All’udienza del 22 novembre 2004 il teste D. T. F., marito dell’imputata P. M., si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Sono stati quindi esaminati i testi D. V. D. (19), R. R. (20) e D. G. M. (21).
Il Pubblico Ministero ha prodotto dei verbali e una relazione conclusiva redatta dalla DIA con il consenso delle parti.
E’ stato infine esaminato il teste D.C. M. (22).
All’udienza del 18 gennaio 2005 sono stati esaminati i consulenti delle difese dott. E. S. (23) e dott. P. G. (24).
All’esito dell’esame dei suddetti consulenti è stata acquisita una relazione scritta redatta da entrambi.
E’ stata acquisita ulteriore documentazione prodotta dalle parti e, previa dichiarazione di utilizzabilità degli atti, è stata dichiarata chiusa l’istruzione dibattimentale.
La discussione delle parti si è articolata anche nell’udienza del 17 febbraio 2005, nella quale, sulle conclusioni rassegnate nei termini evidenziati in epigrafe, il Tribunale si è ritirato in camera di consiglio e all’esito ha pronunciato dispositivo di sentenza di cui è stata data integrale lettura.
III. – Motivi della decisione.
1. – I fatti e i rilievi tecnici.
1a. – L’ispezione della Banca d’Italia
Nel periodo 5 marzo – 8 agosto 1997 veniva effettuata presso la B.P. A. una ispezione degli organi di vigilanza della Banca d’Italia, in seguito alle cui risultanze il Ministero del Tesoro, con decreto del 23 ottobre 1997, provvedeva allo scioglimento degli Organi di amministrazione e controllo della Banca ispezionata, sottoponendo la stessa alla procedura di amministrazione straordinaria ex art. 70, comma 1, lett. a) e b) del D. lgs. n. 385/93.
Contestualmente il Governatore della Banca d’Italia, in data 24 ottobre 1997, provvedeva alla costituzione degli Organi della procedura, nominando due Commissari Straordinari e il Comitato di Sorveglianza.
La procedura di amministrazione straordinaria si protraeva per quindici mesi concludendosi nel mese di gennaio 1999, con la trasformazione della B.P. in società per azioni, dopo che la C. s.p.a. aveva acquisito il 70% delle azioni al prezzo di lire 160.700 per azione, quale conseguenza di una valutazione del patrimonio aziendale pari a (omissis) di lire.
Nel novembre 1997 i commissari straordinari G. G. e G. O. provvedevano a depositare presso la Procura della Repubblica di Trani copia del rapporto ispettivo redatto dalla Banca d’Italia per la valutazione degli eventuali profili di rilevanza penale.
La cognizione delle risultanze del suddetto rapporto ispettivo ha consentito al Pubblico Ministero l’avvio del presente procedimento.
In dibattimento è stato esaminato il dott. C. A., il capo – gruppo degli ispettori che effettuò l’ispezione della Banca d’Italia. Il rapporto redatto all’esito di tale ispezione, invece, è stato acquisito e dichiarato utilizzabile solo nella parte contenente rilievi ricognitivi – contabili.
E’ stato, quindi, l’esame dell’A. ad introdurre nella piattaforma probatoria i dati e le valutazioni che portarono ai negativi rilievi dai quali conseguì lo scioglimento degli Organi di amministrazione e controllo della B. P. A., nonchè la sottoposizione della stessa alla procedura di amministrazione straordinaria ex art. 70, comma 1, lett. a) e b) del D.lgs. n. 385/’93.
Il dott. A. in dibattimento ha confermato quanto segnalato nel rapporto redatto in seguito all’ispezione, che può sintetizzarsi nel modo seguente:
- a) l’attività degli organi societari si è posta in contrasto con i dettami di una sana e prudente gestione, nonostante i reiterati interventi dell’Organo di Vigilanza volti a sollecitare un’inversione di segno nei tratti della conduzione e una più appropriata e trasparente rappresentazione della situazione aziendale;
- b) in particolare la politica creditizia è stata improntata ad una sistematica sottovalutazione dei rischi, senza alcun ostacolo da parte del collegio sindacale e con una situazione nella quale si è favorito il prevalere di interessi particolari di amministratori e di altri gruppi;
- c) i processi decisori relativi agli affidamenti non sempre sono stati intelligibili e talora sono stati persino contraddittori, con mancata effettiva valutazione della situazione finanziaria del richiedente il fido e delle concrete capacità di rimborso (25);
- d) nello scrutinio del merito creditizio prevalente rilievo è stato attribuito all’esistenza di compendi immobiliari sulla base dell’erroneo convincimento che il negativo evolvere delle relazioni potesse essere efficacemente fronteggiato da ristrutturazioni a medio e lungo termine di rango ipotecario, con la prassi di acquisire come valore delle garanzie quello fornito direttamente dal mutuatario o, al più, il presunto valore commerciale e non quello di realizzo ovvero, per le posizioni cadute in stato di dissesto, quello di liquidazione;
- e) anche le fasi di controllo del rischio e del recupero dei crediti in contenzioso sono state caratterizzate da deficienze funzionali, come la mancata istituzione dello schedario dei rischi o l’adozione di un sistematico ed organico monitoraggio del credito ovvero come i forti ritardi con i quali è stato preso atto dell’incontrovertibile stato di insolvenza degli affidati (26).
In ragione delle suddette prospettate anomalie gestionali, secondo le risultanze dell’ispezione, si era verificato nella B.P.A. il deterioramento del valore di presumibile realizzo dei crediti verso la clientela sicché, a fronte di crediti “in sofferenza” (27) alla data del 31 dicembre 1996 segnalati nelle comunicazioni all’Organo di Vigilanza per lire ( Omissis), gli accertamenti ispettivi avevano evidenziato un importo maggiore pari a lire ( Omissis). Gli “incagli” si erano ragguagliati a lire ( Omissis) miliardi, a fronte di una comunicazione di lire ( Omissis). A “dubbi esiti” quantificati in lire ( Omissis) si contrapponeva una previsione ispettiva di perdite di lire ( Omissis) (28).
Le esposizioni di maggiore ammontare, ricomprese tra i crediti “in sofferenza”, erano quelle di alcuni gruppi di imprese ( Omissis), ai quali erano stati effettuati concessioni di credito, nonostante fossero sussistenti indici rivelatori di una grave situazione di squilibrio economico – finanziario delle imprese appartenenti a ciascun gruppo (29).
Alla data del 31 dicembre 1996 l’esposizione complessiva verso tali gruppi di imprese ammontava a lire ( Omissis), pari al 69% dei crediti in sofferenza accertati nel corso dell’ispezione, mentre la previsione di perdita ammontava a lire ( Omissis), pari al 62% delle perdite complessive (30).
Insomma, all’esito dell’ispezione la valutazione di sintesi sull’intermediazione creditizia era stata negativa (31), anche se lo stesso dott. C. A., durante l’esame dibattimentale, ha finito per mettere in evidenza che le anomalie gestionali riscontrate erano di carattere generalizzato, non limitate solo alle pratiche di fido relative alle imprese sopra indicate e frutto, più che di scelte dolose, di serie carenze “culturali” nel settore. La banca non si era mai data regole generali di politica creditizia, non si era munita di professionalità e aveva operato con decisioni dettate dalle singole necessità ( 32).
1b. – La consulenza del Pubblico Ministero.
Si è appreso in dibattimento che, partendo da quanto segnalato dagli ispettori della Banca d’Italia, il Pubblico Ministero affidò al dott. M. S. l’incarico di <<procedere ad attività di accertamento tecnico – contabile dei fatti di seguito specificati inerenti la gestione della B. P. A. soc. coop. a r.l. .
1) Fatti riferibili a violazioni ex art. 2621 n. 1 e n. 2 c.c. (false comunicazioni sociali e illegale ripartizioni di utili) e art. 134 Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (tutela dell’attività di vigilanza bancaria e finanziaria) :
- accertamento di manovre di bilancio poste in essere fraudolentemente al fine di alterare la rappresentazione della situazione patrimoniale ed economica della banca per il periodo 1990 – 1996 ;
- esame sia della voce di bilancio “sofferenze” esposta per valori di gran lunga inferiori a quelli reali (valore esposto pari a £.( Omissis) circa ; valore reale pari a £. ( Omissis) circa) sia di altre poste che presentino anomalie di natura contabile o che possano definirsi fittizie e finalizzate alla rappresentazione di una situazione economica non corrispondente al vero;
- accertamento dell’esistenza di fatti di rilievo ai fini dell’applicazione del disposto di cui all’art. 134 del T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia e precisamente :
- a) accertamento di violazioni – omissioni e/o segnalazioni non corrispondenti al vero – degli obblighi di vigilanza “informativa” ex artt. 51 e 52 del T.U. ;
- b) accertamento del rispetto delle direttive impartite dalla Banca d’Italia nella segnalazione delle “partite anomale” (incagli – sofferenze – crediti ristrutturati) ;
- accertamento della data e individuazione delle delibere di distribuzione di utili fittizi con verifica in concreto della effettiva distribuzione e individuazione dei soggetti percettori.
2) Fatti riferibili a violazioni ex art. 2624 c.c. (prestiti e garanzie della società) art. 2631 c.c (conflitto di interessi) e art. 136 Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (obbligazioni degli esponenti bancari) :
- verifica dell’autorizzazione all’unanimità di contrazione di mutui in favore di amministratori e sindaci ;
- esame delle relative delibere del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale con particolare riferimento alle concessioni di mutui a favore di società rientranti nei gruppi di imprese ( Omissis).
3) Fatti riferibili a violazioni a carico dei sindaci ex art. 2632 c.c (violazioni di obblighi incombenti ai sindaci) e art. 52 Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (comunicazioni del collegio sindacale) :
- individuazione di condotte omissive penalmente rilevanti sia con riferimento a illegali distribuzioni di utili sia ad altre violazioni di obblighi di comunicazione e segnalazione previsti dalla normativa bancaria.
4) Fatti riferibili a violazioni ex art. 137 Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (mendacio e falso interno bancario) :
- indicazione di soggetti coinvolti nel mendacio bancario e dei dipendenti e funzionari – autori di falso interno – che con la loro condotta hanno consentito a terzi di usufruire di finanziamenti in danno della banca.
5) Fatti riferibili a violazioni ex art. 640 e 646 c.p. (truffa e appropriazione indebita) :
- accertamento dell’esistenza degli estremi della truffa e dell’appropriazione indebita con riferimento ad attività distrattiva posta in essere in danno dell’Istituto di credito e realizzata in concorso con il beneficiario dei fidi ;
- individuazione ed elencazione di quelle erogazioni di mutuo che hanno determinato esposizioni rilevanti in danno della banca precisando quali pratiche presentino elementi di anomalia (situazioni di non affidabilità) specie se riferibili a società facenti parte dei gruppi di imprese ( Omissis).
6) Fatti riferibili a violazioni ex art. 2630 c.c. (violazioni di obblighi incombenti agli amministratori):
- accertamento di fatti in violazione dell’art. 2358 c.c. (divieto di accettazione di azioni proprie in garanzia) con riferimento specifico ai prestiti concessi alle aziende rientranti nei gruppi ( Omissis).>> (33).
Anche il dott. S. è stato esaminato in dibattimento ex art. 507 cod. proc. pen. e sono state acquisite le relazioni dallo stesso redatte.
Si è così appreso che l’ipotesi accusatoria è stata articolata sulla base delle risultanze del lavoro espletato dal consulente.
Con riferimento specifico alle imputazioni residuate dopo la sentenza ex art. 425 cod. proc. pen., della quale si è già parlato in premessa, emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare relativamente ai reati di false comunicazioni sociali e di omesse comunicazioni alla Banca d’Italia, che erano stati pure contestati con la richiesta di rinvio a giudizio, il consulente del Pubblico Ministero ha avuto modo di chiarire quanto segue.
<<….Nelle comunicazioni mensili e trimestrali (Sezioni I e IX della “Matrice dei conti”) inviate dalla BPA alla Banca d’Italia a partire dall’anno 1993 e successivamente nel corso degli anni 1994 – 1995 – 1996 – 1997 risulta omessa la segnalazione di crediti in “sofferenza” pari a complessive £.( Omissis) alla data del 31/12/1996.
L’evoluzione nel corso degli anni delle sofferenze non segnalate è la seguente :
- sofferenze maturate sino al 31/12/1993 pari a £. ( Omissis),
- sofferenze maturate sino al 31/12/1994 pari a £.( Omissis) ;
- sofferenze maturate sino al 31/12/1995 pari a £. ( Omissis);
- sofferenze maturate sino al 31/12/1996 pari a £. ( Omissis) .
Le sofferenze segnalate alla data del 31/12/1996 sono pari a £. ( Omissis) circa (si riportano in allegato al n. 13 le sezioni I e IX della matrice per gli anni dal 1993 al 1996).
