Tribunale di Trani
Sezione di Barletta


I1 Giudice


letti gli atti e i documenti relativi al ricorso ex art.736 bis c.p.c. depositato in data 6.5.05 da P. Maria Assunta (con l’avv. F. C.) nei confronti del coniuge S.T. e del figlio S.B., entrambi costituitisi con comparsa depositata all’udienza del 31.5.05 (con l’avv. A. G.); a scioglimento della riserva di cui al verbale d’udienza del 14.ó.05;


osserva


La P., premesso che è sposata con S.T. dal 1981 e che dall’unione sono nati i figli B. F. e C. (quest’ultima minorenne), agisce ai sensi dell’art.342 bis c.c. al fine di ottenere nei confronti del marito e del figlio, asseritamente responsabili di condotte gravemente pregiudizievoli della sua integrità fisica e morale, un ordine di protezione contro tali abusi, con i contenuti dettagliatamente indicati in ricorso.
All’esito dell’ampia (ancorché necessariamente sommaria) istruttoria espletata, tuttavia, deve concludersi per il rigetto dell’istanza, essendo rimasta indimostrata la ricorrenza – nella specie – dei presupposti richiesti dalla legge per concedere l’invocata misura protettiva in danno dei due resistenti.
In proposito, giova ricordare che l’adozione dell’ordine di protezione di cui agli artt.342 bis e segg. c.c. ha come suo presupposto il compimento, da parte del soggetto che ne è destinatario, di condotte idonee a cagionare al coniuge o convivente un “grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà”, altrimenti non giustificandosi la grave misura dell’allontanamento dalla casa familiare, pure incidente su diritti di rilevanza costituzionale quali la libertà personale, la libertà di circolazione e la proprietà privata.
Sul punto, condivisibile giurisprudenza ha avuto modo di precisare che, al fine di ritenere raggiunta il livello di “gravità” richiesto dalla legge, è necessario un pregiudizio particolarmente significativo in termini di ripetizione nel tempo della condotta lesiva, ovvero con riguardo al tipo di interesse coinvolto o alle modalità concrete dell’offesa (Trib. Bari, 18.7.02, in F. & D. 2002, 623; Trib. Trani 12.10.01, ibidem 2002,395).
E’ alla luce degli anzidetti principi che va esaminato e deciso, nel senso del suo rigetto, il ricorso della P.
Ed invero quest’ultima ha invocato, a riprova della gravità del pregiudizio subito, anzitutto l’episodio dell’1.3.05, in cui il marito, “spalleggiato” dal figlio maggiore, l’avrebbe aggredita selvaggiamente con calci e pugni, desistendo solo per l’intervento dei Carabinieri e costringendola a ricorrere alle cure del Pronto Soccorso.
La ricorrente ha inoltre lamentato di avere subito dai due resistenti una serie di minacce ed ingiurie telefoniche e non (tali da impedirle di rincasare e da consentirle il recupero dei propri effetti personali soltanto grazie all’aiuto dei Carabinieri), nonché di essere stata schiaffeggiata dal marito sulla pubblica via il giorno 17.4.05 verso le ore 13.
Personalmente ascoltata, la stessa ha poi precisato che in occasione dell’episodio dell’1.3.05 il figlio, incrociandola per le scale, le sputò addosso, quindi padre e figlio presero a colpirla ripetutamente lungo le scale dell’edificio, minacciando a anche con un coltello; che, una volta scortata dai Carabinieri nella casa familiare, il marito continuò ad insultarla e le intimò di non tornare, svuotandole finanche la borsa; e che anche in occasione del ritorno in casa per riprendere i propri indumenti – in presenza dei Carabinieri –  fu insultata e trovò i propri indumenti in pezzi.
Senonchè le doglianze della ricorrente non trovano riscontro nelle risultanze istruttorie, quanto meno nei termini in cui sono state allegate.


