RIFORMA DELLA PREVIDENZA


Ecco, ci siamo! Il Comitato dei Delegati inizia a discutere approfonditamente della riforma della previdenza forense. Un argomento che impegnerà il Comitato per molte sedute. Nell’ultima di queste si è iniziato con alcune relazioni (Donella e Rosa), che hanno avuto il merito di far conoscere anche ai delegati appena entrati in comitato le problematiche più importanti da affrontare. Interessanti sono stati gli interventi, tra cui quelli di alcuni delegati così detti “nuovi”, che hanno espresso punti di vista sulla tematica e, soprattutto, sull’approccio ad essa, del tutto nuovi (Cecchin ed altri), fornendo al Comitato spunti interessanti da tenere presente nelle prossime discussioni.


Tutti sono stati d’accordo su alcuni punti essenziali:



La riforma va fatta. Il Presidente (De Tilla) nel suo articolo di “fondo” (nell’ultimo numero di “Modello 5”) ha segnalato che, “nonostante il delinearsi di un quadro normativo di riferimento più stabile e i lusinghieri risultati del bilancio di esercizio che, anche per il 2004, evidenzia un avanzo di gestione di 160 milioni di euro, e il buon rapporto iscritti/pensionati, tuttora con trend in crescita”, sussistono elementi di preoccupazione nell’aumento della spesa pensionistica e nella percentuale di oltre il 60% della base degli iscritti che è costituita da avvocati infraquarantacinquenni. Segnali di attenzione sono stati richiamati dai bilanci attuariali, per cui occorre prestare la “massima attenzione al problema della sostenibilità dell’attuale sistema previdenziale forense sul lungo periodo” (De Tilla).


A nessuno può sfuggire che, per assicurare la pensione alle attuali giovani generazioni d’avvocati, occorre intervenire ora sul sistema, in quanto ogni ritardo potrebbe risultare disastroso. Occorre tenere presente che le modifiche dei sistemi previdenziali richiedono un certo arco temporale per entrare a regime e, quindi, vedere attuati i loro effetti sui conti. Conseguentemente occorre intervenire per tempo, con sollecitudine ma senza fretta.



La riforma previdenziale va fatta bene. La materia è complessa. Tutti i delegati si sono resi conto della difficoltà di mettere mano ad una materia così complicata e delicata. Non basta la buona volontà. Ecco perché non ci vuole fretta. Sbagliare la riforma porterebbe conseguenze catastrofiche per la Cassa. Intanto, occorre decidere se si deve intervenire con riforme parametriche oppure con riforme strutturali. La scelta non è di poco conto, in quanto nel primo caso l’attuale sistema (schema a ripartizione con un metodo di calcolo retributivo) rimarrebbe inalterato, mentre muterebbero soltanto alcuni criteri (aumento di contributi, innalzamento dell’età pensionabile, ecc..). Nel secondo caso, invece, la riforma strutturale comporterebbe il passaggio ad altro sistema (schema a capitalizzazione con calcolo contributivo).


Entrambe le soluzioni hanno pro e contro: con la riforma parametrica l’ammontare dei contributi e delle prestazioni può essere calcolata in base ad obiettivi prefissati, il che lascerebbe inalterata l’attuale struttura, ma potrebbe comportare il rischio di spostare il problema più in là nel tempo; con la riforma strutturale la pensione (o meglio la rendita vitalizia) verrebbe calcolata in base ai contributi versati dal singolo iscritto nell’arco della sua attività lavorativa, con la conseguenza che si avrebbe una drastica ed immediata riduzione delle pensioni. (Questo sistema è stato adottato dalle Casse dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri Commercialisti: passaggio drastico dal sistema retributivo al contributivo, accompagnato da un aumento delle aliquote).
È evidente la delicatezza e la difficoltà della scelta.



La riforma va fatta con il consenso dell’avvocatura. È impossibile pensare che una riforma della previdenza possa passare sulla testa degli avvocati italiani, senza che questi ne siano consenzienti.


La Cassa, è bene ricordarlo, è degli avvocati e il suo patrimonio è stato messo insieme con i contributi versati per l’intera vita professionale degli avvocati, spesso con grande sacrificio.
L’attuale dirigenza della Cassa è consapevole che non è possibile imporre agli avvocati una scelta calata dall’alto e già dallo scorso anno ha avviato incontri con le associazioni più significative dell’avvocatura per raccogliere un loro parere in merito.


Emergono a questo proposito alcune problematiche:
– Cosa fare nel caso in cui la decisione del Comitato non fosse in sintonia con le associazioni o se le stesse fossero in disaccordo tra loro?
– Basterebbe il consenso delle associazioni o si dovrebbe chiedere il consenso di tutta l’avvocatura, tenendo conto che la maggior parte degli avvocati non aderisce ad alcuna associazione?
– In tal caso come consultare l’avvocatura? Con assemblee? Indette da chi? Dagli Ordini?
– E soprattutto: che valore avrebbe il parere espresso dalle assemblee degli avvocati, visto che la scelta è così complicata e difficile e che gli stessi delegati alla Cassa hanno difficoltà ad affrontare tale scelta?
È evidente che, prima di formulare un’ipotesi di modifica, il problema vada affrontato ed approfondito in tutti i suoi aspetti, consultando i maggiori esperti e studiosi della materia, senza, però, devolvere a soggetti esterni, in quanto la decisione definitiva spetta, e non può essere diversamente, agli avvocati.


Allora che fare? Intanto cominciare a parlare e soprattutto a spiegare. Questo periodico potrebbe essere uno fra i tanti mezzi possibili per chiarire e spiegare la complessità della materia e, soprattutto, per attuare un confronto con l’avvocatura. Sarebbe opportuno, a mio avviso, che “Modello 5” ospitasse una sezione che trattasse il problema, sia con articoli esplicativi, sia con interventi delle associazioni e dei singoli avvocati.


Avv. Riccardo Marchio