Specifiche considerazioni sono necessarie circa le omesse segnalazioni periodiche inerenti il 1993 anno per il quale l’importo dei crediti in sofferenza non segnalato nella matrice al 31/12/1993 è pari a £. ( Omissis) importo che scaturisce dalla somma delle esposizioni, sempre al 31/12/1993, nei confronti dei gruppi( Omissis).
Ma, così come ampiamente descritto in precedenza, sia i dati di bilancio (si veda ad esempio la situazione delle aziende del gruppo ( Omissis) già al 31/12/1992) sia le anomalie andamentali dei rapporti e le conseguenti ristrutturazioni delle debitorie (si vedano per il gruppo ( Omissis) la ristrutturazione del periodo gennaio – agosto e le concessioni di mutui garantiti dalle quote ( Omissis)) depongono per la classificazione a sofferenza dei crediti verso i due gruppi già a partire dal termine del primo semestre 1993 allorchè l’esposizione della BPA è la seguente :
- esposizione verso gruppo ( Omissis) pari a £.( Omissis) ;
- esposizione verso gruppo ( Omissis) pari a £. ( Omissis).
A partire dal termine del primo semestre 1993 quindi risulta omessa la comunicazione alla Banca d’Italia di sofferenze pari a £. ( Omissis) nelle seguenti sezioni delle matrice :
- sezione I “dati di bilancio” (voce 1171) delle matrici dei mesi successivi al giugno 1993 (quantomeno a partire dai mesi di agosto e settembre inviate rispettivamente entro il 25 dei mesi di settembre e ottobre 1993) ;
- sezione IX (voce 4710) inerente i dati per il calcolo del “coefficiente di solvibilità individuale” relativo al terzo trimestre 1993 della matrice al 30 settembre inviata entro il 25 ottobre 1993….>> (34).
Il consulente ha avuto modo di chiarire in dibattimento che i dati da lui elaborati, per giungere anche alle conclusioni sopra riportate, sono stati tratti dalle analisi dei bilanci della B. P. A. relativi agli anni 1993 – 1996 (35), dei bilanci e dell’altra documentazione acquisita dal Pubblico Ministero relativamente alle imprese affidate segnalate nella relazione ispettiva della Banca d’Italia (36), nonché dalle valutazioni espresse dagli ispettori della Banca d’Italia con specifico riferimento ai c.d. crediti in “sofferenza” ( 37).
2. – L’analisi delle imputazioni.
La complessità e consistenza delle valutazioni in ordine alle diverse imputazioni consiglia una trattazione delle posizioni dei vari imputati con riferimento ai singoli reati, dovendo essere svolte alcune brevi considerazioni in diritto, determinate anche dalle recenti riforme che hanno investito la materia dei reati che concernono le attività bancaria in seguito all’entrata in vigore del d.lgs. n. 61/02.
2a. – Il reato di associazione per delinquere contestato al capo A).
Agli imputati M. V. + 14 è ascritto il reato <<ex art. 416 cod. pen. per essersi associati tra loro in un sodalizio criminoso allo scopo di commettere una serie interminabile di delitti (tra cui quelli indicati nei capi seguenti), utilizzando le strutture organizzative ed aziendali della BPA, e abusando delle funzioni di volta in volta ricoperte da ciascuno nel corso del tempo (e cioè quali componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale dal 1993 al 1996) strumentalizzando le predette funzioni per favorire i beneficiari di illecite erogazioni di prestiti indicati nei capi seguenti con grave danno all’Istituto di credito; inoltre in numerosi casi, pur astenendosi formalmente dalle deliberazioni operavano concordemente allo scopo di consentire erogazioni illecite di importi elevatissimi in favore di persone fisiche o giuridiche rispetto alle quali avevano interessi personali derivanti o da vincoli di parentela o da compartecipazione in imprese.In Andria dal 1993 al 1996>>.
La prospettazione accusatoria relativa all’associazione per delinquere contestata ha come presupposto il fatto che le irregolarità accertate in sede di ispezione della Banca d’Italia con riferimento alla concessioni di credito sarebbero state frutto di una programmazione illecita da parte dei soggetti che hanno ricoperto cariche amministrative nell’ambito della B. P. A..
Va a tal fine precisato, con riferimento ad ogni imputato, che: ( Omissis) ( vi è indicazione delle qualifiche attribuite ad ogni singolo imputato in un periodo determinato)
Insomma, si è ipotizzato che l’articolato sistema di concessioni di credito nella prospettata assenza dei requisiti richiesti per l’affidamento bancario, attraverso la sistematica strumentalizzazione delle funzioni da parte dei componenti degli organi di amministrazione, direzione e controllo della B.P.A., sarebbe stato il risultato di un preciso accordo criminoso tra gli stessi componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, fondato sulla sottovalutazione dei rischi, con classificazione dei crediti in “sofferenza” come crediti “incagliati” e “normali”, al fine di ostacolare l’attività di Vigilanza, con falsificazione dei bilanci e delle note integrative, con omessa imputazione al conto economico dei bilanci delle svalutazioni per perdite e con la conseguente determinazione di utili di esercizio inesistenti, successivamente distribuiti; e tale sistema sarebbe stato realizzato dal 1993 al 1996 con il contributo dei compartecipi, in modo da far apparire una gestione corretta all’apparenza, in vista del fine ultimo dell’associazione, che sarebbero state le concessioni di credito, in assenza dei requisiti richiesti, in favore di gruppi di imprese, rispetto alle quali i singoli associati avevano interessi personali, derivanti da vincoli di parentela o da compartecipazioni (38).
Conformemente a quanto pure sostenuto nelle sue conclusioni dal Pubblico Ministero in dibattimento, questo collegio ritiene che non sussista il reato ipotizzato.
E’ il caso di ricordare brevemente i principi interpretativi elaborati dalla giurisprudenza in materia di associazione per delinquere.
Come è noto tale fattispecie costituisce una figura autonoma, concepita dal legislatore come reato di pericolo per l’ordine pubblico. Corollario dell’autonomia della figura di reato in questione e’ che la sua realizzazione prescinde dalla consumazione anche di uno solo dei reati riconducibili all’attuazione concreta dell’accordo (39). Non va dimenticato, peraltro, che la differenza tra il concorso di più persone nel reato ed il reato di associazione per delinquere consiste nel fatto che nel primo caso l’accordo criminoso e’ circoscritto alla commissione di uno o più reati singolarmente individuati e si esaurisce dopo la loro commissione, mentre nel secondo caso il pactum sceleris prescinde dalla commissione dei singoli reati ed è caratterizzato dall’esistenza di una struttura organizzata più o meno complessa e dalla predisposizione dei mezzi necessari all’attuazione del programma comune a tutti gli associati (40).
E’ il caso di ricordare pure che il reato associativo si caratterizza per tre elementi fondamentali, costituiti: a) da un vincolo associativo tendenzialmente permanente, o comunque stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati; b) dall’indeterminatezza del programma criminoso, che distingue tali reati dall’accordo che sorregge il concorso di persone nel reato, indeterminatezza che non viene meno per il solo fatto che l’associazione sia finalizzata esclusivamente alla realizzazione di reati di un medesimo tipo o natura, giacché essa attiene al numero, alle modalità, ai tempi, agli obiettivi dei delitti integranti eventualmente anche un’unica disposizione di legge, e non necessariamente alla diversa qualificazione giuridico – penalistica dei fatti programmatici; c) dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea e soprattutto adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira (41).
Orbene, nel caso di specie non possono ritenersi sussistenti tutti gli elementi, appena ricordati, costitutivi delle fattispecie di cui all’art. 416 cod. pen..
Invero, a prescindere dalla considerazione dell’insussistenza dei cc. dd. reati fine così come contestati, in relazione ai quali si dirà più avanti, ritiene questo collegio che, finanche sotto il profilo logico, non possa configurarsi l’associazione ipotizzata tra componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale (molti dei quali, peraltro, hanno rivestito le loro cariche in tempi e per periodi diversi), traendo spunto degli elementi sintomatici dell’esistenza di un accordo illecito dal fatto che sia stata gestita la concessione dei crediti in favore di alcune imprese nella prospettata assenza dei requisiti richiesti per l’affidamento bancario.
Prime evidenti perplessità sulla configurata associazione possono rinvenirsi nella limitazione per così dire soggettiva che della stessa è stata ipotizzata. Soggetti attivi dell’accordo criminoso sarebbero stati i soli componenti gli organi di amministrazione e controllo, che però avrebbero posto in essere il c.d. pactum sceleris per il perseguimento di fini illeciti a vantaggio di soggetti che invece sarebbero rimasti estranei all’associazione ovvero di quegli imprenditori che avrebbero usufruito indebitamente e sistematicamente dei fidi concessi in mancanza dei requisiti richiesti.
L’accordo poi si sarebbe articolato tra soggetti che hanno rivestito cariche anche in tempi diversi e non coincidenti, così come si può agevolmente desumere dall’elenco, sopra riportato, relativo agli incarichi rivestiti dai singoli imputati.
Come può allora sostenersi che si siano realizzate una struttura organizzata più o meno complessa e la predisposizione dei mezzi necessari all’attuazione del programma comune a tutti gli associati?
Non si può trascurare, peraltro, che quelle anomalie, che sarebbero state la finalità della costituzione dell’associazione per delinquere ipotizzata, in effetti sono state frutto di una gestione della B.P. A. in linea con la gestione creditizia della maggior parte delle banche cc.dd. locali, radicate nel territorio nel quale operano, con la primaria esigenza di sostegno dello sviluppo dello stesso territorio, dalle cui risorse finiscono per trarre la stessa ragione di esistenza.
Ciò è avvenuto nella B.P.A.e -come sostenuto anche dall’ispettore dott. A. e già sopra evidenziato- mediante anomalie gestionali di carattere generalizzato e non limitato alle pratiche relative alle concessioni di credito in favore di alcune imprese. Insomma le anomalie riscontrate sono state frutto di carenze “culturali” nella gestione del credito. La banca non si è mai data regole generali di politica creditizia, non si è munita di professionalità di spicco ed ha operato con decisioni dettate dalle singole necessità (42), seguendo evidentemente le esigenze contingenti derivanti anche dal recepimento delle aspettative della vita delle imprese dei clienti, che in una banca locale sono in genere anche soci (nella BPA erano ben 7.000 in gran parte confusi con la clientela), sostenendoli in situazioni difficili ma importanti per lo sviluppo del territorio e in una logica discrezionale di impresa basata su criteri propri dell’attività bancaria.
Come allora si può sostenere, di fronte ad un sistema diffuso di gestione del settore creditizio, che gli organi amministrativi, di direzione e di controllo abbiano posto in essere un accordo illecito finalizzato a favorire solo alcuni soggetti nell’accesso e nell’utilizzo delle concessioni di fido?
L’insussistenza del reato associativo, quindi, può agevolmente rilevarsi anche sulla base delle considerazioni che si andranno a fare qui di seguito in ordine alla irrilevanza penale dei fatti che sono stati prospettati come reati fine.
2b. – Il delitto di false comunicazioni all’autorità pubblica di vigilanza contestato al capo C).
Il capo C) delle imputazioni è così strutturato:
<< … M. V. + 12 nelle rispettive qualità
art. 134 comma 1° T.U. delle Leggi in materia bancaria e creditizia, art. 40 comma 2° cod. pen. per avere:
- omesso di segnalare nelle comunicazioni mensili e trimestrali inviate dalla Banca Popolare Andriese alla Banca d’Italia nel corso degli anni 1994-1995-1996-1997, crediti in “sofferenza” pari a complessive Lit. ( Omissis):
– sofferenze maturate sino al 31/12/1993 Lit. Omissis)
– “ “ “ al 31/12/1994 Lit.( Omissis)
– “ “ “ al 31/12/1995 Lit. ( Omissis)
– “ “ “ al 31/12/1994 Lit. ( Omissis)
M. G. Omissis
C.G. Omissis ( 43)
S. G., per avere nella predetta qualità, omesso di segnalare nelle comunicazioni mensili e trimestrali inviate dalla B.P.A. alla Banca d’Italia sofferenze pari a complessive Lit. ( Omissis) importo così suddiviso in base al periodo di maturazione:
– sofferenze maturate sino al 31/12/1993 Lit. ( Omissis)
– “ “ “ al 31/12/1994 Lit. ( Omissis)
– “ “ “ al 31/12/1995 Lit. ( Omissis)
In Andria dal 1993 al 1995
Capo C) qualificato in diritto dal P.M. all’udienza preliminare del 04/07/2002 come violazione degli artt. 2 comma 3° cod. pen. – 134 D. L.vo n. 385/93 in 2638 cod. civ. come modificato dal D. L.vo n. 61/02…>>.
In sostanza si contesta agli imputati, che hanno ricoperto cariche di amministrazione e controllo nell’ambito degli organi della B. P. A., di aver violato l’obbligo di comunicazioni all’autorità pubblica di Vigilanza ed in particolare di aver omesso di segnalare nelle comunicazioni mensili e trimestrali (sezioni I e IX della “matrice dei conti”) inviate dalla B. P. A. alla Banca d’Italia, crediti in sofferenza, sulla base delle risultanze ispettive e della ricostruzione contabile effettuata dal dott. M. S., della quale sopra si è dato conto.