Ciò vale anzitutto per il figlio B. F., il – cui ruolo attivo nell’episodio dell’1.3.05 resta del tutto indimostrato, non solo per quanto riguarda lo sputo verso la madre ma anche e soprattutto per quanto riguarda la sua partecipazione allo scontro fisico denunciato dalla P., atteso che egli si allontanò dall’abitazione per portare via la sorella e fu poi trovato presso il portone dell’edificio dai Carabinieri, sicché appare quanto meno improbabile che nel breve lasso di tempo in cui si è sviluppato l’episodio litigioso egli abbia fatto in tempo ad accompagnare la sorella, a prendere parte attiva alla lite e poi a ridiscendere (senza particolari ragioni) verso il portone dove fu rinvenuto dai Carabinieri.
Rispetto a tale soggetto, inoltre, non è riscontrabile il minimo elemento, sia pure di natura indiziaria, che consenta di ritenere provato un suo concorso in successivi atteggiamenti minacciosi e/o violenti in danno della madre; risultando piuttosto dalle sue dichiarazioni, al di là della sua opzione di schierarsi con il padre, un ostentato atteggiamento di distacco nei confronti delle vicende familiari e della madre in particolare, tale da fargli trascorrere gran parte del suo tempo presso l’abitazione dei (futuri) suoceri.
Diverse e più articolate considerazioni (aventi peraltro il medesimo esito) si impongono per S.T..
Al riguardo si rileva anzitutto, anche al fine di trarne argomenti di prova, che nessun riscontro si è avuto in ordine alle circostanze, dedotte dalla P., secondo cui durante il litigio dell’1.3.05 la stessa sarebbe stata minacciata dal marito con un coltello e, una volta scortata nell’appartamento, sarebbe stata da lui nuovamente insultata e maltrattata; e ciò in quanto per un verso i Carabinieri verbalizzanti non rinvennero, sulla persona del marito  e nell’appartamento familiare, alcuna arma, per altro verso il Brigadiere G. ha dichiarato che nell’occasione lui ed il collega chiamarono subito il servizio 118 per far soccorrere la donna, sicché deve ritenersi che quest’ultima neppure tornò nella sua abitazione.
Sempre in relazione all’episodio dell’1.3.05, poi, rimangono pure indimostrate le peculiari ed efferate modalità compimento dell’aggressione descritte dalla ricorrente, poiché nessun estraneo risulta avere assistito alla scena, e d’altra parte la segnalazione ai Carabinieri fu generica  (oltre che anonima).
Resterebbe da valutare sul piano probatorio, una volta esclusi i dettagli allegati dalla P. ma rimasti sforniti di prova, la sussistenza dell’episodio in sé, e precisamente rimarrebbe da stabilire se ricorrano i presupposti per ritenere provato in via indiziaria, sulla base delle sole caratteristiche oggettive delle lesioni descritte, nel verbale del Pronto Soccorso, la riconducibilità di queste ultime – con certezza o probabilità – a percosse (verosimilmente inferte da chi si trovava con la donna in quel frangente); ovvero se il tipo di lesioni sia compatibile anche con la dinamica illustrata da S.T., il quale sostiene che al culmine della lite la donna scappò via, perse l’equilibrio e cadde dalle scale.
A ben vedere, però, si tratta di una valutazione il cui esito sarebbe comunque irrilevante ai fini di fondare l’istanza della ricorrente (donde la superfluità di un approfondimento medico-legale sul punto).
Ciò perché, quand’anche fosse dimostrato che fu il marito a provocare alla P. le predette lesioni, ciò non basterebbe di per sé a giustificare la grave misura protettiva invocata da quest’ultima, trattandosi comunque di un
unico episodio da leggere – senza ovviamente con ciò giustificarlo – nel particolare clima di tensione creatosi tra due coniugi.
Per assurgere al livello di gravità richiesto dalla legge, tale episodio violento dovrebbe risultare inserito in un più ampio contesto di condotte scientemente finalizzate a pregiudicare l’integrità fisica della donna o, quanto meno, a cagionare il clima di intimidazione e minaccia denunciato dalla ricorrente come ragione ostativa al suo rientro nell’abitazione familiare.
Dell’esistenza di una siffatta situazione, però, non vi traccia in atti, osservandosi in particolare che nessuno dei soggetti ascoltati in veste di informatore ha confermato il compimento, da parte di S.T., di atti di violenza fisica e/o di intimidazione.
In particolare non vi è prova alcuna delle minacce e delle percosse denunciate dalla P., avendo anzi la figlia T. (pure di assai relativa attendibilità in quanto apparsa chiaramente influenzata dall’atteggiamento ostile assunto dal resto dei familiari nei confronti della madre) dichiarato che il padre – nell’accompagnarla ad incontrarsi con la madre presso la piazza dell’orologio in Barletta – evita persino di scendere dall’autovettura.
Del pari rimane indimostrata la circostanza dell’atteggiamento ostile e minaccioso del S. rispetto alle richieste della moglie di tornare a riprendersi i propri indumenti, poiché il maresciallo S. ha chiarito che egli funse sì da intermediario tra i due coniugi (accordando altresì alla donna una scorta in occasione del ritiro dei suoi indumenti), ma soltanto per via dei timori manifestatigli dalla stessa P., mentre né lui né altri carabinieri ebbero mai percezione – diretta o indiretta – di episodi di violenza o minaccia in danno della ricorrente, tantopiù che le operazioni di ritiro del vestiario si svolsero senza incidenti, cosi restando smentiti sia l’episodio del danneggiamento degli indumenti (confermato dal solo informatore Rizzi Matteo, pure non immune da sospetti di scarsa attendibilità), sia quello degli ulteriori insulti  asseritamente rivoltile dai familiari.
Null’altro di utile si ricava, poi, dalle dichiarazioni degli altri informatori.
Alla luce del complessivo quadro probatorio emerso dall’attività istruttoria, deve dunque concludersi che non vi è adeguata prova – allo stato – di una condotta di S.T. e di S.B.F. rilevante ai sensi della L.154/01; piuttosto avendosi percezione di una situazione, coerente con il contesto socio-culturale di riferimento, in cui l’intero nucleo familiare si è compattato intorno al marito nel manifestare nei confronti della P. la propria forte riprovazione per la relazione extraconiugale in cui la si ritiene coinvolta; atteggiamento che però non risulta avere sinora oltrepassato i limiti di una dichiarata ostilità e condanna morale per sostanziarsi in condotte giuridicamente significative di minaccia e/o violenza fisica in danno della P.
L’istanza dunque, allo stato, va rigettata; ferma restando ovviamente la possibilità di una sua riproposizione in caso di sviluppi in senso peggiorativo della situazione all’interno della famiglia; e ferma la possibilità per i due coniugi, nel caso in cui il loro radicale contrastò perduri e divenga insanabile, di avvalersi dei rimedi ordinari tesi allo scioglimento del rapporto coniugale, rispetto ai quali la misura in esame non può considerarsi alternativa.
Il carattere contenzioso del presente procedimento e la natura definitoria del provvedimento conclusivo impongono una pronuncia sulle spese. Alla luce dei rapporti tra le parti e  delle emergenze istruttorie, tuttavia, si ritiene che sussistano giusti motivi per derogare al criterio della soccombenza, compensando interamente le spese tra le parti.