Sebbene pacificamente con riferimento al reato in esame sia maturato il termine prescrizionale, ritiene questo collegio che si debba emettere sentenza assolutoria non essendo stata provata la sussistenza nel caso di specie della fattispecie penalmente rilevante così come contestata.
A tal proposito vanno fatte alcune precisazioni in diritto.
L’art. 8 del d.lgs. n. 61/02 ha abrogato l’art. 134 d.lgs n. 385/1993 (c.d. Tulb), ma pacificamente non si è realizzata un’ipotesi di abolitio criminis, poiché v’è continuità normativa tra tale disposizione e quella di cui all’art. 2638, comma primo, cod. civ., così come novellata dall’art. 1 dello stesso d.lgs n. 61/02 ( 44), secondo la quale: <<Gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza, o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali nelle comunicazioni alle predette autorità previste in base alla legge, al fine di ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza ovvero, allo stesso fine, occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte fatti che avrebbero dovuto comunicare, concernenti la situazione medesima, sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni….>>.
L’introduzione di tale norma nell’ambito della più ampia riforma del diritto societario ha avuto il dichiarato fine di rendere omogeneo il regime giuridico della materia (45), con una ridefinizione della condotta e l’introduzione della responsabilità amministrativa della società.
La condotta penalmente rilevante ai sensi del primo comma dell’art. 2638 cod. civ. è l’esposizione di “fatti materiali” non rispondenti al vero “ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza” ovvero l’occultamento con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte di “fatti che avrebbero dovuto comunicare, concernenti la situazione medesima”.
E’ punita, quindi, la condotta sia attiva che omissiva, attuata in qualsiasi forma “fraudolenta”, che sia finalizzata ad “ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza”.
E’ evidente che sia richiesto lo stesso dolo specifico previsto dall’abrogato articolo 134, primo comma, Tulb, che sanciva quanto segue: <<Chi svolge funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso banche, intermediari finanziari e soggetti inclusi nell’ambito della vigilanza consolidata ed espone, nelle comunicazioni alla Banca d’Italia, fatti non rispondenti al vero sulle condizioni economiche delle banche, degli intermediari finanziari o dei citati soggetti o nasconde, in tutto o in parte, fatti concernenti le condizioni stesse al fine di ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza, è punito, sempre che il fatto non costituisca reato più grave…>>.
Per i profili che interessano in questa sede e con riferimento specifico all’oggetto delle false comunicazioni, vanno evidenziati alcuni problemi interpretativi che può porre la nuova formula “fatti materiali non corrispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni” concernenti “la situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza”, che sembrerebbe aver mutato, con la precisazione “materiali”, l’oggetto delle false comunicazioni contemplato nell’abrogato art. 134 ovvero i “fatti non rispondenti al vero sulle condizioni economiche” (46).
Pacificamente oggetto delle comunicazioni in considerazione erano, secondo l’art. 134 Tulb, e sono, secondo il primo comma dell’art. 2638 cod. civ., tutti i dati relativi al risultato economico, alla situazione patrimoniale e alla situazione finanziaria.
Certamente nel sistema di controllo e vigilanza in materia di intermediazione bancaria l’oggetto delle comunicazioni al quale la norma in esame fa riferimento resta quello già previsto dall’art. 134 Tulb ovvero le segnalazioni periodiche di cui all’art. 51 Tulb, secondo le modalità e nei termini stabiliti (47) con circolari della stessa Banca d’Italia, sulla condizione delle partite anomale, incagli, sofferenze, crediti ristrutturati, che sono finalizzate a verificare che l’ambito dell’esposizione verso la clientela non superi una determinata soglia di rischio.
Anche secondo l’abrogato art. 134 l’esposizione falsa o l’occultamento, penalmente rilevanti, dovevano avvenire solo nelle “comunicazioni” alla Banca d’Italia che riguardassero le “condizioni economiche” e non fatti concernenti altri aspetti, la cui omessa comunicazione trovava invece sanzione amministrativa nella previsione normativa di cui all’art. 144 Tulb.
Va ricordato che, secondo le disposizioni emanate dalla stessa Banca d’Italia, lo strumento operativo per la trasmissione periodica (mensile e trimestrale) dei dati relativi alla situazione economica è costituito dalla c.d. “matrice dei conti “, che prevede, tra l’altro, la segnalazione delle cc.dd. “sofferenze”, definite come le esposizioni di qualsiasi specie, di cassa e di firma, nei confronti di soggetti in stato di insolvenza – anche non accertato giudizialmente – o in situazioni sostanziamente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dalla Banca (48).
Le comunicazioni di cui all’art. 51 Tulb sono essenzialmente frutto di valutazioni, aventi come parametri definizioni e dati contenuti nelle circolari che la Banca d’Italia, come organo deputato alla vigilanza, deve applicare proprio nello svolgimento della sua funzione di controllo, che si esplica nella limitata funzione di sottoporre i propri rilievi e le proprie valutazioni all’autorità amministrativa competente ovvero al Ministero del Tesoro.
Orbene, si è detto che nella fattispecie di cui all’art. 2638 i fatti non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazione, rilevano solo se “materiali”, aggettivo che non era specificato nella vecchia formulazione dell’art. 134 Tulb.
Sul significato di tale riferimento specifico si è creato un dibattito interpretativo, che non ha potuto trovare certamente chiarezza nei lavori preparatori della riforma (49).
Secondo autorevole tesi interpretativa, però, l’unico significato certo che si può attribuire alla locuzione utilizzata dal legislatore è la rilevanza delle false comunicazioni aventi ad oggetto fatti materiali che <<non esistono>>. Ci si è allora chiesti se una valutazione falsa possa assumere ex se rilevanza, a prescindere dalla verità o falsità del dato in essa rappresentato. In altri termini: le valutazioni false di fatti veri sono davvero irrilevanti, come potrebbe indurre a pensare la formula dell’art. 2638, primo comma, cod. civ., tenuto conto che la rilevanza penale delle valutazioni false non è suggellata dalla disciplina delle valutazioni estimative, a differenza delle previsioni di cui agli articoli 2621 e 2622 cod. civ, pure novellati, nelle quali si fa riferimento a soglie quantitative?
Accedere alla soluzione negativa a tale quesito, però, comporterebbe conseguenze di rilevante gravità, perché –come si è condivisibilmente affermato- non si può trascurare che gli “elementi valutativi” rappresentano una “necessità gnoseologica” nella presentazione del “reddito di esercizio” e del “capitale di bilancio” degli intermediari finanziari (50).
Ritiene questo collegio che la nuova formulazione nulla abbia mutato rispetto all’oggetto delle false comunicazioni di cui all’art. 134 Tulb, sicché certamente penalmente rilevante è la comunicazione fraudolenta di fatti che <<non esistono>>, sebbene frutto di valutazioni gnoseologicamente finalizzate e caratterizzate dalla verità o falsità dei dati in essa rappresentati.
Orbene, passando all’esame del caso di specie, va rilevato che agli odierni imputati è rimproverata l’omessa segnalazione nelle comunicazioni mensili e trimestrali di sofferenze pari ad una determinata somma.
E’ contestata, quindi, una condotta di omissione di comunicazione di fatti che, per vero, non si riesce sul piano strettamente formale a ricondurre nelle condotte penalmente rilevanti della esposizione di fatti non rispondenti al vero oppure dell’occultamento di fatti, finalizzate ad ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza.
I dati numerici riportati nel capo di imputazione, però, consentono una lettura dello stesso chiarita da quanto appreso nella ricostruzione dei fatti e dei rilievi tecnici effettuata in dibattimento.
Agli imputati si rimprovera in effetti non di aver comunicato fatti non rispondenti al vero ma di aver comunicato dati relativi ai crediti “in sofferenza” difformi in difetto rispetto a quelli indicati dagli ispettori della Banca d’Italia e sui quali ha effettuato le sue elaborazioni tecniche il consulente del Pubblico Ministero.
Orbene, va subito detto che l’istruzione dibattimentale non ha affatto consentito di acquisire prova certa in ordine alla falsità fraudolenta dei dati oggetto delle rappresentazioni contenute nelle comunicazioni inviate dalla B. P. all’organo di Vigilanza, non essendo stata fornita la prova della contrapposta e parallela verità dei dati segnalati dagli ispettori della Banca d’Italia.
Invero, i valori determinati in differenza da questi ultimi sono frutto di valutazioni – previsioni effettuate sulla base di parametri derivanti dagli strumenti (le cc.dd. istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia) (51) che l’autorità di vigilanza si è data all’esclusivo fine di disciplinare l’iter procedimentale che poi può portare a proporre al Ministero del Tesoro (oggi dell’Economia) l’esercizio del proprio potere provvedimentale – sanzionatorio sulla base di giudizi finali che sono propri di tale organo amministrativo.
Si vuol dire cioè che i parametri utilizzati dalla Banca d’Italia sono solo strumenti per arrivare a giudizi, cioè sono metodi di rilevazione che l’organo di vigilanza si è autoassegnato, nell’ambito del suo potere autorganizzativo, di autoregolamento, che gli deriva dall’esercizio dello stesso potere di vigilanza e che sostanzialmente “impone” all’impresa bancaria vigilata, ma all’esclusivo fine di facilitare l’afflusso dei dati che gli consentano di comprendere con più efficacia le proposte da adottare.
Insomma, i parametri utilizzati sono ancora una volta dei dati che servono a formulare dei giudizi, perché se così non fosse si darebbe vita ad un assetto ordinamentale del settore dell’intermediazione bancaria del tutto anomalo, nel quale sostanzialmente la Banca d’Italia andrebbe ad assumere la funzione di società madre in grado di dettare alle società controllate i criteri di gestione, con pacifica violazione del principio di autonomia delle singole imprese bancarie (52). Non va trascurato che, anche secondo quanto desumibile dai lavori preparatori della legge bancaria, l’azione delle cc.dd. autorità creditizie deve sostanziarsi in una semplice attività di indirizzo che non può intendersi quale funzione sostituiva di quella degli organi gestionali della impresa bancaria (53).
Quindi non si può parlare di requisiti previsti per legge con riferimento ai parametri che la Banca d’Italia si è data nelle circolari all’esclusivo fine di regolamentare l’attività di valutazione sulla correttezza di gestione dell’impresa bancaria perché non siano superate determinate soglie di rischio.
Se le valutazioni espresse dalla Banca d’Italia in sede di ispezione corrispondono a quei parametri, che sono solo strumenti per formulare giudizi, non possono dirsi corrispondenti alle previsioni nell’ambito della quale deve operare la logica discrezionale dell’impresa – banca controllata.
E se in una qualsiasi altra impresa tale logica discrezionale comporta la comparazione tra un dato di fatto certo ed anteriore, che è quello della valutazione dei costi, e un dato di fatto incerto e posteriore, che è quello della realizzazione dei ricavi, nell’impresa bancaria e nell’impresa finanziaria quella logica discrezionale deve essere invertita, perché i ricavi (interessi) sono certi fin dall’inizio mentre i costi finiscono per essere legati ad un fatto incerto. Se una impresa produce qualcosa, compra la materia prima, ha dei costi certi, la elabora, la manipola ed ottiene un prodotto di cui sono incerti sia la vendita che il ricavo. Nell’impresa bancaria e finanziaria, invece, la logica è assolutamente diversa, perché con la concessione dei crediti prima si realizzano i ricavi, derivanti dalla corresponsione degli interessi, con un dato quindi certo sulla percezione e gestione degli stessi; solo a posteriori si ottiene il dato finale dell’esito del prodotto, la restituzione del credito, che può avere un esito fausto o infausto, con costi imprevedibili. Quindi la logica di gestione di impresa è assolutamente soggettiva e valutativa, nell’ambito di una valutazione costruttiva e dinamica.
Allora, ritiene questo collegio fondata la tesi difensiva allegata in sede di discussione, secondo la quale il dato esaminato e valutato in maniera burocratica e posteriore dagli ispettori della Banca d’Italia, i quali non hanno fatto altro che mettere a confronto il parametro valutativo predeterminato dall’autorità di vigilanza nelle sue circolari e il parametro valutativo effettuato in piena autonomia dall’impresa sottoposta a vigilanza, facendone discendere delle discordanze, è un dato che certamente non rientra in una sorta di percorso obbligatorio da cui possono scaturire delle conseguenze illecite e penalmente rilevanti.
Il perseguimento dell’interesse pubblico, cui si ispira l’attività di vigilanza bancaria, non può limitare l’autonomia delle scelte decisionali ed operative degli intermediari bancari (54). La valutazione fatta in sede ispettiva è una valutazione postuma di fatti economici quali quelli del rischio di impresa che intrinsecamente sono “dinamici”.