P.Q.M.


Letto e applicato l’art.736 bis c.p.c.;
1) rigetta l’istanza;
2) compensa integralmente tra le parti le spese di lite.
Si comunichi.
Barletta, 18.ó.05


  Il Giudice
  Dott. Riccardo Leonetti


Nota (a cura dell’Avv. Francesco Catapano)


1) Giurisprudenza:


I precedenti richiamati:


“Per potersi configurare il “grave pregiudizio all’integrità morale” di un coniuge, che legittima il ricorso ex art. 342 bis c.c., deve verificarsi un “vulnus” alla dignità dell’individuo di entità non comune, o per la particolare delicatezza dei profili della dignità stessa concretamente incisi, o per le modalità – forti – dell’offesa arrecata, o per la ripetitività o la prolungata durata nel tempo della sofferenza patita dall’offeso (nella specie, si è escluso che tale pregiudizio sia ravvisabile nel comportamento del marito che, nell’ambito di una crisi coniugale improvvisamente insorta da pochi mesi, non fornisce alla moglie il denaro occorrente per le esigenze primarie di quest’ultima e della famiglia, provvedendo però in prima persona al reperimento delle provviste domestiche e a talune spese mediche)”.  (Tribunale Bari, 18 luglio 2002 in Famiglia e diritto 2002, 623 nota nota DE MARZO)