Non è certo l’esito dell’operazione creditizia che può costituire il discrimen tra il lecito e l’illecito. Come è stato condivisibilmente sostenuto, “l’eventualità di sottoporre la valutazione sull’esistenza di un illecito penale ad un giudizio postumo, effettuato su di un’operazione imprenditoriale, è da respingere. La gestione di un’attività di un imprenditore, quale è quella di credito ordinario, comporta, inevitabilmente l’assunzione dei rischi; la responsabilità penale dell’operatore deve prescindere dall’esito delle operazione, cioè dal verificarsi in concreto di tale rischio” (55).
E’ stato lo stesso ispettore dott. C. A. a precisare in dibattimento che i rilievi fatti dalla Banca d’Italia rimangono nell’ambito delle valutazioni finalizzate ad esercitare l’attività di controllo, ma non sono qualcosa di certo, sono previsioni, qualcosa di logico, di statisticamente e probabilisticamente apprezzabile sulla base di dati che rappresentano la situazione patrimoniale, la situazione individuale dell’azienda, della società vigilata al momento dell’ispezione. Ma sono sempre valutazioni effettuate sulla base di strumenti che l’organo di vigilanza impone all’esclusivo fine di esercitare la propria funzione.
E che sia così è emerso nel presente processo con riferimento alle acquisizioni relative proprio alle diverse valutazioni dei crediti oggetto dell’imputazione in esame, che hanno fornito una triplice rappresentazione della realtà: una è quella degli ispettori della Banca d’Italia, l’altra è quella dei commissari straordinari nominati dal Ministero e l’altra ancora è quella dei consulenti della difesa, esaminati pure ex art. 507 cod. proc. pen. in dibattimento.
Si è già detto che a fronte di crediti “in sofferenza” (56) alla data del 31 dicembre 1996 segnalati nelle comunicazioni all’Organo di Vigilanza per lire ( Omissis), gli accertamenti ispettivi avevano evidenziato un importo maggiore pari a lire ( Omissis). Gli “incagli” si erano ragguagliati a lire novanta miliardi, a fronte di una comunicazione di lire ( Omissis). A “dubbi esiti” quantificati in lire ( Omissis) si contrapponeva una previsione ispettiva di perdite di lire ( Omissis) (57).
I Commissari straordinari, invece, in sede di stesura della prima situazione patrimoniale al 30 settembre 1998, e quindi solo poco più di un anno dopo quella degli ispettori, hanno esposto un valore delle sofferenze pari a ( Omissis) di lire, inferiore, quindi, di ben (Omissis) di lire (ovvero inferiore di oltre il 48%) rispetto a quello esposto dagli ispettori in sede di relazione di chiusura.
Emerge, peraltro, dagli atti acquisiti che, nel corso della trattativa per stabilire il prezzo di cessione della B. P. A., le suddette “sofferenze” sono state quantificate in soli circa 45 – 50 miliardi, come indirettamente confermato dal valore di prezzo fissato, sicché sembra che sia stata proprio questa favorevole condizione a determinare la C. s.p.a. ad aumentare considerevolmente il prezzo di avviamento inizialmente calcolato in lire (Omissis) miliardi per portarlo a quello di lire (Omissis).
A tal proposito i consulenti della difesa nella loro relazione, acquisita dopo l’esame dibattimentale, hanno scritto quanto segue:
<<…Ciò è avvenuto non certo per un favorevole riguardo nei confronti della B. P. di A., ma sulla documentata convinzione, confermata anche dalla gestione commissariale, che l’effettivo valore dei crediti fosse superiore a quello stimato, che l’ammontare delle sofferenze fosse praticamente in linea con quelle segnalate dalla B. P. di A., che le perdite si crediti fossero di gran lunga inferiori a quelle già ammortizzate (lire ( Omissis) miliardi) al 30 settembre 1998. A riprova di quanto sin qui esposto si ripercorrono le tappe dell’aumento di capitale voluto dai commissari dopo il quasi azzeramento del patrimonio aziendale, ridotto da lire ( Omissis) miliardi a lire( Omissis) miliardi al 30 settembre 1998. Questa operazione, conclusasi nel maggio ’99, ha consentito un incasso complessivo di lire ( Omissis) miliardi, ovvero il patrimonio aziendale della BPA è stato valutato intorno a( Omissis) miliardi, valutando le azioni in circolazione in numero di ( Omissis) a lire 8.200 cad. (8200 x ( Omissis) = lire ( Omissis)). Tale valutazione è stata effettuata dalla banca incorporante, il C. S.p.A., ente terzo, indipendente, ed il cui interesse non era certo di sopravvalutazione dell’attivo aziendale. Ora, considerato che: 1. il patrimonio al 30 settembre 1997 era stato quantificato dai commissari in circa( Omissis) miliardi di lire. 2. che le somme riscosse con l’aumento del capitale ammontano a ( Omissis) miliardi di lire 3. il valore dell’azienda avrebbe dovuto teoricamente essere pari a ( Omissis) miliardi di lire, ovvero pari al valore del proprio patrimonio netto. A consuntivo il valore attribuito all’azienda è stato pari a L. ( Omissis) miliardi, valorizzando quindi in tale ammontare sia fattori intangibili, quali la valenza del personale bancario tutto, che ha saputo costruire nel tempo un rapporto di fiducia strettissimo con i propri soci/clienti, che ne ha salvaguardato il valore, che fattori tangibili, quali la massa di impieghi e raccolta che soprattutto il valore effettivo di questi ultimi. Un confronto fra valore teorico e valore riconosciuto all’azienda porta alla determinazione dì uno scarto di circa ( Omissis) mld. di lire, da riferirsi principalmente a fattori ‘tangibili’, ovvero a minori perdite su crediti attese. In mancanza, come già detto, di una informativa sugli effettivi esiti delle varie pratiche costituenti il monte sofferenze della BPA, se si riesamina il volume delle sofferenze complessive indicate dai commissari alla luce delle considerazioni precedentemente esposte circa il prezzo pagato dal C. S.p.A., si può concludere che, fatti alla mano, la gestione degli amministratori e della direzione della BPA è stata tale da creare valore per gli azionisti, e soprattutto che il volume delle sofferenze indicato dagli amministratori al 31/12/1996 (pari a ( Omissis) mld. di lire) e poi in sede di ultime comunicazioni all’istituto di vigilanza (pari a( Omissis) mld. di lire) si è dimostrato alla fin dei conti il più vicino alla effettiva realtà aziendale. A maggior riprova di quanto affermato giova rammentare che alcuni dei crediti rientranti nel monte delle sofferenze della B.P.A. sono rientrati nell’ambito dell’operazione di cartolarizzazione posta in essere dal C. nei primi mesi del 2001. La securization in questione ha avuto ad oggetto un portafoglio di crediti “ristrutturati” e di crediti “in sofferenza”, garantiti e non da ipoteca, ed è stata posta in essere sulla base delle disposizioni contenute nella legge italiana in materia di cartolarizzazione dei crediti, n. 130 dei 30 aprile 1999. La cartolarizzazione è stata posta in essere mediante una società di scopo, la A. S.r.l., cui il C. ha ceduto il portafoglio crediti. Premesso che il fatto che una parte dei crediti ceduti rientrava al momento della cessione fra i cosiddetti “ristrutturati”, ovverosia crediti per i quali, alla data di cessione, si è raggiunto un accordo con il debitore, volto a facilitarne l’adempimento, su queste posizioni, pari a circa ( Omissis) mld. di lire, il C. evidenziava, nell’ambito dell’operazione di cartolarizzazione, una perdita attesa del 34,9%, a fronte di una appostazione nel bilancio BPA pari al 100%. E’ da rimarcare ancora una volta che la presenza di garanzie reali a valere sui crediti oggetto di cessione ha permesso di migliorare notevolmente le caratteristiche dell’operazione di cartolarizzazione, in quanto l’esistenza di una ipoteca a fronte di crediti caratterizzati da “sofferenze”, ovvero vantati nei confronti di debitori ceduti aventi difficoltà economiche non superabili nel breve periodo, ne ha incrementato la “liquidità” ( e questo a supporto della tesi degli Amministratori della BPA, che hanno preferito portare a consolidamento le ipoteche ottenute piuttosto che accedere a procedure in veste di creditori chirografari). In breve sintesi esponiamo le seguenti brevi considerazioni tratte dai dati emersi nel corso della gestione commissariale:
a) II primo resoconto gestionale dei commissari salda il bilancio aziendale con un deficit pari a lit. ( Omissis) mld.; analizzando questo dato si evidenzia che nel conto economico sono stati addebitati ( Omissis) mld. di lire quali perdite su crediti. Prescindendo da questo addebito, il risultato dello stesso periodo avrebbe evidenziato non una perdita, ma bensì un utile lordo pari a ( Omissis) mld. di lire, e questo a conferma del fatto che nel corso della gestione commissariale, nonostante l’andamento degli oneri aziendali ed il calo dell’operatività, la struttura economico/patrimoniale della BPA ha conservato la sua redditività, a conferma indiretta del fatto che l’organizzazione della stessa era valida ed efficace per il conseguimento di risultati economici soddisfacenti.
b) A conclusione della gestione commissariale i risultati economici della BPA sono ancora migliorati, atteso che il risultato economico definitivo addirittura si riduce ( Omissis) a ( Omissis) mld. di perdite
A questo punto è più che ipotizzabile che la valutazione di ( Omissis) mld che il C. ha fatto per l’acquisto della BPA a fronte di un patrimonio netto, dopo l’aumento di capitale, di ( Omissis) mld. sia connessa sia alla sopravvalutazione delle perdite aziendali, che si sono rivelate inferiori ai ( Omissis) mld. inseriti in bilancio, che al fatto e la redditività aziendale, pur a fronte di oggettive difficoltà – in parte indotte proprio dall’evento del commissariamento – non ha cessato di dare buoni esiti.
Conclusione
Più che le argomentazioni valgono i dati.
Le sofferenze quantificate in modo allarmante –lire ( Omissis) miliardi, previsione rivelatasi infondata come innanzi dimostrato- e che da sole giustificavano tutti i giudizi negativi contenuti nell’ispezione della Banca Italia e successivamente tradotti nelle più svariate scansioni giuridiche a carico degli amministratori della B. P. di A., si sono rivelate, alla luce dei fatti, non reali solo che si pensi al loro esito tradottosi in una perdita aziendale da considerarsi del tutto fisiologica ed in linea con quella denunciata al sistema. Le garanzie reali ottenute a tutela degli affidamenti concessi, la cui validità sembrava dubbia, hanno dimostrato alla resa dei conti la loro valenza e la loro bancabilità, fornendo la base per operare l’operazione di securization posta in essere dal C. successivamente all’acquisto della BPA. Inoltre sempre i numeri dimostrano che l’operato degli amministratori ha negli anni creato valore per gli azionisti, ai quali è derivato un indubbio vantaggio, riconosciuto in maniera oggettiva da un organismo terzo. Ad ulteriore indiretto rafforzamento di tale conclusione è inoltre da tenere presente che da sempre la B. P. A. è stata oggetto di particolare attenzione da parte della Banca d’Italia proprio in ragione del suo sviluppo dimensionale e operativo, al punto di meritare anche il prestigioso incarico di salvare la B. del V., che navigava in cattive acque, proprio qualche anno prima del rapporto ispettivo. Che nella realtà bancaria tutto sia ancora perfettibile è questione che riguarda la quasi totalità delle banche, ma, dall’evidenza dei fatti, riteniamo che l’operato degli amministratori della B.P. A. e sia di sicuro positivo, confermando le ragioni per cui negli anni i soci hanno dato fiducia agli organi direttivi. concludendo: se la gestione degli amministratori tutti ha portato alla creazione di valore per gli azionisti, così come verificatosi e riconosciuto da un terzo acquirente, non può che essere giudicato positivamente; inoltre qualora l’importo delle sofferenze e quindi delle perdite su crediti oggetto delle valutazioni ispettive dovesse essere smentito dai successivi accadimenti, come in realtà è avvenuto, in quanto valorizzati nel prezzo di acquisto, tutte le contestazioni fatte agli amministratori dovranno, inevitabilmente, essere lette in chiave diversa, ovvero decadere>>. (58)
Alla luce di quanto prospettato circa le evidenti diversità di valutazioni in ordine alla natura e all’ammontare dei crediti, si deve concludere che non è stata raggiunta la prova che gli amministratori della B. P. A. abbiano posto in essere la condotta tipica della fattispecie di cui all’art. 2638 cod. civ. (né dell’abrogato art. 134 Tulb) ovvero la esposizione fraudolenta di fatti non rispondenti al vero concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria.
Si sono evidenziate le tre letture diverse che sono state acquisite relativamente ai medesimi dati, letture diverse perché espressione di giudizi diversi ed ispirate a criteri diversi. I giudizi degli ispettori della Banca d’Italia sono giudizi rigidi, acritici, conformi a quei parametri che l’organo di Vigilanza è obbligato a seguire. I giudizi dei Commissari straordinari hanno tenuto conto delle premesse di impresa e delle evoluzioni di impresa. I giudizi dei consulenti indicati dalla difesa sono stati espressi dopo aver potuto leggere tutti i dati nella loro completa evoluzione, sicché la valutazione operata ha tenuto conto non soltanto della staticità del confronto tra un dato rigido e un dato risultante dalla contabilità, ma anche dell’evoluzione dei rapporti economici che ha portato al c.d. risultato di impresa ovvero al momento conclusivo dell’esercizio del potere gestionale.
Tutta questa premessa comporta una conseguenza: non si può sostenere, come si è fatto nella prospettazione accusatoria, che sia stata omessa la segnalazione di fatti concernenti la situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa sottoposta a vigilanza.
Non sono state omesse le segnalazioni ma queste ultime sono state effettuate per importi difformi rispetto a quelli frutto di valutazioni sulla natura e sulla situazione di ciascun credito nel momento della ispezione, valutazioni che però – come si è visto- sono diverse -per esempio- dalle valutazioni effettuate al momento del commissariamento, a loro volta diverse da quelle effettuate dopo la fusione con C. s.p.a.. e, quindi, all’esito del normale sviluppo della attività gestoria, nel momento finale della dinamica dell’attività di impresa.
Nel capo di imputazione in esame l’omissione di segnalazione è dato come fenomeno storico certo ed invece i dati riportati sono frutto solo di valutazioni – previsioni espresse da parte degli ispettori della Banca d’Italia. Ma queste valutazioni –come si è visto- sono state surclassate da quelle successive, pure effettuate sulla base degli stessi dati offerti dagli ispettori.
Allora non può dirsi che si sia realizzata la fattispecie di “ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza”, che per vero, tenuto conto di come è stata strutturata la descrizione del fatto nel capo di imputazione, non risulta finanche contestata nella sua materialità.
E’ il caso di ribadire che non v’è stata e non è stata contestata la condotta di “esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero….sulla situazione economica , patrimoniale e finanziaria”. I dati forniti nelle comunicazioni inviate dalla B. P. A. nel periodo preso in considerazione non sono frutto di alterazioni di dati storici di partenza ovvero di fatti nella specie relativi alle situazioni delle singole imprese affidate; i dati dichiarati sono frutto di valutazioni diverse della natura dei crediti rispetto a quelle poi effettuate dagli ispettori della Banca d’Italia nell’ambito di una logica statica e non dinamica dell’impresa, che non può prescindere, invece, dalla considerazione delle leggi di mercato e della realtà sociale ed economica nell’ambito della quale operano le stesse imprese affidate.
2c. – Il reato di inosservanza del divieto di contrarre obbligazioni da parte degli esponenti bancari di cui al capo D).
Al solo imputato S. G. è contestato il capo di imputazione sub D):
<<… Art. 136 commi 1° e 3° T.U. L. B. in relazione all’art. 2624 comma 1° ed art. 2631 cod. civ.: il S. G. nella qualità di Consigliere di Amministrazione nonché titolare della ditta individuale esercente l’a. e. usufruito di un affidamento dal medesimo avanzato, relativo all’erogazione di un mutuo ipotecario decennale Lit. ( Omissis), approvato con delibera dal G. di A.. In Andria l’08/06/1995. (Capo D) qualificato dal P.M. all ‘udienza preliminare del 04/07/2002 come violazione degli artt. 2 comma 3° cod. pen. – 116 comma 1à e 2° D. L.vo n. 385/93 in relazione all’art. 2634 comma 1° come modificato dal D. L.vo n. 61/2002; nonché art. 2631 cod. civ. (vecchia formulazione) e art. 2634 cod. civ. come modificato dal D. L.vo n. 61/2002.)>>.
Il fatto accertato è certamente riconducibile nella fattispecie di cui all’art. 136 D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385.
Dal verbale della riunione del consiglio di amministrazione dell’8 giugno 1995 risulta che S. G., presente assieme ai tre effettivi del collegio sindacale, ha partecipato alla deliberazione con la quale veniva accolta la richiesta di affidamento da lui avanzata e relativa all’erogazione di un mutuo ipotecario decennale di £. ( Omissis).
Dall’analisi del verbale non emerge nè l’astensione del “consigliere” S. nè il consenso unanime dei membri del collegio sindacale, in violazione quindi del disposto dell’art. 136, comma 1, citato.
Il termine prescrizionale del reato è però abbondantemente prescritto, sicché va emessa la conseguente declaratoria di estinzione del reato.
2d. – Le appropriazioni indebite di cui ai capi E) e F).
Gli ultimi capi di imputazione contenuti nel decreto che ha disposto il giudizio sono così strutturati:
<< E) M. V. + 11: ex art. 646 cod. pen. – 61 n. 11 e n. 7 cod. pen. – 110 cod. pen. per avere, nelle qualità in epigrafe indicate, in concorso e previo concerto con i beneficiari dei prestiti illegittimi di cui al capo che segue, cagionato l’appropriazione indebita da parte di questi ultimi di somme facenti parte del patrimonio della B.P. A., mediante l’erogazione di prestiti in assenza dei requisiti di prestiti per l’affidamento bancario, per un importo complessivo di Lit. ( Omissis) così suddivisi:
– Lit. ( Omissis) a favore del ( Omissis);
– Lit. ( Omissis) a favore del( Omissis);
– Lit. ( Omissis) a favore del ( Omissis);
– Lit. ( Omissis) a favore del ( Omissis).
In Andria dal 1993 al 1996.
C. G. quale consigliere di amministrazione della BPA, per avere in concorso e previo concerto con i beneficiari dei prestiti illegittimi di cui al capo che segue, cagionato l’appropriazione indebita da parte di questi ultimi di somme facenti parte del patrimonio della B.P. A., mediante l’erogazione di prestiti in assenza dei requisiti richiesti per l’affidamento bancario, per un importo complessivo di Lit. ( Omissis) così suddivisi:
– Lit. ( Omissis) a favore del( Omissis);
– Lit. ( Omissis) a favore del( Omissis);
– Lit. ( Omissis) a favore del ( Omissis);
– Lit. ( Omissis) a favore del ( Omissis) .
In Andria dal 1993 al 1995.
M. V. + 10:
per avere, nelle qualità in epigrafe indicate, in concorso e previo concerto con i beneficiari dei prestiti illegittimi di cui al capo che segue, cagionato l’appropriazione indebita da parte di questi ultimi di somme facenti parte del patrimonio della B.P. A., mediante l’erogazione di prestiti in assenza dei requisiti richiesti per l’affidamento bancario, per un importo complessivo di Lit. ( Omissis) in favore della ( Omissis)
In Andria nel 1995 – Il tutto causando un danno di rilevante entità alla BPA
F) M. G. + 9 :
art. 646 cod. pen. – 61 n. 7 e 11 – 59 comma 2° cod. pen. – 110 cod. pen. per essersi in concorso tra loro e previo accordo con le persone indicate nel campo che precede e delle quali conoscevano il ruolo e le funzioni da costoro rivestite nell’ambito della BPA, indebitamente appropriati percependo illegittimamente erogazioni in proprio favore si somme facenti parte della BPA mediante prestiti concessi in assenza dei requisiti per l’affidamento bancario ed in particolare in favore di ( Omissis) nella qualità di Amministrazione ( Omissis); ( Omissis) nella qualità di Amministratore delle società ( Omissis); ( Omissis) quale Amministratore della ( Omissis) della somma complessiva di Lit. ( Omissis) mediante prestiti concessi in assenza:
– in favore di ( Omissis) titolare dell’omonima ditta individuale esercente a. e. per complessive di Lit. ( Omissis)
– in favore di( Omissis) amministratore della società ( Omissis). per Lit. ( Omissis);
– in favore dei( Omissis) Amministratore della società ( Omissis) per Lit. ( Omissis);
– in favore di ( Omissis) nella qualità di amministratore della ( Omissis) per Lit. ( Omissis)
In Andria dal 1993 al 1996.
– in favore di ( Omissis) per complessive Lit. ( Omissis), il primo quale gestore di fatto e percettore materiale della società ( Omissis), la seconda quale garante e percettrice della somma di Lit. ( Omissis) utilizzati per l’estinzione di altra debitoria con la BPA, il terzo quale amministratore unico della ( Omissis), tutti in concorso fra di loro. In Andria il 03/10/1995…>>
A ben guardare si tratta di un incomprensibile ed inutile sdoppiamento di un’unica prospettazione accusatoria, relativa ad un reato di appropriazione indebita continuato, ascritto ai soggetti che hanno rivestito cariche di amministrazione e controllo negli organi della B. P. A. (capo E) in concorso con i soggetti titolari delle imprese che hanno avuto accesso a concessione di fidi (capo F).
Secondo la prospettazione accusatoria, attraverso l’erogazione dei prestiti concessi in “totale assenza dei requisiti per l’affidamento bancario”, gli imputati che hanno ricoperto cariche di amministrazione e controllo nella B.P.A., agendo in accordo e in collusione con i beneficiari dei prestiti, avrebbero realizzato “un’arbitraria disposizione di beni della banca a profitto di terzi”.
Il presupposto di fatto dal quale parte la suddetta prospettazione accusatoria è che siano stati concessi dei crediti alle imprese di cui sono titolari i soggetti indicati nel capo F) “in assenza dei requisiti richiesti per l’affidamento bancario”.
Va detto, però, che la prospettazione di tale presupposto di fatto soffre nel caso di specie degli stessi limiti già evidenziati, nell’analisi del capo C), circa le valutazioni effettuate dagli ispettori della Banca d’Italia con riferimento alla natura dei crediti concessi e alla solvibilità delle imprese affidate, avendo come parametro i dati ricavabili dalle istruzioni di vigilanza, che sono solo lo strumento propedeutico allo svolgimento dell’attività della stessa Banca d’Italia.
La singola impresa bancaria opera secondo il modello imprenditoriale ed in regime concorrenziale (59), seguendo la propria logica di impresa e dandosi delle regole interne per l’attuazione di tale logica. E’ solo la violazione di tali regole che può costituire presupposto per ritenere non legittimo un fido bancario concesso dal dipendente ad un soggetto, sì da realizzare una appropriazione indebita del denaro oggetto del credito.
Ma prima di dare conto dell’insussistenza nel caso di specie del reato contestato, è il caso di fare in via generale alcune premesse in diritto sulla possibilità di configurare la fattispecie di cui all’art. 646 cod. pen. in materia di c.d. abuso di fido bancario.
Tale possibilità –come è noto- è sorta nell’interpretazione dottrinaria e giurisprudenziale quando, secondo la legislazione in materia bancaria adeguatasi alle direttive comunitarie ( d.P.R. 27 giugno 1985 n. 350, che in applicazione della legge delega 5 marzo 1985, n. 74, ha dato attuazione alla direttiva del Consiglio della Comunità Europea n. 780 del 12 dicembre 1977, in materia di coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi ed il suo esercizio), all’attività di raccolta del risparmio e di esercizio del credito ordinario è stata attribuita natura giuridica di impresa privata (60) e non di servizio pubblico in senso oggettivo (61), sicché, escluso l’orientamento qualificatorio in senso pubblicistico che aveva portato a prospettare l’applicabilità degli artt. 314 e 315 cod. pen. (62), si è posto il problema della configurabilità del reato di appropriazione indebita ex art. 646 cod. pen. nel caso di illegittima o irregolare concessione di fido o mutuo bancario in violazione delle norme di garanzia sugli affidamenti stabilite dai singoli istituti.
Orbene, la giurisprudenza formatasi in materia (63), dopo contrasti interpretativi piuttosto articolati, ha finito per porre dei paletti ben precisi per la configurabilità della fattispecie di appropriazione indebita nell’abuso di fido bancario.
E’ necessario che sussista un accordo tra le parti ovvero tra il dipendente dell’istituto bancario e il soggetto che usufruisce del fido, esplicantesi in atti di disposizione uti dominus del denaro, con la consapevolezza che il fruitore del credito non lo restituisca. Tutto ciò deve essere accompagnato dallo scopo di realizzare un ingiusto profitto da parte del beneficiario, sempre con la consapevolezza che il beneficiario del finanziamento non restituirà i mezzi accordatigli. Quindi, si è condivisibilmente ritenuto nell’elaborazione giurisprudenziale, anche di merito (64), che:
- – perché possa ritenersi sussistente, l’appropriazione indebita necessita che le pur gravi irregolarità nelle erogazioni si combinino con l’accordo tra erogatori e fruitori di credito e con il ricorso di atti di dominio nei singoli atti di disposizione, che presuppongono l’avere agito con la consapevolezza che i clienti non avrebbero restituito il denaro loro erogato (perché solo a patto di dimostrare tale consapevolezza si raggiunge la prova della c.d. interversione del possesso);
- – la linea di confine fra il lecito e l’illecito in ogni caso si identifica con la sussistenza dello scopo di far conseguire al cliente un indebito profitto, agendo con la consapevolezza che il beneficiario del finanziamento non restituirà i mezzi accordatigli;
- – fuori della fattispecie dell’appropriazione indebita restano anche le ipotesi nelle quali la concessione di credito, sia pure in violazione dei regolamenti e delle disposizioni interne della banca, abbia luogo sulla base di una valutazione globale dei rischi, nella quale la possibilità di recupero dell’erogato si associ a una erogazione supplementare, funzionale al sostegno del cliente in un momento di difficoltà e fidando nelle sue capacità di ripresa;
- – operazioni irregolari (sconfinamenti non autorizzati dai competenti organi aziendali, giri di assegni, ecc.) assumono rilevanza in altra sede giudiziaria, ma non costituiscono di per sé una condotta animata dal requisito soggettivo, ritenuto indispensabile per integrare l’ipotesi di appropriazione indebita, della consapevolezza che l’affidato non avrebbe restituito il denaro ottenuto.
E la Suprema Corte ha affermato da tempo che può configurarsi il reato di appropriazione indebita attraverso un’attività anche di carattere distrattivo, che si realizza mediante un’arbitraria attribuzione di beni della banca a favore di terzi con il concorrente elemento soggettivo della collusione con il cliente abusivamente favorito ed al fine di procurargli un ingiusto profitto ( 65). Nella interpretazione di legittimità ci si è soffermati sull’elemento oggettivo costituito dalla violazione delle norme sugli affidamenti stabilite dai singoli istituiti in modo da realizzare un’arbitraria disposizione di beni della banca da parte del dipendente a profitto di terzi, compiendo un atto di disposizione uti dominus.
Ma è stata la stessa Corte a precisare che <<deve escludersi che possa essere qualificata come distrattiva, e tanto meno come appropriativa, un’erogazione di denaro che, pur compiuta in violazione di norme organizzative della società, risponda a un interesse riconducibile anche indirettamente all’oggetto sociale>>, sicché è penalmente rilevante solo la condotta che porti <<ad uso arbitrario del bene con impiego per fini diversi da quello cui era destinato>> (66).
Orbene, precisati i suesposti principi interpretativi in materia, va subito evidenziato che nel caso di specie non può dirsi realizzata la condotta appropriativa ex art. 646 cod. pen. solo perché sono stati concessi dei fidi nella prospettata violazione delle regole organizzative interne o dei criteri dettati dall’organo di vigilanza Banca d’Italia.
Vanno a tal proposito richiamate tutte le argomentazioni già svolte in merito nell’analisi del capo C) delle imputazioni circa la valenza dei rilievi effettuati dall’organo di Vigilanza.
Qui va ulteriormente precisato che non ogni anomalia nell’erogazione del credito può essere meritevole di sanzione penale, se nonostante tutto si è inteso perseguire l’interesse dell’azienda creditizia e le direttive e norme di garanzia che la stessa azienda si è data.
La concessione dei fidi in esame non è derivata da accordi tra dipendenti dell’istituto bancario e i soggetti che hanno usufruito dei crediti, accordi tradotti in atti di disposizione uti dominus del denaro, con la consapevolezza che i fruitori degli stessi crediti non li restituissero.
Si è già detto che le concessioni di fidi sono state frutto della politica creditizia della B.P. A., così come per anni attuata non dai singoli dipendenti, in violazione delle regole poste dall’istituto, ma dagli stessi organi amministrativi e di controllo, sicché gli atti dispositivi non sono attribuibili a soggetti estranei all’impresa erogatrice bensì agli organi che hanno espresso la volontà gestionale della stessa impresa proprietaria del denaro erogato.
Se al momento della concessione dei fidi, pur sopportando rischi notevoli, gli organi gestionali hanno ritenuto di trarre ricadute vantaggiose, confidando nella restituzione delle somme erogate, la condotta degli amministratori potrebbe, tutt’al più, essere fonte di responsabilità civile ma certamente non può ricondursi nell’elemento oggettivo della fattispecie di cui all’art. 646 cod. pen..
E il riscontro più eloquente all’assenza di collusione fra gli organi della B. P. A. e le imprese affidate è costituito sempre dalla già evidenziata circostanza secondo la quale le anomalie riscontrate in sede ispettiva nell’erogazione dei crediti si sono inserite <<in una politica caratterizzata dalla sistematica sottovalutazione dei rischi…,… prescindendo dall’effettiva valutazione della situazione finanziaria del richiedente il fido….>> e, ad esempio, <<attribuendo rilievo pressocché esclusivo all’esistenza di garanzie patrimoniali>> ( 67).
Si ripete quello che ha evidenziato lo stesso ispettore dott. C. A.: le anomalie gestionali riscontrate erano di carattere generalizzato, non limitate solo ad alcune pratiche di fido e frutto, più che di scelte dolose, di serie carenze “culturali” nel settore.
Se, quindi, queste anomalie gestionali erano diffuse e generalizzate e riscontrabili sempre e in qualsivoglia operazione creditizia, sia che fosse posta in essere nei confronti di un grande gruppo imprenditoriale che nei confronti di una piccola impresa, come si può sostenere la tesi che si siano realizzati degli atti di disposizione uti dominus del denaro, in collusione degli organi amministrativi e di controllo con i clienti abusivamente favoriti ed al fine di procurare loro un ingiusto profitto?
Si impone, pertanto, la formula assolutoria di insussistenza dei fatti come ascritti.
P.T.M.
Il Tribunale, letti gli artt. 531 e 530 cod. proc. pen., nel procedimento a carico di M. V. + 23, così provvede:
- – dichiara non doversi procedere nei confronti di S. G. in ordine all’imputazione ascrittagli al capo D), qualificata come violazione dell’art. 136 D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (inosservanza del divieto di contrarre obbligazioni da parte degli esponenti bancari) perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione;
- – assolve tutti gli imputati cui sono rispettivamente ascritti i reati di associazione per delinquere (capo A), di omesse comunicazioni alla Banca d’Italia (capo C) e di appropriazione indebita aggravata (capi E e F) perché i fatti non sussistono.
Letto l’art. 544 cod. proc. pen., indica in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione.
Trani, 17 febbraio 2005
Il presidente
_________________________________________________
Note
- Si tratta della sentenza emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare in data 5 luglio 2002 nei confronti degli imputati ( Omissis), con la quale è stata dichiarata l’estinzione dei reati con riferimento all’imputazione di cui all’art. 2621 cod. civ., previa riqualificazione dei fatti “nel testo introdotto dall’art. 1 del decreto legislativo 11 aprile 2002 n. 61, con riferimento alle fattispecie delle false comunicazioni sociali ed ex art. 2627 cod. civ. (illegale ripartizione degli utili e delle riserve) nel testo introdotto dall’art. 1 del decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, con riferimento alla fattispecie della illegale ripartizione degli utili”; nonché con riferimento all’imputazione ex artt. 2, comma terzo, cod. pen., 134 decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (testo unico delle leggi in materia bancaria) e 2638 cod. civ. (ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza), nel testo introdotto dall’art. 1 del decreto legislativo 11.4.2002, n. 61”.
- La costituzione di parte civile della A. ha il seguente presupposto: << Con Offerta Pubblica di Acquisto (O.P.A.) del 1° ottobre 1998 la società I. SpA, con sede in Milano, poi trasformatasi nella società A. S.p.A., rivolgeva a tutti gli azionisti della B. P. A. la proposta irrevocabile di acquistare fino ad un massimo di n. 740.500. azioni, al prezzo unitario di lire 160.700. (Euro 83). Successivamente la predetta I. S.P.A procedeva ad acquistare ulteriori azioni della stessa B. P. A., assumendone il controllo. Tale Offerta Pubblica di Acquisto si è inserita nel programma di risanamento della B. P. A. predisposto dai Commissari Straordinari della stessa, come illustrato nella Relazione depositata per l’Assemblea dei Soci del 22 novembre 1998. Detto programma di risanamento è stato predisposto dai Commissari Straordinari sulla base di una situazione patrimoniale redatta dagli stessi, ed alla quale I. S.p.A non ebbe a concorrere. La predetta situazione patrimoniale riportava come esigibili e privi degli elementi di anomalia poi accertati dalla successiva indagine penale i crediti vantati nei confronti dei Clienti della B. P. A. sopra precisati. In tal modo il prezzo corrisposto da I. S.p.A. per la sottoscrizione e/o l’acquisto delle azioni della B. P. A. è risultato falsato per la mancata rilevazione delle perdite che ai crediti citati sarebbero derivati dalle anomalie successivamente riscontrate…..>>
- La costituzione come parte civile del C. E. S.p.A. è stata motivata con la seguente premessa: <<… Con Atto di fusione ricevuto dal ( Omissis), il C. E. SpA incorporava la B. P. A. SpA, subentrando in tutti i diretto alla stessa spettanti verso terzi, anche di natura risdarcitoria. Pertanto il C. E. SpA si è costituita Parte Civile nei confronti degli imputati ( Omissis), che in concorso con Amministratori e Sindaci della BPA hanno commesso in danno della stessa illeciti penali produttivi di rilevanti danni economici:…>>
- Dal verbale stenotipico dell’udienza del 15 ottobre 2002:<<… Il Tribunale, su tutte le questioni preliminari così come poste dalla Parti osserva quanto segue: con riferimento alle questioni poste dall’Avv. M. M., relativamente alla costituzione delle Parti Civili, va rilevato che le stesse questioni non attengono a profili di ammissibilità della costituzione ma a valutazioni di merito che devono essere necessariamente rinviate all’esito del giudizio; con riferimento alla specifica questione posta dall’Avv. F., relativamente ai profili di ammissibilità della costituzione del C. E. S.p.A. ex art. 75 c.p.p., il Tribunale deve rilevare che non è stata fornita alcuna documentazione che possa consentire allo stato di verificare i presupposti di applicabilità della suddetta norma; relativamente alle questioni di nullità del decreto che dispone il giudizio per violazione dell’art. 106 c.p.p. -che, per inciso, comporta una invalidità riconducibile alla violazione del diritto di difesa e come tale può essere assoluta o intermedia, secondo che l’attività compiuta preveda l’assistenza necessaria o facoltativa del difensore (in tal senso esprime Cassazione del 25 ottobre 1999 nel procedimento contro Gardiuolo), e così si ritiene superata la questione posta dal difensore della Parte Civile, C. E. S.p.A- va rilevato che, alla stregua dell’ipotesi accusatoria cristallizzata nel decreto che ha disposto il giudizio, non si apprezza la sussistenza della situazione di incompatibilità allegata dalle difese degli imputati. Situazione che, va ricordato, secondo i principi ormai consolidati nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, può aversi in relazione all’assunzione da parte del difensore di più imputati nello stesso procedimento, soltanto nel caso in cui ci sia una interdipendenza di posizioni processuali per la quale un imputato abbia interesse a sostenere una tesi che risulti di pregiudizio per l’altro imputato; mentre non è sufficiente una diversità di posizioni giuridiche e una divergenza di linee di difesa tra più imputati (in tal senso, tra le tante, si esprime Cassazione Penale, 10 settembre 1998, N. 11847, nel procedimento contro Panariello ed altro). Passando all’esame della questione di nullità posta dall’Avv. L. I., con riferimento al decreto che dispone il giudizio per violazione dell’art. 429 c.p.p., va rilevato che il capo d’imputazione sub lettera C), a parere di questo Tribunale, risulta sufficientemente chiaro e preciso nella indicazione dei fatti così come ascritti agli imputati. In particolare, quando si dice nel capo d’imputazione “nelle rispettive qualità”, può ritenersi sufficientemente chiarito che le qualità attribuite agli imputati, che rispondono del reato contestato, sono quelle specificate nell’epigrafe dello stesso decreto che ha disposto il giudizio, subito dopo le generalità dei singoli soggetti. Con riferimento alla indicazione fatta nello stesso decreto che dispone il giudizio, sempre nel capo di imputazione sub lettera C), in ordine alla qualificazione in diritto che è stata formulata dal Pubblico Ministero all’udienza preliminare del 4 luglio del 2002, questo Tribunale ritiene che la questione non possa assolutamente incidere sulla validità del decreto perché si tratta di semplice qualificazione in diritto che può essere operata in qualsiasi momento del processo e anche dal Giudice all’esito del dibattimento. Il fatto, invece, indicato nel capo C) risulta sufficientemente chiaro e preciso sia alla stregua della norma previgente di cui all’art. 134 del Decreto Legislativo N. 385/93, sia alla stregua della previsione normativa introdotta con il Decreto Legislativo N. 61/2002 e con la formulazione dell’art. 2638 del Codice Civile. Va inoltre rilevato che, a parere di questo Tribunale c’è chiara continuità normativa tra la norma di cui all’art. 134, espressamente abrogata dal Decreto Legislativo N. 61/2002, e l’ipotesi attualmente prevista dall’art. 2638 cod. civ.. Soccorre tale tesi interpretativa la stessa lettura della relazione governativa al Decreto Legislativo N. 61/2002, con la quale si è chiarito che l’introduzione dell’art. 2638, nell’attuale formula, persegue la finalità proprio di costruire una fattispecie a carattere generale alla quale poter ricondurre le diverse figure previste al di fuori del Codice, garantendo così l’uniformità sanzionatoria proprio con riferimento a tutte le fattispecie, prima previste, appunto, in sede diversa, di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche e di vigilanza. Sufficientemente chiara a precisa appare pure, a papere di questo Collegio, la contestazione dei fatti nei capi di imputazione E) ed F) che, pur evidenziando una peculiare scelta della Pubblica Accusa di scindere le posizioni dei concorrenti nello stesso reato, evidenzia un’ipotesi accusatoria secondo la quale gli imputati, che hanno rivestito una posizione qualificata nell’ambito dell’istituto bancario, avrebbero disposto arbitrariamente di beni del suddetto istituto a favore di terzi i quali, a loro volta, avrebbero concorso in tale condotta conoscendo la predetta posizione qualificata e, in ragione di ciò, si giustifica la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 11 del Codice Penale anche a tali ultimi soggetti. Per tutti i su esposti motivi: Il Tribunale, respinge tutte le eccezioni poste con riferimento in primo luogo all’ammissibilità della costituzione di Parte Civile e poi con riferimento alla nullità del decreto che ha disposto il giudizio….>>
- Dal verbale stenotipico dell’udienza del 15 ottobre 2002: <<… Il Tribunale, sulle questioni poste dalle Parti, con riferimento all’ammissione delle prove, osserva quanto segue: questo Collegio condivide l’orientamento, peraltro ormai consolidato della giurisprudenza della Corte di Cassazione, con riferimento al computo del termine di 7 giorni previsto dall’art. 468 c.p.p., secondo il quale in tema di deposito della lista dei testi il termine suddetto va inteso come <<intero e libero>> poiché l’art. 172 c.p.p. statuisce che in tal modo si computano le unità di tempo quando si è stabilito salvando il momento finale (in tal senso si esprime, tra le tante, Cassazione del 23 aprile 1994, N. 4711). Premesso ciò, il Tribunale non può che prendere atto che la lista del Pubblico Ministero, che risulta essere stata depositata solo in data 8 ottobre 2002, è da ritenersi tardiva con riferimento al termine previsto dall’art. 468 c.p.p., a nulla rilevando che l’odierna udienza fosse stata programmata solo per la trattazione delle questioni preliminari e per la trattazione delle questioni relative all’ammissione delle prove, giacché proprio a tale ultimo fine è stato dichiarato aperto il dibattimento e -sempre secondo la giurisprudenza della Cassazione che questo Collegio condivide, peraltro formatasi negli anni più recenti e diventata sicuramente prevalente rispetto ad orientamento contrario- in tema di termine per il deposito della lista testimoniale, soltanto nel caso in cui sia stato disposto il rinvio del dibattimento a udienza fissa prima che si sia esaurita la fase degli atti introduttivi viene riconosciuta alla Parte la possibilità di depositare una lista integrativa o comunque una lista ai sensi dell’art. 468. E tale conclusione è conforme alla ratio dell’istituto previsto dall’art. 468, che è quella di evitare l’introduzione di prove a sorpresa prima che il dibattimento abbia concretamente inizio. Tra le tante pronunzie della Cassazione si indica quella del 24 gennaio 1997, N. 498. Alla luce delle considerazioni su espresse, quindi, si dichiara tardiva la lista depositata dal Pubblico Ministero e conseguentemente inammissibile la richiesta di prova per testi, così come formulata dal rappresentante della Pubblica Accusa. Ritenute invece non manifestamente superflue, né irrilevanti, né vietate dalla legge le altre prove così come richieste dalle Parti, ammette l’esame dei consulenti tecnici indicati dalla difesa degli imputati ( Omissis), nella lista depositata tempestivamente, ai sensi dell’art. 468 c.p.p.; dispone l’acquisizione dei documenti oggi prodotti dalla Difesa dell’imputato ( Omissis) e si riserva di emettere provvedimento in ordine all’acquisizione dei documenti in relazione ai quali le Parti si sono pure riservate la produzione nelle udienze successive. >>
- I documenti prodotti sono quelli indicati in apposito indice: ( Omissis)
- Dal verbale stenotipico dell’udienza del 18 febbraio 2003: ( Omissis)
- Dal verbale stenotipico dell’udienza del 8 febbraio 2003: ( Omissis)
- Dal verbale dell’udienza del 10 giugno 2003: ( Omissis)
- Si riporta qui di seguito l’ordinanza: ( Omissis) – Trattasi della ordinanza in tema di acquisizione di documentazione.
- Dal verbale stenotipico dell’udienza del 24 febbraio 2004:( omissis) – Trattasi della ordinanza in tema di ammissione mezzi istruttori
- Dal verbale dell’udienza del 20 maggio 2004: (Omissis) – Trattasi della ordinanza in tema di ammissione mezzi istruttori e produzione documentale.
- Si riporta qui di seguito il testo dell’ordinanza in oggetto: <<….Il Tribunale, sulle questioni sollevate dalle Parti con riferimento all’ordinanza emessa da questo collegio, ex art.507 c.p.p., e sulla richiesta di nuova acquisizione documentale. osserva quanto segue. Infondati paiono a questo Tribunale i rilievi delle Difese degli imputati in ordine all’esame dei consulenti di parte disposto ex art.507 c.p.p., ove solo si consideri che, secondo un indirizzo interpretativo prevalente, l’espressione “mezzi di prova” contemplata dalla suddetta norma sarebbe frutto di una svista del Legislatore, così come facilmente desumibile dalla rubrica della norma che fa riferimento all’assunzione di “nuove prove” e dall’omologa disposizione di cui all’art.523 c.p.p., che egualmente fa riferimento solo all’assunzione di “nuove prove”, sicché il potere di ufficio non può essere limitato ai soli mezzi di prova, ma può estendersi a tutte le “prove nuove”, senza dimenticare che pacificamente i consulenti delle Parti, esaminati in dibattimento, assumono la qualità sostanziale di testimoni. Non condivide questo collegio pure le argomentazioni formulate dal Pubblico Ministero con riferimento alla superfluità dell’esame dei testi G. e G., sulla base delle valutazioni dei fatti così come contestati nei capi di imputazione. Può essere acquisita la lettera a firma dell’imputato B. U., non avendo peraltro le Parti formulato specifiche eccezioni in ordine alla stessa e, per i suesposti motivi, il Tribunale conferma l’ordinanza ex art.507 c.p.p. emessa all’udienza del 24 febbraio 2004, respingendo quindi le istanze di revoca formulate dalle Parti all’odierna udienza, sia con riferimento all’esame dei consulenti, sia con riferimento ai testi G. e G.; dispone l’acquisizione della lettera datata 6 giugno 2000 a firma dell’imputato B. U.. Dispone altresì procedersi oltre….>>
- Si veda il verbale stenotipico da pag. 25 sino a pag. 129.
- Si veda il verbale stenotipico da pag. 130 sino a pag. 155.
- Si veda il verbale stenotipico da pag. 6 a pag. 55.
- Della relazione del dott. S. si darà conto in seguito.
- Dal verbale stenotipico dell’udienza del 20 settembre 2004: ( Omissis)
- Si veda il verbale stenotipico da pag. 8 a pag. 12.
- Si veda il verbale stenotipico da pag. 13 a pag. 17.
- Si veda il verbale stenotipico da pag. 17 a pag. 22.
- Dal verbale stenotipico pag. 24 – 27.
- Si veda il verbale stenotipico da pag. 6 a pag. 33.
- Si veda il verbale stenotipico da pag. 33 a pag. 50:
- Dal verbale stenotipico relativo all’esame del teste C. A.: .( Omisissis)
- Dal verbale stenotipico relativo all’esame del dott. C. A.: .( Omisissis)
- Dal verbale stenotipico relativo all’esame del teste C. A.:( Omisissis)
- Dal verbale stenotipico relativo all’esame del dott. C. A.: ( Omisissis)
- Dal verbale stenotipico relativo all’esame del dott. C. A.: ( Omissis)
- Per ulteriore maggiore chiarezza per chi legge, si ritiene opportuno riportare qui di seguito la parte della relazione a firma del consulente del Pubblico Ministero dott. M. S., ( Omissis)
- Dal verbale stenotipico relativo all’esame del dott. A. ( Omissis)
- Dal verbale stenotipico relativo all’esame di A. C.: ( Omissis)
- Dalla relazione a firma del dott. S del 21 giugno 1999, pagg. 1 – 3.
- Dalla relazione a firma del dott. S datata 21 giugno 1999, pag. 50 – 51.
- Dalla relazione a firma del dott. S datata 21 giugno 1999, pag. 7 – 11: (Omissis)
- Dalla relazione a firma del dott. S datata 21 giugno 1999, pag. 17 – 46: (Omissis)
- Dal verbale stenotipico relativo all’esame del consulente S.: ( omissis)
- Questa prospettazione accusatoria è stata integralmente recepita dal Giudice dell’Udienza Preliminare che ha disposto il giudizio con decreto ex art. 429 cod. proc. pen..
- Cfr. ex multis Cassazione penale sez. I, 8 luglio 1991, in Cass. pen. 1992, 3027, nonché Cassazione penale sez. I, 7 aprile 1989, in Cass. pen. 1991, I,550.
- Cassazione penale sez. VI, 12 dicembre 1995, in Cass. pen. 1997, 400; Cassazione penale sez. I, 12 maggio 1995, in Cass. pen. 1996,3306
- Cfr. Cassazione penale sez. VI, 14 giugno 1995, in Cass. pen. 1997, 398.
- Dal verbale stenotipico relativo all’esame di A. C.: (Omissis)
- Gli “omissis” relativamente agli imputati M e C.e sono determinati dal fatto che in relazione alle loro posizioni è stata emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare sentenza ex art. 425 cod. proc. pen. di declaratoria di prescrizione dei reati per intervenuta prescrizione.
- In materia si veda Cass. 8 novembre 2002, n. 1252, in Riv. Pen. 2003, 615.
- Si veda a tal proposito l’art. 11, comma 1, lett. b) della legge delega 3 ottobre 2001, n. 366.
- Una breve analisi dei rapporti tra la vecchia e la nuova fattispecie consente di procedere oltre nell’esame dei fatti descritti nella imputazione ascritta agli odierni imputati, onde verificare se in essi siano ravvisabili gli estremi della fattispecie attualmente vigente, come si è detto applicabile ex art. 2, comma terzo, cod. pen. ai casi di condotte tenute prima dell’entrata in vigore della nuova norma che siano ancora penalmente rilevanti alla luce di quest’ultima.
Non si può però trascurare anche e soprattutto l’esame di quelle componenti caratterizzanti la previgente norma incriminatrice al fine di verificare:
* in primo luogo, con riferimento all’elemento oggettivo, se la condotta ascritta agli odierni imputati fosse idonea a minacciare l’interesse protetto;
* in secondo luogo, con riferimento all’elemento psicologico, se il fine perseguito dagli stessi imputati fosse quello proprio del dolo specifico previsto da entrambe le norme in esame.
Infatti, nel caso in cui la menzionata verifica abbia esito negativo si impone l’adozione delle formule assolutorie più favorevoli, rispettivamente nell’ordine “perchè il fatto non sussiste” o “perché il fatto non costituisce reato”, rispetto a quella “perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato” (arg., tra le molteplici pronunzie di legittimità, da Cass. 23 giugno 1993, Steinhaslin e altro, in Mass. pen. Cass. 1993, fasc. 12, 87), la quale invece sarebbe consequenziale ex art. 2, comma secondo, cod. pen. solo nel caso in cui gli elementi ritualmente contestati (cfr. Cass. sez. un., 20 giugno 1990, Monaco) fossero stati in precedenza riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 134 Tulb ed abbiano cessato di aver rilievo penale solo con l’entrata in vigore della nuova norma. - L’art. 51 citato, che secondo la rubrica disciplina la “vigilanza informativa”, stabilisce che: <<Le banche inviano alla Banca d’Italia, con le modalità e nei termini da essa stabiliti, le segnalazioni periodiche nonché ogni altro dato e documento richiesto. esse trasmettono anche i bilanci con le modalità e nei termini stabiliti dalla Banca d’Italia>>.
- Le sofferenze trovano spazio essenzialmente nelle seguenti voci della matrice: a) voce n. 1171 contenuta nella sezione I nella parte riferibile ai dati patrimoniali dell’Attivo oggetto di trasmissione mensile alla Vigilanza entro il giorno 25 del mese successivo a quello di riferimento; voce n. 4710 contenuta nella sezione IX nella parte riferibile ai dati relativi al “coefficiente di solvibilità individuale” oggetto di trasmissione trimestrale alla Vigilanza. Ulteriori precisazioni merita la segnalazione delle sofferenze ai fini della determinazione periodica del “coefficiente di solvibilità” che fissa l’ammontare minimo del patrimonio di vigilanza che le banche devono possedere in rapporto alle attività ponderate in funzione dei rischi di perdita per inadempimento dei debitori. Il sistema di ponderazione, che misura il rischio di inadempienza dei debitori, si articola in vari fattori moltiplicativi tra cui quello inerente le attività di rischio in sofferenza pari al 200%. Il calcolo del coefficiente di solvibilità viene effettuato con scadenza trimestrale con riferimento alle date del 31 marzo, 30 giugno, 30 settembre, 31 dicembre. Le segnalazioni relative al 30 giugno e al 31 dicembre vanno effettuate con l’invio della sezione IX della matrice entro il 25 del terzo mese successivo a quello di riferimento e cioè entro il 25 settembre e il 25 marzo. Le segnalazioni relative al 31 marzo e al 30 settembre vanno invece effettuate entro il 25 del mese successivo a quello di riferimento e cioè entro il 25 aprile e il 25 ottobre. La definizione di “sofferenze” precedentemente richiamata – desumibile sia dal “Manuale per la compilazione della matrice dei conti” (circolare Banca D’Italia n. 49 dell’8/2/89) sia dal provvedimento della Banca d’Italia del 31/7/1992 concernente le Istruzioni per la redazione dei bilanci bancari – pone in risalto il concetto ampio di insolvenza in cui ricadono anche tutte quelle situazioni sostanzialmente equiparabili desumibili dalla seguenti circostanze: esistenza di azioni esecutive promosse da terzi; segnalazioni in sofferenza provenienti da altre istituzioni; acquisizioni di garanzie prive di un valido contenuto patrimoniale, rinunce a quote di credito e in generale ogni comportamento volto a procrastinare ripetutamente l’ufficiale presa d’atto dell’irrecuperabilità in via ordinaria dei crediti vantati. Peraltro la definizione di sofferenze riguarda gli ulteriori obblighi di comunicazione in materia di bilancio di esercizio posto che l’art. 23 comma 1 lett. g) del Dlgs del 27/1/1992 n. 87 (bilancio degli Enti creditizi) prescrive l’indicazione dell’importo dei crediti in sofferenza nella nota integrativa. E’ importante sottolineare quindi come secondo la definizione descritta possono rientrare tra le “sofferenze” anche crediti interamente garantiti sempre che siano vantati verso soggetti insolventi. E ciò in considerazione del fatto che la qualificazione di un credito a sofferenza è indipendente dalle eventuali previsioni di perdita su cui incidono, tra l’altro, le garanzie poste a presidio del credito. Più nello specifico possono essere di riferimento nella previsione di perdite i seguenti elementi: contesto congiunturale di mercato con riferimento all’attività economica dell’impresa finanziata; disequilibri tra entità dell’esposizione creditizia e capacità economico patrimoniale del debitore principale e dei garanti; presumibile valore di realizzo di garanzie reali acquisite considerando il loro grado di prelazione; situazioni emergenti da procedure concorsuali e accordi transattivi; prevedibile durata delle azioni esecutive e diseconomicità delle possibili azioni di recupero. La previsione di perdite tocca la problematica della valutazione dei crediti nell’ambito delle comunicazioni di bilancio alla luce della specifica disciplina di cui al Dlgs del 27/1/1992 n. 87 (bilancio degli Enti creditizi). In primo luogo l’art. 20 comma 4 del “decreto” dispone la valutazione dei crediti secondo il valore di presumibile realizzazione da calcolare in base alla situazione di solvibilità dei debitori. La quantificazione del rischio di perdita in tal caso porta alle “svalutazioni analitiche” ossia alla determinazione di rettifiche di valore su crediti che trovano appostazione nella voce 120 del conto economico (si veda il provvedimento della Banca d’Italia del 16/1/1995 concernente le Istruzioni per la redazione dei bilanci bancari). I crediti così valutati sono quelli classificati in sofferenza ossia i crediti che per vicende proprie escono dagli impieghi “normali”. L’articolo 20 comma 5 del “decreto” dispone inoltre che nel calcolo del valore di presumibile realizzazione può tenersi conto di andamenti economici negativi riguardanti categorie omogenee di crediti e le relative svalutazioni possono essere determinate anche in modo forfettario. In tal caso la quantificazione del rischio di perdita porta alle svalutazioni “forfettarie” che trovano anch’esse appostazione nella voce 120 del conto economico. Per cui dato che i singoli crediti non manifestano caratteristiche tali da comportare una svalutazione analitica si opera una svalutazione percentuale dell’intera categoria omogenea di appartenenza (es. crediti v/imprese di costruzione ; crediti v/ imprese di commercio di specifici beni, ecc.) con conseguente applicazione della stessa percentuale di svalutazione sui singoli crediti…>>. Si è riportata testualmente sul punto quanto in maniera puntuale ha evidenziato nella sua relazione di consulenza il dott. S. Si veda anche quanto chiarito in materia dall’ispettore dott. A. durante il suo esame dibattimentale.
- Nel parere espresso dalla Commissione Giustizia della Camera si legge che la locuzione incidentale “ancorché oggetti di valutazioni” doveva consentire “la valutazione dei rischi insiti, ad esempio, nell’attività bancaria di intermediazione”, valutazione “di fondamentale importanza per la conoscenza della situazione economica e patrimoniale degli intermediari”.
- Si è detto che “un’interpretazione comune della formula in esame potrebbe ricalcare la distinzione tra <<elementi normativi discendenti da norme di semplice valutazione (ovvero, assiologiche) ed elementi normativi riferibili a norme cc.dd. fondanti>>, sicché avremmo false valutazioni <<tipiche>> quando esiste un <<correlato reale>>, nel senso che <<è possibile intendere e percepire il dato di realtà sul quale deve formularsi il giudizio>> <<anche separatamente e indipendentemente da questo>>; viceversa, nel caso in cui tale scissione tra giudizio e fatto sia impossibile, l’informazione non potrebbe essere assunta nello schema di tipicità delle nuove disposizioni sul mendacio societario.” Così Losappio in Risparmio, Funzioni di Vigilanza e Diritto penale – Lineamenti di un sottosistema, Cacucci Editore – 2004, pag. 178. ( N. d. R.:. in data 19/02/2005 il libro è stato presentato ad Andria con il patrocinio del COnsiglio dell’ordine degli Avvocati e dell’Associazione Avvocati Andriesi)
- Si veda quanto a tal proposito precisato dal dott: A. durante il suo esame dibattimentale: Teste: la fonte normativa è l’art. 51 del Testo Unico Bancario, che fa rinvio alla lex all’epoca delle vicende della banca capitolo 42 delle istruzioni di vigilanza, attualmente sesto titolo, che fa menzione specifica della matrice dei conti e delle situazioni di bilancio, ascrivendo alla Banca d’Italia la facoltà di porre dei criteri, delle condizioni, delle caratteristiche particolari alle singole voci segnaletiche. Allora nell’ambito delle segnalazioni di vigilanza, abbiamo detto, le posizioni in bonis vanno segnalate come “crediti ordinari”, a seconda poi della linea tecnica utilizzata, conti correnti, mutui e quant’altro. Le posizioni incagliate sono delle posizioni che presentano temporanee difficoltà economiche e finanziarie da parte del cliente, suscettibili di essere rimosse in un contenuto congruo periodo di tempo. Sono molto sommario, esco dai canoni lessicali della definizione tecnica. Le posizioni in sofferenza sono quelle posizioni, invece, nelle quali si manifesta la incapacità del cliente di adempiere alle proprie obbligazioni in modo, come dire… strutturale, quindi al di la eventuale dichiarazione di insolvenza ex art.5 Legge fallimentare o che altro, e la incapacità perdurante del cliente di adempiere alle proprie obbligazioni che manifesti quindi uno stato di insolvibilità di fatto. ( Omissis)
- Come si vedrà meglio anche più avanti, nella interpretazione giurisprudenziale è ormai pacifico l’inquadramento dell’attività bancaria nell’art. 41 Cost.
- La stessa qualificazione dell’attività bancaria come <<funzione d’interesse pubblico>>, contenuta nell’art. 1 della legge bancaria del 1936 aveva avuto lo scopo sì di portare il settore del credito sotto il controllo dello Stato, ma soltando con la predisposizione di una disciplina che sottoponesse <<nel campo del credito la iniziativa individuale a determinati controlli e garanzie. Non dunque gestione diretta da parte degli organi della p.a., ma soltanto più rigido e disciplinato controllo>> – Camera dei deputati – legislatura XXIX – doc. 1137 – A. Relazione della giunta per il bilancio per la conversione del r.d.l. 12 marzo 1936 n. 375, in Enc. della banca e della borsa, Roma, 1969, I, 34.
- Si veda in tal senso quanto affermato da Cass. 23 maggio 1987, 5, in Rivista Trimestrale dell’Economia, 1988, 633.
- Così F. Foglia Manzillo, Dipendenti di banca, qualifica soggettiva e fatti di distrazione, in Giust. Pen. 1992, pag. 567.
- Dal verbale stenotipico relativo all’esame del teste C. A.: ( omissis) <<la fonte normativa è l’art. 51 del Testo Unico Bancario, che fa rinvio alla lex all’epoca delle vicende della banca capitolo 42 delle istruzioni di vigilanza, attualmente sesto titolo, che fa menzione specifica della matrice dei conti e delle situazioni di bilancio, ascrivendo alla Banca d’Italia la facoltà di porre dei criteri, delle condizioni, delle caratteristiche particolari alle singole voci segnaletiche. Allora nell’ambito delle segnalazioni di vigilanza, abbiamo detto, le posizioni in bonis vanno segnalate come “crediti ordinari”, a seconda poi della linea tecnica utilizzata, conti correnti, mutui e quant’altro. Le posizioni incagliate sono delle posizioni che presentano temporanee difficoltà economiche e finanziarie da parte del cliente, suscettibili di essere rimosse in un contenuto congruo periodo di tempo. Sono molto sommario, esco dai canoni lessicali della definizione tecnica. Le posizioni in sofferenza sono quelle posizioni, invece, nelle quali si manifesta la incapacità del cliente di adempiere alle proprie obbligazioni in modo, come dire… strutturale, quindi al di la eventuale dichiarazione di insolvenza ex art.5 Legge fallimentare o che altro, e la incapacità perdurante del cliente di adempiere alle proprie obbligazioni che manifesti quindi uno stato di insolvibilità di fatto.( Omissis) .
- Dal verbale stenotipico relativo all’esame del dott. C. A.: (Omissis)
- Si vedano pagg. 22 – 28 della relazione a firma dei consulenti dott. P. G. e dott. E. S..
- Si vedano in tal senso le precisazioni della fondamentale pronunzia Cass. se. un. 28 febbraio 1989, Cresti.
- L’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico sotto ogni forma e di esercizio del credito ha carattere d’impresa, indipendentemente dalla natura pubblica o privata degli enti che la esercitano>> – art. 1 co. I D.P.R. 27.06.1985 n. 350 in attuazione della direttiva CEE n° 77/80
- Così Cass. 10 ottobre 1981, in Foro it., 1981, II, 553.
- Con sentenza della Cassazione a Sezioni Unite 23 maggio 1987, Tuzet, si è affermato il principio di considerare i dipendenti bancari non rientranti nella qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio con la impossibilità di applicare le norme del codice penale richiamate dalle dette qualifiche. La stessa sentenza ha affermato quanto segue: “il reato di appropriazione indebita previsto dall’art. 646 cod. pen. postula che il possessore si comporti verso la cosa come se fosse propria, compiendo cioè sulla stessa quegli atti che potrebbe compiere solo il proprietario, e questa condotta coincide con quella di “appropriazione” prevista dall’art. 314 c.p. ma nettamente diverge da quella di “distrazione”, ne consegue che, quando la “distrazione”, consistente nella concessione abusiva di fido, venga commessa da un dipendente bancario che, come nella specie, non riveste la qualifica di “pubblico ufficiale” nè di “incarico di pubblico servizio”, il fatto da lui commesso non realizza la fattispecie dell’appropriazione indebita di cui all’art. 646 cod. pen.”.
- Si vedano, tra le tante, Cassazione pen., sez. II, 16 marzo 1992, n. 2829; Cass. Pen., S.U. 28 febbraio 1989, n.1 e n. 4; Cass. pen., sez. VI, 28 giugno 1988, n.1327; 7 ottobre 1987, n. 1443; 21 dicembre 1987, n.3441; 27 aprile 1988, n. 903 e n. 906.
- Si veda Tribunale di Roma 24 maggio 1988, in Banca, borsa, tit. credito 1988, II, 4110.
- Così la nota sentenza Cassazione Sezioni Unite 28 febbraio 1989, Vita ed altri.
- Così Cass. 21 febbraio 1998, Cubani.
- Si veda la relazione di consulenza a firma del dott. S. (pag. 15), nonché quanto riferito dal dott. A. durante il suo esame dibattimentale.
_______________________________
Nota alla sentenza del Prof. Avv. Giuseppe Losappio nella Sezione Argomenti Giuridici