“Il pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente deve essere causato dalla condotta pregiudizievole del coniuge o di altro convivente, ragionevolmente intendendosi con tale termine reiterate azioni ravvicinate nel tempo e consapevolmente dirette a ledere i beni tutelati dalla l. n. 154 del 2001 in modo che ne sia gravemente e senza soluzioni di continuità temporale alterato il regime di condotta pregiudizievole prevista dalla norma singoli episodi compiuti a distanza di considerevole tempo tra loro nei quali, peraltro, non sia ravvisabile la piena consapevolezza dell’autore (nella fattispecie l’autore della condotta era affetto da turbe psichiche e mentali). Costituisce dato assorbente, in virtù della riserva contenuta nell’art. 342 bis c.c., il verificarsi di episodi identificabili come reati perseguibili d’ufficio”. (Tribunale Trani, 12 ottobre 2001 in Famiglia e diritto 2002, 395 nota PETITTI)


conforme:
“Perché possano essere adottati gli ordini di protezione familiare di cui all’art. 342 bis c.c. è necessario che dalla condotta di uno dei coniugi possa derivare il pericolo di un nocumento all’integrità fisica o morale dell’altro coniuge; poiché tuttavia tale pregiudizio è definito dalla legge “grave”, non è sufficiente all’emanazione dei suddetti ordini di protezione la circostanza che le liti tra i coniugi siano degenerate in aggressioni, quando queste ultime siano state sporadiche e prive di conseguenze lesive apprezzabili”.  (Tribunale Bari, 10 aprile 2004  D&G – Dir. e Giust. 2005, f. 5, 29 nota GUERRA)


in materia si segnale inoltre:
“Le condotte inosservanti dei doveri di mantenimento ex art. 143-147 c.c., pur potendo essere causa di potenziale pregiudizio all’integrità fisica e morale o alla libertà dell’altro coniuge e/o della prole, non possono, in quanto tali, dare luogo all’emissione del decreto protettivo ex art. 342 ter c.c., il cui contenuto minimo e imprescindibile sta nell’allontanamento del coniuge dalla casa familiare, misura che, ove correlata ad una mera condotta omissiva di costui, non avrebbe ragion d’essere (Tribunale Trani, 17 gennaio 2004 Giur. merito 2004, 455);


2) Normativa:


Art. 342-bis c.c. Ordini di protezione contro gli abusi familiari .
[I]. Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all’articolo 342-ter.


Art. 342-ter c.c.: Contenuto degli ordini di protezione.
[I]. Con il decreto di cui all’articolo 342-bis il giudice ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l’allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d’origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro.
[II]. Il giudice può disporre, altresì, ove occorra l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonchè delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati; il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti di cui al primo comma, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma sia versata direttamente all’avente diritto dal datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante.
[III]. Con il medesimo decreto il giudice, nei casi di cui ai precedenti commi, stabilisce la durata dell’ordine di protezione, che decorre dal giorno dell’avvenuta esecuzione dello stesso. Questa non può essere superiore a sei mesi e può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario.
[IV]. Con il medesimo decreto il giudice determina le modalità di attuazione. Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all’esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per l’attuazione, ivi compreso l’ausilio della forza pubblica e dell’ufficiale sanitario.


Art. 736-bis c.p.c. (1) Provvedimenti di adozione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari.
[I]. Nei casi di cui all’articolo 342-bis del codice civile, l’istanza si propone, anche dalla parte personalmente, con ricorso al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’istante, che provvede in camera di consiglio in composizione monocratica.
[II]. Il presidente del tribunale designa il giudice a cui è affidata la trattazione del ricorso. Il giudice, sentite le parti, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione necessari, disponendo, ove occorra, anche per mezzo della polizia tributaria, indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti, e provvede con decreto motivato immediatamente esecutivo.
[III]. Nel caso di urgenza, il giudice, assunte ove occorra sommarie informazioni, può adottare immediatamente l’ordine di protezione fissando l’udienza di comparizione delle parti davanti a sè entro un termine non superiore a quindici giorni ed assegnando all’istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. All’udienza il giudice conferma, modifica o revoca l’ordine di protezione.
[IV]. Contro il decreto con cui il giudice adotta l’ordine di protezione o rigetta il ricorso, ai sensi del secondo comma, ovvero conferma, modifica o revoca l’ordine di protezione precedentemente adottato nel caso di cui al terzo comma, è ammesso reclamo al tribunale entro i termini previsti dal secondo comma dell’articolo739. Il reclamo non sospende l’esecutività dell’ordine di protezione. Il tribunale provvede in camera di consiglio, in composizione collegiale, sentite le parti, con decreto motivato non impugnabile. Del collegio non fa parte il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.
[V]. Per quanto non previsto dal presente articolo, si applicano al procedimento, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti.